sabato 30 aprile 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Ventiduesima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi. Anche oggi, seppur brevemente, scopriamo un nuovo prodigio compiuto dal beato Francesco, capace di liberare una donna, da uno spirito demoniaco. Ma oggi vediamo nuovi aspetti legati al poverello d'Assisi: innanzitutto, la forte dedizione alla preghiera. Noi oggi dedichiamo poco tempo alla preghiera e ne sottovalutiamo l'efficacia e il valore; egli invece si perdeva nelle preghiere e a stento lo si poteva staccare. Questo perchè il beato Francesco aveva scoperto come la preghiera era la chiave del cuore di Dio: attraverso di essa, entrava in vera comunione con l'Altissimo e solo con essa poté riuscire a compiere prodigi simili a quelli compiuti dal Maestro Gesù e a resistere ai continui attacchi del maligno.
L'altro aspetto riguarda invece le doti di oratore possedute dal beato Francesco: egli predicava con grande eloquenza e riusciva a penetrare gli animi degli uomini (come vedremo anche quello di vescovi e Papa), esattamente come fecero i primi discepoli mandati da Gesù a predicare. 
Infine, scopriamo un personaggio al quale il beato Francesco era molto legato: il Cardinal Ugolino. Scopriamo di chi si tratta e tutto il resto, leggendo quanto segue:

CAPITOLO VENTISEIESIMO

ANCHE A CITTÀ DI CASTELLO FRANCESCO SCACCIA UN DEMONIO

70. C'era a Città di Castello una donna ossessa. Essendovi giunto il beato padre Francesco, venne condotta a lui nella casa ove dimorava. Questa, digrignando i denti e con lo sguardo bieco, emetteva grida orribili, come usano fare gli spiriti immondi. Parecchi cittadini, accorsi insieme, supplicavano il Santo di liberarla poiché da tanto tempo il nemico infernale la possedeva e tormentava in quella maniera spa­ventosa con le sue urla. Francesco volle costatare se era opera del demonio o imbroglio della donna e le mandò innanzi un frate che stava con lui. Quella avverti subito lo scambio di persona e si mise a proferire scherni e insulti. Ma quando comparve il Santo, che era rimasto nel frattempo nascosto a pregare, l'indemoniata, non potendo resistere alla sua virtù, si gettò per terra tremando e contorcendosi pietosamente. Francesco la chiamò a sé, dicendo: «Ti comando per obbedienza, spirito immondo, di uscire da costei!». E il diavolo l'abbandonò immediatamente, senza alcun male.

Sia ringraziato Iddio onnipotente, che opera tutto in tutti! Tuttavia, siccome ci siamo proposti di narrare non tanto 1 miracoli, che dimostrano la santità ma non costituiscono la santità, bensì piuttosto lo specchio della sua vita esemplare, riprendiamo il racconto delle opere che gli meritarono la salvezza eterna, tralasciando i miracoli, anche perché sarebbe troppo lungo recensirli tutti. 

CAPITOLO VENTISETTESIMO

PUREZZA E COSTANZA DEL SUO SPIRITO. DISCORSO DAVANTI A PAPA ONORIO III. AFFIDA SE STESSO E I SUOI ALLA PROTEZIONE DEL CARDINALE UGOLINO VESCOVO DI OSTIA

71. L'uomo di Dio Francesco si era abituato a cercare non il proprio interesse, ma soprattutto quanto vedeva necessario alla salvezza del prossimo, e sopra ogni altra cosa desiderava di essere liberato dal corpo e stare con Cristo. Per questo il suo maggior impegno era di tenersi lontano dalle sollecitudini terrene, così che neppure per un istante la polvere mondana potesse fare ombra e turbare la luce e la pace della sua anima. Si rendeva insensibile a tutti i clamori esterni e, raccogliendo tutti i suoi sensi esteriori e dominando ogni movimento dell'anima, viveva assorto nel solo Signore. Come è detto della sposa nel Cantico dei Cantici: Nelle fenditure della roccia e nei nascondigli dei dirupi era la sua abitazione.

Veramente con gioiosa devozione egli s'aggirava tra le dimore celesti, e in completo annientamento di sé, dimorava a lungo come nascosto nelle piaghe del Salvatore. Perciò cercava luoghi solitari per poter lanciare completamente la sua anima in Dio; tuttavia, quando c'era bisogno, non esitava un istante a passare all'azione per giovare alle anime e alla vita dei fratelli. Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva. Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare; così, con la grazia del Signore, riusciva a trionfare di molti timori e di angustie spirituali.

72. In quei luoghi doveva lottare corpo a corpo col demonio, che l'affrontava per spaventarlo non solo con tentazioni interiori, ma anche esteriormente con strepiti e rovine. Ma Francesco, da fortissimo soldato di Cristo, ben sapendo che il suo Signore poteva tutto dovunque, non si lasciava per nulla intimorire, ma ripeteva in cuor suo: «Non puoi, o maligno, scatenare contro di me le armi della tua malizia, in questi luoghi più di quanto mi faresti se fossimo tra la folla».

Era veramente fermo e costante nel bene, e null'altro cercava se non di compiere la volontà di Dio. E infatti quando anche predicava la parola del Signore davanti a migliaia di persone, era tranquillo e sicuro, come se parlasse con il suo fratello e compagno. Ai suoi occhi un'immensa moltitudine di uditori era come un uomo solo, e con la stessa diligenza che usava per le folle predicava ad una sola persona. Dalla purezza del suo cuore attingeva la sicurezza della sua parola, e anche invitato all'improvviso, sapeva dire cose mirabili e mai udite prima. Quando invece si preparava prima accuratamente il discorso, gli poteva accadere che al momento di pronunciarlo non ricordasse più una parola né altro poteva dire. Allora confessava a tutti candidamente e senza rossore che aveva preparato tante cose, ma le aveva dimenticate. Ed ecco, all'improvviso parlava con tanta eloquenza da incantare gli uditori. Altre volte gli capitava di non riuscire a parlare affatto; allora congedava l'uditorio con la benedizione, e questo valeva più che se avesse tenuto una lunga predica.
73. Recatosi una volta a Roma, per problemi dell'Ordine, sentì grande desiderio di predicare davanti a papa Onorio e ai cardinali. Venuto a saperlo, Ugolino, il glorioso vescovo di Ostia, che nutriva particolare affetto e ammirazione per il Santo di Dio, ne provò insieme gioia e timore, perché se ammirava il fervore di quel sant'uomo, ne conosceva però anche la ingenua semplicità; ma, confidando nella bontà dell'Onnipotente, che paternamente non lascia mai mancare ai suoi fedeli quanto è necessario, lo condusse davanti al Papa e ai cardinali. E Francesco, ricevuta la benedizione, alla presenza di così grandi principi incominciò a parlare senza timore. E parlò con tanto fervore che, quasi fuori di sé per la gioia, mentre proferiva le parole muoveva anche i piedi quasi saltellando; ma quello suo strano comportamento, lungi dall'apparire un segno di leggerezza e dal suscitare riso, provenendo dall'ardore del suo cuore, induceva gli animi a intrattenibile pianto di compunzione. E molti di loro effettivamente, ripieni di ammirazione per la grazia del Signore e per l'intrepido coraggio di quell'uomo, furono presi da sincero dolore. Il cardinal Ugolino però, dal canto suo pregava fervorosamente Iddio perché non permettesse che la semplicità di quell'anima santa venisse disprezzata, anche perché l'eventuale disdoro, come la gloria di Francesco, sarebbero caduti pure su di lui, che era stato eletto «protettore» del nuovo Ordine religioso.

74. Francesco infatti si era legato a lui come un figlio al padre, come il figlio unico alla madre, dormendo e riposando sicuro sul seno della sua clemenza. Si può veramente dire che il cardinal Ugolino compiva l'ufficio di pastore della nuova Fraternità, pur lasciandone il nome a san Francesco. Il beato padre proponeva quanto era necessario, ma era Ugolino che provvedeva che venisse messo in esecuzione. Quanti minacciavano i primi passi dell'Ordine per rovinarlo! Quanti cercavano di soffocare l'eletta vigna che il Signore stava piantando nel mondo e di annientarne le promettenti primizie! Ma tutti costoro furono vinti e trafitti dalla spada di quel provvido signore e padre. Egli era infatti un fiume di eloquenza, un baluardo della Chiesa, un intrepido assertore della verità, ma ancora paterno sostegno degli umili. Memorando e benedetto, quindi, il giorno in cui il servo di Dio si affidò a questo Pastore di anime! Mentre si trovava in Toscana, come legato pontificio, un incarico che gli veniva affidato spesso, il beato Francesco, che aveva ancora pochi compagni, passò per Firenze dove allora soggiornava il cardinale, con l'intento di recarsi in Francia. Non erano ancora in quel tempo legati da una profonda amicizia, ma la fama della loro santità era bastata ad unirli in un vincolo reciproco di affetto e di benevolenza.
75. D'altra parte, era costume del beato Francesco, quando arrivava in qualche città o territorio, di presentarsi al vescovo o ai sacerdoti del luogo; così, venuto a sapere che là si trovava il suddetto prelato, si recò da lui con grande riverenza. Il cardinal Ugolino, come usava fare con i religiosi, soprattutto con quelli che professavano la beata povertà e la semplicità, lo accolse umilmente e devotamente. E poiché nutriva particolare sollecitudine per i poveri, per venire incontro alla loro povertà e sbrigare le loro cose, si interessò con diligenza sul motivo della sua venuta, ascoltandolo con grande bontà. Vedendolo così staccato da ogni cosa terrena, più di qualsiasi altro, e ripieno di quel fuoco divino che Gesù venne ad accendere sulla terra, sentì la propria anima fondersi con la sua, gli domandò la carità delle sue preghiere egli offrì con sincera gioia la sua protezione. Quindi lo dissuase dal continuare quel viaggio, raccomandandogli di attendere ai fratelli che Iddio gli aveva affidato. Dal canto suo, Francesco fu ripieno di immenso gaudio, per aver incontrato un signore così potente e, insieme così pieno di benevolenza, di affabilità e di senso pratico; si prostrò ai suoi piedi e con sincera devozione gli affidò se stesso e i suoi frati.
 

