domenica 31 luglio 2011
Un'umanità che ha fame
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci mostra il meraviglioso segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, attraverso il commento di don Alberto Brignoli:
Il mondo, l'umanità, oggi, ha ancora parecchia fame.
Fame di cibo, di pane, innanzitutto. Al mondo ci sono 854 milioni di persone che soffrono la fame e il numero non è mai calato dal 1990. Nel 1996 oltre 180 capi di Stato e di governo si erano riuniti a Roma per il Vertice mondiale sull'alimentazione e avevano firmato una Dichiarazione con la quale si impegnavano a dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e portarlo a 412 milioni. Per onorare l'impegno preso al vertice, si dovrebbe ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l'anno da oggi sino al 2015, mentre la tendenza attuale è al contrario di un aumento al ritmo di quattro milioni l'anno. Per questo motivo, l'impegno è stato definitivamente dichiarato "archiviato".
E nonostante ciò i Paesi donatori hanno ridotto in modo consistente gli aiuti al settore agricolo e alimentare. Inoltre i Paesi del Nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l'esportazione dei loro prodotti. E' un po' come dire che s'individua l'agricoltura come il motore principale per la ripresa dei Paesi sottosviluppati, ma poi questo motore lo si frena in tutti i modi.
Un altro dato preoccupante è quello della pessima distribuzione della ricchezza: il 10% delle famiglie italiane possiede quasi il 45% del patrimonio totale del paese. Non così lontano dalla disumana situazione mondiale, dove il 2% della popolazione più ricca possiede il 50% delle ricchezze della terra. L'altra metà se la spartisce il 98% delle persone. Questo vuol dire che la fame nel mondo, oggi, è qualcosa che riguarda tutti, anche i paesi più ricchi, e non più solamente il Sud del mondo.
Ma non è l'unica fame del mondo, quella di cibo. C'è pure fame di giustizia. Fame di diritti fondamentali della persona che vengono puntualmente calpestati.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti": nel 2010 in Italia sono morte 127 donne per violenza, 58 delle quali subite da parte dei loro mariti e compagni. Solo a Milano, ogni giorno viene violentata una donna (secondo i dati delle denuncie).
"Nessuno sarà sottomesso a torture, o a pene e trattamenti crudeli, disumani e degradanti": a oggi, la tortura è ancora "legalmente" praticata in 81 paesi.
"Tutti sono uguali di fronte alla legge ed hanno, senza distinzione, diritto a essere ugualmente protetti dalla legge": sono ancora 54 i paesi che celebrano giudizi sommari senza alcuna garanzia giuridica, e laddove si celebrano legalmente (come in Italia) i ritardi sono abissali, e soprattutto c'è la possibilità di convertire una pena in una sanzione amministrativa. Per cui, chi paga è libero, anche se colpevole. Chi non riesce a pagare, rimane in carcere, magari a volte nonostante sia innocente. Questa sarebbe giustizia?
E non c'è sicuramente bisogno di dati per descrivere un'altra fame, forse la meno evidente, quella che fa meno notizia, ma non per questo meno drammatica, ovvero la fame di Dio. Una grandissima parte dell'umanità muore senza riuscire a dare un significato alla propria esistenza, e questo indipendentemente dal professare una religione o un'altra, dall'essere stati o meno battezzati: è un problema di senso della vita, è l'incapacità a cogliere che nella nostra vita ci sono dei semi di Assoluto che vanno piantati, coltivati, irrigati, fatti crescere.
Questa mancanza di senso lascia l'uomo impoverito, come denutrito, affamato, appunto: affamato di un Dio, di un Assoluto che può dare senso al suo affannarsi sulla terra e che, quanto più ricchi si è materialmente, tanto meno si riesce ad avvertire. Si tratta di una fame anomala, proprio perché non si fa sentire eppure poco a poco logora, svuota, impoverisce, uccide. E non si fa sentire semplicemente perché la si zittisce con tutta una serie di comportamenti e di scelte di vita che la soffocano, la narcotizzano, la addormentano. Poi però le grandi domande esistenziali della vita di fronte al senso della malattia, della sofferenza, del dolore, dell'ingiustizia e, in definitiva, della morte, la fanno emergere in maniera drammatica con conseguenze che spesso portano l'individuo a non ritrovare più quel filo che lo può condurre fuori dal labirinto dell'esistenza.
