lunedì 28 febbraio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Sesto appuntamento

 Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Continuiamo soprattutto a vedere come si formi il rapporto speciale che lega Gesù a Santa Faustina: è un rapporto di amore e Gesù mostra davvero di tenere molto a Santa Faustina, al punto da concederle diverse grazie come quella importantissima di non ricevere più tentazioni impure. Inoltre, ogni qualvolta ella scorge qualche anima in procinto di peccare, assume su di sé il dolore di quel peccato per evitare che l'anima possa dannarsi e finire all'Inferno: tutto questo è espressione di grande amore perchè non è da tutti assumere su di sé il dolore causato dalla debolezza altrui. E' dunque un importante insegnamento anche per noi, nel renderci sempre disponibili ad elidere le conseguenze dell'altrui peccato e nel cercar riparazione offrendo noi stessi. Ma leggiamo direttamente dalla mano di Santa Faustina:
 

1929

Una volta, durante la S. Messa, sentii la vicinanza di Dio in una maniera particolarissima, nonostante che mi difendessi e mi tenessi lontana da Lui. Talvolta sfuggivo a Dio proprio perché non volevo essere vittima dello spirito maligno, dato che qualcbe volta m avevano detto che lo ero. E questa incertezza durò per lungo tempo. Durante la S. Messa, prima della S. Comunione, ci fu la rinnovazione dei voti. Quando uscimmo dagli inginocchiatoi e cominciammo a pronunciare la formula dei voti, improvvisamente Gesù si mise accanto a me. Aveva una veste bianca ed una cintura d'oro e mi disse: « Ti concedo eterno amore, affinché la tua purezza sia intatta ed a conferma che non andrai mai soggetta a tentazioni impure ». Gesù si slacciò la cintura d'oro che aveva e con quella cinse i miei fianchi. Da quel momento non ho più provato alcun turbamento contrario alla virtù né nel cuore, né nella mente. Compresi in seguito che questa è una delle più grandi grazie, che mi aveva ottenuto la Santissima Vergine Maria, dato che per questa grazia l'avevo pregata per molti anni. Da allora è aumentata la mia devozione per la Madre di Dio. È Lei che mi ha insegnato ad amare interiormente Iddio e come adempire in tutto la Sua santa volontà. O Maria, Tu sei la gioia, poiché attraverso Te Iddio è sceso in terra e nel mio cuore. Una volta vidi un ministro di Dio in pericolo di commettere un peccato grave, che doveva avvenire da un momento all'altro. Presi a supplicare Dio che mandasse a me tutti i tormenti dell'inferno, tutti i dolori che voleva e in cambio chiesi la liberazione e l'allontanamento di quel sacerdote dall'occasione di commettere peccato. Gesù esaudì la mia preghiera ed all'istante sentii sulla testa la corona di spine. Le spine di quella corona mi penetrarono fino al cervello. Ciò durò tre ore ed il ministro di Dio fu liberato da quel peccato ed il Signore rafforzò la sua anima mediante una grazia speciale. Una volta, il giorno di Natale, sento che s'impossessa di me l'onnipotenza, la presenza di Dio. E di nuovo evito interiormente l'incontro col Signore. Domandai alla Madre Superiora il permesso di andare a «Jozefinek: », per fare una visita alle suore. La Madre Superiora ci diede il permesso e subito dopo il pranzo, cominciammo a prepararci. Le consorelle mi stavano già aspettando sulla porta del convento. Io andai di corsa nella cella a prendere la mantellina. Ritornando dalla cella e passando vicino alla piccola cappellina, sulla soglia scorsi Gesù, il quale mi disse queste parole: « Va' pure, ma Io ti prendo il cuore ». Ed all'improvviso avvertii di non avere più il cuore nel petto. Dato che le suore mi avevano fatto osservare che dovevo andare più in fretta poiché era già tardi, me ne andai immediatamente con loro. Ma una grande insoddisfazione cominciò ad opprimermi. Una strana nostalgia s'impadronì di me. Nessuno però, tranne il Signore, era al corrente di quello che era avvenuto nella mia anima. Quando ci eravamo trattenute un attimo a « Jòzefinek », io dissi alle consorelle: « Torniamo a casa ». Le suore chiesero di riposarsi almeno un momento, ma il mio spirito non riusciva a trovar pace. Mi giustificai dicendo che dovevamo tornare prima che si facesse buio, dato che c'è un bel tratto di strada, e tornammo subito a casa. Quando la Madre Superiora ci incontrò nel corridoio, mi domandò: « Non siete ancora partite o siete già tornate? ». Risposi che eravamo già rientrate, perché non volevo tornare di sera. Mi tolsi la mantellina e mi recai immediatamente nella piccola cappella. Appena entrai, Gesù mi disse: «Vai dalla Madre Superiora e dille che non è vero che sei tornata per essere a casa prima di sera, ma perché ti ho portato via il cuore ». Sebbene la cosa mi costasse molto, andai dalla Superiora e dissi sinceramente il motivo per il quale ero tornata così presto e chiesi perdono al Signore per tutto quello che a Lui non piace. E subito Gesù inondò la mia anima di una grande gioia. Compresi che, all'infuori di Dio, non c’è contentezza da nessuna parte. Una volta vidi due suore che stavano per entrare nell'inferno. Un dolore indescrivibile mi strinse l'anima. Pregai Iddio per loro e Gesù mi disse: «Va' dalla Madre Superiora e dille che quelle due suore si trovano nell'occasione di commettere un peccato grave ». il giorno dopo lo dissi alla Superiora. Una di esse è già in stato di fervore; l'altra sta sostenendo una grande battaglia. Una volta Gesù mi disse: “Abbandonerò questa casa.. poiché vi sono cose che non Mi piacciono”. E l'Ostia uscì dal tabernacolo e si posò nelle mie mani, ed io con gioia la riposi nel tabernacolo. Il fatto si ripeté una seconda volta e io feci lo stesso. Ma la cosa si ripeté una terza volta e l'Ostia si trasformò nel Signore Gesù vivo, e Gesù mi disse: « Io non rimarrò qui più a lungo». Allora nella mia anima si risvegliò improvvisamente un grande amore per Gesù e dissi: « E io non Ti lascerò partire, Gesù, da questa casa ». E Gesù scomparve di nuovo e l'Ostia si posò nelle mie mani. La riposi nuovamente nella pisside e chiusi il tabernacolo. E Gesù rimase con noi. Per tre giorni mi preoccupai di fare l'adorazione riparatrice. Una volta Gesù mi disse: « Fa' sapere alla Madre Generale che in questa casa... succede la tal cosa... che non Mi piace e che Mi offende molto». Non lo feci sapere subito alla Madre; ma il turbamento che m'inviò il Signore, non mi permise d'attendere un momento di più e scrissi subito alla Madre Generale e la pace ritornò nella mia anima. Sperimentavo spesso sul mio corpo la Passione del Signore, sebbene ciò non fosse visibile all'esterno; di questo sono contenta, poiché Gesù vuole così. Ma questo durò per un breve periodo. Quelle sofferenze accesero nella mia anima il fuoco dell'amore per Iddio e per le anime immortali. L'amore sopporterà tutto; l'amore andrà oltre la morte; l'amore non teme niente.

domenica 27 febbraio 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Quindicesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Continua a l'approfondimento della seconda parte dell'Enciclica, dedicata al Culto Eucaristico:  il tema odierno è la partecipazione dell'immolazione con i fedeli che devono immolare sé stessi come vittima, mortificando il proprio corpo dai propri vizi:

Parte II.

Il Culto Eucaristico

La partecipazione dell’immolazione

Perché poi l'oblazione, con la quale in questo Sacrificio i fedeli offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo pieno effetto, ci vuole ancora un'altra cosa; è necessario, cioè, che essi immolino se stessi come vittima.

Questa immolazione non si limita al sacrificio liturgico soltanto. Vuole, difatti, il Principe degli Apostoli che per il fatto stesso che siamo edificati come pietre vive su Cristo, possiamo come «sacerdozio santo, offrire vittime spirituali gradite a Dio per Gesù Cristo»; e Paolo Apostolo, poi, senza nessuna distinzione di tempo, esorta i cristiani con le seguenti parole: «Io vi scongiuro, adunque, o fratelli […] che offriate i vostri corpi come vittima viva, santa, a Dio gradita, come razionale vostro culto». Ma quando soprattutto i fedeli partecipano all'azione liturgica con tanta pietà ed attenzione da potersi veramente dire di essi: «dei quali ti è conosciuta la fede e nota la devozione», non possono fare a meno che la fede di ognuno di essi operi più alacremente per mezzo della carità, si rinvigorisca e fiammeggi la pietà, e si consacrino tutti quanti alla ricerca della gloria divina, desiderando con ardore di divenire intimamente simili a Gesù Cristo che patì acerbi dolori, offrendosi col Sommo Sacerdote e per mezzo di Lui come ostia spirituale.

Ciò insegnano anche le esortazioni che il Vescovo rivolge a nome della Chiesa ai sacri ministri nel giorno della loro Consacrazione: «Rendetevi conto di quello che fate, imitate ciò che trattate, in quanto, celebrando il mistero della morte del Signore, procuriate sotto ogni rispetto di mortificare le vostre membra dai vizi e dalle concupiscenze». E quasi allo stesso modo nei Libri liturgici vengono esortati i cristiani che si accostano all'altare, perché partecipino ai sacri misteri: «Sia su […] questo altare il culto dell'innocenza, vi si immoli la superbia, si annienti l'ira, si ferisca la lussuria ed ogni libidine, si offra, invece delle tortore, il sacrificio della castità, e invece dei piccioni il sacrificio dell'innocenza». Assistendo dunque all’altare, dobbiamo trasformare la nostra anima in modo che si estingua radicalmente ogni peccato che è in essa, sia, con ogni diligenza, ristorato e rafforzato tutto ciò che per Cristo dà la vita soprannaturale: e così diventiamo, insieme con l'Ostia immacolata, una vittima a Dio Padre gradita.

La Chiesa si sforza, con i precetti della sacra Liturgia, di portare ad effetto nella maniera più adatta questo santissimo proposito. A questo mirano non soltanto le letture, le omelie e le altre esortazioni dei ministri sacri e tutto il ciclo dei misteri che ci vengono ricordati durante l'anno, ma anche le vesti, i riti sacri e il loro esteriore apparato, che hanno il compito di «far pensare alla maestà di tanto Sacrificio, eccitare le menti dei fedeli, per mezzo dei segni visibili di pietà e di religione, alla contemplazione delle altissime cose nascoste in questo Sacrificio».

Tutti gli elementi della Liturgia mirano dunque a riprodurre nell'anima nostra l'immagine del Divin Redentore attraverso il mistero della Croce, secondo il detto dell'Apostolo delle Genti: «Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già più io, ma è Cristo che vive in me». Per la qual cosa diventiamo ostia insieme con Cristo per la maggior gloria del Padre.