venerdì 29 aprile 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantesimo appuntamento

 Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci mostra ancora l'organizzazione del servizio di elemosina predisposto dalla comunità corinzia:

Nona parte della Seconda Lettera ai Corinzi  

1Riguardo poi a questo servizio in favore dei santi, è superfluo che ve ne scriva. 2Conosco infatti bene la vostra buona volontà, e ne faccio vanto con i Macèdoni dicendo che l'Acaia è pronta fin dallo scorso anno e già molti sono stati stimolati dal vostro zelo. 3I fratelli poi li ho mandati perché il nostro vanto per voi su questo punto non abbia a dimostrarsi vano, ma siate realmente pronti, come vi dicevo, perché 4non avvenga che, venendo con me alcuni Macèdoni, vi trovino impreparati e noi dobbiamo arrossire, per non dire anche voi, di questa nostra fiducia. 5Ho quindi ritenuto necessario invitare i fratelli a recarsi da voi prima di me, per organizzare la vostra offerta già promessa, perché essa sia pronta come una vera offerta e non come una spilorceria.

6Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. 7Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. 8Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene, 9come sta scritto:

ha largheggiato, ha dato ai poveri;
la sua giustizia dura in eterno.
10Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. 11Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale poi farà salire a Dio l'inno di ringraziamento per mezzo nostro. 12Perché l'adempimento di questo servizio sacro non provvede soltanto alle necessità dei santi, ma ha anche maggior valore per i molti ringraziamenti a Dio. 13A causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti; 14e pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi. 15Grazie a Dio per questo suo ineffabile dono! 

COMMENTO

Continuiamo dunque a vedere il proseguo dell'esortazione rivolta da San Paolo ai Corinzi, nel presentare un'offerta ai Macedoni. Abbiamo già parlato a lungo di questo la scorsa volta e oggi mi sento di aggiungere come ci colpisca l'importanza data da San Paolo a quest'atto di generosità. Egli, infatti, designa anche la caratteristica dell'offerta che non deve essere forzata: Dio non ama chi dona perchè costretto o perchè non vuol far una brutta figura; Dio ama colui che dona con gioia e che non rimugina sul denaro donato.
Oggi, purtroppo, pochi riescono a donare con gioia al punto che tutto sembra solo un atto di forzata cortesia: anche quando offriamo qualcosa in dono, c'è un pezzo di noi che desidererebbe veder il prossimo rifiutare il nostro dono; e non parliamo di quando molti amano sparlare proprio di coloro che accettano senza ritegno. Tutto questo mostra il lato peggiore di noi: falsi caritatevoli e ipocriti.
Invece San Paolo ci mostra come la liberalità deve essere fatta: con generosità, secondo quanto il nostro cuore sente di voler dare. E soprattutto, ciò che conta, è donare con gioia, sapendo di fare qualcosa di bello e gradito al Signore nostro Dio. Egli ci mostra anche di tenerci a questo servizio (al punto che notiamo una punta di lieta ironia quando accenna all'arrossamento del viso!): egli non vuole che i Corinzi mostrino che le parole dell'apostolo siano state vane nei loro confronti. Ci tiene particolarmente a mostrare come la comunità dei Corinzi sia governata dall'amore, dalla generosità e dallo spirito evangelico. Vediamo persino richiamare un vecchio proverbio: ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno.
 
 Ma ciò che a San Paolo preme sottolineare, è soprattutto la conseguenza di un siffatto atto di amore: la lode a Dio. I poveri loderanno Dio perché avranno visto i suoi figli e discepoli comportarsi secondo obbedienza e secondo Vangelo: essi ringrazieranno Dio per aver effuso la Sua grazia su di loro!

giovedì 28 aprile 2011

Sessualità umana - XIII appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Nell'appuntamento odierno, viene delineato il ruolo imprescindibile ed insostituibile della famiglia. Infatti, l'educazione ai sani valori morali e cristiani, avviene in primo luogo all'interno della famiglia: dunque è indispensabile che un bambino possa crescere all'interno di una famiglia armoniosa, unita, capace di donare amore e allo stesso tempo capace di usare quel senso di severità necessario ai fini educativi. Si capisce subito che la famiglia si ritrova a svolgere un compito che forse oggi è davvero troppo arduo, quasi impossibile: ma c'è bisogno di educare, sin dall'infanzia, cercando di trasmettere i valori anche affrontando conversazioni non semplici, come quelle relative alla sfera sessuale. I ragazzi di oggi sono sessualmente precoci, anche a causa della società dominata dalla perversione sessuale e dalla commercializzazione del sesso; questo significa che la famiglia deve anticipare il proprio intervento per evitare di intervenire quando è ormai troppo tardi e per evitare che i figli crescano sessualmente attraverso le informazioni dei compagni di scuola e attraverso internet e i vari mass media. Le conseguenze di un simile lassismo sono devastanti: i dati parlano chiaro e specificano come tra i giovani sia diffuso l'uso e persino lo scambio di materiale pornografico (prima causa di nascita e sviluppo di perversioni sessuali che portano anche a vere malattie del sesso e a comportamenti sessualmente violenti); come le prime esperienze sessuali avvengono in giovanissima età; come l'uso sconsiderato e inconscio del preservativo sia diffuso anche tra i più giovani. Tutto questo è altamente preoccupante soprattutto considerato che viviamo in una società che propina modelli sessuali totalmente sbagliati e diseducativi (al punto che la castità viene fatta vedere non come un valore morale, ma come un'anomalia). In tutto questo, la famiglia unita alla Chiesa, si assume un compito gravoso che consiste nell'educare i figli ai valori cristiani, tra i quali spicca il valore della castità. Leggiamo dunque le osservazioni del documento del   Pontificio Consiglio per la Famiglia:

V

ITINERARI FORMATIVI IN SENO ALLA FAMIGLIA

48. L'ambiente della famiglia è dunque il luogo normale ed ordinario per la formazione dei bambini e dei giovani al consolidamento e all'esercizio delle virtù della carità, della temperanza, della fortezza e quindi della castità. Come chiesa domestica, la famiglia è, infatti, la scuola della più ricca umanità.1 Questo vale particolarmente per l'educazione morale e spirituale, soprattutto su di un punto così delicato come la castità: in essa, infatti, si intrecciano aspetti fisici, psichici e spirituali, spunti di libertà e influsso dei modelli sociali, naturale pudore e tendenze forti insite nella corporeità umana; fattori, tutti questi, che si trovano congiunti alla consapevolezza sia pure implicita della dignità della persona umana, chiamata a collaborare con Dio e nello stesso tempo segnata dalla fragilità. In una casa cristiana i genitori hanno la forza per condurre i figli verso una vera maturazione cristiana della loro personalità, secondo la statura di Cristo, all'interno del suo Corpo mistico che è la Chiesa.2

La famiglia, pur ricca di queste forze, ha bisogno di sostegno anche da parte dello Stato e della società, secondo il principio di sussidiarietà: « Accade... che quando la famiglia decide di corrispondere pienamente alla propria vocazione, si può trovare priva dell'appoggio necessario da parte dello Stato e non dispone di risorse sufficienti. E urgente promuovere non solo politiche per la famiglia, ma anche politiche sociali, che abbiano come principale obiettivo la famiglia stessa, aiutandola, mediante l'assegnazione di adeguate risorse e di efficienti strumenti di sostegno, sia nell'educazione dei figli sia nella cura degli anziani ».3

49. Consci di ciò, e delle difficoltà reali che oggi esistono in non pochi paesi per i giovani, specialmente in presenza di fattori di degrado sociale e morale, i genitori sono sollecitati ad osare di chiedere e di proporre di più. Non possono accontentarsi di evitare il peggio — che i figli non si droghino, o non commettano delitti — ma dovranno impegnarsi nell'educarli ai valori veri della persona, rinnovati dalle virtù della fede, della speranza e dell'amore: la libertà, la responsabilità, la paternità e la maternità, il servizio, il lavoro professionale, la solidarietà, l'onestà, l'arte, lo sport, la gioia di sapersi figli di Dio e, con ciò, fratelli di tutti gli esseri umani, ecc.

Il valore essenziale del focolare

50. Le scienze psicologiche e pedagogiche, nelle loro più recenti acquisizioni, e l'esperienza concordano nel sottolineare l'importanza decisiva, in ordine ad un'armonica e valida educazione sessuale, del clima affettivo che regna nella famiglia, specialmente nei primi anni dell'infanzia e della fanciullezza e forse anche nella fase prenatale, periodi in cui si instaurano i dinamismi emozionali e profondi dei fanciulli. Viene evidenziata l'importanza dell'equilibrio, dell'accettazione e della comprensione a livello della coppia. Si sottolinea inoltre il valore della serenità di rapporto relazionale fra i coniugi, della loro presenza positiva — sia quella del padre sia quella della madre — negli anni importanti per i processi di identificazione, e del rapporto di rassicurante affetto verso i bambini.