Il Vangelo di oggi ci ricorda l'interesse e la sollecitudine di Dio per la fame nel mondo: la fame di pane materiale, la fame di giustizia e la fame di Lui. Quello che però maggiormente colpisce è che Dio non ci chiede di invitare i nostri fratelli che hanno fame ad andare in cerca di una soluzione: vuole che "noi stessi diamo loro da mangiare". Rimbalza su di noi, che ci diciamo suoi discepoli, la risposta a questo problema, che spesso gli presentiamo come insormontabile e per noi di difficile soluzione. Quante volte anche noi, come i discepoli del Vangelo, diciamo al Signore: "Mandali via, che vadano a comprarsi da mangiare, che vadano a risolversi i loro problemi, che cerchino da soli il modo di dare delle risposte alle loro situazioni di indigenza"? E per di più, giustifichiamo le nostre affermazioni rinfacciando al Signore le nostre incapacità: "Abbiamo solo cinque pani e due pesci! Non siamo in grado, ci vogliono strutture, persone e programmi adeguati!".
Il Signore ci vuole invitare a capire che la risposta alla fame di gran parte dell'umanità sta nell'assunzione delle nostre responsabilità, nonostante la pochezza dei nostri mezzi. Il nulla che abbiamo, se condiviso, può diventare molto, perché ci pensa Lui, il Signore, a farlo diventare tale.
Ecco, allora, la nostra missione di discepoli, oggi come sempre: saziare l'umanità attraverso atteggiamenti di solidarietà e di condivisione.
Pensare di fare qualcosa per sfamare i bisogni alimentari delle persone indigenti con uno stile puramente assistenzialista, oggi non serve se non a generare ulteriore povertà: occorre far prendere coscienza ad ogni uomo che i cinque pani e i due pesci che possiede, ovvero quel poco col quale purtroppo si ritrova a vivere, non devono essere un elemento di disperazione, ma un punto di partenza, sia pur minimo, per costruire il proprio futuro. È relativamente facile, ma certamente inutile, fare un gesto di generosità dando molti soldi in un colpo solo a una persona povera: è più difficile, ma è certamente più proficuo, fare lo sforzo insieme con lei, di accompagnarne il progetto di sviluppo, seguendolo, esortandolo, facendogli sentire che gli siamo vicini nella misura in cui si sforza di costruire il proprio futuro.
Lottare per ricostruire situazioni giuste laddove la giustizia è calpestata serve a poco, se questo avviene solo attraverso denuncie, lotte, battaglie per la difesa dei diritti usurpati, magari attraverso atteggiamenti che spesso generano ulteriore violenza, risentimento, odio. Servono anche le lotte, senza dubbio: ma si creano situazioni di vera giustizia e quindi di vera pace laddove si aiuta un popolo o una persona a prendere coscienza dei propri diritti e insieme anche dei propri doveri, perché sia lui, e non le nostre più o meno positive ideologie, a prendere in mano la propria situazione di ingiustizia e rovesciarla a suo favore.
E infine, la risposta alla fame di Dio che l'umanità continua ad avere, passa attraverso la coscienza che oggi l'annuncio del Vangelo non è più "portare qualcosa che manca a qualcuno", ma creare comunione, reciprocità, scambio arricchente tra le diverse espressioni di fede. Anche solo parlando della fede in Cristo, dobbiamo essere ben coscienti che i paesi di antica tradizione cristiana, come i nostri, sono in netta minoranza rispetto alle Chiese giovani del sud del mondo, sia numericamente che qualitativamente. Ci sono esperienze di Chiesa nei paesi in via di sviluppo che sono di una ricchezza che qui nemmeno riusciamo a immaginare. Ci sono, nel sud del mondo, cristiani che non si preoccupano, come noi, di difendere la loro identità cristiana, ma di essere coerenti con il loro vissuto cristiano, e questo spesso avviene in situazioni di difficoltà, di contrasto, se non addirittura di persecuzione. E questo insegna molto a noi che, pur trovandoci in situazione di relativa serenità e tolleranza nei confronti della fede, facciamo fatica a essere coerenti con ciò in cui diciamo di credere.
Il Signore ci aiuti a prendere coscienza che il poco che abbiamo può essere molto, se questo poco lo sappiamo condividere con i nostri fratelli più poveri.
Il mondo, l'umanità, oggi, ha ancora parecchia fame.
Fame di cibo, di pane, innanzitutto. Al mondo ci sono 854 milioni di persone che soffrono la fame e il numero non è mai calato dal 1990. Nel 1996 oltre 180 capi di Stato e di governo si erano riuniti a Roma per il Vertice mondiale sull'alimentazione e avevano firmato una Dichiarazione con la quale si impegnavano a dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e portarlo a 412 milioni. Per onorare l'impegno preso al vertice, si dovrebbe ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l'anno da oggi sino al 2015, mentre la tendenza attuale è al contrario di un aumento al ritmo di quattro milioni l'anno. Per questo motivo, l'impegno è stato definitivamente dichiarato "archiviato".
E nonostante ciò i Paesi donatori hanno ridotto in modo consistente gli aiuti al settore agricolo e alimentare. Inoltre i Paesi del Nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l'esportazione dei loro prodotti. E' un po' come dire che s'individua l'agricoltura come il motore principale per la ripresa dei Paesi sottosviluppati, ma poi questo motore lo si frena in tutti i modi.
Un altro dato preoccupante è quello della pessima distribuzione della ricchezza: il 10% delle famiglie italiane possiede quasi il 45% del patrimonio totale del paese. Non così lontano dalla disumana situazione mondiale, dove il 2% della popolazione più ricca possiede il 50% delle ricchezze della terra. L'altra metà se la spartisce il 98% delle persone. Questo vuol dire che la fame nel mondo, oggi, è qualcosa che riguarda tutti, anche i paesi più ricchi, e non più solamente il Sud del mondo.
Ma non è l'unica fame del mondo, quella di cibo. C'è pure fame di giustizia. Fame di diritti fondamentali della persona che vengono puntualmente calpestati.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti": nel 2010 in Italia sono morte 127 donne per violenza, 58 delle quali subite da parte dei loro mariti e compagni. Solo a Milano, ogni giorno viene violentata una donna (secondo i dati delle denuncie).
"Nessuno sarà sottomesso a torture, o a pene e trattamenti crudeli, disumani e degradanti": a oggi, la tortura è ancora "legalmente" praticata in 81 paesi.
"Tutti sono uguali di fronte alla legge ed hanno, senza distinzione, diritto a essere ugualmente protetti dalla legge": sono ancora 54 i paesi che celebrano giudizi sommari senza alcuna garanzia giuridica, e laddove si celebrano legalmente (come in Italia) i ritardi sono abissali, e soprattutto c'è la possibilità di convertire una pena in una sanzione amministrativa. Per cui, chi paga è libero, anche se colpevole. Chi non riesce a pagare, rimane in carcere, magari a volte nonostante sia innocente. Questa sarebbe giustizia?
E non c'è sicuramente bisogno di dati per descrivere un'altra fame, forse la meno evidente, quella che fa meno notizia, ma non per questo meno drammatica, ovvero la fame di Dio. Una grandissima parte dell'umanità muore senza riuscire a dare un significato alla propria esistenza, e questo indipendentemente dal professare una religione o un'altra, dall'essere stati o meno battezzati: è un problema di senso della vita, è l'incapacità a cogliere che nella nostra vita ci sono dei semi di Assoluto che vanno piantati, coltivati, irrigati, fatti crescere.
Questa mancanza di senso lascia l'uomo impoverito, come denutrito, affamato, appunto: affamato di un Dio, di un Assoluto che può dare senso al suo affannarsi sulla terra e che, quanto più ricchi si è materialmente, tanto meno si riesce ad avvertire. Si tratta di una fame anomala, proprio perché non si fa sentire eppure poco a poco logora, svuota, impoverisce, uccide. E non si fa sentire semplicemente perché la si zittisce con tutta una serie di comportamenti e di scelte di vita che la soffocano, la narcotizzano, la addormentano. Poi però le grandi domande esistenziali della vita di fronte al senso della malattia, della sofferenza, del dolore, dell'ingiustizia e, in definitiva, della morte, la fanno emergere in maniera drammatica con conseguenze che spesso portano l'individuo a non ritrovare più quel filo che lo può condurre fuori dal labirinto dell'esistenza.
Il Vangelo di oggi ci ricorda l'interesse e la sollecitudine di Dio per la fame nel mondo: la fame di pane materiale, la fame di giustizia e la fame di Lui. Quello che però maggiormente colpisce è che Dio non ci chiede di invitare i nostri fratelli che hanno fame ad andare in cerca di una soluzione: vuole che "noi stessi diamo loro da mangiare". Rimbalza su di noi, che ci diciamo suoi discepoli, la risposta a questo problema, che spesso gli presentiamo come insormontabile e per noi di difficile soluzione. Quante volte anche noi, come i discepoli del Vangelo, diciamo al Signore: "Mandali via, che vadano a comprarsi da mangiare, che vadano a risolversi i loro problemi, che cerchino da soli il modo di dare delle risposte alle loro situazioni di indigenza"? E per di più, giustifichiamo le nostre affermazioni rinfacciando al Signore le nostre incapacità: "Abbiamo solo cinque pani e due pesci! Non siamo in grado, ci vogliono strutture, persone e programmi adeguati!".
Il Signore ci vuole invitare a capire che la risposta alla fame di gran parte dell'umanità sta nell'assunzione delle nostre responsabilità, nonostante la pochezza dei nostri mezzi. Il nulla che abbiamo, se condiviso, può diventare molto, perché ci pensa Lui, il Signore, a farlo diventare tale.
Ecco, allora, la nostra missione di discepoli, oggi come sempre: saziare l'umanità attraverso atteggiamenti di solidarietà e di condivisione.
Pensare di fare qualcosa per sfamare i bisogni alimentari delle persone indigenti con uno stile puramente assistenzialista, oggi non serve se non a generare ulteriore povertà: occorre far prendere coscienza ad ogni uomo che i cinque pani e i due pesci che possiede, ovvero quel poco col quale purtroppo si ritrova a vivere, non devono essere un elemento di disperazione, ma un punto di partenza, sia pur minimo, per costruire il proprio futuro. È relativamente facile, ma certamente inutile, fare un gesto di generosità dando molti soldi in un colpo solo a una persona povera: è più difficile, ma è certamente più proficuo, fare lo sforzo insieme con lei, di accompagnarne il progetto di sviluppo, seguendolo, esortandolo, facendogli sentire che gli siamo vicini nella misura in cui si sforza di costruire il proprio futuro.
Lottare per ricostruire situazioni giuste laddove la giustizia è calpestata serve a poco, se questo avviene solo attraverso denuncie, lotte, battaglie per la difesa dei diritti usurpati, magari attraverso atteggiamenti che spesso generano ulteriore violenza, risentimento, odio. Servono anche le lotte, senza dubbio: ma si creano situazioni di vera giustizia e quindi di vera pace laddove si aiuta un popolo o una persona a prendere coscienza dei propri diritti e insieme anche dei propri doveri, perché sia lui, e non le nostre più o meno positive ideologie, a prendere in mano la propria situazione di ingiustizia e rovesciarla a suo favore.
E infine, la risposta alla fame di Dio che l'umanità continua ad avere, passa attraverso la coscienza che oggi l'annuncio del Vangelo non è più "portare qualcosa che manca a qualcuno", ma creare comunione, reciprocità, scambio arricchente tra le diverse espressioni di fede. Anche solo parlando della fede in Cristo, dobbiamo essere ben coscienti che i paesi di antica tradizione cristiana, come i nostri, sono in netta minoranza rispetto alle Chiese giovani del sud del mondo, sia numericamente che qualitativamente. Ci sono esperienze di Chiesa nei paesi in via di sviluppo che sono di una ricchezza che qui nemmeno riusciamo a immaginare. Ci sono, nel sud del mondo, cristiani che non si preoccupano, come noi, di difendere la loro identità cristiana, ma di essere coerenti con il loro vissuto cristiano, e questo spesso avviene in situazioni di difficoltà, di contrasto, se non addirittura di persecuzione. E questo insegna molto a noi che, pur trovandoci in situazione di relativa serenità e tolleranza nei confronti della fede, facciamo fatica a essere coerenti con ciò in cui diciamo di credere.
Il Signore ci aiuti a prendere coscienza che il poco che abbiamo può essere molto, se questo poco lo sappiamo condividere con i nostri fratelli più poveri.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento