martedì 31 maggio 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXIX

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Oggi scopriamo il suo pensiero relativo alla fede e alla santificazione del rapporto coniugale e familiare. Infatti, Cristo ha santificato l'unione matrimoniale facendola assurgere a vero sacramento: e quest'unione nata e fondata sul matrimonio nasce e si sviluppa come comunità credente e allo stesso tempo evangelizzante in quanto essa diviene testimonianza fulgida dell'amore cristiano e della fede in Cristo Gesù:

IV. La partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa

1) La famiglia cristiana comunità credente ed evangelizzante

La fede scoperta e ammirazione del disegno di Dio sulla famiglia

51. Partecipe della vita e della missione della Chiesa, la quale sta in religioso ascolto della Parola di Dio e la proclama con ferma fiducia (cfr. «Dei Verbum», 1), la famiglia cristiana vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la Parola di Dio: diventa così, ogni giorno di più, comunità credente ed evangelizzante.

Anche agli sposi e ai genitori cristiani è chiesta l'obbedienza della fede (cfr. Rm 16,26): sono chiamati ad accogliere la Parola del Signore, che ad essi rivela la stupenda novità - la Buona Novella - della loro vita coniugale e familiare, resa da Cristo santa e santificante. Infatti, soltanto nella fede essi possono scoprire e ammirare in gioiosa gratitudine a quale dignità Dio abbia voluto elevare il matrimonio e la famiglia, costituendoli segno e luogo dell'alleanza d'amore tra Dio e gli uomini, tra Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa.

Già la stessa preparazione al matrimonio cristiano si qualifica come itinerario di fede: si pone, infatti, come privilegiata occasione perché i fidanzati riscoprano e approfondiscano la fede ricevuta col Battesimo e nutrita con l'educazione cristiana. In tal modo riconoscono e liberamente accolgono la vocazione a vivere la sequela di Cristo e il servizio del Regno di Dio nello stato matrimoniale.

Il momento fondamentale della fede degli sposi è dato dalla celebrazione del sacramento del matrimonio, che nella sua profonda natura è la proclamazione, nella Chiesa, della Buona Novella sull'amore coniugale: esso è Parola di Dio che «rivela» e «compie» il progetto sapiente e amoroso che Dio ha sugli sposi, introdotti nella misteriosa e reale partecipazione all'amore stesso di Dio per l'umanità. Se in se stessa la celebrazione sacramentale del matrimonio è proclamazione della Parola di Dio, in quanti sono a vario titolo protagonisti e celebranti deve essere una «professione di fede» fatta entro e con la Chiesa, comunità di credenti.

Questa professione di fede richiede di essere prolungata nel corso della vita vissuta degli sposi e della famiglia: Dio, infatti, che ha chiamato gli sposi «al» matrimonio, continua a chiamarli «nel» matrimonio (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 25). Dentro e attraverso i fatti, i problemi, le difficoltà, gli avvenimenti dell'esistenza di tutti i giorni, Dio viene ad essi rivelando e proponendo le «esigenze» concrete della loro partecipazione all'amore di Cristo per la Chiesa in rapporto alla particolare situazione - familiare, sociale ed ecclesiale - nella quale si trovano.

La scoperta e l'obbedienza al disegno di Dio devono farsi «insieme» dalla comunità coniugale e familiare, attraverso la stessa esperienza umana dell'amore vissuto nello Spirito di Cristo tra gli sposi, tra i genitori e i figli.

Per questo, come la grande Chiesa, così anche la piccola Chiesa domestica ha bisogno di essere continuamente e intensamente evangelizzata: da qui il suo dovere di educazione permanente nella fede.

lunedì 30 maggio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Diciassettesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Continuiamo a scoprire la grande tribolazione patita dall'anima di Santa Faustina che è stata realmente messa a dura prova, con la prova dell'abbandono assoluto. Inoltre, scopriamo il pensiero della Santa sul Sacramento della Riconciliazione e sui confessori (pensieri giusti e molto attenti alle verità più nascoste...): 

+ LA PROVA DELLE PROVE, L'ABBANDONO ASSOLUTO, LA DISPERAZIONE 

Pregavo il Signore e non mi dava un direttore. Gesù stesso è stato il mio Maestro dall'infanzia fino ad ora; mi ha condotto attraverso tutte le foreste ed i pericoli. Vedo chiaramente che soltanto Iddio poteva condurmi attraverso così grandi pericoli senza alcun danno, senza discapito; per questo l'anima mia è rimasta intatta ed ho vinto sempre. Da tutte le difficoltà, che sono state inimmaginabili, uscì. Tuttavia il Signore mi diede un direttore spirituale, ma più tardi. Dopo quelle sofferenze l'anima è di una grande limpidezza di spirito ed in una grande vicinanza con Dio, benché debba ancora ricordare che in quei tormenti spirituali essa è vicina a Dio, ma è cieca. Lo sguardo della sua anima è avvolto dalle tenebre, ma Dio è più vicino ad una tale anima sofferente, solo che tutto il segreto sta proprio in questo, che essa non lo sa. Essa afferma non solo che Dio l'ha abbandonata, ma che essa è oggetto del Suo odio. Che grave malattia della vista dell'anima che, abbagliata dalla luce di Dio, afferma che Dio è assente, mentre è così forte che la rende cieca. In seguito però ho conosciuto che Dio le è più vicino in quei momenti che in qualsiasi altra circostanza, poiché con l'aiuto normale della grazia non potrebbe superare quelle prove. Qui opera l'onnipotenza divina ed una grazia straordinaria, perché diversamente si spezzerebbe al primo urto. O Divino Maestro, questo è soltanto opera Tua nella mia anima. Tu, o Signore, non hai paura di mettere un'anima sull'orlo di una spaventosa voragine, dove essa è spaventata e terrorizzata e la richiami nuovamente a Te. Questi sono i Tuoi incomprensibili misteri. Quando durante quei supplizi dell'anima cercavo di accusarmi nella santa confessione delle più piccole inezie, quel sacerdote si meravigliò che non commettessi mancanze più gravi e mi disse queste parole: « Se lei, sorella, in questi tormenti è così fedele a Dio, la cosa in sé mi dà la prova che Iddio la sostiene con la Sua grazia particolare ed il fatto che lei non comprenda questo è anche bene ». Strano però che i confessori non abbiano potuto né capirmi, né tranquillizzarmi in quelle cose fino all'incontro con P. Andrasz ed in seguito con Don Sopocko.

+ Alcune parole sulla confessione e sui confessori.

Ricorderò soltanto ciò che ho sperimentato e vissuto nella mia anima. Ci sono tre cose per cui l'anima non ricava profitto dalla confessione in quei momenti eccezionali. La prima è che il confessore conosce poco le vie straordinarie e mostra meraviglia se un'anima gli svela i grandi misteri che Dio compie nell'anima. Questa sua meraviglia già mette in allarme un'anima delicata: essa nota che il confessore è indeciso nell'esprimere il suo parere e non si rassicura, ma ha ancora più dubbi dopo la confessione di quanti ne avesse prima, poiché essa sente che il confessore la tranquillizza ma lui stesso non è sicuro. Oppure, cosa che mi è capitata, il confessore, non riuscendo a penetrare alcuni misteri di un'anima, le rifiuta la confessione, mostra un certo timore all'avvicinarsi di quell'anima alla grata. Come può un'anima in tale stato attingere tranquillità nel confessionale, dato che essa è così sensibile ad ogni parola del sacerdote? A mio parere in tali momenti di speciali visite di Dio ad un'anima, se il sacerdote non la comprende dovrebbe indicarle un confessore esperto ed illuminato, od attingere egli stesso lumi, in modo che possa dare all'anima ciò di cui ha bisogno, e non addirittura rifiutarle la confessione, poiché in questo modo l'espone ad un grande pericolo e più di un'anima può abbandonare la strada sulla quale il Signore voleva averla in modo particolare. Questa è una cosa di grande importanza, poiché io stessa ne ho fatto l'esperienza, cioè che già cominciavo a barcollare, nonostante questi straordinari doni di Dio. E sebbene Dio stesso mi tranquillizzasse, tuttavia desideravo sempre avere il sigillo della Chiesa. La seconda cosa è il fatto che il confessore non permetta di svelare tutto sinceramente, che dimostri impazienza. L'anima allora ammutolisce e non dice tutto e per ciò stesso non ricava profitto, e tanto meno ricava profitto, quando capita che il confessore cominci a sottoporre a prove l'anima; e, siccome non la conosce, invece di giovarle, le arreca danno. E questo perché essa sa che il confessore non la conosce, dato che non le ha permesso di svelargli completamente, sia per quanto concerne le grazie, sia per quanto concerne la sua miseria. E per questo motivo la prova non è appropriata. Ho avuto alcune prove, che mi hanno fatto ridere. Esprimerò meglio lo stesso concetto con queste parole: il confessore è il medico dell'anima; pertanto come può un medico che non conosce la malattia prescrivere una medicina appropriata? Nemmeno a pensarci; poiché o non avrà alcun risultato positivo, oppure la darà troppo forte ed aggraverà la malattia e talvolta - Dio ce ne scampi - può procurare la morte, appunto perché troppo forte. Parlo per esperienza, dato che in certi casi mi ha trattenuto addirittura il Signore stesso. La terza cosa è questa: capita che il confessore talvolta faccia poco conto delle piccole cose. Non c'è nulla di piccolo nella vita spirituale. Talvolta una cosa piccola in apparenza fa scoprire una cosa di grande importanza, e per il confessore è un fascio di luce per la conoscenza di un'anima. Molte sfumature spirituali si nascondono nelle piccole cose. Non sorgerà mai un fabbricato magnifico, se gettiamo via i mattoni piccoli. Iddio da qualche anima esige una grande purezza; per questo le invia una più profonda conoscenza della propria miseria. Illuminata dalla luce che viene dall'alto conosce meglio ciò che piace a Dio, e ciò che non piace. Il peccato è secondo la conoscenza e la luce dell'anima; lo stesso anche le imperfezioni, benché essa sappia che ciò che riguarda strettamente il sacramento è il peccato... ma queste piccole cose hanno una grande importanza per chi tende alla santità e non può un confessore tener poco conto di questo. La pazienza e la mitezza del confessore aprono la via ai più profondi segreti di un'anima: l'anima quasi senza accorgersene svela la sua abissale profondità. E si sente più forte e più resistente. Ora lotta più valorosamente; si dà maggiormente da fare, poiché sa che deve renderne conto. Ricorderò ancora una cosa per quanto riguarda il confessore. Egli deve talvolta sperimentare, deve mettere alla prova, deve esercitare, deve conoscere se ha a che fare con della paglia, o con del ferro, o con dell'oro puro. Ognuna di queste tre anime ha bisogno di esercitarsi in modo particolare. Il confessore deve necessariamente formarsi un'opinione chiara su ognuna, in modo che sappia quello che può sopportare in determinati momenti, circostanze e casi. Per quanto mi riguarda, in seguito, dopo molta esperienza, quando mi resi conto di non essere compresa, non svelai più la mia anima e non mi guastai la tranquillità. Questo però avvenne solo quando tutte queste grazie furono sotto il giudizio di un saggio, istruito ed esperto confessore. Ora so come comportarmi in certi casi. E desidero nuovamente dire alcune parole all'anima che vuole tendere decisamente alla santità e riportare frutto cioè vantaggio della confessione. La prima, totale sincerità e apertura. Il più santo ed il più saggio dei confessori non può infondere a viva forza in un'anima ciò che desidera, se l'anima non è sincera ed aperta. Un'anima insincera, chiusa, si espone a grandi pericoli nella vita spirituale e lo stesso Gesù non si dona ad una tale anima in modo superiore, perché sa che essa non ricaverebbe vantaggi da queste grazie speciali. La seconda parola, l'umiltà. Un'anima non ricava adeguati vantaggi dal sacramento della confessione, se non è umile. La superbia tiene l'anima nelle tenebre. Essa non sa e non vuole penetrare esattamente nel profondo della sua miseria: si maschera e fugge da tutto ciò che dovrebbe guarirla. La terza parola è l'obbedienza. Un'anima disobbediente non riporterà alcuna vittoria, anche se fosse Gesù stesso a confessarla direttamente. Il confessore più esperto non può essere di alcun aiuto ad una tale anima. Un'anima disobbediente si espone a grandi sventure e non progredirà affatto nella perfezione e non se la caverà nella vita spirituale. Iddio ricolma di grazia nel modo più abbondante le anime, ma le anime obbedienti.

domenica 29 maggio 2011

«Se» apriamo il nostro cuore a Gesù

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo che oggi ci mostra Gesù rassicurare i discepoli in quanto non saranno lasciati orfani, ma saranno sempre in Lui, con Lui e guidati dallo Spirito Paraclito. Questo discorso vale per tutti coloro che decidono di seguire Gesù con la propria vita, aprendo il proprio cuore alla Sua Parola. Meditiamo questa pagina odierna attraverso la riflessione di padre Ermes Ronchi:

«Se mi amate...». Gesù chiede di dimorare in quel luogo da cui tutto ha origine, da cui tutto parte, in cui tutto si decide e che tutte le religioni chiamano «cuore». Entra nel mio luogo più importante e intimo, nel vero santuario della vita. Ma lo fa con estrema delicatezza, perché tutto si tiene alla prima parola: «se».
«Se mi amate». Un punto di partenza così umile, così fragile, così libero, così fiducioso, così paziente: se. Nessuna minaccia, nessuna costrizione. Puoi accogliere o rifiutare, in piena li­bertà. Se ti fai lettore attento del Vangelo non potrai però sfuggire all'incantamento per Gesù uomo libero, parola liberante.
«Se mi amate osserverete». La vera molla che spinge a compiere in pienezza un'opera è l'amore. L'esperienza quotidiana lo conferma: se c'è la scintilla dell'amore ogni atto si carica di una vibrazione profonda, di un calore nuovo, conosce una incisività insospettata.

«Il Padre vi darà un altro Soccorritore e sarà con voi... presso di voi... in voi». In un crescendo mirabile Gesù usa tutte le preposizioni che dicono comunione. Dio vive in me, in me ha termine l'esodo di Dio. Se io penso al Signore non penso a qualcosa che ho incontrato in un libro, fosse pure il Vangelo, ma ad una storia che continua fino al presente e «non è ancora finita»: la storia della comunione con una persona viva, la storia del suo essere 'in' me. Le parole decisive del brano di Giovanni sono: Voi in me e io in voi. Sosto nella percezione di essere «in» Dio, immerso in Lui, tralcio nella madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, respiro nell'aria vitale. Allora ti carichi di una linfa', di un'acqua, di una fiamma che faranno della tua fede visione nuova, incantamento, fervore, poesia, testimonianza viva.

«Non vi lascerò orfani». Orfano è parola legata all'esperienza della morte e della separazione, ma Gesù è enfasi della nascita e della comunione. Altri partiranno da altri presupposti, io riparto da Cristo e dal suo modo di liberare, di generare, di porre luce e cuore su ciò che nasce e mai su ciò che muore: amare è non morire. Lo ripete anche oggi: «Perché io vivo e voi vivrete». Piccola frase che rende conto della mia speranza. Io appartengo a un Dio vivo e Lui a me. E queste parole mi fanno dolce e fortissima compagnia: appartengo a un Dio vivo, amare è non morire.

sabato 28 maggio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Ventiseiesima parte

Carissimi, dopo l'amara esperienza di un lutto familiare che mi ha colpito in questi giorni, torniamo a a scoprire la storia di San Francesco di Assisi. Dopo averne visto la vita e i prodigi compiuti dopo la conversione del cuore, apriamo una  seconda parte dedicata agli ultimi due anni di vita del poverello d'Assisi che si sono conclusi con la sua dipartita: 

PARTE SECONDA

Incomincia la parte seconda. Ultimi due anni e felice transito del beato padre nostro Francesco

CAPITOLO PRIMO

CONTENUTO DI QUESTA PARTE. BEATO TRANSITO E MIRABILE ASCESA DEL SANTO

88. Nella prima parte del nostro lavoro, condotto a termine con l'aiuto di Dio, ci siamo soffermati sulla vita e sulle opere del beatissimo padre nostro Francesco fino al diciottesimo anno della sua conversione; ora aggiungiamo brevemente le altre notizie degne di fede, che abbiamo potuto raccogliere circa gli ultimi due anni della sua vita. E vogliamo riferirne qui solo i dati essenziali, lasciando ad altri la via aperta per una più ampia esposizione.

L'anno 1226, indizione XV, il 4 di ottobre, in giorno di domenica, in Assisi, sua città natale, presso Santa Maria della Porziuncola, dove egli aveva fondato l'Ordine dei frati minori, il beatissimo padre nostro Francesco, a vent'anni dalla sua piena adesione a Cristo, seguendo la vita e gli esempi degli apostoli, si libera dal carcere della carne, e portando a compimento la sua opera, se ne va felicemente nel soggiorno dei beati. Tra inni e lodi il suo sacro corpo viene collocato e riverentemente custodito in quella città, e a gloria di Dio rifulge per molti miracoli.

89. Poiché nella prima età era stato lasciato ignaro quasi del tutto delle realtà divine, Francesco aveva trascorso parecchio tempo seguendo liberamente e vogliosamente le passioni naturali; ma poi, quando la destra del Signore si volse verso di lui, riuscì a districarsi dal peccato, e da allora, per grazia e virtù dell'Altissimo, fu ripieno di sapienza divina più di tutti i suoi contemporanei. Infatti, in mezzo all'avvilimento, non di pochi ma generale, in cui era caduta la dottrina evangelica, a motivo dei costumi di coloro che la insegnavano, la Provvidenza di Dio mandò nel mondo questo uomo, perché, come gli apostoli, fosse testimone della verità davanti a tutti gli uomini. E realmente egli dimostrò con chiarezza, mediante la parola e l'esempio, quanto fosse stolta la sapienza terrena, e in breve, sotto la guida di Cristo, trascinò gli uomini, mediante la stoltezza della predicazione, alla autentica sapienza divina. Simile a un fiume del Paradiso, il nuovo evangelista di questo ultimo tempo, ha diffuso con amorosa cura le acque del Vangelo per il mondo intero, e con le opere ha additato la via e la vera dottrina del Figlio di Dio. Così in lui e per suo merito, il mondo ritrovò una nuova giovinezza e una inaspettata esultanza, e il virgulto dell'antica religione ha subito rinnovato rami, che erano ormai vecchi e decrepiti. Gli eletti furono riempiti di uno spirito nuovo e dell'abbondanza della grazia, quando questo santo servo di Cristo, come astro celeste, ha irradiato la luce della sua originale forma di vita e dei suoi prodigi. Tramite Francesco si sono rinnovati gli antichi miracoli, quando nel deserto di questo mondo è stata piantata una vite feconda, che produce, mediante un modo di vita nuovo, ma fedele agli antichi, fiori profumati di sante virtù e stende ovunque i tralci della santa religione.

90. La fragilità della condizione umana, che aveva in comune con noi, non lo trattenne nell'osservanza dei precetti comuni; ma, trascinato da un amore intenso, volle camminare la via della perfezione e raggiunse la vetta della più sublime santità e contemplò il termine di tutta la perfezione.

Perciò ogni persona, di qualsiasi condizione, sesso ed età, può trovare in lui limpide direttive di sana dottrina e splendidi esempi di opere virutose. Chi vuole, dunque, mettere mano a cose grandi e conquistare i doni più alti della via della perfezione, guardi nello specchio della sua vita e imparerà ogni perfezione. Chi invece preferisse un cammino meno arduo e esercizi più modesti, temendo di non farcela a scalare la cima del monte, guardi ancora a lui: vi troverà gli insegnamenti adatti anche a questo grado di vita spirituale. Chi infine va alla ricerca di rivelazioni prodigiose e di miracoli, badi alla santità di Francesco e sarà accontentato.

Proprio la sua vita gloriosa illumina la perfezione dei primi santi di luce più fulgida: lo provocano e lo manifestano in modo evidentissimo la Passione di Gesù Cristo e la croce di lui. E veramente il venerabile padre portava impressi nella carne i cinque segni della passione e della croce, come se fosse stato appeso alla croce con lo stesso Figlio di Dio. Questo sacramento è grande e manifesta la sublimità della prerogativa dell'amore; ma esso cela un arcano disegno e un sublime mistero, noto solo a Dio, crediamo, e rivelato in parte dallo stesso Santo ad una sola persona.

E perciò non conviene fermarsi più a lungo a lodare il Santo, dal momento che è stato esaltato da Colui che è di tutti lode, il Signore, sorgente e splendore inesauribile e che dà in premio l'eterna luce. Benedicendo, dunque, Iddio, santo, vero e glorioso, riprendiamo la semplice narrazione dei fatti.


giovedì 26 maggio 2011

Carissimi, a causa di un lutto familiare, il blog non sarà aggiornato sino a Sabato 28 Maggio. Un caro saluto a tutti

martedì 24 maggio 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXVIII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Dopo aver visto i compiti fondamentali della famiglia sia in ambito educativo che in ambito sociale, scopriamone il ruolo fondamentale svolto al servizio dell'edificazione del Regno di Dio (in quanto essa è testimonianza di amore e vita), attraverso una piena partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa:

IV. La partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa

La famiglia nel mistero della Chiesa

49. Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell'edificazione del Regno di Dio nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.

Per meglio comprendere i fondamenti, i contenuti e le caratteristiche di tale partecipazione, occorre approfondire i molteplici e profondi vincoli che legano tra loro la Chiesa e la famiglia cristiana, e costituiscono quest'ultima come «una Chiesa in miniatura» (Ecclesia domestica) (cfr. «Lumen Gentium», 11; «Apostolicam Actuositatem», 11; Giovanni Paolo PP II, Omelia per l'apertura del VI Sinodo dei Vescovi, 3 [26 Settembre 1980]: AAS 72 [1980] 1008), facendo sì che questa, a suo modo, sia viva immagine e storica ripresentazione del mistero stesso della Chiesa.

E' anzitutto la Chiesa Madre che genera, educa, edifica la famiglia cristiana, mettendo in opera nei suoi riguardi la missione di salvezza che ha ricevuto dal suo Signore. Con l'annuncio della Parola di Dio, la Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera identità, ciò che essa è e deve essere secondo il disegno del Signore; con la celebrazione dei sacramenti, la Chiesa arricchisce e corrobora la famiglia cristiana con la grazia di Cristo in ordine alla sua santificazione per la gloria del Padre; con la rinnovata proclamazione del comandamento nuovo della carità, la Chiesa anima e guida la famiglia cristiana al servizio dell'amore, affinché imiti e riviva lo stesso amore di donazione e di sacrificio, che il Signore Gesù nutre per l'umanità intera.

A sua volta la famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, «hanno nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio» («Lumen Gentium», 11). Perciò non solo «ricevono» l'amore di Cristo diventando comunità «salvata», ma sono anche chiamati a «trasmettere» ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità «salvante». In tal modo, mentre è frutto e segno della fecondità soprannaturale della Chiesa, la famiglia cristiana è resa simbolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa (cfr. ibid. 41).

Un compito ecclesiale proprio e originale

50. La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore.

Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo. Devono essere nella fede «un cuore solo e un'anima sola» (cfr. At 4,32), mediante il comune spirito apostolico che li anima e la collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla comunità ecclesiale e civile.

La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita; è allora nell'amore coniugale e familiare - vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 9) - che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa: l'amore e la vita costituiscono pertanto il nucleo della missione salvifica della famiglia cristiana nella Chiesa e per la Chiesa.

Lo ricorda il Concilio Vaticano II quando scrive: «La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Perciò la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione del patto di amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore del mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri» («Gaudium et Spes», 48)

Posto così il fondamento della partecipazione della famiglia cristiana alla missione ecclesiale, è ora da illustrare il suo contenuto nel triplice e unitario riferimento a Gesù Cristo Profeta, Sacerdote e Re, presentando perciò la famiglia cristiana come 1) comunità credente ed evangelizzante, 2) comunità in dialogo con Dio, 3) comunità al servizio dell'uomo. 

lunedì 23 maggio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Sedicesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Continuiamo a scoprire la grande tribolazione patita dall'anima di Santa Faustina che è stata realmente messa a dura prova, con la prova dell'abbandono assoluto. E' come se ella avesse provato il tormento infernale che spetta alle anime dannate: l'impossibilità di scorgere Dio, di poterLo guardare, di poterLo amare, di poter divenire parte del Suo divino disegno. Questa testimonianza ci mostra quanto la nostra anima anela Dio in maniera profonda ed ecco perchè continuamente parliamo della sete di Dio. Sant'Agostino diceva che il cuore non poteva esser sereno se non riposava nell'Altissimo. Noi oggi, cerchiamo di colmare quel vuoto andando per vie diverse, alcune pericolose, altre lontane dalla fonte divina; ma, quel vuoto soltanto Dio lo può colmare: 
  
+ LA PROVA DELLE PROVE, L'ABBANDONO ASSOLUTO, LA DISPERAZIONE
 
Quando l'anima esce vittoriosa dalle prove precedenti e, sebbene forse incespicando, continua a combattere valorosamente, e con profonda umiltà grida al Signore: « Salvami, che perisco! », ed è ancora abile alla lotta, allora un buio tremendo avvolge l'anima. L'anima vede dentro di sé soltanto peccati. Ciò che prova è tremendo. Si vede abbandonata completamente da Dio; sente come se fosse oggetto del Suo odio ed è ad un passo dalla disperazione. Si difende come può; tenta di risvegliare la fiducia, ma la preghiera è per lei un tormento ancora maggiore: le sembra di spingere Dio ad adirarsi di più. E come se fosse posta su di un'altissima vetta che si trova sopra un precipizio: l'anima anela fervidamente verso Dio, ma si sente respinta. Tutti i tormenti ed i supplizi del mondo sono nulla in confronto alla sensazione in cui è completamente immersa, cioè il rigetto da parte di Dio. Nessuno le può arrecare sollievo. Vede che è tutta sola; non c'è nessuno in sua difesa. Alza gli occhi al cielo, ma sa che non è per lei; tutto, per lei, è perduto. Dalle tenebre cade in tenebre ancora più fitte. Le sembra di aver perduto Dio per sempre, quel Dio che amava tanto. Questo pensiero le procura un tormento indescrivibile; ma essa non si rassegna a ciò. Prova a guardare verso il cielo - ma invano - ciò le procura un tormento ancora più grande. Nessuno può illuminare una tale anima, se Iddio vuole tenerla nelle tenebre. il rigetto da parte di Dio lo sente in modo vivamente terrificante. Erompono dal suo cuore gemiti dolorosi, così dolorosi, che nessun ecclesiastico confessore li comprende, se non c'è passato lui stesso. Allora l'anima subisce ancora sofferenze da parte dello spirito maligno. Satana la schernisce: « Vedi come sei ridotta? Continuerai ad essere fedele? Eccoti la ricompensa: sei in nostro potere ». (Però Satana ha tanto potere su quell'anima, quanto Iddio gliene permette. Dio sa quanto possiamo resistere). « E cosa hai guadagnato per esserti mortificata? E che ricavi ad esser fedele alla regola? A che scopo tutti questi sforzi? Sei respinta da Dio! ». Quella parola « respinta » diviene un fuoco che penetra in ogni nervo fino al midollo delle ossa, trapassa da parte a parte tutto il suo essere. Giunge ora il momento supremo della prova. L'anima non cerca più aiuto; si chiude in se stessa e perde di vista tutto ed è quasi come se si rassegnasse al tormento di essere respinta. E un momento questo che non so definire. E l'agonia dell'anima. Quando quel momento cominciò ad avvicinarsi a me la prima volta, ne fui liberata in virtù della santa obbedienza. Fu la Maestra che vedendomi si spaventò e mi mandò a confessarmi. Il confessore però non mi comprese; non provai nemmeno un'ombra di sollievo. O Gesù, dacci dei sacerdoti esperti! Quando gli dissi che stavo passando nell'anima le pene infernali, mi rispose che era tranquillo per la mia anima, poiché vedeva nella mia anima una grande grazia di Dio. Io però di questo non capii nulla e nemmeno un piccolo raggio di luce penetrò nella mia anima. Ormai comincio a sentire la mancanza delle forze fisiche e non riesco più a far fronte ai miei doveri. Non posso più nascondere le sofferenze, benché non dica nemmeno una parola su quello che soffro; il dolore tuttavia che si riflette sul mio volto mi tradisce e la Superiora mi ha detto che le suore vanno da lei e dicono che quando in cappella mi guardano provano compassione per me, dato che ho un aspetto così spaventoso. Tuttavia, nonostante gli sforzi, l'anima non è in grado di nascondere tale sofferenza. Gesù, Tu solo sai come l'anima gema in questi tormenti, immersa nelle tenebre; e tuttavia ha fame e sete di Dio, come le labbra infuocate hanno sete di acqua. Muore e inaridisce; muore di una morte che non fa morire, cioè non può morire. I suoi sforzi non sono nulla. Essa sta in balia di una mano potente. Ora la sua anima passa sotto il potere del Giusto. Cessano tutte le tentazioni esterne, tace tutto ciò che la circonda, come un agonizzante non ha più la percezione di quello che gli sta attorno: tutta la sua anima è raccolta sotto la potenza del Giusto e tre volte santo Iddio. Respinta per l'eternità. Questo è il momento più teso e soltanto Iddio può provare un'anima in questo modo, poiché Lui solo sa che l'anima può sopportarlo. Quando l'anima è stata compenetrata da parte a parte da quel fuoco infernale, precipita quasi nella disperazione. La mia anima sperimentò questo momento quando ero in cella tutta sola. Quando l'anima cominciò a sprofondare nella disperazione, sentii che stava giungendo la mia agonia. Allora afferrai un piccolo crocifisso e lo strinsi spasmodicamente in mano. Sentii che il mio corpo si distaccava dall'anima e, sebbene desiderassi andare dai Superiori, non avevo più le forze fisiche. Pronunciai le ultime parole: « Confido nella Tua Misericordia», e mi sembrò quasi di aver spinto Iddio ad un'ira ancora più grande e sprofondai proprio nella disperazione e solo di tanto in tanto erompeva dall'anima mia un lamento doloroso, un lamento inconsolabile. L'agonia dell'anima. E mi sembrava che ormai sarei rimasta in quello stato, dato che con le mie forze non avrei potuto uscirne. Ogni ricordo di Dio è un mare indescrivibile di sofferenze, eppure c'è qualcosa nella mia anima che anela fervidamente a Dio; ma a lei sembra che abbia solo lo scopo di farla soffrire di più. Il ricordo del precedente amore, che Dio le aveva elargito, è per lei un tormento di nuovo genere. I Suoi occhi l'han trapassata da parte a parte e tutto è stato bruciato nell'anima dallo sguardo di Lui. Fu un lungo momento finché entrò nella cella una delle suore e mi trovò quasi morta. Si spaventò e andò dalla Maestra, che in virtù della santa obbedienza mi ordinò di alzarmi da terra ed all'istante sentii le forze fisiche e mi sollevai da terra tutta tremante. La Maestra conobbe subito in pieno lo stato della mia anima. Mi parlò dell'insondabile Misericordia di Dio e disse: « Non si preoccupi affatto, sorella; glielo ordino in virtù dell'obbedienza ». E mi disse ancora: « Ora vedo che Iddio la chiama ad una grande santità. Il Signore vuole averla vicino a Sé, dato che permette queste cose e così presto. Sia fedele a Dio, sorella, poiché questo è un segno che la vuole in alto nel cielo ». Io però non capii nulla di quelle parole. Quando entrai in cappella sentii come se tutto si fosse staccato dalla mia anima, come se fossi appena uscita dalle mani di Dio. Sentii l'inafferrabilità della mia anima. Sentii che ero una piccola bimba. All'improvviso vidi interiormente il Signore, il quale mi disse: « Non temere, figlia Mia, Io sono con te ». In quello stesso momento svanirono tutte le tenebre e le angosce, i sensi furono inondati da una gioia indescrivibile, le facoltà dell'anima ripiene di luce. Voglio ricordare ancora che, sebbene la mia anima fosse già sotto i raggi del Suo amore, le tracce del supplizio passato rimasero ancora per due giorni nel mio corpo. Il volto pallido come quello di una morta, gli occhi iniettati di sangue. Solo Gesù sa quello che ho sofferto. In confronto alla realtà, è sbiadito quello che ho scritto. Non so come esprimermi. Mi sembra di essere tornata dall'aldilà. Provo disgusto per tutto ciò che è creato. Mi stringo al Cuore del Signore come un lattante al petto della madre. Guardo alle cose con occhi diversi. Sono consapevole di quello che ha fatto il Signore con una parola nella mia anima; di questo vivo. Al solo ricordo del martirio passato, mi vengono i brividi. Non avrei creduto che si potesse soffrire così, se io stessa non l'avessi passato. E una sofferenza completamente spirituale. Tuttavia in tutte queste sofferenze e battaglie non ho mai tralasciato la S. Comunione. Quando mi sembrava che non avrei dovuto comunicarmi, prima della S. Comunione andavo dalla Maestra e le dicevo: « Non posso andare alla S. Comunione; mi sembra che non dovrei andarci ». Essa però non mi permetteva di tralasciare la S. Comunione e io andavo e mi sono resa conto che solo l'obbedienza mi ha salvato. La Maestra stessa, in seguito, mi disse che quelle mie esperienze erano finite presto, « soltanto perché lei è stata obbediente. È dovuto solo alla potenza dell'obbedienza che lei ne è uscita così valorosamente ». E vero che il Signore stesso mi ha tirato fuori da quel supplizio, ma la fedeltà all'obbedienza Gli era piaciuta. Benché queste siano cose spaventose, tuttavia nessun'anima dovrebbe spaventarsene eccessivamente, poiché Dio non dà prove al di sopra di quello che possiamo. E d'altronde forse mai permetterà su di noi simili tormenti. Ma lo scrivo perché se al Signore dovesse piacere condurre qualche anima attraverso simili tormenti, non si spaventi, ma sia in tutto, per quanto dipende da lei, fedele a Dio. Iddio non fa torto all'anima, poiché è l'amore stesso, e per questo amore incomprensibile ci ha chiamato all'esistenza. Però quando mi son trovata in quella tremenda afflizione, questo non lo comprendevo. O Dio mio, ho conosciuto che non sono di questa terra; me l'ha impresso nell'anima in modo energico il Signore. I miei rapporti di familiarità sono più col cielo che con la terra, benché non trascuri in nulla i miei doveri. In quei momenti non avevo un direttore spirituale e non conoscevo nessuna direzione.



domenica 22 maggio 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Ventiseiesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Concludiamo questo percorso domenicale che ci ha mostrato il volto della Sacra Liturgia, facendoci riscoprire il suo vero profondo significato, oggi troppo spesso sminuito. Sarebbe bello che i sacerdoti accogliessero l'invito finale formulato da Pio XII il quale esortò a promuovere incontri di studio e manifestazioni con le quali istruire il popolo sull'importanza rivestita dalla Sacra Liturgia. Abbiamo imparato molto da quest'Enciclica e speriamo di ricordarlo sempre, ogni qualvolta entreremo in una Chiesa e assisteremo ad una celebrazione liturgica: 

La formazione liturgica

Ma c'è una cosa ancora più importante, Venerabili Fratelli, che raccomandiamo in modo speciale alla vostra sollecitudine e al vostro zelo apostolico. Tutto ciò che riguarda il culto religioso esterno ha la sua importanza, ma urge soprattutto che i cristiani vivano la vita liturgica, e ne alimentino e incrementino lo spirito soprannaturale. Provvedete dunque alacremente che il giovane clero sia formato alla intelligenza delle sacre cerimonie, alla comprensione della loro maestà e bellezza, e impari diligentemente le rubriche, in armonia con la sua formazione ascetica, teologica, giuridica e pastorale. E ciò non soltanto per ragioni di cultura, non soltanto perché il seminarista possa un giorno compiere i riti della religione con l'ordine, il decoro e la dignità necessari, ma soprattutto perché sia educato in intima unione con Cristo Sacerdote, e diventi un santo ministro di santità.

Mirate anche in ogni modo a che, con i mezzi e i sussidi che la vostra prudenza giudicherà più adatti, il clero e il popolo siano una sola mente ed un'anima sola; e così il popolo cristiano partecipi attivamente alla Liturgia, che diventerà davvero l'azione sacra nella quale il sacerdote che attende alla cura delle anime nella parrocchia affidatagli, unito con l'assemblea del popolo, renda al Signore il debito culto.

Per ottenere ciò sarà certamente utile che pii giovinetti, bene istruiti, vengano scelti tra ogni classe di fedeli perché, con disinteresse e buona volontà, servano devotamente e assiduamente all'altare: compito che dovrebbe essere tenuto in grande considerazione dai genitori, anche di alta condizione sociale e cultura.

Se questi giovinetti saranno istruiti con la necessaria cura e sotto la vigilanza di un sacerdote perché adempiano questo loro ufficio con costanza e riverenza e nelle ore stabilite, si renderà facile il sorgere fra loro di nuove vocazioni sacerdotali; e il Clero non si lamenterà di non trovare - come, purtroppo, accade talvolta anche in regioni cattolicissime - nessuno che, nella celebrazione dell'augusto Sacrificio, gli risponda e gli serva.

Cercate soprattutto di ottenere, col vostro diligentissimo zelo, che tutti i fedeli assistano al Sacrificio Eucaristico e ne traggano i più abbondanti frutti di salvezza; quindi esortateli assiduamente affinché vi partecipino con devozione, in tutti quei modi legittimi dei quali sopra abbiamo fatto parola. L'augusto Sacrificio dell'altare è l’atto fondamentale del culto divino; è necessario, perciò, che esso sia la fonte e il centro anche della pietà cristiana. Ritenete di non aver mai abbastanza soddisfatto al vostro zelo apostolico se non quando vedete vostri figli accostarsi in gran numero al celeste convito che è «Sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità».

Perché, poi, il popolo cristiano possa conseguire questi doni soprannaturali con sempre maggiore abbondanza, istruitelo con cura, per mezzo di opportune predicazioni, e specialmente con discorsi e cicli di conferenze, con settimane di studio e con altre simili manifestazioni, sui tesori di pietà contenuti nella sacra Liturgia. A questo scopo saranno certamente a vostra disposizione membri dell'azione Cattolica, sempre pronti a collaborare con la Gerarchia per promuovere il Regno di Gesù Cristo.

È assolutamente necessario, però, che in tutto ciò vigilate attentamente perché nel campo del Signore non si introduca il nemico per seminarvi la zizzania in mezzo al grano; perché, in altre parole, non si infiltrino nel vostro gregge perniciosi e sottili errori di un falso misticismo e di un nocivo quietismo - errori da Noi come sapete, già condannati - e perché le anime non siano sedotte da un pericoloso umanesimo, né si introduca una falsa dottrina che altera la nozione stessa della fede, né, infine, un eccessivo archeologismo in materia liturgica. Curate con egual diligenza perché non si diffondano le false opinioni di coloro i quali a torto credono e insegnano che la natura umana di Cristo glorificata abiti realmente e con la sua continua presenza nei giustificati, oppure che una unica e identica grazia congiunga Cristo con le membra del suo Corpo.

Non vi lasciate disanimare dalle difficoltà che nascono; mai si scoraggi il vostro zelo pastorale. «Suonate la tromba in Sion, convocate l'assemblea, riunite il popolo, santificate la Chiesa, adunate i vecchi, raccogliete i bambini e i lattanti», e fate con ogni mezzo che si affollino dovunque le chiese e gli altari di cristiani, i quali, come membra vive unite al loro Capo divino, siano ristorati dalle grazie dei Sacramenti, celebrino l'augusto Sacrificio con Lui e per Lui, e diano all'Eterno Padre le lodi dovute.

Conclusione

Tutte queste cose, Venerabili Fratelli, avevamo in animo di scrivervi, e lo facciamo affinché i Nostri e i vostri devoti figli meglio comprendano e maggiormente stimino il preziosissimo tesoro contenuto nella sacra Liturgia: cioè il Sacrificio Eucaristico, che rappresenta e rinnova il Sacrificio della Croce, i Sacramenti, fiumi di grazia e di vita divina, e l'inno di lode che il cielo e la terra elevano ogni giorno a Dio.

Ci sia lecito sperare che queste Nostre esortazioni sproneranno i tiepidi e i ricalcitranti non soltanto a uno studio più intenso ed illuminato della Liturgia, ma anche a tradurre nella pratica della vita il suo spirito soprannaturale, come dice l'Apostolo: «non vogliate spegnere lo Spirito».

A quelli che uno zelo eccessivo spinge talvolta a dire e a fare cose che Ci duole di non poter approvare, ripetiamo l'avvertimento di S. Paolo: «Mettete ogni cosa a prova, ritenete ciò che è buono»; e li ammoniamo con animo paterno perché vogliano ricavare il loro modo di pensare e di agire dalla cristiana dottrina, conforme ai precetti della immacolata Sposa di Gesù Cristo, e Madre dei Santi.

A tutti, poi, ricordiamo la necessità di una generosa e fedele obbedienza ai Pastori ai quali spetta il diritto ed incombe il dovere di regolare tutta la vita, e innanzi tutto quella spirituale, della Chiesa: «Obbedite ai vostri superiori e siate ad essi sottomessi. Essi, difatti, vegliano sulle anime vostre col pensiero di renderne conto, affinché lo facciano con gioia, e non gemendo».

Il Dio che adoriamo, e che «non è Dio di discordia, ma di pace», conceda benigno a noi tutti di partecipare in questo esilio terreno, con uno solamente e un solo cuore, alla sacra Liturgia, che sia come una preparazione ed un auspicio di quella celeste Liturgia, con la quale, come confidiamo, in compagnia con la eccelsa Madre nostra, canteremo: «A Colui che siede sul trono e all'agnello: benedizione, e onore e gloria e impero nei secoli dei secoli».

Con questa lietissima speranza, a voi tutti e singoli, Venerabili Fratelli, ai greggi affidati alla vostra vigilanza, come auspicio dei doni celesti, e attestato della Nostra particolare benevolenza, impartiamo con grandissimo affetto l'Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 20 Novembre 1947, ottavo del Nostro Pontificato.

PIO PP. XII.

 

"Io sono la Via, la Verità e la Vita"

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo che oggi ci mostra Gesù presentarsi come la Via, la Verità e la Vita. Meditiamo questa pagina odierna attraverso la riflessione di don Daniele Muraro:

"Signore, Mostraci il Padre e ci basta!", dice l'apostolo Filippo a Gesù. Facciamo fatica a capire il senso di queste parole. Filippo non vuole avere una prova dell'esistenza di Dio né con la sua richiesta si fa portavoce in anticipo di quel senso di poca fede o di scetticismo religioso tanto comune alla nostra epoca. Al contrario Filippo crede nel Dio dei suoi padri, il Dio di Israele, e davanti a Gesù dichiara apertamente il desiderio di vedere il volto di questo Dio, cioè di essere ammesso alla sua presenza e così gustare la gioia di stare di fronte al Signore di tutte le cose.
Filippo aveva ascoltato la definizione che Gesù aveva dato di se stesso e aveva capito che le tre qualità che Gesù si attribuisce sono collegate: Gesù è la Via, non un sentiero che si perde nella selva ma proprio la Via che porta alla mèta, perciò può portare ad un traguardo sicuro, vero e questo punto di arrivo altro non è che la sorgente della Vita, cioè Dio stesso.
L'antica fede in Dio Padre da parte di Filippo si unisce con la recente adesione a Gesù Salvatore e Figlio eterno del Padre.
Le parole di Filippo suonano dunque come un accorato invito rivolto a Gesù affinché egli renda rendere partecipi i suoi discepoli, e attraverso di loro tutti gli uomini, della abbondanza di bene Egli rappresenta.
Se Gesù è davvero Via, Verità e Vita, che finalmente Egli come Guida sicura faccia arrivare almeno i suoi amici più stretti, ma anche tutti quanti, al termine della ricerca della Verità e li porti alla sorgente stessa della Vita, cioè a Dio.
Dal momento della cacciata dal paradiso terrestre l'uomo è rimasto privo della familiarità con Dio e della sua amicizia. Perciò gli è rimasto dentro al cuore un senso di nostalgia e di struggimento in attesa di essere riammesso alla presenza del suo Creatore e di essere reintegrato nella dignità perduta.
Molte sono state le strade percorse dagli uomini per tornare a godere della luce e della pace originaria. La sforzo per scoprire la maniera di recuperare lo stato felice della mitica età dell'oro ha affaticato generazioni e generazioni di uomini con esito il più delle volte deludente.
La ricerca di una tale felicità non è solo qualcosa che riguarda il remoto passato. L'età moderna ha messo in piedi il più grande dispendio di energie di sempre pur di ottenere un risultato paragonabile alle attese degli antichi e lo ha chiamato progresso.
Gli esiti di questo tentativo che ormai sta coivolgendo ogni angolo del pianeta sono davanti a noi e forse già adesso noi siamo in grado di tirare le prime somme. Soprattutto negli ultimi anni sono aumentate a dismisura le competenze tecniche e la disponibilità di risorse materiali, ma non si può dire che come umanità presa nel suo insieme abbiamo raggiunto serenità e pace. Siamo più potenti, ma non più felici.
Avendo perso il contatto con la sua dimensione originaria, l'umanità intera rischia di perdere anche il senso della sua spinta verso il futuro. Per questo è importante tornare alle fondamenta sicure della nostra fede.
"Credete a me!" dice Gesù e non ci chiede di dargli fiducia su un'affermazione qualsiasi, ma ci domanda di dare la nostra adesione al mistero della sua persona umana e divina.
La fede che ci chiede Gesù non è diversa dalla fede dell'Antico Testamento in un Dio creatore e salvatore, e in più vi aggiunge la scoperta di un Dio Trinità: il Figlio vive con il Padre e tutti e due con lo Spirito santo sono una cosa sola.
Di questa realtà, cioè del suo legame con il Padre, venendo nel mondo Gesù non si è dimenticato, ma ha fatto continuamente memoria. Il fatto di essere Dio come il Padre ha fatto sì che anche in un mondo lontano da Dio Gesù conservasse forte il suo legame di amore con il Padre.
In mezzo alla confusione e alla ostilità del mondo Gesù conservava un punto di riferimento sicuro, il suo dialogo con il Padre, l'amore verso di Lui e l'obbedienza alla sua volontà.
Anche in noi la fede anzitutto potenza la memoria; essa risveglia in noi la genuina memoria dell'origine e ce la rende chiara: noi veniamo da Dio. La fede in Gesù nostro Salvatore, come l'abbiamo ricevuta tramandata dalla Chiesa, alla giusta rappresentazione della nostra origine aggiunge l'anticipazione effettiva del nostro destino.
Con la morte terrena non finisce la nostra vita, ma la nostra vera patria è nel cielo, là dove è salito Gesù a prepararci un posto.
La salita al cielo di Cristo, quella che celebreremo fra quindici giorni nella solennità dell'Ascensione, ci ricorda che il luogo appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e il punto di vista adeguato per guardare alle vicende della terra è solo quello. In questo senso l'insegnamento della fede cristiana è pienamente positivo, ci insegna a che traguardo è destinato l'uomo e mostrandoci la mèta del nostro viaggio terreno ci restituisce la gioia di essere venuti all'esistenza.
Per entrare in questa mentalità di fede, che resta misteriosa per le capacità della sola intelligenza naturale, abbiamo bisogno di un dono dall'alto, quello dello Spirito santo. Solo Lui può illuminare i nostri sensi e sostenerci nel nostro cammino, e così evitare ci perdiamo d'animo e smettiamo di aspirare alle cose del cielo fermandoci a contemplare solo quelle della terra.
Il rimedio più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella considerazione della sua grandezza, non in quella della sua miseria. Lo Spirito santo alimenta in noi il desiderio del cielo. Sostenuti da questo incoraggiamento, anche noi sapremmo fare cose grandi: "Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio" ci ha detto Gesù alla fine del Vangelo di oggi, ed ha aggiunto: e ne farà di maggiori di queste. Infatti dopo essere Gesù salito al Padre Gesù ci lascia soli, ma pregherà che il Padre mandi nel suo nome lo Spirito santo consolatore. La mèta del nostro cammino ce l'ha anticipata Gesù, lo Spirito santo ci dice che anche noi con il suo aiuto possiamo raggiungerla.

 

sabato 21 maggio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Venticinquesima parte

Continuiamo, come ogni Sabato, a scoprire la storia di San Francesco di Assisi. Dopo aver visto l'incredibile amore del beato Francesco per ogni creatura vivente di questo mondo, vediamo oggi l'amore profondo nutrito da costui verso Gesù Bambino. Infatti, oggi scopriamo proprio le origini del presepio di Greccio che rappresentò in maniera gioiosa e memorabile, l'evento meraviglioso della nascita di Gesù, Luce del mondo. Questo presepio è entrato nella storia ed ancora oggi è uno dei più ammirati anche grazie alla storia della sua fondazione che vide manifestarsi anche la gloria del Signore che guarì da infermità e dolori: 

CAPITOLO XXX

IL PRESEPIO Dl GRECCIO 

 84. La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l'impegno, con tutto lo slancio dell'anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.
Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l'umiltà dell'Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.

 A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore.  C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: « Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello ». Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
 85. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza ! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.

  Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.   Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

 86. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva « Bambino di Betlemme » o «Gesù», passavà la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.  Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia. 
87. Il fieno che era stato collocato nella mangiatoia fu conservato, perché per mezzo di esso il Signore guarisse nella sua misericordia giumenti e altri animali. E davvero è avvenuto che in quella regione, giumenti e altri animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono da esse liberati. Anzi, anche alcune donne che, durante un parto faticoso e doloroso, si posero addosso un poco di quel fieno, hanno felicemente partorito. Alla stessa maniera numerosi uomini e donne hanno ritrovato la salute. 

Oggi quel luogo è stato consacrato al Signore, e sopra il presepio è stato costruito un altare e dedicata una chiesa ad onore di san Francesco, affinché là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possano mangiare, come nutrimento dell'anima e santificazione del corpo, la carne dell'Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen.

venerdì 20 maggio 2011

La necessità della castità

Carissimi, non potendo aggiornare per problemi tecnici, vi faccio presente questa bellissima meditazione di San Francesco di Sales che ci mostra la "necessità" della castità: 

(tratto da "Filotea: Introduzione alla vita devota")  

La castità è il giglio delle virtù; rende gli uomini simili agli Angeli. Niente è bello se non è puro, e la purezza degli uomini è la castità. Alla castità si dà il nome di onestà, e alla sua conservazione, onore, Viene anche chiamata integrità e il contrario corruzione. Gode di gloria tutta speciale perché è la bella e splendida virtù dell’anima e del corpo.

Non è mai permesso prendere piaceri impudichi dai nostri corpi, poco importa in che modo. Li legittima soltanto il matrimonio che, con la sua santità, compensa il discredito insito nel piacere. Anche nel matrimonio bisogna avere cura che l’intenzione sia onesta, perché se ci dovesse essere qualche sconvenienza nel piacere che si prende, ci sia sempre l’onestà nell’intenzione che lo ha cercato.

Il cuore casto è come la madreperla, che può ricevere soltanto le gocce d’acqua che scendono dal cielo, giacché può accogliere soltanto i piaceri del matrimonio, che viene dal cielo. Fuori da ciò non deve nemmeno tollerare il pensiero voluttuoso, volontario e prolungato.

Come primo grado in questa virtù, Filotea, guarda di non accogliere in te alcun genere di piacere inammissibile e proibito, quali sono tutti quelli che si prendono fuori del matrimonio, o anche nel matrimonio, se si prendono contro le regole del matrimonio.

Come secondo grado, taglia, per quanto ti sarà possibile, anche i piaceri inutili e superflui, benché permessi e leciti.

Per il terzo, non legare il tuo affetto ai piaceri e alle soddisfazioni che sono comandate e prescritte; è vero che bisogna prendere i piaceri necessari, ossia quelli che sono legati al fine e alla natura stessa del santo matrimonio, ma non per questo devi impegnare in essi il cuore e lo spirito.

Del resto, tutti hanno molto bisogno di questa virtù. Coloro che vivono nella vedovanza devono avere una castità coraggiosa, che non soltanto disprezza le occasioni presenti e le future, ma resiste alle fantasie che i piaceri leciti provati nel matrimonio possono suscitare nel loro spirito, che per questo sono più sensibili alle suggestioni poco oneste.

E’ questa la ragione per cui S. Agostino ammira la purezza del suo caro Alipio, che aveva completamente dimenticato e non teneva in alcun conto i piaceri carnali, che aveva conosciuto, almeno in parte, nella sua giovinezza. Prendi a paragone i frutti: un frutto sano e intero può essere conservato o nella paglia o nella sabbia o nelle proprie foglie; ma una volta intaccato, è impossibile conservarlo se non facendone marmellata con l’aggiunta di miele o di zucchero; così avviene per la castità non ancora ferita e contaminata: sono tanti i modi per conservarla, ma una volta intaccata, può conservarla soltanto una devozione eccellente che, come ho detto spesso, è l’autentico miele e lo zucchero delle anime.

Le vergini hanno bisogno di una devozione semplice e delicata, per bandire dal loro cuore ogni genere di pensieri curiosi ed eliminare con un disprezzo totale ogni genere di piacere immondo che, a essere sinceri, non meritano nemmeno di essere considerato dagli uomini, visto che i somari e i porci li superano in questo campo.

Quelle anime pure stiamo bene attente; senza alcun dubbio dovranno sempre avere per certo che la castità è incomparabilmente molto meglio di tutto ciò che le è contrario; il nemico, infatti, dice S. Girolamo, spinge fortemente le vergini al desiderio di provare il piacere. A tal fine lo rappresenta loro molto più attraente e delizioso di quanto non sia; questo le turba molto, dice quel Padre, perché pensano che quello che non conoscono sia più dolce.

La piccola farfalla ci è maestra: vedendo la fiamma così bella vuol provare se non sia altrettanto dolce; e, spinta da questo desiderio, non si arrende finché, alla prima prova, ci rimane. I giovani agiscono allo stesso modo: si lasciano talmente affascinare dal falso e vuoto luccichio delle fiamme del piacere che, dopo averci girato intorno con mille pensieri curiosi, finiscono per cadere e perdersi. In questo sono più sciocchi delle farfalle, perché quelle, in una certa misura, hanno motivo di pensare che il fuoco sia anche buono perché è veramente bello; mentre questi sanno bene che quello che vogliono è disonesto, ma non per questo tagliano la stima folle ed esagerata che hanno del piacere.

Per gli sposati dico che è sicuro, anche se la gente comune non riesce a pensarlo, che la castità è loro molto necessaria; per essi non consiste nell’astenersi in modo totale dai piaceri carnali, ma nel sapersi moderare. Ora, a mio parere, il comando: Adiratevi e non peccate, è più difficile di quest’altro: Non adiratevi affatto. Riesce più facile evitare la collera che controllarla. Lo stesso si può dire dei piaceri carnali: è più facile astenersene completamente che essere moderati.

E’ vero che la grazia del sacramento del matrimonio dà una forza particolare per attenuare il fuoco della concupiscenza, ma la debolezza di coloro che ne usufruiscono passa facilmente alla permissività, poi alla dissoluzione, dall’uso all’abuso.

Molti ricchi sono ladri, non per bisogno, ma per avarizia. Così molta gente sposata ruba piaceri disordinati solo per mancanza di padronanza e lussuria, benché abbiano un campo legittimo sufficientemente ampio nel quale muoversi; la loro concupiscenza assomiglia a un fuoco fatuo, che balla qua e là senza fermarsi in alcun luogo.

E’ sempre pericoloso prendere medicine troppo forti, perché qualora se ne prenda più della giusta dose, o anche se la medicina non è stata ben preparata, ce ne viene del danno: il matrimonio è stato istituito, in parte, anche quale rimedio della concupiscenza; senz’altro è un rimedio di ottima efficacia, ma , attenzione, perché è molto forte, di conseguenza può essere molto pericoloso se non è usato con discrezione.

Aggiungo che i casi della vita, oltre alle lunghe malattie, spesso separano i mariti dalle mogli. Ecco perché gli sposati hanno bisogno di due generi di castità: la prima, per essere capaci di vivere in astinenza assoluta quando sono separati, nelle occasioni cui ho appena accennato; la seconda, per essere capaci di moderarsi, quando vivono insieme.

S. Caterina da Siena vide tra i dannati dell’inferno molti che erano tormentati con supplizi particolarmente atroci per avere profanato la santità del matrimonio: e questo era loro capitato, diceva, non per la gravità del peccato in sé, perché gli omicidi e le bestemmie sono più gravi, ma perché coloro che li avevano commessi vi avevano preso l’abitudine senza più farci caso, e così avevano persistito negli stessi per lungo tempo.

Vedi dunque che la castità è necessaria a tutti. Procura di essere in pace con tutti, dice l’Apostolo, e di possedere la santità senza di cui nessuno vedrà Dio. Ora, per santità, secondo S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, intende la castità.

 Filotea, è proprio vero, nessuno vedrà Dio se non è casto, nessuno abiterà nella sua santa tenda se non è puro di cuore; e, come dice il Salvatore stesso: I cani e i peccatori di sensualità ne saranno esclusi, e beati i puri di cuore perché vedranno Dio.

giovedì 19 maggio 2011

Sessualità umana - XV appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Restando sempre nel tema dell'itinerario formativo all'interno della famiglia, oggi vediamo come l'autore voglia porre l'accento sull'uso dei mass media che rischiano di minare seriamente la crescita e lo sviluppo morale dei più giovani: vengono riportare anche le parole del Beato Giovanni Paolo II che aveva visto come soprattutto la televisione poteva divenire un pericolo, uno strumento di disgregamento morale di massa che avrebbe sicuramente influenzato l'iter formativo dei giovani e anche e soprattutto dei bambini. A distanza di quasi dieci anni, quelle parole trovano riscontro nella realtà odierna, dominata dal cattivo uso dei mass media: in particolare, l'accesso sempre più facile alla Rete, aumentano le possibilità per adolescenti e giovani, di entrare in contatto con il mondo perverso della pornografia, capace di pervertire anche i cuori più innocenti. In effetti, proprio questo rappresenta il pericolo più grande e diffuso nell'itinerario formativo dei giovani: pochi ne sono esenti e molti si lasciano attrarre da quelle immagini privi di amore, moralità e degni rappresentanti di una distorsione del profondo significato sessuale. 
C'è bisogno di un intervento da parte delle famiglie che devono ribellarsi ad una pornografia così facilmente fruibile da parte di chiunque, persino da parte di bambini che inconsciamente si ritrovano su siti dal contenuto offensivo, violento, immorale e impudico. Abbiamo in sostanza bisogno che le famiglie richiedano l'intervento delle autorità pubbliche perché se non si compie questo passo decisivo, moltissimi giovani cresceranno contaminati da una perversione sessuale che legherà l'anima ai desideri contrari allo spirito. Ed in sostanza vedremo aumentare tutte le distorsioni della sfera sessuale: aborti, gravidanze indesiderate, violenze sessuali, atti di libidine, pratiche immorali compiute persino in ambienti pubblici (noto il caso di un bambino che si è denudato in classe dinanzi ai compagni). I genitori devono fermare tutta questa deriva e controllare lo sviluppo morale dei propri figli perchè, anche se si fa fatica ad ammetterlo, anche loro possono trovarsi a contatto con questo mondo perverso che non va né minimizzato né sottovalutato per i danni sociali, morali e religiosi che esso comporta: 

V
ITINERARI FORMATIVI IN SENO ALLA FAMIGLIA

Il pudore e la modestia

56. La pratica del pudore e della modestia, nel parlare, agire e vestire, è molto importante per creare un clima adatto alla maturazione della castità, ma ciò deve essere ben motivato dal rispetto del proprio corpo e della dignità degli altri. Come si è accennato, i genitori devono vegliare affinché certe mode e certi atteggiamenti immorali non violino l'integrità della casa, particolarmente attraverso un cattivo uso dei mass media.9 Il Santo Padre ha sottolineato in proposito la necessità « che sia messa in atto una più stretta collaborazione tra i genitori, ai quali spetta in primo luogo il compito educativo, i responsabili dei mezzi di comunicazione a vario livello e le autorità pubbliche, affinché le famiglie non siano abbandonate a se stesse in un settore importante della loro missione educativa... In realtà, si devono riconoscere proposte, contenuti e programmi di sano divertimento, di informazione e di educazione complementari a quelli della famiglia e della scuola. Ciò non toglie purtroppo che, soprattutto in alcune Nazioni, vengano diffusi spettacoli e scritti in cui prolifera ogni sorta di violenza e si compie una specie di bombardamento con messaggi che minano i principi morali e rendono impossibile un'atmosfera seria che permetta di trasmettere valori degni della persona umana ».10
In particolare, riguardo all'uso della televisione il Santo Padre ha specificato: « Il modo di vivere — specialmente nelle Nazioni più industrializzate — porta assai spesso le famiglie a scaricarsi delle loro responsabilità educative trovando nella facilità di evasione (in casa rappresentata specialmente dalla televisione e da certe pubblicazioni) il modo di tener occupati tempo ed attività dei bambini e dei ragazzi. Nessuno può negare che v'è in ciò anche una certa giustificazione, dato che troppo spesso mancano strutture ed infrastrutture sufficienti per potenziare e valorizzare il tempo libero dei ragazzi e indirizzarne le energie ».11 Altra circostanza facilitante è rappresentata dal fatto che entrambi i genitori sono occupati nel lavoro, anche extra-domestico. « A subirne le conseguenze sono proprio coloro che più hanno bisogno di essere aiutati nello sviluppo della loro "libertà responsabile". Ecco emergere il dovere — specialmente per i credenti, per le donne e gli uomini amanti della libertà — di proteggere specialmente bambini e ragazzi dalle "aggressioni" che subiscono anche dai mass-media. Nessuno manchi a questo dovere adducendo motivi, troppo comodi, di disimpegno! »;12 « i genitori, in quanto recettori, devono farsi parte attiva nell'uso moderato, critico, vigile e prudente di essi ».13

La giusta intimità

57. In stretta connessione con il pudore e la modestia, che sono una spontanea difesa della persona che rifiuta di essere vista e trattata come oggetto di piacere invece d'essere rispettata ed amata per se stessa, si deve considerare il rispetto dell'intimità: se un bambino o un giovane vede che si rispetta la sua giusta intimità, allora saprà che ci si aspetta che anch'egli dimostri lo stesso atteggiamento nei confronti degli altri. In questo modo, egli impara a coltivare il proprio senso di responsabilità di fronte a Dio, sviluppando la sua vita interiore e il gusto della libertà personale, che lo rendono capace di amare meglio Dio e gli altri.

L'autodominio

58. Tutto ciò richiama più in generale l'autodominio, condizione necessaria per essere capaci di fare dono di sé. I bambini e i giovani devono essere incoraggiati a stimare e praticare l'autocontrollo e il ritegno, a vivere in modo ordinato, a fare sacrifici personali in uno spirito di amore per Dio, di autorispetto e di generosità per gli altri, senza soffocare i sentimenti e le tendenze ma incanalandoli in una vita virtuosa.

mercoledì 18 maggio 2011

Voglia di Paradiso - XV appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi concludiamo questo meraviglioso percorso che ci ha fatto davvero venire voglia di Paradiso e ringraziamo l'autore per aver scritto un'opera così semplice, ma anche così capace di trasmettere il desiderio di conoscere a fondo la realtà del Regno dei Cieli. Oggi, concludiamo con un capitolo dedicato alla gioia di vivere: è molto importante ricordare questo perchè ci sono uomini che sciaguratamente si tolgono la vita perchè schiacciati ed oppressi dal peso delle sofferenze e del dolore; Cristo però ci ha mostrato un nuovo significato del dolore e della sofferenza, un significato che queste parole che seguono svela in maniera limpida e cristallina:

12.

GIOIA DI VIVERE

La gioia esiste, ed è alla portata di tutti. Ce l'ha regalata dal cielo il Figlio eterno di Dio. Il bambino nato duemila anni fa a Betlemme è l'inizio di una primavera inarrestabile. Card. Giacomo Biffi

La gioia risiede nel più intimo dell'anima. La si può possedere in una prigione oscura, come in un palazzo sfavillante. S. Teresa di Lisieux

Gioia di vivere

La terra, dunque, è attesa del Paradiso, ma può essere essa stessa un piccolo Paradiso. Basta volerlo! Basta fare le scelte giuste che portano a vivere bene! Basta orientarsi secondo quel dettato evangelico che si riassume nelle Beatitudini e che è garanzia sicura di realizzazione personale.

Ma come fare, in concreto?

A quali valori ispirare le proprie scelte per avere la gioia, la piena riuscita personale, la voglia di vivere bene... e quindi quella goccia di Paradiso che fa bella la vita e la rende degna di essere vissuta?

Eccoti alcune scelte di vita che si ispirano ai principi fin qui descritti. Te li propongo con quel confidenziale tu che è proprio dell'amico che parla con amore al cuore dell'amico.

Mi ispiro anche a diversi pensieri già espressi in alcuni miei precedenti volumetti ai quali ti rimando per ulteriori approfondimenti.

Accogli la vita come dono

Devi convincerti che la vita è un dono, un dono d'amore offerto da quel Dio che ti ama di un amore eterno, disinteressato, infinito e personale. Non sei venuto al mondo per caso e senza un preciso disegno preordinato: fai parte di un piano divino che prevede anche te, come persona indispensabile. Sì, sei importante e indispensabile!

Non sono importanti solo gli uomini e le donne che arrivano al potere e al successo, ma sei importante anche tu, qualunque sia la tua età, la tua condizione, la tua professione... e nonostante le tue povertà e i tuoi insuccessi. Nessuno ti ama come ti ama il Signore!

Nessuno pronuncia il tuo nome con l'interesse e il calore con i quali lo pronuncia Lui! E’ incredibile: c'è un solo vero innamorato di te, ed è il tuo Creatore! Sei la sua vera grande passione... anche se tu non lo sai e non ci pensi mai!

Se riuscirai a scoprire questa Presenza amorevole e tenerissima, gusterai la gioia di esistere, e accoglierai la vita come l'ineguagliabile dono attraverso il quale il Padre vuole comunicarti la sua gioia.

Sappi accettare te stesso

Accettati per quello che sei! So benissimo che non sei contento di te: della tua persona, della tua statura, della tua immagine, dei tuoi capelli, del tuo carattere... di ciò che sei e di ciò che hai. Conduci una vita agitata e insopportabile. Vivi fra mille pensieri e fantasie irrealizzabili. Sei proprio un'infelice... proprio tu che avresti tanti motivi per essere contento, e anzi entusiasta dei doni che hai ricevuto.

Impara ad accettarti, a calmarti, a distenderti in serenità.

Abbandonati all'Amore che ti conosce, e che ha predisposto questa tua realtà personale non senza un delicato e amorevole progetto che ha una sua logica, anche se essa sfugge per ora a ogni tua verifica. Devi convincerti che, agli occhi del tuo Creatore, tu sei una cosa bella, la più bella possibile!

Sei unico, irripetibile, speciale! Sei un vero capolavoro!

Nessun altro è come te, può paragonarsi a te, può sostituirsi a te.

Tu devi solo dire: io sono io... e basta!

E se questo è vero, non ti resta che accoglierti, amarti, onorarti, e, paradossalmente, abbracciarti con gioia!

Stringi idealmente a te quella realtà preziosa che sei tu, proprio tu!

E solo dopo aver abbracciato te stesso, potrai abbracciare gli altri, donando loro quell'amore che prima hai riversato su dite.

Non invidiare nessuno!

L'invidia, vizio capitale, è fonte di grande infelicità.

Non invidiare la vita di nessun altro, perché essa non è adatta a te.

Il Padre ha preparato per te una vita su misura, ed è questa che tu possiedi: e tu sarai felice nella misura in cui saprai amarla e arricchirla.

Diventa piccolo

Sarai felice se riuscirai a divenire bambino: non nella statura, ma nella mente e nel cuore. Lo ha detto Gesù: «se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli». Sforzati di avere un cuore di bimbo, occhi di bimbo, candore di bimbo, sentimenti di bimbo... e tutto sarà più facile, tutto sarà improntato a spontaneità e a serenità. Cerca di guardare le cose con occhio limpido, escludendo quella malizia che porta a stravolgere il tuo rapporto con gli altri.
Accetta ogni cosa con quell'animo semplice che ti inclina a vedere

- prima il bene del male,

- prima l'aspetto positivo di quello negativo,

- prima ciò che unisce di ciò che separa e umilia.

Cerca di cogliere nelle persone la retta intenzione, evitando quei giudizi affrettati che portano a vedere in tutti solo il male, l'egoismo e la falsità. Fai come il bimbo che accetta ogni cosa anche sgradevole e sa perdonare subito, senza serbare rancore. Nessun adulto ha il cuore buono come quello di un bimbo! E solo se ti farai piccolo, potrai gustare questi sentimenti di felicità che sono propri di un bimbo contento!

Diventa "povero in spirito"

Riuscirai a diventare povero in spirito quando avrai acquisito un diverso modo di rapportarti con il danaro e con i beni materiali. La povertà evangelica

- è distacco dai beni terreni,

- è libertà nei loro confronti,

- è verità sul loro significato,

- è valutazione saggia del valore della ricchezza.

La povertà promulgata da Gesù è un nuovo stile di vita, un vero dono dello Spirito Santo, una beatitudine che si oppone al vizio capitale dell'avarizia e a tutte le forme di servitù che impediscono alle persone di essere felici. Sarai davvero povero quando ti sarai liberato da tutte le tue forme di esteriorità e di finzione, e sarai veramente te stesso. Sarai povero soprattutto quando avrai imparato ad accettare liberamente e serenamente i tuoi limiti e le tue miserie.

Sì, perché anche tu hai le tue povertà, e diventi sereno nel momento e nella misura in cui le sai accettare. Dio è più grande di queste tue povertà; e ciò che conta è che tu ti metta alla sua presenza con umiltà e semplicità, nella consapevolezza che puoi riuscire a fare cose grandi col suo aiuto, e giungere a quella felicità che non nasce dall'avere, ma dall'essere libero e distaccato.

Diventa "puro di cuore"

La purezza del cuore è la beatitudine più difficile da raggiungere, ma è la più feconda e sublime. Riempie il cuore di tale gioia da anticipare, in certo modo, la visione beatifica: "i puri di cuore vedranno Dio". Sarai "puro di cuore" quando avrai raggiunto il traguardo di una fede semplice, umile e non contaminata da pregiudizi e riserve continue e puntigliose. Sarai puro di cuore quando sarai giunto a un pieno equilibrio:

- del tuo corpo,

- dei tuoi sensi,

- della tua fantasia,

- dei tuoi sentimenti,

- della tua sessualità,

- della tua persona.

Sarai puro quando avrai compreso le finalità del sesso, che non è solo genitalità, istinto e piacere fine a se stesso, ma forza vitale che apre al dialogo e all'incontro personale nell'amore. Sarai puro quando vivrai l'amore come dono e non come egoismo, nel rispetto del tuo corpo e di quello degli altri, e, soprattutto, quando vivrai l'impegno esaltante di trasmettere la vita. Sarai puro quando avrai imparato:

- a non separare la sessualità dall'amore,

- a non vivere l'amore a livello di impulso,

- a non confondere l'amore con una qualsiasi attrazione fisica che ti lascia deluso e umiliato.

Se sei sposato, vivi intensamente la tua comunione d'amore, senza lasciarti sedurre dalla tentazione di costruirti una felicità diversa con qualche "innocente" avventura extra-matrimoniale... Non ti illudere: sarai felice solo nella misura in cui vivrai la tua realtà sponsale in pienezza di dedizione e senza alcuna finzione. Sarai felice quando potrai ancora guardare negli occhi il tuo consorte o la tua consorte potendogli dire: ti amo come il primo giorno! Se sei religioso o religiosa, vivi integralmente il tuo "matrimonio" senza cedimenti e senza compromessi. La gioia vera e insostituibile per te è riposta solo nel poter dire allo Sposo divino in ogni istante e a qualunque età: "sono tuo, tutto e solo tuo... oggi e per sempre!". Se sei giovane, preparati ad amare dominando, educando, ordinando la tua affettività e la tua sessualità. Sforzati di rinunciare a determinate esperienze che non ti preparano alla vita, ma anzi la distruggono anzitempo. Non avere fretta! L'amore verrà! La persona giusta verrà! Basta sapere attendere! Nell'attesa mantieni il tuo cuore puro e la tua mente libera da fantasie disordinate e inquietanti! Nulla può eguagliare l'incomparabile felicità di un cuore libero e pulito!?

Scopri la gioia della preghiera

Vivrai nella gioia nella misura in cui scoprirai che la fonte dell'autentica gioia è l'amore, nelle due dimensioni: Dio e il prossimo. Sei stato creato per amare e l'unico scopo della vita è quello di amare: «amerai il Signore, Dio tuo... e il prossimo come te stesso». Dio quindi, anzitutto, e, dopo di Lui e in Lui, il prossimo. Se riuscirai a cercare Dio e a trovarlo, donerai alla tua vita non solo uno scopo per viverla, ma anche un indefinibile contenuto di serenità, di tranquillità e di pace. Impara a metterti in contatto con Lui attraverso la preghiera.

La preghiera ti è indispensabile come lo è l'acqua per il pesce e l'aria per ogni essere vivente.

La preghiera

• è elevazione,

• è colloquio,

• è respiro,

• è mettere il proprio cuore nel cuore di Dio,

• è ascolto della Parola, che la Bibbia propone, e della voce che sale dal cuore.

Nulla infonde più gioia della preghiera personale, fatta nel raccoglimento della tua camera, dove il Padre ti attende e ti ascolta con amore! E poi c'è l'Eucaristia: la gioia di una Presenza fisica, di una Persona divina, che non solo si fa tua compagnia, ma diviene anche cibo e bevanda per le tue necessità spirituali.

Don Guanella diceva: «l'Eucaristia è il mio Paradiso in terra!», e, come tanti altri, riusciva a godere di questo Paradiso per ore e ore, senza cercare altri conforti e sostegni.

Scopri la gioia di amare

L'amore verso Dio si concretizza nell'amore verso i fratelli: «hai visto il fratello: hai visto Dio» ha scritto Tertulliano. Sei invitato ad amare tutti quelli che la Provvidenza, di attimo in attimo, ti mette vicino, cioè fa tuo prossimo. Devi amare tutti, e non solo chi è simpatico, utile e gradito.

Gesù non dice: ama il prossimo simpatico e trascura quello antipatico... E nemmeno ti autorizza a fare certe discriminazioni e a giudicare tu chi merita e chi non merita nulla. Ti dice solo di amare, e di amare quelli che ti fa incontrare, qualunque sia il loro volto, e quali che siano le loro azioni.

Ti invita a vedere in ogni persona il suo volto e a impegnarti ad amarla, come la ama Lui!

Rinuncia a certi tuoi atteggiamenti negativi e pessimisti.

Non vedere in tutti solo ciò che è male.

Non giudicare nessuno del tutto riprovevole e irrecuperabile.

Sforzati di essere con tutti buono e cortese.

Infondi in tutti speranza e fiducia, evidenziando quelle buone qualità che, più o meno, sono presenti in tutti.

Scopri la gioia di essere amico di tutti,

• di essere capace di dimenticare il male subito e di valorizzare il bene ricevuto;

• di essere uomo di conciliazione e di pace;

• di essere una persona che sa dire grazie per ogni favore e cortesia ricevuta.

Essere buoni è meglio che essere ricchi e potenti.

E solo gli uomini buoni pregustano in terra la felicità che sarà poi piena ed eterna in Paradiso!

Scopri la gioia di condividere

Ciò che rende tristi le persone è l'egoismo; ciò che le tormenta è la ricerca sfrenata di fare di se stesse il centro di ogni interesse e di ogni cosa. Ciò che le fa felici è, invece, l'apertura alle altre persone, nel dono di sé e di ciò che si possiede. Come tu stesso puoi constatare, non sei contento quando trattieni tutto avidamente per te, e sei avaro, arido, chiuso nell'adorazione dei tuoi tesori. La felicità è racchiusa in un verbo: donare. L'infelicità nel verbo: trattenere, che scaturisce da due monosillabi così frequentemente e puntigliosamente pronunciati: io, mio.

Tu allenati a compiere gesti nobili di cortesia e di generosità. Intervieni con piccoli e inaspettati segni di condivisione, specie in momenti difficili per persone amiche, e, più ancora, per persone ostili o indifferenti.

Quanta gioia nell'essere

- generosi,

- comprensivi,

- benevoli,

- attenti!

Basta poco! Basta inventare quei piccoli gesti capaci di fare bella e gustosa la vita: non solo di chi li riceve, ma, anche e soprattutto, di chi li compie!

La gioia nella sofferenza

Dice Gandhi: «La sofferenza non è che un aspetto della gioia: l'una e l'altra si susseguono immancabilmente». E Chesterton: «La gioia è il grande segreto del cristiano». Pascal afferma che «nessuno è felice quanto il vero cristiano».

Ed è vero!

Ma il cristiano deve prendere la sua croce e seguire il Maestro. Il dolore è il fedele compagno di ogni esistenza umana: si può ben dire che:

- non c'è gioia senza croce, e

- non c'è pace senza sofferenza!

E anzi le gioie più grandi sono quelle che vengono dopo le lotte più dure, le privazioni più amare, i sacrifici più eroici. Il motto di Beethoven: « la gioia è nella sofferenza», può sembrare assurdo, ma non lo è, perché, incredibilmente, nella sofferenza e dalla sofferenza scaturiscono le gioie più vere e più gustose.

Ma quali gioie?

Proviamo a descriverle e a comprenderle, anche se non sono subito evidenti!

Se stai soffrendo, puoi gustare:

• la gioia di sentirti collaboratore attivo di Dio nella realizzazione di un piano di salvezza nel quale tu sei parte attiva e insostituibile;

• la gioia di essere oggetto d'amore da parte di un Padre che ha per te grande rispetto e attenzione;

• la gioia di saperti sostenuto amorevolmente da Lui, per cui nulla ti potrà accadere senza il suo consenso;

• la gioia di sapere che «le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi»;

• la gioia di stare pregustando quella felice ed eterna contemplazione che sarà piena e duratura.

I Santi, che hanno compreso tutto questo, sono gli unici portatori di autentica gioia: non esiste un Santo coi segni della delusione e della tristezza! Essi sono nella gioia perché hanno imparato ad amare la croce, e hanno capito ché essa è il misterioso e incomprensibile dono che Dio fa ai suoi amici. La strada dell'uomo, come quella di Gesù, è una Via Crucis. Anche quella di Maria, sua Madre.

La devi percorrere anche tu, nelle quattro tappe successive:

- l'accettazione,

- la rassegnazione,

- l'offerta volontaria,

- l'adesione amorosa.

Quando sarai giunto a soffrire con amore, potrai incredibilmente assaporare la gioia che nasce proprio dal dolore. Gesù si è impegnato a intervenire personalmente, promettendo consolazione, sostegno, e quindi gioia: «beati gli afflitti, perché saranno consolati». È significativa quindi l'affermazione di S. Teresa d'Avila: « Il Paradiso del cielo consiste nei godimenti. Il Paradiso della terra consiste nei patimenti. È però tanto il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto».

La gioia ... nella morte

Ma è possibile morire con gioia? Potrò io, comune mortale, morire cantando, come Francesco d'Assisi?

Sì, potrai morire anche tu "cantando", a due sole condizioni:

• che tu ti vada lentamente convincendo che... la morte non esiste;

• che ti metta serenamente nel cammino dell'accettazione e dell'attesa.

Sforzati di ritenere che la morte non è la fine di tutto, non è una sciagura, non è un dramma, ma è semplicemente

• un passaggio,

• un "mutare stanza",

• un cambiare dimora,

• un passare da un modo di essere a un altro modo più gioioso e glorioso.

Con la morte la vita «non è tolta, ma trasformata; e, mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo». Non temere la sua venuta, perché quando essa verrà, sarà in buona compagnia; verrà col Signore, che ti si presenterà in veste di Padre, di Amico, di Sposo, e ti accoglierà con atteggiamento di festa.

Ti dirà queste esaltanti parole:

- vieni!

- finalmente!

- entra nel gaudio del tuo Signore!

La morte è il biglietto d'invito alle "nozze del re": tu come commensale importante e atteso, hai già il tuo posto assegnato: come non attendere con gioia questa chiamata regale?

Con Maria

Ma c'è un ulteriore motivo di gioia: la presenza di Maria che, invocata durante la vita, renderà il passaggio più semplice, più accettabile, più sereno. Se le starai vicino e la pregherai con fiducia durante la vita, ti sarà essa stessa vicina, con la sua presenza tenera e insostituibile. A quell'appuntamento finale sarà presente lei. Sarà lei ad aprirti quella porta e a presentarti a suo Figlio: proprio lei che è la Mamma dolcissima alla quale lo stesso Gesù ti affidò nel momento del suo ingresso in Paradiso. Dice il S. Curato d'Ars: «il cuore di Maria è così tenero che quelli di tutte le madri messe insieme al confronto non sono che un pezzo di ghiaccio».

E se tanto grande è l'amore, quell'incontro finale non potrà essere che un abbraccio di gioia e di festa!

Un gustoso episodio, per concludere

Questa piacevole storiella racchiude, volendo, tutto ciò che di più essenziale si può dire del Paradiso. Essa acquista particolare valore perché fu raccontata da Papa Luciani, Giovanni Paolo I.»

Un giorno - racconta il Papa - S. Pietro, stanco per il suo gravoso impegno di "portinaio" del Paradiso, decide di concedersi un momento di riposo, ed esce dal Paradiso. Ma, ahimé, subito si accorge di non avere preso con sé le chiavi (quelle famose chiavi riservate a lui solo!), e così si ritrova chiuso fuori, senza possibilità di rientrare. Come fare? Come riuscire a entrare e a introdurre i numerosi eletti che sono in arrivo? È proprio disperato, e non sa a quale Santo rivolgersi... proprio lui che ha avuto da Cristo il potere di aprire e di chiudere le porte del Paradiso. Non sapendo cosa fare, si affida alla collaborazione di chi è in arrivo e ha le carte in regola per entrare. Il primo ad arrivare è un grande personaggio che ha con sé una grossa borsa e tiene in mano un pesante mazzo di chiavi. S. Pietro gli chiede: possiamo provare se una delle tue chiavi riesce ad aprire?...
Le provano tutte, ma nessuna ci riesce. Nulla da fare: una vera disperazione! Arriva un Prelato dall'aria importante: stesse chiavi, stessi tentativi. Nulla! Nessuna chiave è capace di ottenere il miracolo! Dopo di lui, tante persone e tutte disponibili, ma nessuna chiave si rivela idonea allo scopo. E l'attesa si fa sempre più inquietante. Giunge finalmente una vecchietta curva e tremante. Nessuno la considera o si aspetta da lei qualcosa... Ma S. Pietro non si scoraggia e le domanda: «ma lei non ha portato proprio nulla?». La vecchietta alza timidamente la mano e mostra il suo unico tesoro: la corona del Rosario con appeso un piccolo Crocifisso. S. Pietro non esita un istante: prende il Crocifisso, lo infila nella toppa, e la porta... incredibilmente si apre!

La croce del Rosario, e non altre chiavi, ha avuto il potere sovrumano di aprire quella porta ormai chiusa per tutti! Questo gustoso episodio racchiude tre suggerimenti importanti sul modo di raggiungere il Paradiso. E cioè che:

l. sono i piccoli e gli umili quelli che, all'arrivo, troveranno spalancata la porta del Paradiso;

2. è la croce la strada maestra e sicura che ci porta con certezza alla meta del cielo;

3. è Maria, la mamma amorevole e fedele che, con la sua presenza e con la forza che ci dona nel Rosario, ci guida e ci sostiene nel cammino terreno, assicurandoci un felice approdo nel porto sicuro.