51. Certe gravi carenze o squilibri che si realizzano tra i genitori (ad esempio, l'assenza dalla vita familiare di uno o di entrambi i genitori, il disinteresse educativo, o la severità eccessiva) sono fattori capaci di causare nei bambini distonie emozionali e affettive che possono gravemente disturbare la loro adolescenza e talvolta segnarli per tutta la vita. E necessario che i genitori trovino il tempo di stare con i figli e di intrattenersi a dialogare con loro. I figli, dono e impegno, sono il loro compito più importante, sebbene apparentemente non sempre molto redditizio: lo sono più del lavoro, più dello svago, più della posizione sociale. In tali conversazioni — e in modo crescente man mano che passano gli anni — bisogna saperli ascoltare con attenzione, sforzarsi di comprenderli, saper riconoscere la parte di verità che può essere presente in alcune forme di ribellione. E, allo stesso tempo, i genitori potranno aiutarli a incanalare rettamente ansie e aspirazioni, insegnando loro a riflettere sulla realtà delle cose e a ragionare. Non si tratta d'imporre una determinata linea di condotta, ma di mostrare i motivi, soprannaturali e umani, che la raccomandano. Ci riusciranno maggiormente, se sapranno dedicare tempo ai loro figli e mettersi veramente al loro livello, con amore.

mercoledì 27 aprile 2011

Voglia di Paradiso - XII appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi l'autore si sofferma sulle caratteristiche della vita eterna che il Vangelo ci preannuncia: l'appagamento (inteso come sazietà dalla fame, dalla sete di giustizia ecc...), la beatitudine e il premio. Gesù ci ha fatto capire come ogni sofferenza che patiamo lungo il nostro cammino terreno è nulla in confronto all'eternità di gioia, felicità e luce. Ecco perchè val la pena sacrificare la propria vita oggi, per partecipare alla mensa eterna domani. I Santi di Dio sono coloro che per primi hanno assaporato le gioie dell'eternità e in seguito a questo piccolo assaggio, non hanno avuto problemi a lasciare tutti i i piaceri terreni perchè si erano resi conto che l'amore di Dio era più grande di ogni cosa di questa terra e che avrebbero potuto vivere amati in un modo così profondo, per tutta l'eternità! S
Ma leggiamo il pensiero di Monsignor Pederzini per entrare meglio nella dimensione paradisiaca: 

9.

IL PARADISO E’ APPAGAMENTO, BEATITUDINE E PREMIO

In virtù della luce che ci è data in Cristo noi sappiamo di non essere capitati a caso nell'avventura enigmatica della vita. Noi sappiamo che il nostro vagare sulla terra ha una meta di felicità, che ci ripagherà di ogni disagio e di ogni sofferenza, quale che sia la nostra missione e la nostra collocazione nel mondo. Card. Giacomo Biffi

Non importa sapere quanti sono i giorni che abbiamo da vivere: l'importante è il modo con cui decidiamo di usarli e di viverli. Pascal

Il Paradiso è appagamento, beatitudine e premio

La Beatitudine, propria del Paradiso, è il massimo della felicità, perché appaga in modo sommo tutte le aspirazioni dell'uomo e lo fa pienamente felice per tutta l'eternità. La Beatitudine, in intensità e durata, supera quindi le singole gioie che possono rallegrare per qualche tempo il cuore umano. Il Paradiso è la beatitudine massima perché soddisfa le naturali aspirazioni della creatura umana che sono:

• il desiderio di conoscere Dio e la sua natura,

• il desiderio di giungere a una piena comunione con gli altri fratelli e le altre sorelle,

• il desiderio di conoscere e possedere l'universo in cui vive.

Agli inizi della creazione la persona umana ha creduto di appagare queste aspirazioni da solo, senza o contro Dio. Non ha voluto accettare la sua dipendenza da Lui, e si è ritrovata nel disordine e nello smarrimento più assoluto. L'ha ricuperata Cristo non solo riparando il peccato commesso, ma elevandola al di sopra della sua natura, col dono della Grazia (lumen gratiae) e col dono del Paradiso (lumen gloriae). La persona che aderisce a Cristo si trova così a godere di beni soprannaturali che non le erano dovuti. È avvenuto pressappoco quello che capiterebbe a un cieco al quale fossero dati non solo degli occhi sani, ma anche un cannocchiale potente per vedere oltre i limiti del normale potere della vista. Attraverso il lumen gloriae, ogni persona può giungere alla piena comunione con Dio e con i fratelli nella gloria del Paradiso.

La Beatitudine del Paradiso comporta anche un'altra non piccola gioia: quella di poter giungere al possesso dell'universo creato, superando i limiti e le difficoltà di quando era sulla terra.

La gioia di possedere il creato

In Paradiso il Beato potrà vedere in Dio tutti i segreti dell'universo. L'essere umano quaggiù si tormenta nel tentativo di chiarire l'enigma dell'universo, senza mai poterlo sciogliere interamente. Per quanto si spinga lontano, sia nella conoscenza del macrocosmo che del microcosmo, si trova sempre dinanzi a insuperabili meraviglie. Così è riuscito, ad esempio, a penetrare nell'essenza della materia e dell'atomo, ma non è ancora in grado di spiegare la natura della materia. In cielo, invece, ogni persona acquisterà la visione déi più profondi segreti delle cose. E raggiungerà ciò che il lavoro scientifico dei vari millenni ha sempre inseguito, senza poterlo mai afferrare. Ogni fatica è un piccolo progresso verso la futura contemplazione del mondo, ma la piena luce sarà possibile in Paradiso. Allora i Beati non avranno più bisogno di studiare faticosamente, ma penetreranno a fondo la creazione nella luce e con gli occhi di Dio. Col loro sguardo l'abbracceranno nella sua totalità e nella sua profondità, e vedranno le singole cose in connessione col tutto. Riconosceranno il contributo che ogni singolo elemento porta nell'ordine del cosmo, il grado e il posto che vi occupa, e anche il servizio che presta alla bellezza del tutto. Saranno come inebriati nel penetrare i misteri del cosmo e della storia e, contemplandoli in Dio, potranno comprendere che essi sono il frutto generoso del suo mistero d'amore.

Un nuovo cielo e una nuova terra

La felicità del cielo non sarà un paradiso terrestre dei sensi. Tuttavia sarà presente tutto ciò che serve per la felicità, così che nessuna aspirazione alla gioia rimanga insoddisfatta. Dopo l'ultimo giorno, Dio affiderà nuovamente all'umanità la creazione, che intanto Egli avrà trasformata in nuovo cielo e in nuova terra. Allora l'universo servirà alle persone senza riserve, conferendo quella pienezza e sicurezza che nella loro storia terrena non hanno potuto avere a causa del peccato. Gesù ha dato un'anticipazione della futura creazione quando ha compiuto i suoi miracoli:

- nel placare la tempesta, ha posto quella parte di natura al servizio degli esseri umani,

- nel moltiplicare i pani, ha indotto la natura a saziare gli affamati,

- nel risuscitare Lazzaro ha spinto quel corpo a riprendere la vita,

- nell'Eucaristia trasforma radicalmente il pane e il vino perché possano saziare la fame dello spirito, anziché quella del corpo. La futura creazione, cioè il cielo nuovo e la terra nuova si offriranno a tutta l'umanità con tale familiarità, che nessuno si sentirà più estraneo e ogni creatura vivrà in pieno accordo con le altre creature. Ritornerà nel mondo la condizione del Paradiso terrestre, anzi sarà ancora più perfetta.

Tutto sarà restituito

L'intera vita umana è caratterizzata da una separazione forzata e continua da cose e da persone amate. Ogni persona è costretta a perdere tutto ciò che vorrebbe tenere saldamente stretto nelle sue mani. Questo distacco raggiungerà il suo punto culminante nella morte corporale, che segnerà la fine e il distacco definitivo da tutto.

Ma l'ultima parola la dirà Dio!

Egli assicura che tutto verrà restituito alle persone in una forma diversa e migliore, perché nulla vada perduto di ciò che appartiene a loro. Allora si compirà ciò che il poeta inglese Thompson mette sulla bocca di Dio che si rivolge alla persona umana che è sempre fuggita davanti a Lui: «ciò che ti ho tolto un giorno, non te l'ho tolto per farti del male: l'ho preso solo perché tu potessi cercarlo fra le mie braccia. Ciò che nella tua ignoranza fanciullesca credevi perduto, io l'ho conservato per te, perché tu lo goda nella patria vera. Levati, afferra la mia mano, e vieni!».

Ogni sofferenza cesserà

Nel mondo rinnovato cesseranno la fatica, la sofferenza, le lacrime, le ansie e i lutti. Tutto finirà e sarà trasformato in gioia. Il veggente dell'Apocalisse consola i sofferenti per i giorni della tribolazione, proclamando l'avvento del futuro trionfo, e dice: «essi non avranno più fame né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi». E contemplando la Gerusalemme celeste sente una voce potente che grida: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"».

La Patria futura, il Paradiso promesso ai giusti porrà così fine e per sempre al lungo ed estenuante cammino terreno contrassegnato da tanta sofferenza e da tanta fatica!

Ecco, io vengo per dare a ciascuno secondo le sue opere

Il Paradiso è dono gratuito di Dio, ma è anche premio, ricompensa, coronamento dell'impegno terreno. Sia Gesù che gli Apostoli usano frequentemente il termine "retribuzione" che è l'equivalente di premio o ricompensa, prendendolo dall'Antico Testamento.

1. Nell'Antico Testamento

Dio dice ad Abramo: «Non temere. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».

Isaia consola gli oppressi, assicurando che il Signore «ha con sé la sua mercede, la sua ricompensa è davanti a lui».

I Salmi uniscono gioia e ricompensa: «tua, Signore, è la grazia; secondo le sue opere tu ripaghi ogni uomo».

1 Proverbi: «Colui che veglia sulla tua vita lo sa, egli renderà a ciascuno secondo le sue opere».

La Sapienza: «I giusti vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro».

2. Nel Nuovo Testamento

Gesù parla sovente del premio riservato a coloro che si comportano in un modo retto, e soprattutto a coloro che lo seguiranno, anche col sacrificio della vita. Le sue promesse riguardano la vita futura: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio», «grande è la vostra ricompensa nei cieli»; «Va', vendi quello che possiedi e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi»; a coloro che digiunano e pregano sarà riservata una grande ricompensa. E quando promette un bene terreno, questo bene non lo considera definitivo, ma come caparra e presupposto per l'eternità: «non accumulatevi tesori sulla terra... accumulatevi invece tesori nel cielo», perché la ricompensa adeguata è solo quella del Paradiso. Gesù invita a lavorare, a servire e ad amare Dio non per la ricompensa, ma perché Egli è il Sommo Bene al quale tutto è dovuto; ma assicura che questa condotta sarà accompagnata da una ricompensa sicura, perché Dio è fedele con coloro che gli obbediscono. Il prometterla e il darla è però solo un suo dono, così che, alla fine, ciascuno dovrà dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Paolo è fermamente convinto che ciascuno, alla fine, avrà ciò che si è meritato, perché il Signore darà a ciascuno secondo le sue opere: tribolazione e angosce per chi fa il male; gloria, onore e pace per chiunque fa il bene. Ed è pure convinto che la conseguenza del premio verrà solo dopo un grande impegno, come quello che mettono coloro che corrono nello stadio. S. Giovanni ha diversi passi significativi nei quali:

• riporta le parole con le quali Gesù esige dal Padre la ricompensa: «Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te»;»

• scrive al Vescovo di Efeso: «al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel Paradiso di Dio»;

• trasmette il grande annuncio del Signore: «Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere».

Vieni, servo buono e fedele. Venite, benedetti dal Padre mio

Dice S. Agostino che quando Dio ci premierà, non premierà noi, ma premierà i suoi doni, perché è Lui che ci aiuta a compiere il bene con la sua grazia. Ed è vero, perché tutto proviene da Lui: il volere e la capacità di fare il bene. Ha voluto fare di noi delle creature libere, e quindi lasciarci quello spazio personale che ci rende responsabili e protagonisti delle scelte che facciamo. Questa verità è chiaramente dimostrata in due passi particolarmente significativi: la parabola dei talenti e il Giudizio che Egli emetterà alla fine:

• il padrone, che al momento di partire ha distribuito somme diverse ai suoi dipendenti, è molto soddisfatto quando, al ritorno, verifica l'impegno di ciascuno ed esclama felice a chi si è seriamente adoperato: bravo! Vieni! Entra nel gaudio del tuo Signore!;

• il divino Giudice, che alla fine dei tempi siederà sul trono di gloria per giudicare tutta l'umanità, pronuncerà un'irrevocabile sentenza di condanna o di vita.

Dirà a coloro che saranno trovati giusti: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo». Quale invito più consolante di questo? Quale gioia più completa che ricevere da Lui il "biglietto d'invito" per la felicità più completa? Questa felicità del Paradiso si chiama beatitudine e racchiude in sé tutte le gioie di cui siamo capaci e che in queste pagine abbiamo cercato di illustrare.

La piena ed eterna alleanza

S. Agostino, nella conclusione della sua opera De civitate Dei, dice tra l'altro: «quanto sarà grande quella felicità in cui non vi sarà nessun male, non mancherà nessun bene, e si benedirà Dio, che sarà tutto in tutti! Il Salmo afferma: beati coloro che abitano nella tua casa, Signore: essi ti loderanno nei secoli dei secoli. Lassù vi sarà la vera gloria, il vero onore, la vera pace, il giusto premio. L'oggetto del nostro desiderio sarà Colui che si vedrà per sempre, si amerà senza fastidio, si loderà senza stanchezza... e sarà il gaudio perfetto». Il motivo principale del gaudio sarà il possesso di Dio e la partecipazione al suo amore. La comunione con Lui porterà alla più alta consolazione, perché raggiungerà il massimo di perfezione e la più completa realizzazione del nostro essere umano. Dio è l'Amore, e perciò quando l'io umano si incontra saldamente con il Tu divino, si incontra con l'Amore stesso.

La felicità della persona umana consisterà quindi nell'essere abbracciata dall'Amore. Se Dio è l'Amore in Persona, è anche la Felicità in Persona, perché Amore significa Felicità. Il Paradiso è l'incontro con la Felicità personificata. La vera beatitudine per l'uomo sarà quindi quella di potersi immergere nella felicità di Dio.

Nel Paradiso avverrà l'alleanza piena fra l'io umano e il Tu divino. Dio avvolgerà il Beato e lo immergerà nel suo amore, ed egli sarà pienamente appagato e felice, perché vivrà dell'eterna Vita e dell'eterno Amore. Tutto questo si verificherà in quel futuro prossimo o lontano che solo Dio conosce. Ora viviamo nella "beata speranza" di poter raggiungere questo traguardo glorioso che il Padre ha preparato per ciascuno noi.

martedì 26 aprile 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXIV

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi scopriamo come i genitori cristiani possono svolgere un ruolo fondamentale nel disegno di Dio, anche in presenza di sterilità fisica che impedisce la procreazione. Molti oggi si chiedono cosa fare dinanzi ad una notizia così brutta, ma in realtà la sterilità fisica non significa impossibilità di creare una famiglia o di trasmettere amore fecondo. Il mondo odierno presenta un numero infinito di bambini che vivono situazioni disagiate e che vorrebbero tanto sperimentare l'amore di una vera famiglia. Quei genitori che non possono aver figli, sono chiamati proprio ad "allargare" la propria famiglia oltre i vincoli di sangue, adottando o prendendo in affidamento quei bambini che hanno bisogno solo di amore e di cura. In questo modo, tutti sono contenti: i bambini perchè possono finalmente crescere in una famiglia amorosa e i genitori perchè possono sperimentare la gioia di avere un figlio. Ci sono numerose testimonianze di genitori cristiani che hanno fatto dell'adozione o dell'affidamento, la loro missione di vita e questo ci conforta perchè ci mostra come l'amore cristiano trascende i valori carnali e sanguigni e si irradia su tutte le creature poiché esse sono figlie dell'Altissimo. Scopriamo ora il pensiero e l'auspicio del Venerabile Giovanni Paolo II, ormai prossimo alla beatificazione:

II. Il servizio della vita

1) La trasmissione della vita 

Un servizio molteplice alla vita

41. Il fecondo amore coniugale si esprime in un servizio alla vita dalle forme molteplici, delle quali la generazione e l'educazione sono quelle più immediate, proprie ed insostituibili. In realtà, ogni atto di vero amore verso l'uomo testimonia e perfeziona la fecondità spirituale della famiglia perché è obbedienza al dinamismo interiore profondo dell'amore come donazione di sé agli altri.

A questa prospettiva, per tutti ricca di valore e di impegno, sapranno ispirarsi in particolare quei coniugi che fanno l'esperienza della sterilità fisica.

Le famiglie cristiane che nella fede riconoscono tutti gli uomini come figli del comune Padre dei cieli, verranno generosamente incontro ai figli delle altre famiglie, sostenendoli ed amandoli non come estranei, ma come membri dell'unica famiglia dei figli di Dio. I genitori cristiani potranno così allargare il loro amore al di là dei vincoli della carne e del sangue, alimentando i legami che si radicano nello spirito e che si sviluppano nel servizio concreto ai figli di altre famiglie, spesso bisognosi delle cose più necessarie.

Le famiglie cristiane sapranno vivere una maggiore disponibilità verso l'adozione e l'affidamento di quei figli che sono privati dei genitori o da essi abbandonati: mentre questi bambini, ritrovando il valore affettivo di una famiglia, possono fare esperienza dell'amorevole e provvida paternità di Dio, testimoniata dai genitori cristiani, e così crescere con serenità e fiducia nella vita, la famiglia intera sarà arricchita dai valori spirituali di una più ampia fraternità.

La fecondità delle famiglie deve conoscere una sua incessante «creatività», frutto meraviglioso dello Spirito di Dio che spalanca gli occhi del cuore per scoprire le nuove necessità e sofferenze della nostra società, e che infonde coraggio per assumerle e darvi risposta. In questo quadro si presenta alle famiglie un vastissimo campo d'azione: infatti, ancor più preoccupante dell'abbandono dei bambini è oggi il fenomeno dell'emarginazione sociale e culturale, che duramente colpisce anziani, ammalati, handicappati, tossicodipendenti, ex carcerati, ecc.

In tal modo si dilata enormemente l'orizzonte della paternità e della maternità delle famiglie cristiane: il loro amore spiritualmente fecondo è sfidato da queste e da tante altre urgenze del nostro tempo. Con le famiglie e per mezzo loro, il Signore Gesù continua ad avere «compassione» delle folle.

lunedì 25 aprile 2011

Lunedì dell'Angelo

Concludiamo il percorso di questi giorni, attraverso un particolare tributo all'Angelo, attraverso una selezione di episodi accaduti durante la vita di San Pio da Pietrelcina che dimostrano la presenza attiva dell'Angelo Custode:

Un giorno, mentre Padre Pio era seduto nella veranda vicina alla sua stanza, padre Alessio Parente, approfittando della solitudine, gli chiese dei consigli su come rispondere ad una lettera che aveva ricevuto. Il padre però, senza mezzi termini, lo implorò di essere lasciato in pace: “…non vedi che sono sempre occupato?”. Padre Alessio perplesso farfugliò tra sé :”ma che sta facendo, muove la corona del rosario e dice che è occupato!”. Però appena fatta questa mormorazione mentale, Padre Pio intervenne bruscamente: “Non hai visto tutti questi Angeli custodi dei miei figli spirituali che vanno e vengono e non mi hanno lasciato in pace un momento?”. Poi però non esitò a dargli la risposta da allegare a quella lettera.

***

Una figlia spirituale di Padre Pio percorreva una strada di campagna che l'avrebbe portata al Convento dei cappuccini dove ad attenderla c'era lo stesso Padre Pio. Era una di quelle giornate invernali, imbiancate dalla neve dove i grossi fiocchi che venivano giù, rendevano ancora più difficile il cammino. Lungo la strada, totalmente innevata, la signora ebbe la certezza che non sarebbe arrivata in tempo all'appuntamento col frate. Piena di fede, incaricò il suo Angelo Custode di avvisare Padre Pio che a causa del maltempo sarebbe arrivata al convento con notevole ritardo. Giunta al convento poté constatare con enorme gioia che il frate l'attendeva dietro ad una finestra, da dove, sorridendo, la salutava.

***

Un avvocato di Fano stava tornando a casa da Bologna. Era al volante della sua 1100 nella quale si trovavano anche sua moglie e i suoi due figli. Ad un certo punto, sentendosi stanco, avrebbe voluto chiedere di essere sostituito alla guida, ma il figlio maggiore, Guido, stava dormendo. Dopo qualche chilometro, nei pressi di San Lazzaro, si addormentò anche lui. Quando si svegliò si accorse di trovarsi ad un paio di chilometri da Imola. Fuori da sé dallo spavento urlò: "chi ha guidato la macchina? È successo niente?"... - No - gli risposero in coro. Il figlio maggiore, che era al suo fianco si svegliò e disse di aver dormito saporitamente. La moglie e il figlio minore, increduli e meravigliati, dissero di aver constatato un modo di guidare diverso dal solito: a volte l'auto era per finire contro altri veicoli ma all'ultimo momento, li evitava con delle manovre perfette. Anche la maniera di prendere le curve era diversa. "Soprattutto" diceva la moglie "ci ha colpito il fatto che tu sei rimasto immobile per molto tempo e non hai più risposto alle nostre domande..."; "Io - la interruppe il marito - non potevo rispondere perché dormivo. Io ho dormito per quindici chilometri. Non ho veduto e non ho sentito niente perché dormivo... . Ma chi ha guidato l'auto? Chi ha impedito la catastrofe?... Dopo un paio di mesi l'avvocato si recò a San Giovanni Rotondo. Padre Pio, appena lo vide, mettendogli una mano sulla spalla, gli disse: "Tu dormivi e l'Angelo Custode ti guidava la macchina". Il mistero fu svelato.

***

A volte il Padre, in sagrestia, si fermava e salutava anche baciando qualche amico o figlio spirituale ed io, raccontava un uomo, guardando con santa invidia quel fortunato, dicevo tra me: "Beato lui!...Se fossi io al suo posto! Beato! Beato lui! Il 24 dicembre 1958 sono in ginocchio, ai suoi piedi, per la confessione. Al termine, lo guardo e, mentre il cuore batte per l'emozione, oso dirgli: "Padre, oggi è Natale, posso fare gli auguri dandovi un bacio? E lui, con una dolcezza che non si può descrivere con la penna ma soltanto immaginare, mi sorride e: "Sbrigati, figlio mio, non farmi perdere tempo!" Anche lui mi abbracciò. Lo baciai e come un uccello, giulivo, spiccai il volo verso l'uscita ripieno di delizie celesti. E che dire delle botte sulla testa? Ogni volta, prima di ripartire da San Giovanni Rotondo, desideravo un segno di particolare predilezione. Non solo la sua benedizione ma anche due colpetti sulla testa come due paterne carezze. Devo sottolineare che mai mi fece mancare ciò che, come un bambino, manifestavo di voler ricevere da lui. Una mattina, eravamo in molti nella sagrestia della chiesetta piccola e mentre padre Vincenzo a voce alta esortava, con la sua solita severità, dicendo: "non spingete...non stringete le mani del Padre...fatevi indietro!", io quasi sconfortato, tra me ripetevo: "Partirò, questa volta senza le botte sulla testa". Non volli rassegnarmi e pregai il mio Angelo Custode di fare il messaggero e di ripetere a Padre Pio testualmente: "Padre, io parto, desidero la benedizione e le due botte sulla testa, come sempre. Una per me e l'altra per mia moglie". "Fate largo, fate largo", ripeteva ancora padre Vincenzo mentre Padre Pio cominciava a camminare. Io ero in ansia. Lo guardavo con un senso di tristezza. Ed eccolo, mi si avvicina, mi sorride ed ancora una volta i due colpetti ed anche la mano mi fa baciare. - "Ne darei tanti di botte a te, ma tante!". Così ebbe a dirmi la prima volta.

***

L’Angelo Custode aiutava Padre pio nella lotta contro Satana. Nelle sue lettere troviamo questo episodio di cui padre Pio scrive: «Coll'aiuto del buon angiolino si è trionfato questa volta sul perfido disegno di quel cosaccio; la vostra lettera è stata letta. L'angiolino mi aveva suggerito che all’arrivo di una vostra lettera l’avessi aspersa coll’acqua benedetta prima d’aprirla. Cosí feci coll'ultima vostra. Ma chi può dire 1a rabbia provata da barbablù! egli vorrebbe finirmi ad ogni costo. Sta mettendo su tutte le sue diaboliche arti. Ma rimarrà schiacciato. L’angiolino me lo assicura, ed il paradiso è con noi. L’altra notte mi si è presentato sotto le sembianze di un nostro padre, trasmettendomi un severissimo ordine del padre provinciale di non scrivervi più, perché contrario alla povertà e di grave impedimento alla perfezione. Confesso la mia debolezza, babbo mio, piansi amaramente credendo essere ciò stato una realtà. E non avrei potuto mai sospettare, anche debolmente essere questo invece un tranello di barbablù, se l’angiolino non mi avesse svelato l'inganno. E solo Gesù sa che ci volle per persuadermi. Il compagno della mia infanzia cerca di smorzare i dolori che mi affliggono quegl'impuri apostati, col cullarmi lo spirito in un sogno di speranza» (Ep. 1, p. 321).

***

Di seguito è riportato lo stralcio di una estasi avuta da Padre Pio nel convento di Venafro il 29 novembre 1911, nel quale il Santo parla con il suo Angelo Custode:
«„, Angelo di Dio, Angelo mio... non sei tu a mia custodia?... Dio ti ha dato a me! Sei creatura?... o sei creatura o sei creatore... Sei creatore? No. Dunque sei creatura ed hai una legge e devi ubbidire... Devi stare accanto a me, o lo vuoi o non lo vuoi... per forza...E si mette a ridere... che c'è da ridere? ... Dimmi una cosa... me lo devi dire... chi era ieri mattina qui presente?... e si mette a ridere... me lo devi dire... chi era?... o il Lettore o il Guardiano... ebbene dimmelo... era forse il loro segretariuccio?... ebbene rispondi... se non rispondi, io dirò che era uno di quegli altri quattro... E si mette a ridere... un Angelo si mette a ridere!... dimmelo dunque... non ti lascerò, finché non me l’avrai detto...Se no, lo domando a Gesú... e poi te lo senti!... Tanto non lo domando a quella Mammina, a quella Signora... che mi guarda torva... sta lí a far la contegnosa!... Gesú, non è vero che la Madre tua è contegnosa?... E si mette a ridere!...Dunque, signorino (il suo angelo custode), dimmi chi era... E non risponde ... sta lí... come un pezzo fatto apposta... Lo voglio sapere... una cosa ho domandato a Te e sono qui da tanto tempo... Gesú, dimmelo Tu...E ci voleva tanto a dirlo, signorino!... m'hai fatto ciarlar tanto!... sí sí il Lettore, il Lettorino!... ebbene Angelo mio, lo salverai dalla guerra che gli prepara quel birbaccione? lo salverai? ... Gesú, dimmi, e perché permetterlo? ... non me lo vuoi dire?... me lo dirai... se non apparisci piú, bene... ma se verrai, ti dovrò stancare... E quella Mammina... sempre con 1a coda dell'occhio... ti voglio guardare in faccia... mi devi guardar bene... E si mette a ridere... e mi volta 1e spalle... sí sí ridi... Io so che mi vuoi bene... ma mi devi guardar chiaro.
Gesú, perché non glielo dici alla Mamma tua?... ma dimmi, sei Gesú?... di' Gesú!... Bene! se sei Gesú, perché 1a tua Mammina mi guarda in quel modo?... Io voglio sapere!...Gesú, quando vieni un'altra volta, ti devo domandare certe cose... tu le sai... ma per ora te le voglio accennare... Che erano stamane quelle fiamme al cuore?... se non era Rogerio (P. Rogerio era un frate che si trovava a quel tempo nel convento di Venafro) che mi strinse forte... poi anche il Lettore... il cuore voleva fuggire... che era?... forse voleva andare a passeggio?... un'altra cosa... E quella sete?... Dio mio... che era? Stanotte, quando s'andarono il Guardiano ed il Lettore, bevvi tutta la bottiglia e la sete non si estinse... mi dovorava... e mi straziò fino alla Comunione... che era?... Senti Mammina, non importa che mi guardi cosí .. io ti voglio bene piú di tutte le creature della terra e del cielo... dopo Gesú, s'intende... ma ti voglio bene. Gesú, questa sera verrà quel birbaccione?... Ebbene aiuta quei due che m'assistono, proteggili, difendili... lo so, ci sei Tu... ma... Angelo mio, sta' con me! Gesú un'ultima cosa... fatti baciare... Bene!... che dolcezza in queste piaghe!... Sanguinano... ma questo Sangue è dolce, è dolce... Gesú, dolcezza... Ostia Santa... Amore, Amor che mi sostiene, Amore, a rivederci!... ».