In questo dunque devono volgere ed elevare la loro anima i fedeli che offrono la vittima divina nel Sacrificio Eucaristico. Se, difatti, come scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona, che nel Sacrificio dell'altare è significato il generale sacrificio col quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote (e), nulla si può trovare di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che ha sofferto per noi, all'Eterno Padre. Nel Sacramento dell'altare, secondo lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è offerta anch'essa (f).

Considerino, dunque, i fedeli a quale dignità li innalza il sacro lavacro del Battesimo; né si contentino di partecipare al Sacrificio Eucaristico con l'intenzione generale che conviene alle membra di Cristo e ai figli della Chiesa, ma liberamente e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo ministro in terra secondo lo spirito della sacra Liturgia, si uniscano a lui in modo particolare al momento della consacrazione dell'Ostia divina, e la offrano insieme con lui quando vengono pronunziate quelle solenni parole: «Per Lui, con Lui, in Lui, è a te, Dio Padre Onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli»; alle quali parole il popolo risponde: «Amen». Né si dimentichino i cristiani di offrire col divin Capo Crocifisso se stessi e le loro preoccupazioni, dolori, angustie, miserie e necessità.

Non preoccupatevi di nulla, ma abbiate fiducia nella Provvidenza

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. Il Vangelo di oggi è molto importante perchè ci aiuta a riflettere sull'affidarci totalmente a Dio il quale vede e provvede. Dobbiamo seguire gli esempi dei santi che hanno davvero saputo affidarsi alla Divina Provvidenza e tutti noi abbiamo visto come essa si è presa cura di loro!
Meditiamo questa Domenica attraverso la riflessione di padre Antonio Rungi:

La parola di Dio di questa ottava domenica del tempo ordinario ci fa riflettere sulla provvidenza divina che continuamente sperimentiamo nella nostra vita. Certo per chi ha il necessario e il superfluo nella vita questo vangelo risulta di particolare attualità e soprattutto rassicurante, ma per chi non ha nulla, ha problemi di sopravvivenza, di reperire il necessario ogni giorno, magari senza neppure la possibilità di alimentarsi, questa parola risulta di speranza e di incoraggiamento a non perdere l'orizzonte di una possibile vita migliore, soprattutto se scatta la generosità e la slidarietà degli altri.
La preghiera iniziale della santa messa di oggi ci introduce nella tematica della provvidenza di Dio: "Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall'avidità e dall'egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno". Ma è soprattutto il Vangelo di oggi ad aiutarci in questo intinerario di speranza cristiana, che non esclude anche la giustizia sociale.
Di fronte al dramma della miseria e della fame nel mondo, della mancanza di lavoro questa parola sembra risuonare come contraddittoria. C'è gente che vive nell'ozio e non vuole lavorare pur avendo la possibilità di farlo; mentre altri che vorrebbero, non trovano e sono nella sofferenza perché non sanno come alimentarsi, vestirsi, assicurare a se stesso e ai propri il necessario. A chi ha possibilità di lavorare e non la fa ricordiamo con l'apostolo Paolo neppure mangi, perché la provvidenza è anche la nostra capacità di prestare servizio e di guadagnare onestamente. Non ti comprendono questo e magari c'è chi sfrutta e approfitta degli altri. L'uomo è degno di ogni attenzione da parte di Dio che considera la creatura umana la più grande messa in essere nell'atto della creazione, avendola fatta a sua immagine e somiglianza.
Basta ricordare quello che leggiamo oggi nella prima lettura di oggi tratta dal profeta Isaia per dire che Dio non ci abbandona anche nelle nostre sofferenze e nei nostri drammi quotidiani.
Il paragone che viene qui fatto, della madre che cura in modo speciale il suo figlio, ci indica il grado di attenzione che Dio ha nei confronti di ogni persona, ma Dio chiede anche la collaborazione di altri fratelli per risolvere i problemi esistenziali delle tante persone che hanno a che fare con la quotidianità. La collaborazione, la condivisione, altro argomento per riflettere oggi sulla parola di Dio che ci offre opportuni stimoli per riscoprire la nostra appartenenza alla chiesa e alla comunità dei credenti, il nostro essere per gli altri, in quanto di tutto quello che facciamo, sia quello visibile e sia quello nascosto, di tutto dobbiamo rendere conto al Signore e nella misura in cui siamo fedeli e facciamo ogni cosa per amore, non possiamo non essere in pace con la nostra coscienza.
Paolo Apostolo della Lettura di oggi, tratta dalla sua prima lettera ai Corinzi ci ricorda in modo esplicitò tutto ciò.
In conclusione, la parola di Dio di questa ottava domenica ci aiuta a mettere al centro della nostra vita il Signore, ad aver fiducia in lui e a nutrire la segreta speranza che tutto è possibile in questo mondo se ci lasciando condurre dalla divina provvidenza in ogni cosa. Con il Salmo 61 possiamo pregare cosi: "In Dio è la mia salvezza e la mia gloria; il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio. Confida in lui, o popolo, in ogni tempo; davanti a lui aprite il vostro cuore". Il Signore sa ciò che sta veramente nel profondo del nostro cuore ed ogni cosa egli ben conosce. Ciò che può darci ce lo donerà, non ci farà attendere molto, ma se qualche ritardo ci sarà è solo per verificare la nostra fede e la nostra pazienza.

sabato 26 febbraio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Quattordicesima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi scopriamo perchè San Francesco è conosciuto come il poverello d'Assisi poiché vediamo il suo stile di vita, condotto insieme ai suoi fratelli frati. C'è una grandissima dimostrazione di fede, pazienza, dominio di sé: egli non lascia praticamente alcuno spiraglio al peccato e se per caso è preda della tentazione, l'affronta con metodi quasi estremi, a dimostrazione della sua forza e perenne fedeltà al Signore. Noi stiamo vedendo cose meravigliose solamente leggendo poche righe, ma dobbiamo immaginare che queste poche righe rappresentano una vita intera: San Francesco ha vissuto in questo modo tutto l'arco della sua vita terrena, mostrando una fede unica e un attaccamento a Dio fortissimo: per questo è il Santo che più di tutti è arrivato a divenire vera imitazione di Gesù Cristo: infatti, ha voluto sopportare il dolore e la sofferenza, rinunciando al mondo e divenendo totalmente obbediente al Signore. 
Abbiamo moltissimo da imparare perchè tutti noi, nella nostra debolezza, non crediamo possibile una vera vita basata esclusivamente sulla fede. Noi ci preoccupiamo di ciò che mangeremo, di ciò che indosseremo, di ciò che faremo: ma non ci occupiamo delle cose del Padre nostro Celeste e quindi commettiamo un grave errore. Se solo riuscissimo, come San Francesco, a vedere questa vita come un pellegrinaggio verso il Regno dei Cieli, tutto ci sembrerebbe meno duro. Purtroppo abbiamo molta zavorra sul groppone e questa zavorra ci rende tutto più pesante: bisognerebbe cominciare ad alleggerire il peso, dedicandoci più a Dio che alle cose mondane, sull'esempio di questi frati: si potrebbe trascorrere maggior tempo nel volontariato, per restare al contatto con il prossimo bisognoso; si potrebbe cominciare con l'ignorare il pensiero della gente e vivere la vita così come la vogliamo vivere, senza badare troppo alle apparenze; si potrebbe dedicare maggior tempo alla preghiera anche in comunione con altri e si potrebbe donare ciò che di superfluo abbiamo. In questo modo, la nostra vita cambierebbe e la strada verso il Regno dei Cieli si farebbe meno dura da percorrere avendo meno peso sulle spalle! 
Guardiamo dunque lo stile di vita di San Francesco e dei suoi frati:


CAPITOLO SEDICESIMO

DIMORA A RIVOTORTO E OSSERVANZA DELLA POVERTÀ

42. Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere, perché, al dire di un santo c’è maggior speranza di salire più presto in cielo dalle baracche che dai palazzi.
Padre e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L'abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra; tuttavia «non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza».
San Francesco ogni giorno, anzi di continuo, esaminava diligentemente se stesso e i suoi, perché non restasse in loro nulla di mondano efosse evitata qualsiasi negligenza. Con se stesso era particolarmente rigoroso e vigile, e se, come avviene a tutti, lo assaliva qualche tentazione della carne, si immergeva d'inverno nel ghiaccio, finché il pericolo spiritualé fosse scomparso. Gli altri, naturalmente, imitavano fervidamente questo suo mirabile esempio di penitenza.

43. Insegnava loro non solo a combattere i vizi e a mortificare gli stimoli del corpo, ma anche a conservare puri i sensi esterni, per i quali la morte entra nell'anima.
Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l'imperatore Ottone, che si recava a ricevere «la corona della terra» il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all'imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco.
Siccome il glorioso Santo aveva la sua dimora nell'intimo del cuore, dove preparava una degna abitazione a Dio, il mondo esteriore con il suo strepito non poteva mai distrarlo, né alcuna voce interrompere la grande opera a cui era intento. Si sentiva investito dall'autorità apostolica, e perciò ricusava fermamente di adulare re e principi.

44. Cercava costantemente la santa semplicità, né ammetteva che l'angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento dell'animo.
Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un contadino vi giungesse col suo asinello, e temendo di essere cacciato fuori, spinse l'asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: «Entra, che faremo un buon servizio a questo ricovero!». Francesco nell'udire questo si rattristò, indovinando il pensiero di quell 'uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro abitazione, unendo casa a casa. E subito san Francesco abbandonò quel luogo, per recarsi in un altro non distante, chiamato Porziuncola, dove, come si disse, molto tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria. Non voleva avere nulla di proprio, per poter possedere più pienamente tutto nel Signore.


venerdì 25 febbraio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Trentaduesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta alla Seconda Lettera ai Corinzi:
Prima parte della Seconda Lettera ai Corinzi   
 
Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4l quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo. La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.

Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita. Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. 10 Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché, per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.

Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio, non con la sapienza della carne ma con la grazia di Dio.  Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine, come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.

Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia, e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea. Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo "sì, sì" e "no, no"? Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria. È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.

Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto. Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi.

COMMENTO

Eccoci alla seconda Lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi, una lettera molto importante, significativa e persino considerata come una vera e propria opera letteraria.
Ovviamente la lettera comincia con i consueti saluti di San Paolo ai Corinzi, ma stavolta sembra mancare un introduzione, in quanto San Paolo comincia già a trattare argomenti molto importanti. Ci sono alcuni elementi che scaturiscono da questo passo iniziale: innanzitutto scopriamo che San Paolo ha subito una dura persecuzione in terra asiatica, una persecuzione che gli è quasi costata la vita. Però, scopriamo anche che San Paolo non si è arreso né scoraggiato dopo quell'episodio persecutorio, ma ha anzi tratto maggior forza, vigore e consapevolezza: ed ora, tutte queste cose, egli le vuole trasmettere ai suoi interlocutori. Infatti, egli ci dice come le tribolazioni sono naturali per un cristiano il quale è reso però partecipe anche della consolazione. Tutto questo ci fa venire in mente la figura di diversi uomini santi, ma in particolar modo quella di San Francesco di Assisi e quella di San Pio da Pietrelcina. Entrambi sono stati chiamati alla tribolazione reale, carnale, in tutto e per tutto simile alla tribolazione di Cristo: ma allo stesso modo, essi sono stati ricolmati di consolazione dallo Spirito Consolatore. Soprattutto scoprendo la vita di San Pio ci rendiamo conto come tribolazione e consolazione siano due aspetti fondamentali che contraddistinguono il vero discepolo di Cristo: essi viaggiano di pari passo in quanto alla tribolazione segue sempre la consolazione. Non possiamo, dunque, immaginare di seguire Cristo senza condividerne le tribolazioni: ma accettar questo, ci porta ad esser in piena comunione con Lui e allo stesso modo ci rende destinatati della consolazione del Figlio dell'Altissimo il quale non ci lascia mai soli, come da Lui stesso annunciato (...fino alla fine dei tempi).
San Paolo ha sperimentato questa realtà e ora vuole far in modo che anche i Corinzi apprendano dalle sue esperienze tormentate: egli vuole renderli forti attraverso la consapevolezza che ogni tribolazione verrà elisa dalla consolazione e che le difficoltà serviranno per rafforzare gli animi.
Dunque non dobbiamo spaventarci dinanzi alle difficoltà che la fede comporta: anzi, dobbiamo esser lieti di poterle affrontare perchè così saremo in grado di vivere realmente come Gesù desidera, soprattutto in piena comunione con Lui. 

Ancora una volta, troviamo un importante insegnamento a dimostrazione del fatto che San Paolo non ha mai sprecato le sue parole: però, in questo passo, traspare anche qualcos'altro e cioè sembra quasi che ci siano state delle evidenti incomprensioni tra San Paolo ai Corinzi. Vediamo, infatti, come ad un certo punto San Paolo sembri quasi giustificare la sua condotta e il suo operato. Ma chiaramente San Paolo era in buona fede e le incomprensioni sono naturali quando si evangelizza in un modo così forte e sprezzante: anche i santi hanno generato incomprensioni, all'interno della stessa Chiesa poiché il loro agire e il loro parlare secondo veri canoni evangelici, a volte spaventava oppure generava risentimento o rabbia per come si era trattati. Abbiamo visto come San Paolo ha rimproverato più volte i Corinzi nella prima lettera e quindi qualche incomprensione risulta sicuramente normale. E' bello però vedere come egli cerca subito di appianare ogni divergenza, spiegando la sua azione e la sua condotta nonché il perchè del cambio di programma che non lo ha più visto andare in mezzo ai Corinzi.

giovedì 24 febbraio 2011

Sessualità umana - IV appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Continuiamo la lettura relativa all'amore come dono di sé e vediamo come l'amore raggiunga la sua massima espressione all'interno del rapporto coniugale. Dio ha voluto che il sesso fosse nons olo un unione materiale e fisica, ma anche e soprattutto un unione spirituale: si ha così una fusione tra due corpi e soprattutto tra due anime. Non solo si ha una fusione così profonda, ma da questa fusione scatta la scintilla della vita! Dunque Dio ha fatto in modo che l'uomo e la donna non solo si donassero vicendevolmente, ma ha fatto anche in modo che essi, in comunione, potessero donare la vita, cooperando con Dio. Questa è l'espressione massima dell'amore: donazione totale e gratuita per la vita! 
Allora, non possiamo continuare a concepire la sessualità come uno sfogo della natura o come un mezzo di piacere personale, distensivo e anti-stress: la sessualità è dono totale non verso sé stessi, ma verso il coniuge e qualunque distorsione di questo disegno divino è sicuramente immorale e contrario a Dio stesso. Oggi, si è diffuso il cattivo insegnamento che il sesso sia una cosa naturale per giungere al piacere: ma chi dice queste cose non fa altro che insegnare a trasgredire i precetti divini che sono precetti di amore, di donazione e non di freddo egoismo:


I

CHIAMATI AL VERO AMORE

L'amore coniugale

14. Quando l'amore è vissuto nel matrimonio, esso comprende ed oltrepassa l'amicizia e si realizza tra un uomo e una donna che si donano nella totalità, rispettivamente secondo la propria mascolinità e femminilità, fondando con il patto coniugale quella comunione di persone in cui Dio ha voluto che venisse concepita, nascesse e si sviluppasse la vita umana. A questo amore coniugale, e soltanto a questo, appartiene la donazione sessuale, che si « realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte ».16 Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda: « Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un pegno della comunione spirituale. Tra i battezzati, i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento ».17

L'amore aperto alla vita

15. Segno rivelatore dell'autenticità dell'amore coniugale è l'apertura alla vita: « Nella sua realtà più profonda, l'amore è essenzialmente dono e l'amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca "conoscenza"..., non si esaurisce all'interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente dell'unità coniugale e sintesi viva e indissociabile del loro essere padre e madre ».18 È a partire da questa comunione di amore e di vita che i coniugi attingono quella ricchezza umana e spirituale e quel clima positivo per offrire ai figli il sostegno dell'educazione all'amore e alla castità.

mercoledì 23 febbraio 2011

Voglia di Paradiso - V appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi leggiamo un'accurata analisi di Mons. Pederzini sul perchè oggi si faccia tanta fatica ad accettare il Paradiso. Ed è proprio vero che il mondo di oggi fa molta fatica ad accettare il Paradiso, al punto che molti preferirebbero pensare ad allungare la vita qui piuttosto che pensare ad abbracciare la vita eterna lassù. Sono pensieri dettati certamente da un'influenza maligna e materialista: noi uomini siamo più propensi a guardare il presente, aspirando al tutto subito; in sostanza non siamo in grado di guardare oltre, di guardare con la prospettiva dell'eternità e questo è un grave problema perchè cancellando il pensiero del Paradiso, l'uomo diviene facilmente preda di ogni tipo di male, non solo inteso nel senso della schiavitù del peccato, ma inteso anche come male spirituale (pensiamo alle depressioni sempre più frequenti, alle crisi di panico, alle malattia dell'anima). 
Inoltre, il mondo di oggi non facilita certo la situazione poiché ispira nell'uomo un forte materialismo, allontanando gli uomini dalla contemplazione e dalla preghiera che invece sono delle vere e proprie armi per raggiungere il Paradiso:

3.

PERCHÉ TANTA FATICA AD ACCETTARE IL PARADISO?

Ogni curiosità ha avuto termine dopo Gesù. Ogni ricerca deve cessare dopo di Lui.

Dobbiamo solo avere fede e non cercare altro. Tertulliano

L'occhio del mondo non vede più lontano della vita.

L'occhio del credente vede fino in fondo all'eternità. Pascal

Perché tanta fatica ad accettare il Paradiso? C'è dunque voglia di Paradiso?

Evidentemente non troppa, almeno sul piano numerico. Si direbbe che sono più quelli che ne hanno poca VOGLIA, di quelli che ne hanno molta.

La maggior parte delle persone:

- non ne parla,

- non si impegna a conoscerlo,

- non si preoccupa di raggiungerlo.

Queste persone sono troppo radicate nella loro materialità e troppo prese dai loro problemi immediati per dar valore a realtà future, che non hanno immediata incidenza sulla vita quotidiana!

Per molti, anche credenti, il Paradiso

• è un'invenzione per allietare gli scontenti,

• è un comodo rifugio per consolare i sofferenti,

• è un'efficace barriera per frenare le rivendicazioni dei poveri,

• è un'allettante risposta alle richieste di una maggiore giustizia sociale.

C'è dunque sì VOGLIA di Paradiso, ma di un paradiso terreno, immediato, palpabile, costruito con mani d'uomo e più adatto alle necessità e ai gusti personali.

Perché tanta fatica ad accettare il Paradiso?

Dice S. Tommaso d'Aquino: «converti autem ad beatitudinem ultimam, homini quidem est difficile propter duo: quia est supra naturam, et quia habet impedimentum ex corruptione corporis et infectione peccati». Parafrasando e adattando al tempo presente, possiamo tradurre: lo slancio verso il Paradiso è sempre stato difficile, ma lo è in particolare ora, per due motivi:

• perché la felicità eterna è una realtà ultraterrena, e

• perché l'uomo, corrotto dal peccato e dalle cattive abitudini, oggi più di ieri fa una grande fatica a elevarsi fino alle cose spirituali e future. Nel mondo di oggi, diminuendo la fede e la contemplazione, è subentrato un senso di indifferenza e di ripulsa nei confronti delle cose celesti.Un tempo si contemplava di più e, ovviamente, si pensava di più al Paradiso, che è il termine ultimo di ogni contemplazione. Oggi, per tanta gente, le prospettive celesti si sono abbassate perché alla contemplazione si è purtroppo sostituito un diffuso sistema di attivismo e di materialismo, che è un forte ostacolo nell'ascendere verso realtà future e trascendenti.

Vediamo nel dettaglio le difficoltà soggettive e oggettive di questo fenomeno.

1. Le difficoltà soggettive

Sono le difficoltà che nascono da situazioni personali che normalmente hanno origine:

• dalle attuali condizioni di vita e di costume,

• dall'orientamento del pensiero moderno,

• da alcune correnti di spiritualità del nostro tempo.

A) LE ATTUALI CONDIZIONI DI VITA E DI COSTUME

La vita moderna, col suo massacrante attivismo, ci distrae dalle realtà trascendenti e veramente importanti; e ci porta a vedere solo ciò che le cose offrono al loro esterno.

Il crescente benessere porta a pensare sempre più alla terra e sempre meno al cielo.

Il progresso e la tecnica portano l'uomo a considerare il mondo come fine a se stesso e già ricco di tali meraviglie e risorse da non aver bisogno di aspirare a cose diverse e superiori.

L’uomo di oggi si chiede:

• perché credere nei miracoli ormai passati di moda?

• perché pensare al soprannaturale?

• perché rifugiarsi in un Paradiso senza consistenza e senza scopo?

• perché attendere un amore futuro, quando di amori facili e immediati ce ne sono tanti sulla terra?

• perché attendere un bene eterno, correndo il pericolo di trascurare l'attimo felice presente, che è la sola realtà di cui ci è dato il possesso?

• perché rischiare di non godere dei beni terreni concreti, per attendere a beni futuri avvolti nel mistero?

In una parola: L’uomo moderno preferisce lasciarsi travolgere dalle facili attrattive dei sensi, anziché lasciarsi trascinare dalle impalpabili delizie dello spirito.

B) L'ORIENTAMENTO DEL PENSIERO MODERNO

Il pensiero moderno ha tanti nomi e tanti orientamenti diversi e affini. Si chiamano:

- scientismo,

- tecnicismo,

- problematicismo,

- neopositivismo,

- materialismo storico,

- esistenzialismo...

sono tanti e con diversi contenuti, ma hanno un denominatore comune che li unisce nella negazione e nell'allontanamento dal trascendente e dal divino.

Essi sostanzialmente affermano che:

• Dio non esiste, o se esiste, è ben lontano dal preoccuparsi degli uomini e delle loro vicende presenti e future;

• la persona umana sulla terra non ha senso e non ha scopo: la sua vita è un cammino senza interessi e senza precisa destinazione;

• ciò che compie non ha alcun significato e nessun valore per il futuro;

• al termine della vita nessuno lo attenderà, e tanto meno ci sarà chi vorrà riconoscere e ricompensare ciò che ha fatto di bene sulla terra.

C) ALCUNE CORRENTI DI SPIRITUALITA’ DEL NOSTRO TEMPO

La spiritualità moderna, più concreta che teorica, in alcune sue correnti sembra contribuire a rallentare, anch'essa, lo slancio verso la Patria celeste.

Vi sono movimenti nella Chiesa che, pur annunciando il Paradiso, privilegiano l'attivismo caritativo e sociale a danno della preghiera e della riflessione mistica. Alcuni credenti sono divenuti dei "marxisti bianchi" che minimizzano, e a volte ironizzano, su talune scelte di vita contemplativa (come la clausura), preferendo Marta a Maria.

Questi cristiani affermano che la contemplazione e l'attesa del Paradiso sono una conseguenza della mentalità medievale: occorre allontanare questa eredità del passato per una maggiore fedeltà al messaggio evangelico.

Gli autentici discepoli di Cristo - essi dicono - devono essere più pratici che teorici; più impegnati a costruire un mondo migliore che a sognarne uno più lontano e distaccato.

E di conseguenza devono fare meno discorsi sul Paradiso e dedicarsi a rendere più accogliente e vivibile la terra.

2. Difficoltà oggettive

Sono le difficoltà che nascono dall'oggetto, cioè dalla nozione stessa dei Paradiso e dal modo col quale esso viene normalmente presentato.

Il Paradiso cristiano è poco desiderato o addirittura rifiutato perché:

a) è considerato uno stato passivo e monotono, una specie di rifugio dove vige un forzato riposo, e non il luogo di una felicità attiva e dinamica.

Si dice: che noia sarà vedere sempre quel Volto, sempre quelle cose, sempre quelle persone, senza mai possibilità di cambiare! E che tristezza dover contemplare quelle facce così poco simpatiche e gioiose che popolano le nostre chiese!

b) è un godimento individuale, riservato al singolo e non partecipato agli altri.

Non è accettabile un Paradiso dove il godimento è soggettivo, personale e individuale, da parte di un mondo così infatuato di socialità!

Non è possibile pensare sempre e solo alla "salvezza dell'anima mia", come se al mondo non ci fosse che "il mio insuperabile io"! Siamo tanti e non possiamo non godere insieme: gli uni con gli altri, gli uni per gli altri!

c) è una gioia troppo intellettualistica perché è capace di appagare il solo intelletto e non tutto l'uomo.

Si dice: il pensiero classico, platonico e neoplatonico, considerava la verità come esistente al di fuori e al di sopra del mondo dei sensi, e quindi considerava il Paradiso come una pura visione dell'assoluta Verità e Bellezza. E così è anche per il pensiero cristiano.

Ma per noi, calati nella realtà sensibile, è tanto difficile desiderare e amare le realtà astratte!

È difficile concepire un'eternità vissuta solo per conoscere e per guardare Dio! È impensabile un Paradiso presentato come appagamento di una sola facoltà, quella conoscitiva; e non di tutta la persona!

d) è una beatitudine soprannaturale, e quindi una realtà priva di rigore scientifico e di dimostrazione razionale: è più una favola consolatoria che un dato oggettivo e sicuro

Si dice: come può essere accettato un mondo futuro che non lascia possibilità di verifica?

Come può essere creduto un Paradiso dal quale nessuno ha mai fatto ritorno per confermarci la verità di quanto crediamo?

Come può essere creduto un Dio che fa tante promesse ma che non appare mai per svelarci totalmente il suo e il nostro mistero?

e) è un bene legato all'evento-morte, e quindi tale da non poter suscitare desiderio e attesa.

Si dice: la morte

- è un evento innaturale, devastante, assurdo,

- è la distruzione della persona,

- è l'umiliazione dell'uomo,

- è la separazione forzata dagli affetti più teneri... e allora:

come può attrarre un Paradiso lontano, quando per potervi entrare dobbiamo uscire dalla nostra casa e lasciare tutto ciò che è caro?

Vi è la diffusa convinzione che nessun Paradiso celeste, invisibile e astratto, potrà mai compensare il distacco da ciò che forzatamente dovremo lasciare in questo mondo, nel quale dobbiamo spesso piangere sì, ma tutto sommato, riusciamo a piangere... anche volentieri!

Per tutti questi motivi...

... il Paradiso è un Bene difficile da comprendere, da illustrare e da amare.

È tanto difficile che è possibile raggiungerlo solo attraverso la fede. Non c'è altra strada; non ci sono altri argomenti convincenti. E quindi:

• per fede, possiamo accettare l'esistenza e la natura del Paradiso;

• con la fede possiamo

- accoglierlo,

- amarlo,

- desiderarlo, come l'oggetto

martedì 22 febbraio 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XV

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi al centro dell'attenzione vi è la figura dell'anziano. Sono solo poche parole che vengono spese oggi, ma sono parole che inducono ad una profonda riflessione sul ruolo che riconosciamo agli anziani, non solo in ambito familiare, ma anche in ambito sociale. Purtroppo, oggi vi è una pericolosa generalizzazione che si traduce nell'analogia molto brutta tra anzianità e incapacità mentale. E' vero che ci sono casi in cui la senilità incide sulla capacità di comprensione e ragionamento, ma non si può far di tutta l'erba un fascio. Ci sono moltissimi anziani che danno molto alla società e ci sono moltissimi anziani che potrebbero dar molto ancora, se solo gliene dessimo l'opportunità. Pensiamo al nostro Papa Benedetto XVI che dimostra grande saggezza e forza; pensiamo al Venerabile Giovanni Paolo II che è rimasto lucido e uomo straordinario sino alla fine; pensiamo a donne di grande forza e scienza come Rita Levi da Montalcini e pensiamo a quelle migliaia di donne che servono la Chiesa, aiutando i sacerdoti e aiutando nei compiti parrocchiali. Se dunque in ambito sociale gli anziani sono ancora in grado di dare un contributo così incisivo, anche in ambito familiare l'anziano merita molto più rispetto e attenzione, ricordando che l'emarginazione, la solitudine, sono ciò che di peggio si possa fare. E' difficile comprendere come si possano considerare i propri vecchi genitori solo come pesi da scaricare nelle case di riposo ed è difficile comprendere come si possa festeggiare qualcosa sapendo che una persona a noi cara è sola e non ha nessuno con cui festeggiare. Sentiamo spesso parlare di abbandono di animali (una pratica ingiusta e scorretta), ma dobbiamo parlare soprattutto di quel fenomeno rappresentato dall'abbandono degli anziani. Ecco, Giovanni Paolo II ce lo ha ricordato e ci ha ricordato che dobbiamo riconsiderare i nostri anziani, sia per la loro saggezza e sia per il loro essere oltre le barriere generazionali:

PARTE TERZA
I COMPITI DELLA FAMIGLIA CRISTIANA

I. La formazione di una comunità di persone

Gli anziani in famiglia

27. Ci sono culture che manifestano una singolare venerazione ed un grande amore per l'anziano: lungi dall'essere estromesso dalla famiglia o dall'essere sopportato come un peso inutile, l'anziano ridervi parte attiva e responsabile - pur dovendo rispettare l'autonomia della nuova famiglia - e soprattutto svolge la preziosa missione di testimone del passato e di ispiratore di saggezza per i giovani e per l'avvenire.

Altre culture, invece, specialmente in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione, che sono fonte ad un tempo di acute sofferenze per loro stessi e di impoverimento spirituale per tante famiglie.

E' necessario che l'azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, e in particolare nella famiglia. In realtà, «la vita degli anziani ci aiuta a far luce sulla scala dei valori umani; fa vedere la continuità delle generazioni e meravigliosamente dimostra l'interdipendenza del Popolo di Dio. Gli anziani inoltre hanno il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano. Quanti bambini hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole e nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che «corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Pr 17,6) (Giovanni Paolo PP. II Discorso ai partecipanti all'«International Forum on Active Aging» 5 [5 Settembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 539).
 

lunedì 21 febbraio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quinto appuntamento

 Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Oggi continuiamo a leggere i tormenti che Santa Faustina ha dovuto affrontare, ma vediamo anche come il Signore Gesù era con lei, sostenendola e dandole la forza di affrontare sfide molto difficili e faticose.
Molte anime attraversano tormenti simili e molte anime vagano senza comprendere che la vera fonte di sostegno è Gesù: l'anima di Santa Faustina non trova sollievo se non in Gesù e questo deve farci comprendere come possiamo trovare ciò che cerchiamo, colmando i vuoti che proviamo, soltanto se ci rivolgiamo a Lui che ci attende amorevolmente, così come ha atteso Santa Faustina. 
E' vero, bisogna soffrire, ma il premio di tanta sofferenza è immenso e sin da ora possiamo scorgerne alcuni aspetti. Inoltre, Gesù dimostra di non essere affatto insensibile alle nostre preghiere, mostrandoci come la preghiera può giungere a salvare città intere, esattamente come accaduto in passato con la preghiera d'intercessione di Abramo:

Le sofferenze non diminuiscono affatto. Debolezza fisica; dispensa da tutte le pratiche di pietà, o meglio loro sostituzione con giaculatorie. Venerdì Santo. Gesù attrae il mio cuore nel centro infuocato dell'amore. Ciò è avvenuto durante l'adorazione serale. Improvvisamente la presenza di Dio s'impadronì di me. Dimenticai ogni cosa. Gesù mi fa conoscere quanto ha sofferto per me. Questo durò molto brevemente. Una nostalgia tremenda. Un desiderio ardente di amare Dio.

I primi voti.

Un ardente desiderio di annientarmi per Dio mediante un amore attivo, ma che sfugga all'occhio anche delle suore che mi stanno più vicino. Anche dopo i voti però l'oscurità continuò a regnare nella mia anima fino a circa metà dell'anno. Durante la preghiera Gesù penetrò tutta l'anima mia. L'oscurità scomparve. Udii nell'intimo queste parole: «Tu sei la Mia gioia, tu sei delizia del Mio cuore ». Da quel momento percepli nel cuore, cioè nel mio intimo, la Santissima Trinità. In maniera sensibile mi sentii inondata di luce divina. Da allora la mia anima vive in intimità con Dio, come un bimbo col proprio padre affezionato. Una volta Gesù mi disse: « Va' dalla Madre Superiora e pregala di autorizzarti a portare il cilicio per sette giorni e durante la notte ti alzerai una volta e verrai in cappella ». Risposi di si, ma avevo una certa difficoltà a recarmi dalla Superiora. Verso sera Gesù mi chiese: « Fino a quando rimanderai?». Decisi di parlarne alla Madre Superiora al primo incontro. il giorno dopo prima di mezzogiorno mi accorsi che la Madre Superiora andava in refettorio e siccome la cucina, il refettorio e la stanzetta di Suor Luisa si trovano quasi assieme, invitai la Madre Superiora nella stanzetta di Suor Luisa e le riferII la richiesta di Gesù. La Madre mi rispose: « Non le permetto di portare nessun cilicio. Nel modo più assoluto. Se Gesù le dà la forza di un colosso, le permetterò queste mortificazioni ». Mi scusai con la Madre per averle fatto perdere tempo ed uscII dalla stanzetta. All'improvviso vidi Gesù in piedi sulla porta della cucina e Gli dissi: « Mi ordini di andare a chiedere delle penitenze, che la Madre Superiora non intende permettere ». Allora Gesù mi disse: «Ero qui durante il colloquio con la Superiora e so tutto e non voglio le tue mortificazioni, ma l'obbedienza. Con questo Mi dai una grande gloria ed acquisti dei meriti per te ». Una delle Madri, quando venne a conoscere il mio stretto rapporto con Gesù, mi disse che ero una povera illusa. Mi disse che Gesù manteneva rapporti simili solo coi santi « e non con anime peccatrici come lei, sorella ». Da quel momento fu come se diffidassi di Gesù. In un colloquio mattutino dissi a Gesù: « Gesù, non sei per caso un'illusione? ». Gesù mi rispose: « Il Mio amore non delude nessuno ». Una volta stavo riflettendo sulla SS. Trinità, sull'Essenza di Dio. Volevo assolutamente approfondire e conoscere chi è questo Dio... In un istante il mio spirito venne come rapito in un altro mondo. Vidi un bagliore inaccessibile e in esso come tre sorgenti di luce, che non riuscii a comprendere. E da quella luce uscivano parole sotto forma di fulmini, che si aggiravano attorno al cielo ed alla terra. Non comprendendo nulla di questo, mi rattristai molto. Improvvisamente dal mare di luce inaccessibile usci il nostro amato Salvatore, di una bellezza inconcepibile, con le Piaghe sfavillanti: E da quella luce si udì questa voce: « Qual è Dio nella Sua essenza, nessuno potrà sviscerarlo, né la mente angelica, né umana ». Gesù mi disse: « Procura di conoscere Dio attraverso la meditazione dei Suoi attributi ». Un momento dopo Gesù tracciò con la mano il segno della croce e scomparve.

Una volta vidi una gran folla di gente nella nostra cappella, davanti alla cappella e sulla strada, perché non c'era posto nella cappella. La cappella era addobbata per una solennità. Vicino all'altare c'era un gran numero di ecclesiastici, poi le nostre suore e molte di altre congregazioni. Aspettavano tutti la persona che doveva prendere posto sull'altare. Ad un tratto sentii una voce che diceva che io dovevo prendere il posto sull'altare. Però appena uscii dall'abitazione, cioè dal corridoio per attraversare il cortile ed andare in cappella seguendo la voce che mi chiamava, ecco che tutta la gente cominciò a gettarmi addosso tutto quello che poteva: fango, sassi, sabbia, scope, tanto che in un primo momento rimasi indecisa se proseguire o meno; ma quella voce mi chiamava con insistenza ancora maggiore ed allora, nonostante tutto, cominciai ad avanzare coraggiosamente. Quando attraversai la soglia della cappella, i superiori, le suore, le educande e perfino i genitori cominciarono a colpirmi con quello che potevano tanto che, volente o nolente, dovetti salire in fretta al posto destinato sull'altare. Non appena occupai il posto destinato, subito quella stessa gente e le educande, e le suore, e i superiori, e i genitori, tutti cominciarono a tendere le mani ed a chiedere grazie ed io non provavo alcun risentimento verso di loro, che m'avevano scagliato addosso tutta quella roba ed anzi stranamente provavo un amore particolarissimo proprio per quelle persone che mi avevano costretta a salire più rapidamente nel posto a me destinato. In quel momento la mia anima fu inondata da una felicità inconcepibile ed udii queste parole: « Fa' quello che vuoi, distribuisci grazie come vuoi, a chi vuoi e quando vuoi». E subito la visione scomparve. Una volta sentii queste parole: « Va' dalla Superiora e chiedi che ti permetta di fare ogni giorno un'ora di adorazione per nove giorni; durante questa adorazione cerca di fare la tua preghiera con Mia Madre. Prega di cuore in unione con Maria; procura inoltre in questo tempo di fare la Via Crucis ». Ottenni il permesso non per un'ora intera, ma soltanto per il tempo che avevo, dopo compiuti i miei doveri. Dovevo fare quella novena per la patria. Il settimo giorno della novena vidi la Madonna fra cielo e terra, in una veste chiara. Pregava con le mani giunte sul petto e lo sguardo rivolto al cielo e dal suo Cuore uscivano dei raggi di fuoco, alcuni dei quali erano diretti verso il cielo, mentre gli altri coprivano la nostra terra. Quando parlai di alcune di queste cose col confessore, mi rispose che potevano provenire realmente da Dio, ma che potevano anche essere un'illusione. Siccome avevo spesso dei cambiamenti, non avevo un confessore fisso e per di più facevo una fatica incredibile ad esporre cose di quel genere. Perciò pregavo ardentemente perché il Signore mi concedesse una grande grazia, quella di avere un direttore spirituale. Ma questa grazia l'ottenni soltanto dopo i voti perpetui, quando venni a Wilno. Si tratta di Don Sopocko. Il Signore me l'aveva fatto conoscere interiormente, prima che arrivassi a WIIno. Se avessi avuto fin dall'inizio un direttore spirituale, non avrei sprecato tante grazie del Signore. Un confessore può essere di grande aiuto per un'anima, ma può anche procurarle molto danno. Oh! come dovrebbero stare attenti i confessori all'azione della grazia di Dio nell'anima dei loro penitenti. Questa è una cosa di grande importanza. Dalle grazie di un'anima si può conoscere il suo stretto rapporto con Dio. Una volta venni citata al giudizio di Dio. Stetti davanti al Signore faccia a faccia. Gesù era tale e quale è durante la Passione. Dopo un momento scomparvero le Piaghe e ne rimasero solo cinque: alle mani, ai piedi ed al costato. Vidi immediatamente tutto lo stato della mia anima, cosi come la vede Iddio. Vidi chiaramente tutto quello che a Dio non piace. Non sapevo che bisogna rendere conto al Signore anche di ombre tanto piccole. Che momento! Chi potrà descriverlo? Trovassi di fronte altre volte Santo! Gesù mi domandò: «Chi sei? ». Risposi: « Io sono una tua serva, Signore ». « Devi scontare un giorno di fuoco nel purgatorio ». Avrei voluto gettarmi immediatamente fra le fiamme del purgatorio, ma Gesù mi trattenne e disse: « Che cosa preferisci: soffrire adesso per un giorno oppure per un breve tempo sulla terra? ». Risposi: « Gesù, voglio soffrire in purgatorio e voglio soffrire sulla terra sia pure i più grandi tormenti fino alla fine del mondo ». Gesù disse: « E sufficiente una cosa sola. Scenderai in terra e soffrirai molto, ma non per molto tempo ed eseguirai la Mia volontà ed i Miei desideri ed un Mio servo fedele ti aiuterà ad eseguirla. Ora posa il capo sul Mio petto, sul Mio Cuore ed attingivi forza e vigore per tutte le sofferenze, dato che altrove non troverai sollievo, né aiuto, né conforto. Sappi che avrai molto, molto da soffrire, ma questo non ti spaventi. Io sono con te ». Poco dopo mi ammalai. I disturbi fisici furono una scuola di pazienza per me. Solo Gesù sa quanti sforzi di volontà dovetti fare per adempiere i miei doveri. Gesù quando intende purificare un'anima, usa gli strumenti che vuole. La mia anima si sente completamente abbandonata dalle creature. Talvolta l'intenzione più retta viene interpretata male dalle suore. Questa è una sofferenza molto dolorosa, ma il Signore la permette e bisogna accettarla, perché questo ci fa assomigliare maggiormente a Gesù. Una cosa non sono riuscita a comprendere per molto tempo, cioè che Gesù mi ordinava di dire tutto ai superiori, mentre i superiori non credevano alle mie parole e mi commiseravano come fossi stata una povera illusa o una vittima della mia fantasticheria. Per questo motivo, temendo di essere un'illusa, decisi di evitare interiormente Dio, dato che avevo paura delle illusioni. Ma la grazia di Dio m'inseguiva ad ogni passo e quando meno me l'aspettavo, Iddio mi rivolgeva la parola. Un giorno Gesù mi disse che avrebbe fatto scendere il castigo su di una città, che è la più bella della nostra Patria. il castigo doveva essere uguale a quello inflitto da Dio a Sodoma e Gomorra. Vidi la grande collera di Dio ed un brivido mi scosse, mi trafisse il cuore. Pregai in silenzio. Un momento dopo Gesù mi disse: « Bambina Mia, unisciti strettamente a Me durante il sacrificio ed offri al Padre Celeste il Mio Sangue e le Mie Piaghe per impetrare il perdono per i peccati di quella città. Ripeti ciò senza interruzione per tutta la S. Messa. Fallo per sette giorni ». Il settimo giorno vidi Gesù su di una nuvola chiara e mi misi a pregare perché Gesù posasse il Suo sguardo sulla città e su tutto il nostro paese. Gesù diede uno sguardo benigno. Quando notai la benevolenza di Gesù, cominciai ad implorarne la benedizione. Ad un tratto Gesù disse: « Per te benedico l'intero paese » e fece con la mano un gran segno di croce sulla nostra Patria. Vedendo la bontà del Signore, l'anima mia fu inondata da una grande gioia.

domenica 20 febbraio 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Quattordicesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Continua a l'approfondimento della seconda parte dell'Enciclica, dedicata al Culto Eucaristico: il tema odierno è la partecipazione all'oblazione:

Parte II.

Il Culto Eucaristico

La partecipazione all'oblazione

Tutto ciò consta di fede certa; ma si deve inoltre affermare che anche i fedeli offrono la vittima divina, sotto un diverso aspetto.

Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori della Chiesa. «Non soltanto - così Innocenzo III di immortale memoria - offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio - egli dice - è offerto principalmente in persona di Cristo. Perciò l'oblazione che segue alla consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da Cristo e offre insieme con Lui».

Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico significano e dimostrano che l'oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo l'offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente: «Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto presso Dio Padre Onnipotente», ma le preghiere con le quali viene offerta la vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto Sacrificio. Si dice, per esempio: «per i quali noi ti offriamo e ti offrono anch'essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu stesso ci hai donato e date, l'Ostia pura, l'Ostia santa, l'Ostia immacolata».

Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del «carattere» che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo.

Nella Chiesa cattolica, la ragione umana illuminata dalla fede si è sempre sforzata di avere una maggiore conoscenza possibile delle cose divine; perciò è naturale che anche il popolo cristiano domandi piamente in che senso venga detto nel Canone del Sacrificio Eucaristico che lo offre anch'esso. Per soddisfare a questo pio desiderio, Ci piace trattare qui l'argomento con concisione e chiarezza.

Ci sono, innanzi tutto, ragioni piuttosto remote: spesso, cioè, avviene che i fedeli, assistendo ai sacri riti, uniscono alternativamente le loro preghiere alle preghiere del sacerdote; qualche volta, poi, accade parimenti - in antico ciò si verificava con maggiore frequenza - che offrano al ministro dell’altare il pane e il vino perché divengano corpo e sangue di Cristo; e, infine, perché, con le elemosine, fanno in modo che il sacerdote offra per essi la vittima divina.

Ma c'è anche una ragione più profonda perché si possa dire che tutti i cristiani, e specialmente quelli che assistono all'altare, compiono l'offerta.

Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine «offerta». L'immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull'altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico.

Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote è chiaro dal fatto che il ministro dell'altare agisce in persona di Cristo in quanto Capo, che offre a nome di tutte le membra; per cui a buon diritto si dice che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l'oblazione della vittima. Quando, poi, si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso, compiono il rito liturgico visibile - il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato - ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre nella stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote. È necessario, difatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura sua il culto interno: ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa quell'ossequio sapremo col quale lo stesso principale offerente, che è Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano debitamente Dio.

Con grande gioia dell'anima siamo stati informati che questa dottrina, specialmente negli ultimi tempi, per l'intenso studio della disciplina liturgica da parte di molti, è stata posta nella sua luce: ma non possiamo fare a meno di deplorare vivamente le esagerazioni e i travisamenti della verità che non concordano con i genuini precetti della Chiesa.

Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato e senza l'assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l'unità: così non mancano di quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza ed efficacia.

Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell'ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l'offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l'offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti. E ciò si verifica certamente sia che vi assistano i fedeli - che Noi desideriamo e raccomandiamo che siano presenti numerosissimi e ferventissimi - sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il sacro ministro.

Sebbene, dunque, da quel che è stato detto risulti chiaramente che il santo Sacrificio della Messa è offerto validamente a nome di Cristo e della Chiesa, né è privo dei suoi frutti sociali, anche se è celebrato senza l'assistenza di alcun inserviente, tuttavia, per la dignità di questo mistero, vogliamo e insistiamo - come sempre volle la Madre Chiesa - che nessun sacerdote si accosti all'altare se non c'è chi gli serva e gli risponda, come prescrive il can. 813.

Chi fa il bene vive....

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. Meditiamo le Sue parole attraverso la riflessione di don Marco Pedron:

Il vangelo di oggi è la continuazione di quello di domenica scorsa e delle precedenti domeniche. Gesù dice: "Avete inteso che fu detto agli antichi: occhio per occhio e dente per dente" (5,38).Per capire cosa dice Gesù dobbiamo considerare due cose.

La prima: nel libro dell'Esodo infatti c'è scritto: "Se c'è una disgrazia pagherai vita per vita; occhio per occhio; dente per dente; mano per mano; piede per piede; bruciatura per bruciatura; ferita per ferita, livido per livido" (Es 21-23-25). E' la legge del taglione.
A noi ci sembra un po' brutale, primitiva e in effetti lo è. Ma dobbiamo considerare che fu per quel tempo un grande salto evolutivo per la civiltà. Infatti, prima di quel tempo, se uno del mio clan veniva ucciso, allora "la legge" permetteva di uccidere tutto il villaggio nemico. Cioè, non c'era limite alla vendetta. Con la legge del taglione si limitava l'eccesso di giustizialismo, permettendo "la giustizia" proporzionale, e non oltre, all'ingiustizia ricevuta.
La seconda: gli ebrei avevano le idee chiare: quando Israele ascolta Dio, Dio interviene, libera Israele e distrugge i nemici. Allora il popolo esulta, inneggia canti e balli al Dio che salva.
E' famosa la lettura della notte di Pasqua (Es 15): il passaggio del Mar Rosso e il canto di vittoria (il Salmo). Ma cosa si dice lì? Si dice che Dio interviene per uccidere tutti gli Egiziani e così fa. E di fronte a questo Maria la profetessa canta con timpani e danze: "Evviva! Alè! Cantate al Signore perché ha gettato in mare cavallo e cavaliere" (Es 15,21). E prima si prega dicendo: "Il mare li coprì, sprofondarono come piombo in acque profonde; stendesti la destra e li inghiottì" (Es 15,10.12).
Ma chi sono questi "inghiottiti"? Sono persone, uomini, con cuore e anima come gli ebrei. Il Dio dell'A.T. è così: i nemici di Israele Lui li distrugge tutti. E' come Rambo, Terminator: senza pietà. Ma che Dio è questo?

E se Israele non ubbidisce ai suoi comandi? Stessa sorte! Il Levitico dice: "Se camminate secondo i miei precetti, (bene!)… la spada non oltrepasserà le vostre frontiere… Perseguirete i nemici che cadranno davanti a voi a fil di spada. Ma se non mi ascoltate e non adempite i miei comandi…, mi rivolgerò contro di voi e sarete distrutti davanti ai vostri nemici; vi tiranneggeranno coloro che vi odiano" (Lv 26,3.6-17). Se Israele non ubbidisce, nessuna pietà. E così, succede!
Gli ebrei vengono presi e deportati a Babilonia. Ma come può essere che Dio abbandoni il popolo? Ecco la soluzione: Dio non ha abbandonato il suo popolo, ma è stato il popolo ad allontanarsi da Dio. Dio allora utilizza i re stranieri perché il popolo si converta e torni ad amarlo di vero cuore.
Passa il tempo, passano i secoli, ma la cosa non cambia. La Palestina viene continuamente presa d'assalto da tiranni stranieri, prima Alessandro Magno, poi Roma. Allora la spiegazione: "Ci succede questo perché il nostro cuore si è allontanato da Dio, non tiene più". Allora dei visionari (l'apocalittica) iniziano a dire: "Dio verrà e verrà presto; verrà e verrà in maniera violenta".
Al tempo di Gesù nessuno dubita più: tutti attendono il Vendicatore, colui che distruggerà i nemici di Israele. Al tempo di Gesù si pensa e si crede questo. E odiare i nemici è segno di zelo, di fede. Il Sal 139,21-22 dice: "Signore, come potrei non odiare coloro che ti odiano, e non disprezzare quanti si levano contro di te? Sì, li odio con un odio implacabile, li considero tutti miei nemici".
Era normale, ovvio, segno di fede, merito religioso odiare i nemici. E in questo clima, che succede? Succede che arriva Gesù.

E che dice Gesù? Amate i vostri nemici e anzi pregare per loro (5,44). Ma che è, pazzo? Fuori di testa?
Questa frase non c'è nell'A.T., non c'è nel resto del vangelo (Lc è il parallelo di Mt) e del N.T.; non c'è nella letteratura ebraica o cristiano. E' un comando unico e nuovo.
Gesù porta un'immagine di Dio totalmente diversa: Dio non è violento. Finora si diceva: la grandezza di Dio è nel far giustizia (=eliminare), nel punire e nel vendicarsi. Gesù dice: no! Dio non è affatto così. "Il Padre celeste fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti" (5,45). Dio non è violento; Dio non verrà a fare la guerra ai romani; Dio non invierà nessuno a "sistemare le cose".
Capite che questo era la caduta di una grande illusione: "Le cose cambieranno; Dio interverrà per noi". Gesù compie una grande disillusione: "No, Dio non verrà così, perché Dio non è così".
E che ci rimane da fare dicevano gli ebrei allora? Assoggettarci con rassegnazione agli oppressori romani? Accettare l'ingiustizia dei grandi proprietari terrieri? Tacere davanti agli abusi del tempio? Abbandonare per sempre la speranza di un mondo nuovo? Dobbiamo allora stare zitti? E' uno stile passivo, remissivo, quello che Gesù ci propone?

Gesù propone una prassi di resistenza non violenta. Gesù non era un irrealista: vedeva bene anche lui l'ingiustizia e l'impotenza degli ebrei. Non pensava ad una magica trasformazione di quella società ingiusta e crudele.
Il dramma di quando si è dominati, è che si ci abitua alla dominazione e la si accetta: "Non si può far niente; è la società così; noi non possiamo, non abbiamo le forze; le cose vanno così". Allora si insinua l'idea che è così e che non ci sia nulla da fare. Gesù dice: "No, si possono fare tante cose. Non arrenderti".
Gesù con questi esempi dice: "Mi costringi a fare quello che vuoi tu? Allora faccio qualcosa che non ti aspetti. Faccio qualcosa perché, anche se tu (tiranno) puoi costringermi a fare delle cose fuori, in realtà il mio cuore, la mia dignità e la mia libertà, non me le puoi portare via". La schiavitù è fuori, ma nessuno ci può far schiavo dentro, almeno che noi non lo vogliamo.
E Gesù fa degli esempi. Sono esempi del suo tempo. Non dobbiamo fermarci all'esempio per fare così anche noi ma dobbiamo cogliere il senso profondo degli esempi.

Il primo: uno ti percuote la guancia destra?
Colpire con uno schiaffo era abbastanza normale a quel tempo: era il modo di chi sta sopra per umiliare chi stava sotto. Era normale per i padroni colpire gli schiavi e i servi; era normale per i mariti colpire le mogli. Ma non si può fare diversamente, dice Gesù? Bisogna solo sottomettersi?
Gesù dice: "Guardalo negli occhi e porgigli anche l'altra guancia. Mostragli che ti può punire, che ti può far male, che può avere controllo su di te, ma non sul tuo cuore".
Una madre continua a dire al figlio di nove anni: "Vieni di qua perché è pronta la cena". Ma lui non viene e continua a giocare con la playstation. Ad un certo punto lei perde la pazienza, s'arrabbia, va su tutte le furie, va di là, gli tira quattro sberle e lo costringe a venire di qua a tavola. "Hai visto che sei venuto!", dice la madre. E il figlio le dice: "Il corpo è qui ma io sono di là".
Un soldato nazista racconta quest'episodio. Il suo capo (siamo nel campo di concentramento di Auschwitz) dice ad una donna ebrea che era la donna "di compagnia": "Tu sei mia! Io faccio di te quello che voglio". E lei, guardandolo negli occhi: "Avrai sempre il mio corpo ma mai il mio cuore".

Per me questa frase vuol dire: "Mantieni il tuo cuore vivo, capace d'amare".
La vita è così: ci ferisce. Cosa succede? Ogni ferita provoca due sentimenti: dolore e collera. Tanto dolore, tanta collera (rabbia); tanta sofferenza, tanto odio.
Pensate in natura: siete una iena e un leone vi azzanna. Sentire il dolore (la ferita) ed è la collera (rabbia) che vi permette di difendervi (cosa che contro un leone va valutata!). Per fortuna che abbiamo questa collera, quest'aggressività: senza non ci difenderemo.
Ma l'odio che teniamo dentro fomenta, diventa rancore, ci inacidisce, ci indurisce. Allora non solo siamo stati feriti al cuore ma lasciamo morire il nostro cuore. Non permettere al tuo rancore, al tuo odio, di uccidere il tuo cuore. Perché se è vero che gli altri ti feriscono, sei solo tu che puoi lasciar morire il tuo cuore. Mantieni sempre vivo l'amore (guancia), la capacità di amare.
Siete innamorati e poi lei ti lascia. Dolore enorme e rabbia. Che te ne fai di questa rabbia? Perché questa rabbia ti può indurire e puoi dirti: "Mai più darò il mio cuore a qualcuno".
Allora porgi l'altra guancia non è: "Ne ho già preso una e ne prendo un'altra" (da masochisti). Ma è: "Se la vita mi ferisce (guancia), tengo il mio cuore vivo, morbido (come lo è una guancia) e non mi indurisco".
Quante persone dopo una delusione d'amore si sono indurite e hanno detto: "Mai più!". La rabbia ci indurisce e ci fa diventare freddi, cinici. Non solo allora ci ferisce il cuore ma ce lo toglie, ci toglie la capacità d'amare e di provare amore.
Due fratelli avevano un piccolo negozio. Uno dei due ha rubato migliaia di euro facendo fallire l'attività. Dico a quello defraudato: "Lo devi odiare un bel po'!". E mi risponde: "Mi ha sottratto i soldi, ma non il cuore". E ha continuato: "Non permetterò al mio odio di chiudermi all'amore".
Mazen Juliani era un farmacista palestinese di 32 anni, padre di tre figli che viveva nella parte araba di Gerusalemme. Il 5 giugno 2001 mentre sta prendendo il suo caffè con degli amici al bar, viene centrato e muore da un colpo di arma da fuoco sparato da un colono ebraico. La famiglia decide di donare gli organi. "Ci sarebbe un israeliano che ha bisogno del cuore!". La moglie: "Non voglio che il mio cuore muoia insieme a mio marito". Avrebbe potuto ritirarsi nel suo odio, indurirsi, e invece no. Oggi l'israeliano Yigal Cohen batte con un cuore palestinese.

Il secondo: uno ti vuol portare via la tunica? Dagli anche il mantello.
La tunica era il capo d'abbigliamento interno, che si portava direttamente sul corpo; il mantello, invece, era il capo pesante che si portava al di sopra. Secondo l'esodo non si poteva prendere il mantello del povero, perché era l'unico riparo con cui poteva difendersi dal freddo durante la notte.
La tunica allora è l'intimità. Vuoi ferirmi nell'intimità? Ok, puoi ferirmi anche nell'intimità e lasciarmi anche nudo, ma io non perdo la mia dignità. "Togliti anche il mantello e mostragli che non perdi la tua dignità".
Quando noi compiamo uno sbaglio, che facciamo? Ci vergogniamo di ciò che abbiamo fatto e ci mettiamo sopra una maschera per nasconderci. Ma così perdiamo la nostra dignità.
Un uomo ha perso qualcosa come centomila euro al gioco d'azzardo. Anche se di soldi ne ha tanti, i famigliari spettegolavano: "Guarda cos'ha fatto! Che vergogna!". Allora lui un giorno (è il pranzo del compleanno del padre e ci sono tutti i fratelli), si alza in piedi e dice: "So che sapete che ho perso centomila euro. E sapete che vi dico: non è vero, perché in realtà ne ho persi trecentomila! Ho sbagliato, ho chiesto aiuto (si stava facendo aiutare da un centro specializzato), ma non ho perso la mia dignità". C'è un detto che dice: "Se giri nudo non devi nascondere nulla".
Un uomo ha un lavoro dirigenziale in una struttura cattolica. Si è innamorato di una ragazza divorziata: la ama davvero, ma teme che si venga a sapere perché questo lederebbe il suo onore e il suo curriculum di bravo ragazzo davanti alle autorità religiose. Per quattro anni tiene nascosta la fidanzata. Poi lei si stanca e lui, pur amandola (cosa non fa la paura!), piuttosto di far brutta figura con i suoi capi, la lascia. Lei gli dice: "Io ho perso un uomo ma tu hai perso la dignità".
Quando sbaglio, mi vergogno e mi viene da nascondermi, da seppellirmi, da fare una buca e ficcarmi lì dentro. E, invece, no: mai perdere la propria dignità.
Il terzo: uno ti costringe a fare un miglio? Tu fanne due.
Cosa vuol dire? Non adattarti (fare un miglio), ma tieni il potere della tua libertà.
La legge romana proibiva di costringere qualcuno a portare carichi per oltre un miglio. Infatti, se le autorità militari lo richiedevano, si era obbligati a trasportare carichi per un miglio. Questa situazione accade, ad esempio, nel racconto della Passione, dove Simone di Cirene è costretto con la forza a farsi carico della croce di Gesù (27,32).
Certo non è una grande vittoria contro Roma fare così, ma in ogni caso dimostrerai che sei libero anche quando sei obbligato e costretto.
Una ragazza è stata costretta dal padre avvocato a fare giurisprudenza. Lei voleva fare psicologia, ma il padre l'ha costretta. Non c'era scelta e così ha fatto giurisprudenza. Ma dentro di lei ha mantenuto sempre una parte di libertà nel suo cuore. Il giorno della laurea, conseguita a pieni voti, è andata dal padre e gli ha detto: "Papà, ho fatto quello che tu hai voluto e mi sono laureata. Toh, questa è la tua laurea (e gli ha consegnato l'attestato di laurea). Adesso faccio quello che voglio io". L'anno dopo si è iscritta a psicologia.
C'è una storia simpatica ma che aiuta a capire. Un omone entrò nella stanza affollata e gridò: "C'è qui un tizio di nome Murphy?". Un omino si alzò e disse: "Sono io Murphy". L'omone quasi lo uccise: gli spezzò cinque costole, gli ruppe il naso, gli fece gli occhi neri, lo gettò a terra ridotto ad uno straccio. Poi uscì con passo pesante. Dopo che se ne fu andato, l'omino, pieno di dolore, rideva tra sé e sé. Gli chiesero: "Ma cosa c'è da ridere?". "Gli ho fatto fare la figura dello stupido", diceva ridendo e pieno di dolore. "Ah, ah!, io non sono Murphy!".

Il vangelo poi continua: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori" (5,44). Cosa vuol dire? Vuol dire che se uno fa del male devo sorridergli? Vuol dire questo Gesù? Vuol dire che se uno è ingiusto con me io devo far finta di niente e avere sentimenti di benevolenza?
Sei in difficoltà e un mese hai bisogno di soldi. Allora un tuo amico ti presta dei soldi e ti tira fuori da una situazione difficile. Come puoi non volergli bene? Tuo figlio è arrabbiato con te: ma tu sei suo padre, sua madre, e se bussa a casa tua, come puoi non aprirgli? "Se amate quelli che vi amano, quale merito ne avrete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani" (5,46-47).
Cosa vuol dire allora "amare i propri nemici"? La risposta l'abbiamo al versetto 45: "Siate come Dio che fa sorgere il sole e piovere sui buoni e sui malvagi".

Gesù distingue l'amore dai sentimenti di amore.
Gesù non dice: "Devi sorridere ai tuoi nemici" oppure "devi provare simpatia, considerazione, ammirazione" oppure "devi sentire affetto" per i tuoi nemici, per chi ti ha fatto del male o per chi ti ha ferito (sentimenti d'amore). Gesù non è stupido e sa che non si possono comandare le emozioni.
La donna che viene picchiata, come può essere felice di questo? Come può sorridere a suo marito? L'uomo che viene "fregato" dal socio di lavoro, come può provare affetto e benevolenza per chi gli ha rovinato la vita e l'ha messo "su una strada"? Il bambino che si sente preso in giro, che è vittima di bullismo, come può provare amore per chi gli fa questo?
No - dice Gesù - non si possono provare sentimenti di amore per i nemici.

Gesù dice un'altra cosa: "Amali anche se sono i tuoi nemici". Cioè: "Continua a fare il suo bene, quello che è bene per lui, quello che è meglio per lui, anche se è il tuo nemico".
La Bibbia è piena di Salmi di vendetta per i nemici e a quel tempo si diceva: "Mi hai fatto del male? Ti faccio del male!". Occhio per occhio, dente per dente. Quando qualcuno ci fa del male, qual è la reazione prima, spontanea, immediata? Ci viene da vendicarci, da ricambiarlo con la stessa moneta. "Mi hai fatto del male, beh, anch'io allora".
Ma cosa succede se fai così? Cosa succede al tuo cuore se reagisci al male con il male? Se il tuo nemico è malvagio e ti ha fatto del male, se tu gli fai del male cosa diventerai? Diventerai come lui, un malvagio. Allora non sarai né più né meno di lui. Allora abdicherai all'amore per la rabbia, per l'odio, per il risentimento. E facendo così avvelenerai il tuo cuore.
1. Il nostro cuore è come una spugna: assorbe ciò che vive. Quando tu vuoi (o fai) il male ai tuoi nemici allora il tuo cuore diventa così. Se fai il male diventi tu male. E se fai il bene diventi tu bene.
2. Inoltre se fai il male perché lui ti ha fatto del male, lui vince due volte. La prima perché ti ha ferito, fatto del male, la seconda perché ti ha fatto diventare come lui.
Un uomo ha lasciato la sua donna con due figli. Lei ne ha sofferto tantissimo (dolore). Non è riuscita a superare, ad elaborare il suo dolore e quando lui deve vedere i figli, lei (lui è per lei il suo nemico adesso) per vendicarsi, glielo impedisce. Detto che bisognerebbe chiedersi quanto soffrano i figli… ma se tu ti vendichi, non sei come lui? E infatti il suo cuore è pieno di risentimento, di odio e vive per fargliela pagare. Ma invece di viverla per fargliela pagare (la ferita così rimane), perché non vivere per tornare ad amare? A gioire? Amare il suo ex marito non è provare affetto per lui, ma volere il suo bene (e dei figli!): che veda i suoi figli.
Un uomo aveva il padre che lo picchiava spesso, lasciandoli i lividi per giorni e lo umiliava di continuo. Lui lo odiava (e come non poteva essere così: era il suo nemico). Non si è mai liberato da questo dolore che gli marcisce dentro (rancore dal latino rancesco=marcire, puzzare, irrancidire). Oggi suo padre è vecchio e nonostante stia per morire lui non va a trovarlo, anche se suo padre gliel'ha chiesto espressamente. E' chiaro che questo uomo è nel risentimento e finché non fa un cammino spirituale non ne esce; è chiaro che non può provare adesso sentimenti d'amore. Ma non è questo che gli si chiede. Amare suo padre è andare a trovarlo un'ultima volta perché questo è ciò che fa bene al padre.

E' freddo e nevica e due uomini in mezzo ad una tormenta di neve stanno tentando di arrivare al rifugio. Incontrano, miracolosamente per strada un uomo che invece di aiutarli o di aggregarsi a loro li deruba e scappa. Cammin facendo i due uomini sentono urlare: era proprio il ladro che era scivolato dentro un burrone e si era spezzato le gambe. Uno dei due dice: "Ben gli sta! Così impara! Se l'è voluta!", e tira dritto. L'altro pensa: "Ma come faccio ad andare avanti? Questo qui muore! E' vero mi ha derubato dei soldi ma io non lo deruberò della vita". E così si ferma, lo tira su, se lo mette sulle spalle e faticosamente, in mezzo alla neve riprende il cammino. Cammin facendo i due si imbattono su qualcosa: è l'uomo che aveva tirato dritto; era morto di freddo. Lui, invece, sudando e con il calore dell'altro sulle spalle, era rimasto vivo. E così arrivarono al rifugio. Il suo nemico fu davvero il suo "amico"!
Fa sempre il bene perché il bene che fai, prima o poi, ti ritornerà sempre indietro.
Chi fa il bene vivrà bene e chi fa il male vivrà male.

sabato 19 febbraio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Tredicesima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi cominciamo a vedersi diffondere la fama si San Francesco e vediamo anche come si giunge alla fondazione dell'Ordine dei frati minori. Entrambe le situazioni sono meravigliose perchè ci mostrano gli aspetti fondamentali che contraddistinguono San Francesco e i frati che cominciarono a seguirlo. Innanzitutto viene alla luce il compito evangelizzatore di San Francesco: badiamo bene a questa missione perchè San Francesco non mostra assolutamente alcuna intenzione di trattare il peccato benevolmente come oggi molti fanno: egli, grazie al fatto che mantiene una condotta di vita irreprensibile, non ha timore di denunciare il peccato con fermezza, in ogni sua manifestazione. E questo è un insegnamento importante per noi: molti ci accusano di esser bigotti, giustizialisti, ma alla fine, la verità è dalla nostra parte e quindi dobbiamo denunciare il peccato con forza e senza tentennamenti, cercando comunque di eliminare prima i propri errori e i propri vizi. 
 L'altro aspetto di oggi è relativo, come detto, alla fondazione dell'Ordine dei frati minori: anche da questa situazione si evince la profonda umiltà e la sottomissione che caratterizzano San Francesco. La stessa scelta del nome non è affatto casuale...:
CAPITOLO QUINDICESIMO

FAMA DEL BEATO FRANCESCO.

CONVERSAZIONE DI MOLTI A DIO. COME LA SUA ISTITUZIONE FU CHIAMATA «ORDINE DEI FRATI MINORI». FORMAZIONE DI COLORO CHE VI ENTRAVANO 

36. Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito. Poiché ne aveva ricevuto l'autorizzazione dalla Sede Apostolica, operava fiducioso e sicuro, rifuggendo da adulazioni e lusinghe. Non era solito blandire i vizi, ma sferzarli con fermezza; non cercava scuse per la vita dei peccatori, ma li percuoteva con aspri rimproveri, dal momento che aveva piegato prima di tutto se stesso a fare ciò che inculcava agli altri. Non temendo quindi d'esser trovato incoerente, predicava la verità con franchezza, tanto che anche uomini dottissimi e celebri accoglievano ammirati le sue ispirate parole, e alla sua presenza erano invasi da un salutare timore. Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo. Persone di ogni età e sesso venivano sollecitate ad ammirare le meraviglie che il Signore di nuovo compiva nel mondo per mezzo del suo servo. La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza. Erano infatti quasi tutti precipitati in una così profonda dimenticanza del Signore e dei suo comandamenti, che appena sopportavano di smuoversi un poco dai loro vizi incalliti e inveterati.

37. Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l'aspetto dell'intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente. È finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene. Ovunque risuonano azioni di grazie e inni di lode, e non pochi, lasciate le cure mondane, seguendo l'esempio e l'insegnamento di san Francesco, impararono a conoscere, amare e rispettare il loro Creatore. Molti, nobili e plebei, chierici e laici, docili alla divina ispirazione, si recavano dal Santo, bramosi di schierarsi per sempre con lui e sotto la sua guida. E a tutti egli, come ricca sorgente di grazia celeste, dona le acque vivificanti che fanno sbocciare le virtù nel giardino del cuore. Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso: mediante il suo esempio, la sua Regola e il suo insegnamento si rinnova la Chiesa di Cristo nei suoi fedeli, uomini e donne, e trionfa la triplice milizia degli eletti. A tutti dava una regola di vita, e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione.

38. È ora il momento di concentrare l'attenzione soprattutto sull'Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione.
Proprio lui infatti fondò l'Ordine dei frati minori; ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: «Siano minori», appena l'ebbe udite esclamò: «Voglio che questa Fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori». E realmente erano «minori»; «sottomessi a tutti» e ricercavano l'ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l'edificio spirituale di tutte le virtù.

E davvero su questa solida base edificarono, splendida, la costruzione della carità. E come pietre vive, raccolte, per così dire, da ogni parte del mondo, crebbero in tempio dello Spirito Santo. Com'era ardente l'amore fraterno dei nuovi discepoli di Cristo! Quanto era forte in essi l'amore per la loro famiglia religiosa! Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano, era una vera esplosione del loro affetto spirituale, il solo amore che sopra ogni altro amore è fonte di vera carità fraterna. Ed erano casti abbracci, delicati sentimenti, santi baci, dolci colloqui, sorrisi modesti, aspetto lieto, occhio semplice, animo umile, parlare cortese, risposte gentili, piena unanimità nel loro ideale, pronto ossequio e instancabile reciproco servizio.

39. Avendo disprezzato tutte le cose terrene ed essendo immuni da qualsiasi amore egoistico, dal momento che riversavano tutto l'affetto del cuore in seno alla comunità, cercavano con tutto l'impegno di donare perfino se stessi per venire incontro alle necessità dei fratelli. Erano felici quando potevano riunirsi, più felici quando stavano insieme; ma era per tutti pesante il vivere separati, amaro il distacco, doloroso il momento dell'addio. Questi docilissimi soldati non anteponevano comunque nulla ai comandi della santa obbedienza; vi si preparavano anzi in anticipo, e si precipitavano ad eseguire, senza discutere e rimuovere ogni ostacolo, qualunque cosa veniva loro ordinata.
Da cultori fedeli della santissima povertà, poiché non possedevano nulla, non s'attaccavano a nessuna cosa, e niente temevano di perdere. Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni. Il loro santo proposito era di restare in quello stato, senza avere altro. Erano perciò sempre sereni, liberi da ogni ansietà e pensiero, senza affanni per il futuro; non si angustiavano neppure di assicurarsi un ospizio per la notte, anche se pativano grandi disagi nel viaggio. Sovente, durante il freddo più intenso, non trovando ospitalità, si rannicchiavano in un forno, o pernottavano in qualche spelonca.
Di giorno, quelli che ne erano capaci si impegnavano in lavori manuali, o nei ricoveri dei lebbrosi o in altri luoghi, servendo tutti con umiltà e devozione. Non volevano esercitare nessun lavoro che potesse dar adito a scandalo, ma sempre si occupavano di cose sante e giuste, oneste e utili, dando esempio di umiltà e di pazienza a tutti coloro con i quali si trovavano.

40. Amavano talmente la pazienza, che preferivano stare dove c'era da soffrire che non dove, essendo nota la loro santità, potevano godere i favori del mondo. Spesso, ingiuriati, vilipesi, percossi, spogliati, legati, incarcerati, Sopportavano tutto virilmente, senza cercare alcuna difesa; dalle loro labbra anzi non usciva che un cantico di lode e di ringraziamento. Non cessavano quasi mai di pregare e lodare il Signore; esaminando ogni loro azione,, ringraziavano Dio per il bene fatto e piangevano amaramente per le colpe e negligenze commesse. Quando poi nella preghiera non avvertivano la usuale dolcezza, si credevano abbandonati da Dio. E per non lasciarsi sorprendere dal sonno durante la loro lunga preghiera, adoperavano diversi espedienti: alcuni si aggrappavano a delle funi, altri si servivano di cilizi di ferro o di legno. Se talvolta pareva loro di essere stati meno sobri del solito, per aver preso cibo e bevanda a sufficienza,, oppure di aver oltrepassato sia pur per poco la misura della stretta necessità per la stanchezza del viaggio, si punivano aspramente con una astinenza di parecchi giorni. Si studiavano infine di domare gli istinti della carne con tal rigore, da non esitare spesso a tuffarsi nel ghiaccio e a martoriare il corpo tra i rovi acuminati rigandolo di sangue.

41. Avevano tanto disprezzo per i beni terreni, che a stento sopportavano di accettare le cose più necessarie per vivere e, disabituati ormai da lungo tempo a qualsiasi comodità corporale, affrontavano senza paura alcuna le più dure privazioni.
Ma mentre erano così severi con se stessi, il loro contegno era sempre garbato e pacifico con tutti; e attendevano solo a opere di edificazione e di pace evitando con grande cura ogni motivo di mal esempio. Parlavano solamente quando era necessario, né mai dicevano parole scorrette o vane. In tutta la loro vita e attività non si poteva trovare nulla che non fosse onesto e retto. Dal loro atteggiamento traspariva sempre compostezza e modestia; e mortificavano talmente i propri sensi che non vedevano né sentivano se non quello che era essenziale e doveroso: sguardo rivolto a terra e mente fissa al cielo. Gelosia, malizia, rancore, diverbi, sospetto, amarezza non trovavano posto in loro, ma soltanto grande concordia, costante serenità, azioni di grazia e di lode. Ecco i principi con i quali Francesco educava i suoi nuovi figli, e non semplicemente a parole, ma soprattutto con le opere e l'esempio della sua vita.