***

In una lettera scritta da Padre Pio a Raffaelina Cerase il 20 aprile 1915, il Santo esalta l’amore di Dio che ha donato all’uomo un dono così grande come l’Angelo Custode:
«O Raffaelina, quanto consola il sapersi di essere sempre sotto la custodia di un celeste spirito, il quale non ci abbandona nemmeno (cosa ammirabile!) nell’atto che diamo disgusto a Dio! Quanto riesce dolce per 1’anima credente questa grande verità! Di chi dunque può temere l'anima devota che si studia d’amare Gesù, avendo sempre con sé un sí insigne guerriero? O non fu egli forse uno di quei tanti che assieme all'angelo san Michele lassù nell'empireo difesero l’onore di Dio contro satana e contro tutti gli altri spiriti ribelli ed infine li ridussero alla perdita e li rilegarono nell'inferno?
Ebbene, sappiate che egli è ancor potente contro satana e i suoi satelliti, la sua carità non è venuta meno, né giammai potrà venir meno dal difenderci. Prendete la bella abitudine di pensar sempre a lui. Che vicino a noi sta uno spirito celeste, il quale dalla culla alla tomba non ci lascia mai un istante, ci guida, ci protegge come un amico, un fratello, deve pur riuscire a noi sempre di consolazione, specie nelle ore per noi più tristi.
Sappiate, o Raffaelina, che questo buon angelo prega per voi: offre a Dio tutte le vostre buone opere che compite, i vostri desideri santi e puri. Nelle ore in cui vi sembra di essere sola e abbandonata non vi lagnate di non avere un anima amica, a cui possiate aprirvi ed a lei confidare i vostri dolori: per carità, non dimenticate questo invisibile compagno, sempre presente ad ascoltarvi, sempre pronto a consolarvi.
O deliziosa intimità, o beata compagnia! O se gli uomini tutti sapessero comprendere ed apprezzare questo grandissimo dono che Iddio, nell’eccesso del suo amore per l'uomo, a noi assegnò questo celeste spirito! Rammentate spesso la di lui presenza: bisogna fissarlo coll'occhio dell’anima; ringraziatelo, pregatelo. Egli è così delicato, così sensibile; rispettatelo. Abbiate continuo timore di offendere la purezza del suo sguardo. Invocate spesso questo angelo custode, quest’angelo benefico, ripetete spesso la bella preghiera: «Angelo di Dio, che sei custode mio, a te affidata dalla bontà del Padre celeste, illuminami, custodiscimi, guidami ora e sempre» (Ep. II, p. 403-404).

 

domenica 24 aprile 2011

GESÙ È RISORTO! ALLELUIA!

Oggi, viviamo il mistero più glorioso di Gesù Cristo e cioè la Sua Resurrezione dai morti. Questo è il mistero che ha cambiato la vita del mondo e degli uomini poiché Gesù ha mostrato la Via dell'eternità e non solo ce l'ha mostrata, ma ci ha anche resi partecipi di questa eternità, sacrificando sé stesso e vincendo la morte, una volta per tutte. Ora sappiamo che nemmeno ciò che più temiamo può fermare il nostro spirito e la nostra coscienza: noi saremo per sempre e tutto questo grazie a Lui. Meditiamo questa Pasqua di Resurrezione, attraverso la riflessione di mons. Antonio Riboldi:

La Solennità della Santa Pasqua è certamente il Grande Giorno per tutta l'umanità: Dio ha riaperto Cuore, Dialogo, dignità di figli, e soprattutto il Paradiso, dando così inizio ad una Nuova Creazione, ristabilendo la Sua Relazione di Amore con noi, dopo che i progenitori l'avevano interrotta per il peccato originale.
Certamente per noi Cristiani oggi 'è il Giorno che ha fatto il Signore' e la Chiesa celebra questo unico ed incommensurabile Evento, già dalla lunga vigilia della notte del Sabato Santo. Una notte iniziata con l'accensione del fuoco e della luce, in cui la liturgia ha segnato il passo, raccontando, in sette letture, la nostra storia con Dio, dalla creazione alla resurrezione.
Una delle cerimonie che colpisce i fedeli è la benedizione dell'acqua, in cui siamo immersi per tornare alla vera Vita, come avviene nel Battesimo: uomini nuovi, secondo Dio.
Ed infine il canto di gioia dell'Alleluja e del Gloria e il ritorno al suono solenne delle campane, per annunciare che è iniziata la nostrà Vita nuova con Cristo Risorto'.
La veglia del Sabato Santo era la notte in cui i catecumeni, dopo una lunga preparazione, si accostavano al Battesimo e rinascevano 'come bambini', indossando la veste bianca, segno del loro essere liberati dal peccato, immacolati.
Ma il culmine della gioia è nel momento in cui si annunzia che Gesù è risorto. Le campane riempiono l'aria di festa.
S. Paolo, scrivendo ai Colossesi (e certamente si rivolge a noi oggi), così scrive:
"Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria". (Cor. 3, 1-4)
E così, iniziando la veglia pasquale, S. Agostino esplode di gioia e gratitudine:
"Questa è la notte in cui tu, Gesù, hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti in Cristo dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. O immensità del tuo amore per noi. O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato tuo figlio. O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi. Di questa notte è stato scritto: la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di luce per là mia delizia. O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l'uomo al suo Salvatore. Ti preghiamo dunque, o Signore, che il lume acceso questa notte, offerto in onore del Tuo Nome, risplenda di luce che non si spenga mai. Salga a te, come profumo soave, si confonda con le stelle".
Sappiamo tutti come la Pasqua del Signore sia la Festa delle feste, 'Giorno del Signore', da cui ha preso il nome la Domenica, ed ogni domenica, la Chiesa ci ricorda che la Resurrezione di Gesù è il punto centrale della sua e nostra vita.
Ma è davvero così, per ciascuno di noi?
Tra i 'precetti della Chiesa' ce n'è uno che tante volte mi impensierisce, perché diminuisce la bellezza della resurrezione che ci viene offerta, ed è quello di confessarsi almeno una volta l'anno e fare la Pasqua. Ma se davvero la Pasqua è il Giorno del Signore, il Giorno che non ha tramonto, può essere ridotto ad un precetto?
Una vera fede vissuta non può accettare di vivere 'morti per il peccato' e voler risorgere solo un giorno. Sente il bisogno di risurrezione, vivendo in Grazia ogni minuto, perché ogni istante può essere l'ora che Dio ha segnato per la nostra resurrezione finale.
Non solo, ma partecipando con il Battesimo alla Resurrezione di Gesù, è coerenza di fede la necessità dì vivere da risorti. È davvero grande il Dono che Dio ci ha fatto, ma occorre viverlo. Ci aiuta il racconto evangelico dell'amore di due donne che non si rassegnavano alla morte del Maestro: l'amore ha in sé l'esigenza di vincere la morte. Appena possibile corrono al sepolcro: "Passato il sabato - racconta Matteo - all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco vi fu un grande terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come la folgore, il suo vestito bianco come la neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie tremarono tramortite. Ma l'angelo disse alle donne: 'Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea: là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto'.
Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: 'Salute a voi. Ed esse avvicinatesi, gli strinsero i piedi, e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: 'Non temete: ANDATE AD ANNUNZIARE AI MIEI FRATELLI che vadano in Galilea e là mi vedranno". (Mt. 28, 1-10)
Quello che trapela dal Vangelo secondo Matteo è il grande amore che le due Marie provavano per Gesù. Deve essere stato davvero un dolore schiacciante saperLo morto e quindi pensare di non poterLo più incontrare. O forse, grazie all'Amore e alla fiducia in Lui, 'dentrò deve essersi aperto uno spazio di certezza, ricordando le tante volte in cui il Maestro aveva predetto che sarebbe risorto.
La Sua vita era l'incredibile storia di Dio che non riesce ad accettare che l'uomo, Sua creatura, manchi all'appello del Suo Amore, unica garanzia di felicità.
Voleva che noi riprendessimo nella Sua Vita il posto che ci aveva fissato, amandoci.
Per cui pagò un prezzo incalcolabile per questo: il dono di Suo Figlio. Ora saperlo risorto era la speranza divenuta certezza.
Gesù era risorto e, quindi, in Lui e con Lui, io, voi, tutti, siamo destinati alla resurrezione, 'qui' e poi nel ritorno alla Casa del Padre.
È davvero grande la nostra storia di uomini, secondo i disegni di Dio. Per questo la Solennità della Pasqua è davvero la più grande nostra Festa: la Festa delle feste, perché contiene la bellezza di ciò che possiamo essere oggi e domani, vicini a Dio, oltre la morte.
Cosi esprimeva la sua gioia Paolo VI: 'Il mistero della Pasqua è cosi alto, cosi grande, che spazia su tutta; la vita cristiana: sulla dottrina, sul .costume, sulla storia. La Chiesa canta nella notte del sabato santo l'inno pasquale invitando la terra a gioire di questo splendore: 'Tripudi la terra irradiata di tanto fulgore'.... È tal cosa la Pasqua che subito stupisce noi e ci esalta: e a volerla in qualche modo annunciare e celebrare, fa sorgere negli animi sentimenti di letizia e di poesia, ed esprime una commozione grande che fa cantare: 'Sono giunti i giorni in cui 'dobbiamo cantare l'Alleluja, su via fratelli... canti la voce, canti la vita, cantino le azioni'. (S. Agostino)".
Credo proprio che quel mattino di Pasqua abbia spalancato gli occhi sbalordito di poter ritrovare passi del Suo Signore, come fosse a casa Sua anche tra noi.
Credo che ogni fiore abbia fatto cadere l'ultima goccia di rugiada che lo chiudeva nella notte del venerdì santo, come .l'ultima lacrima nella pienezza della gioia.
E credo che tutta la terra si sia ricoperta, come oggi, di colori smaglianti, per accogliere la Bellezza di Cristo, nostro Signore, risorto per sempre, per farci risorgere con Lui.
E se, anche oggi, vi sono ancora uomini e donne, che si affaticano a costruirsi dannosi calvari, oscurando il Giorno del Signore, forse, come Adamo, convinti di essere 'creature di un giorno' e non 'del Signore', ve ne sono altrettanti che traboccano della gioia del Risorto, perché per loro vivere è un gioioso camminare con Lui nella e verso la Resurrezione.
È il grande augurio che faccio a voi, che mi siete diventati carissimi e con cui insieme camminiamo verso la Resurrezione, con la Grazia e la Presenza del Risorto.
È sempre una grande gioia sapere che si cammina nella vita verso il Cielo, anche se a volte ci sono tratti di strada come Calvario. È la grande speranza che davvero dona alla vita intera un senso di pace e sicurezza, che va oltre tutto e si perde nell'eternità.

FRATELLI, CRISTO NOSTRA PASQUA È IMMOLATO.
FACCIAMO FESTA NEL SIGNORE. ALLELUIA

sabato 23 aprile 2011

Sabato Santo con Sant'Agostino

Poche ore ci separano dal rivivere l'evento che ha cambiato la storia del mondo e degli uomini; ma siamo ancora nel momento dell'attesa e quindi siamo ancora nella possibilità di meditare in silenzio, quanto è stato vissuto da Gesù, prima della Sua Gloriosa Resurrezione. Meditiamo insieme a Sant'Agostino, con uno dei suoi noti sermoni:

DAI "SERMONI"DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Serm. 215, 5)
 
Dio ama a tal punto da morire di amore per i peccatori!

Potrà sembrar poco questo, che Dio per gli uomini, il giusto per i peccatori, l'innocente per i colpevoli, il re per gli schiavi, il signore per i servi sia venuto rivestito della carne umana, sia stato visto sulla terra, abbia vissuto insieme con gli uomini (cf. Bar 3, 38); ma per di più fu crocifisso, morì e fu sepolto. Non credi? Chiedi forse quando sia successo? Ecco quando: Sotto Ponzio Pilato. Per precisartelo c'è anche il nome del giudice, perché tu non possa dubitare neanche del tempo. E allora credete che il Figlio di Dio fu crocifisso sotto Ponzio Pilato e fu sepolto. Ecco che nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13). Nessuno davvero? Proprio nessuno. È verità, lo ha detto Gesù stesso. Interroghiamo anche l'Apostolo; egli ci dice: Cristo morì per gli empi (Rm 5, 6). E poco dopo: Mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo (Rm 5, 10). E allora in Cristo noi troviamo un amore ancora più grande, perché egli non ha dato la sua vita per degli amici, ma per i suoi nemici. Quanto grande è l'amore di Dio per gli uomini, quanta tenerezza, amare i peccatori fino a tal punto da morire per essi di amore! Egli dimostra il suo amore per noi, sono ancora parole dell'Apostolo, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5, 8). Anche tu dunque credilo, e non vergognarti di confessarlo per la tua salvezza. Si crede infatti col cuore per ottenere la giustizia, e si confessa con la bocca per avere la salvezza (Rm 10, 10). Inoltre, perché non avessi dubbi, perché non avessi vergogna, quando cominciasti a credere ricevesti il segno di Cristo sulla fronte, che è come la sede del pudore. Ripensa che cosa hai in fronte, e non avrai paura della lingua altrui. Chi si vergognerà di me davanti agli uomini, dice il Signore stesso, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui davanti agli angeli di Dio (Mc 8, 38). Non arrossire dunque per l'ignominia della croce che per te Dio stesso non ha esitato di accogliere. Ripeti con l'Apostolo: Per me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal 6, 14). E ti farà eco ancora lo stesso Apostolo: Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, e questi crocifisso (1 Cor 2, 2). Egli che da un sol popolo fu allora crocifisso, ora è fisso nel cuore di tutti quanti i popoli.

venerdì 22 aprile 2011

Venerdì Santo - Passione di Nostro Signore


+ Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni ( 18,1- 19,42 )
 
- Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

- E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

 Parola del Signore

giovedì 21 aprile 2011

Giovedì Santo

Prima di cominciare volevo evidenziare che ieri c'è stato un errore poiché era prevista la pubblicazione della continuazione dell'opera di Mons.Pederzini (Voglia di Paradiso) ed invece è stato pubblicato l'articolo relativo all'appuntamento sulla sessualità umana. Ovviamente Mercoledì prossimo pubblicheremo ciò che ieri non è stato pubblicato.
Da oggi, invece, deroghiamo alla normale programmazione per poter vivere al meglio il Triduo Pasquale nel quale ci stiamo immergendo. Oggi, Giovedì Santo, riviviamo il mistero dell'Ultima Cena: un evento da cui scaturiscono numerosi spunti di riflessione, ma soprattutto un evento che mostra l'incredibile (agli occhi umani) umiltà di Gesù che, invece di esser servito, si mette a servire, lavando i piedi dei suoi discepoli. Nella celebrazione di questa sera, rivivremo proprio questo gesto di umiltà con il quale Gesù ci chiama non ad esser serviti e riveriti dagli altri, ma a servire gli altri. Ecco il segno dell'amore incondizionato che Gesù ci mostra nella speranza che l'uomo capisca cosa significa amare. Non a caso, il Vangelo si apre con la frase "Li amò sino alla fine". E così come Gesù ha amato i suoi discepoli sino alla fine, sino a dare la propria vita per loro, anche noi dobbiamo imparare ad amare con la stessa intensità e con lo stesso spirito di sacrificio e di donazione gratuita.
Per questo voglio riportare l'omelia del Servo di Dio Giovanni Paolo II (ormai prossimo alla Beatificazione) e alcuni spunti tratti dagli scritti di Santa Veronica Giuliani, una mistica che ha realmente incarnato la Passione del Signore, nel suo cuore. Attraverso questi contributi, siamo chiamati alla meditazione dei Santi Misteri che ci apprestiamo a rivivere e soprattutto siamo chiamati a meditare su Gesù e sul significato delle sue ultime "predisposizioni":

SANTA MESSA NELLA CENA DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Giovedì Santo, 17 aprile 2003 

1. "Li amò sino alla fine" (Gv 13, 1).

Alla vigilia della sua passione e morte, il Signore Gesù volle raccogliere intorno a sé ancora una volta i suoi Apostoli per affidare ad essi le ultime consegne e dare loro la testimonianza suprema del suo amore.

Entriamo anche noi nella "grande sala al piano superiore con i tappeti, già pronta" (Mc 14,15) e disponiamoci ad ascoltare i pensieri più intimi che Egli vuole confidarci; disponiamoci, in particolare, ad accogliere il gesto e il dono che Egli ha predisposto per questo appuntamento estremo.

2. Ecco, mentre stanno cenando, Gesù si alza da tavola e incomincia a lavare i piedi ai discepoli. Pietro dapprima resiste, poi capisce ed accetta. Anche noi siamo invitati a capire: la prima cosa che il discepolo deve fare è di mettersi in ascolto del suo Signore, aprendo il cuore ad accogliere l'iniziativa del suo amore. Solo dopo sarà invitato a fare a sua volta quanto ha fatto il Maestro. Anch'egli dovrà impegnarsi a "lavare i piedi" ai fratelli, traducendo in gesti di servizio vicendevole quell'amore che costituisce la sintesi di tutto il Vangelo (cfr Gv 13,1-20).

Sempre durante la Cena, sapendo che è ormai giunta la sua "ora", Gesù benedice e spezza il pane, poi lo distribuisce agli Apostoli dicendo: "Questo è il mio corpo"; ugualmente fa con il calice: "Questo è il mio sangue". E comanda loro: "Fate questo in memoria di me" (1 Cor 11, 24.25). Veramente vi è qui la testimonianza di un amore spinto "fino alla fine" (Gv 13,1). Gesù si dona in cibo ai discepoli per divenire una cosa sola con loro. Ancora una volta emerge la "lezione" che occorre imparare: la prima cosa da fare è aprire il cuore all'accoglienza dell'amore di Cristo. L'iniziativa è sua: è il suo amore che ci rende capaci di amare a nostra volta i fratelli.

Ecco dunque: la lavanda dei piedi e il sacramento dell'Eucaristia: due manifestazioni di uno stesso mistero d'amore affidato ai discepoli "perché - dice Gesù - come ho fatto io, facciate anche voi" (Gv 13,15).

3. "Fate questo in memoria di me" (1 Cor 11, 24). La "memoria", che il Signore ci ha lasciato in quella sera, investe il momento culminante della sua esistenza terrena, il momento della sua offerta sacrificale al Padre per amore dell'umanità. Ed è "memoria" che si situa nel contesto di una cena, la cena pasquale, in cui Gesù si dona ai suoi Apostoli sotto le specie del pane e del vino, come loro nutrimento nel cammino verso la patria del Cielo.

Mysterium fidei! Così proclama il celebrante dopo aver pronunciato le parole della consacrazione. E l'assemblea liturgica risponde esprimendo con gioia la sua fede e la sua adesione colma di speranza. Mistero veramente grande è l'Eucaristia! Mistero "incomprensibile" per la ragione umana, ma così luminoso per gli occhi della fede! La Mensa del Signore nella semplicità dei simboli eucaristici - il pane e il vino condivisi - si rivela anche quale mensa della concreta fratellanza. Il messaggio che da essa promana è troppo chiaro perché lo si possa ignorare: quanti prendono parte alla Celebrazione eucaristica non possono restare insensibili di fronte alle attese dei poveri e dei bisognosi.

4. Proprio in questa prospettiva desidero che le offerte raccolte durante questa Celebrazione vadano ad alleviare le urgenti necessità di quanti soffrono in Iraq per le conseguenze della guerra. Un cuore che ha sperimentato l'amore del Signore si apre spontaneamente alla carità verso i fratelli.

"O sacrum convivium, in quo Christus sumitur".

Siamo tutti invitati, questa sera, a celebrare e ad adorare sino a notte inoltrata il Signore che si è fatto cibo per noi pellegrini nel tempo, offrendoci la sua carne e il suo sangue.

L'Eucaristia è dono grande per la Chiesa e per il mondo. Proprio perché sia riservata sempre più profonda attenzione al sacramento dell'Eucaristia, ho voluto offrire all’intera Comunità dei credenti un'Enciclica, il cui tema focale è il Mistero eucaristico: Ecclesia de Eucharistia. Tra poco avrò la gioia di firmarla nel corso di questa Celebrazione che rievoca l’Ultima Cena, quando Gesù ci lasciò se stesso in supremo testamento d’amore. La affido sin d'ora in primo luogo ai sacerdoti, perché a loro volta la diffondano a beneficio dell'intero popolo cristiano.

5. Adoro te devote, latens Deitas! Noi Ti adoriamo, o mirabile Sacramento della presenza di Colui che amò i suoi "sino alla fine". Noi Ti ringraziamo, o Signore, che nell'Eucaristia edifichi, raduni e vivifichi la Chiesa.

O divina Eucaristia, fiamma dell'amore di Cristo che ardi sull'altare del mondo, fa' che la Chiesa, da Te confortata, sia sempre più sollecita nell'asciugare le lacrime di chi soffre e nel sostenere gli sforzi di chi anela alla giustizia e alla pace.

E Tu, Maria, Donna "eucaristica", che hai offerto il tuo grembo verginale per l'incarnazione del Verbo di Dio, aiutaci a vivere il Mistero eucaristico nello spirito del Magnificat. Sia la nostra vita una lode senza fine all'Onnipotente, che si è nascosto sotto l'umiltà dei segni eucaristici.

Adoro te devote, latens Deitas…
Adoro te... adiuva me!

***  ***
 
DAGLI SCRITTI DI SANTA VERONICA GIULIANI
 
"Il Signore nel cenacolo si rattristò (molto) per la perdita di Giuda, come anche nell'atto tanto umile di lavare gli immondi piedi del traditore, e che sopra essi spargeva le sue preziosissime lagrime e mandava infuocati sospiri per compassione di quella povera anima".
 "Il Maestro con tanto amore se lo strinse al suo petto, con tal carità fece ciò per ammollirgli il cuore; ma, in quell'atto, il perfido Giuda si stabilì a fargli il tradimento. E ciò fu un dolore sì grande al cuore di Gesù, che si spezzava di pena; non solo per questo tradimento del suo discepolo, ma per tutti quelli che gli dovevano fare tutte le altre creature".

"Questo Sommo Bene divenne pallido e mesto nell'annuncio che fece ai cari apostoli che uno di loro lo avrebbe tradito... ciò fece rattristare gli apostoli".

"Nel fine della sua vita, approssimandosi il tempo della Sua morte, non gli dava cuore di lasciarci, e trovò un'invenzione amorosa, per poter sempre restare con noi, con lasciarci Se stesso per cibo delle anime nostre". "A nostro pro". “Vera medicina per i nostri mali: se siamo deboli ci dà forza, se siamo freddi ci riscalda, se siamo afflitti ci consola”. "Noi accostandoci al fonte e, per dir meglio, al mare immenso del divinissimo Sacramento, ogni qual volta ci accostiamo con fede, con amore e con purità, l'anima nostra si intrinseca in Dio e fa come, per esempio, il pesce in mezzo al mare. O Dio! Ella sta in mezzo a questo divinissimo mare. Ove si volta, ove sta, ove si posa, tutto è Dio; e questo Dio arricchisce siffattamente le anime nostre delle Sue grazie e doni, che ogni comunione fa che l'anima nostra faccia sempre passi da gigante nella perfezione". "Il nostro cuore divien tempio della SS. Trinità".

mercoledì 20 aprile 2011

Sessualità umana - XII appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Oggi, continuando la riflessione sull'aspetto educativo, vediamo il documento soffermarsi sul ruolo dei genitori nel processo educativo dei figli e nella loro formazione al valore fondamentale della castità. Al giorno d'oggi, il compito è molto più gravoso e quindi la Chiesa assume un ruolo fondamentale nell'appoggiare i genitori nell'assolvimento del loro diritto-dovere: infatti, i figli sono vittime di un bombardamento mediatico senza precedenti e questo rende particolarmente arduo l'insegnamento a valori come la castità che l'attuale società denigra e considera fuori luogo e anacronistici. La Chiesa allora funge da supporto fondamentale senza la quale sarebbe impossibile pensare ad una vera educazione cristiana:

IV

PADRE E MADRE COME EDUCATORI

I diritti e doveri dei genitori

41. Prima d'entrare nei dettagli pratici della formazione dei giovani alla castità, è di estrema importanza che i genitori siano consapevoli dei loro diritti e doveri, in particolare di fronte ad uno Stato e ad una scuola che tendono ad assumere l'iniziativa in campo di educazione sessuale.

Nella Familiaris consortio, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo riafferma: « Il diritto-dovere educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato »;3 fatto salvo il caso, accennato all'inizio, della impossibilità fisica o psichica.

42. Tale dottrina poggia sull'insegnamento del Concilio Vaticano II4 ed è anche proclamata dalla Carta dei Diritti della Famiglia: « Avendo dato la vita ai loro figli, i genitori hanno l'originario, primario e inalienabile diritto di educarli; essi... hanno il diritto di educare i loro figli in conformità con le loro convinzioni morali e religiose, tenendo conto delle tradizioni culturali della famiglia che favoriscano il bene e la dignità del bambino; essi devono inoltre ricevere dalla società l'aiuto e l'assistenza necessari per svolgere convenientemente il loro ruolo educativo ».5

43. Il Papa insiste sul fatto che ciò vale particolarmente nei riguardi della sessualità: « L'educazione sessuale, diritto e dovere fondamentale dei genitori, deve attuarsi sempre sotto la loro guida sollecita, sia in casa sia nei centri educativi da essi scelti e controllati. In questo senso la Chiesa ribadisce la legge della sussidiarietà, che la scuola è tenuta ad osservare quando coopera all'educazione sessuale, collocandosi nello spirito stesso che anima i genitori ».6

Il Santo Padre aggiunge: « Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita nella sessualità umana ».7 Nessuno è in grado di realizzare l'educazione morale in questo delicato campo meglio dei genitori, debitamente preparati.

Il significato del dovere dei genitori

44. Questo diritto implica anche un compito educativo: se di fatto non impartiscono un'adeguata formazione alla castità, i genitori vengono meno ad un loro preciso dovere; né essi mancherebbero di essere colpevoli pure qualora tollerino che una formazione immorale o inadeguata venga impartita ai figli fuori casa.

45. Questo compito incontra oggi una particolare difficoltà anche in relazione alla diffusione, tramite i mezzi di comunicazione sociale, della pornografia, ispirata a criteri commerciali e deformanti la sensibilità degli adolescenti. Riguardo a ciò, è necessaria, da parte dei genitori, una duplice premura: un'educazione preventiva e critica nei confronti dei figli ed un'azione di coraggiosa denuncia presso l'autorità. I genitori, come singoli o associati tra di loro, hanno il diritto e il dovere di promuovere il bene dei loro figli e di esigere dall'autorità leggi di prevenzione e repressione dello sfruttamento della sensibilità dei fanciulli e degli adolescenti.8

46. Il Santo Padre sottolinea questo compito dei genitori delineandone l'orientamento e l'obiettivo: « Di fronte ad una cultura che "banalizza" in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico, il servizio educativo dei genitori deve puntare fermamente su di una cultura sessuale che sia veramente e pienamente personale: la sessualità, infatti, è una ricchezza di tutta la persona — corpo, sentimento e anima — e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell'amore ».9

47. Non possiamo dimenticare, comunque, che si tratta di un diritto-dovere, quello di educare, che i genitori cristiani in passato hanno avvertito ed esercitato poco, forse perché il problema non aveva la gravità di oggi; o perché il loro compito era in parte sostituito dalla forza dei modelli sociali dominanti e, inoltre, dalla supplenza che in questo campo esercitavano la Chiesa e la scuola cattolica. Non è facile per i genitori assumere questo impegno educativo, perché oggi si rivela assai complesso e più grande delle possibilità stesse della famiglia, e perché nella maggioranza dei casi non vi è la possibilità di fare riferimento all'operato dei propri genitori.

Perciò, la Chiesa ritiene che sia un suo dovere contribuire, anche con questo documento, a ridare ai genitori fiducia nelle proprie capacità e aiutarli a svolgere il loro compito.

martedì 19 aprile 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXIII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Continuiamo a soffermarci sull'importanza fondamentale dell'educazione dei figli ai valori della fede; in particolare il pensiero è rivolto alle altre componenti educative e cioè a quelle istituzioni che influenzano il processo educativo dei figli cristiani. Il Venerabile Giovanni Paolo II si preoccupa soprattutto della scuola come centro di educazione cristiana e per questo auspica che lo Stato intervenga per rendere possibile la scelta di un istruzione che sia consona ai valori cristiani e che, di conseguenza, non comprometta il ruolo educativo dei genitori:

II. Il servizio della vita

1) La trasmissione della vita  

Rapporti con altre forze educative

40. La famiglia è la prima, ma non l'unica ed esclusiva comunità educante: la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri (cfr. «Gravissimum Educationis», 3).

Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante.

Dev'essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un'educazione conforme alla loro fede religiosa.

Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile.

Ma complementare al diritto, si pone il grave dovere dei genitori di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuole.

Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d'anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l'inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale.