sabato 31 luglio 2010

Il demonio secondo Sant'Ignazio di Loyola

Oggi la Chiesa Cattolica celebra il ricordo di Sant'Ignazio di Loyola, molto noto soprattutto per i suoi esercizi spirituali. Abbiamo già presentato la vita e l'apporto di quest'uomo (clicca qui per leggere la biografia): ora voglio postare nel mio angolo, uno scritto di Don Marcello Stanzione che presenta il ritratto del demonio operato da Sant'Ignazio stesso. Leggetelo perchè davvero interessante e sicuramente veritiero:

Se appartiene a Sant’Ignazio di Loyola ( 1491-1556) aver messo in chiaro questi principi nei suoi Esercizi Spirituali, il discernimento degli spiriti era già noto nel giudaismo e nella primitiva Chiesa, poiché San Giovanni vi fa espressamente allusione. Ma l’Evangelista, nella sua Lettera, non detta le regole che permettono di provare gli spiriti, supponendoli certamente note ai suoi corrispondenti. E’ San Paolo che ne propone il primo approccio :”Ora, io vi dico : lasciatevi guidare dallo Spirito e non rischierete di soddisfare la voglia carnale. Perché la carne convoglia contro lo spirito e lo spirito contro la carne ; vi è tra essi antagonismo, così bene che voi non fate ciò che vorreste. Ma se lo Spirito vi anima, voi non siete sotto la Legge. Ora si sa bene tutto ciò che produce la carne : fornicazione, impurità, rilassatezza, idolatria, magia, odio, discordia, gelosia, latrocinio, dispute, dissensi, scissioni, sentimenti di invidia, orge, ripicche e cose simili - ed io vi prevengo, come ho già detto, che quelli che commettono questi sbagli non erediteranno il Regno di Dio. “Ma il frutto dello Spirito è carità, gioia, pace, longanimità, servizio, bontà, fiducia negli altri, dolcezza, padronanza di sé” (Lettera ai Galati 5,16-24). Ogni discernimento degli spiriti poggerà sui sentimenti eccitati nell’anima dall’Angelo presunto, secondo se essi saranno frutti della carne o frutti dello Spirito. Poiché questi frutti sono a somiglianza di quelli che li coltivano.
“Vi sono due Angeli per l’uomo, quello della Giustizia e quello del Male. L’uno è delicato, riservato e dolce, pacifico. Quando entra nel tuo cuore, subito, egli ti parla di giustizia, di santità, di temperanza, di ogni opera giusta. Quando questi pensieri si elevano nel tuo cuore, sappi che l’Angelo giusto è in te. L’Angelo del Male, viceversa, è irascibile, pieno di acredine e di demenza. Riconoscilo dalle sue opere” (Erma, Il Pastore). Ma le cose si complicano quando l’Angelo delle tenebre gioca a fare da Angelo della luce, imbrogliando le carte, truccando i dadi, “da nemico più forte, più astuto, più difficile da scoprire” (San Giovanni della Croce) come egli è. Poiché il diavolo sa che, “smascherare Satana, è vincerlo” (S. Ignazio di Loyola). Caterina da Siena (1347-1380), in una rivelazione di Cristo, riceve una raccomandazione che prelude a quella di Sant’Ignazio : “Quando mi si vede (è Gesù che parla a Caterina, ) all’inizio, si ha paura, poi, a poco a poco, ci si rassicura ; questo comincia con una certa amarezza, ma poi si addolcisce. Il contrario si produce quando si vede il Nemico, a causa della sua origine. In apparenza, egli da dapprima un certo piacere, appare quasi verosimile ed attrae ; poi, pertanto, egli fa nascere nell’anima che lo vede una sensazione di pena e di nausea. Ma Io voglio dare ancora un segno infallibile e certo. Poiché Io sono la Verità, ho per certo che, nelle Mie apparizioni, l’anima deve estrarre una più grande conoscenza dalla Verità. La conoscenza della verità su di Me e sull’anima è indispensabile a quest’ultima. In effetti, l’anima deve conoscersi e conoscerMi. ConoscendoMi e conoscendosi, ella si disprezza e Mi onora, cosa che è propria dell’umiltà. Dunque, bisogna che, con la forza delle Mie apparizioni, l’anima divenga più umile e che nello stesso tempo, ella riconosca il suo niente e si disprezzi. “Il contrario si produce nelle apparizioni del Nemico. Siccome egli è il Padre della Menzogna, il re dei figli dell’orgoglio e che non può dare che quello che ha, nasce nell’anima, a seguito delle sue apparizioni, una certa stima per se stesso, una presunzione che è propria dell’orgoglio e questa rimane gonfia e piena di vento”. Sant’Ignazio, quanto a lui, perfeziona l’analisi di questi stati contrari : “Circa le persone che vanno di peccato mortale in peccato mortale, la condotta normale del nemico è di proporre loro dei piaceri apparenti, occupando la loro immaginazione di compiacenze e di voluttà sensuali, al fine di trattenerli e di piombarli più avanti nei loro vizi e nei loro peccati. “Lo spirito buono, al contrario, agisce in esse in misura opposta : egli punge e morde la loro coscienza, facendo loro sentire i rimproveri della ragione. Nelle persone che lavorano coraggiosamente per purificarsi dai loro peccati, e vanno di bene in meglio nel servizio di Dio Nostro Signore, il buono ed il cattivo spirito operano in senso inverso dalla regola precedente. Perché è proprio del cattivo spirito causare loro della tristezza e dei tormenti di coscienza, di elevare davanti ad essi degli ostacoli, di turbarli con dei ragionamenti falsi, al fine di fermare i loro progressi nella via della virtù ; al contrario, è proprio del buono spirito di dare loro del coraggio e delle forze, di consolarli, di fare loro spandere delle lacrime, di inviare loro delle buone ispirazioni, e di stabilirli nella calma, facilitando loro la via ed alzando davanti ad esse tutti gli ostacoli, al fine che esse avanzino sempre più nel bene”. Poi Sant’Ignazio di Loyola propone un ritratto del diavolo che nel ventunesimo secolo potrebbe apparire un po’ misogino nei suoi poco attraenti paragoni con il “sesso debole”, scrive il fondatore dei Gesuiti : “Il nostro nemico rassomiglia ad una donna ; egli ne ha la debolezza e la mutevolezza delle opinioni. E’ proprio di una donna, quando disputa con un uomo, di perdere coraggio e di prendere la fuga subito che questi gli mostra un volto fermo ; l’uomo, al contrario, quando comincia col temere ed indietreggiare, la collera, la vendetta e la ferocia di questa donna si accrescono e non hanno più misura. Come pure, è proprio del nemico affievolire, perdere coraggio e prendere la fuga con le sue tentazioni, quando la persona che si esercita nelle cose spirituali mostra molta fermezza contro il tentatore, e fa diametralmente l’opposto di ciò che gli è suggerito. “Al contrario, se la persona che è tentata comincia col temere e col sopportare l’attacco con meno coraggio, non c’è bestia feroce sulla terra la cui crudeltà eguaglia la malizia infernale con la quale questo nemico della natura umana si attacca nel perseguire i suoi perfidi disegni”. Il paragone successivo è felicemente altrettanto poco attraente per il sesso forte che il precedente lo era per le figlie di Eva : “La sua condotta è ancora quella di un seduttore ; egli domanda il segreto e non dubita niente finché non è scoperto. Un seduttore che sollecita la figlia di un padre onesto, o la moglie di un uomo d’onore, vuole che i suoi discorsi e le sue insinuazioni restino segreti. Egli teme vivamente, al contrario, che la figlia non scopra a suo padre. O la moglie a suo marito, le sue parole fallaci e la sua intenzione perversa. Egli comprende facilmente che non potrebbe allora riuscire nei suoi colpevoli disegni. Come pure, quando il nemico della natura umana vuole imbrogliare un’anima giusta con le sue astuzie ed i suoi artifici, egli desidera, egli vuole che ella l’ascolti e che custodisca il segreto. Ma se quest’anima scopre tutto ad un confessore illuminato, o ad un’altra persona spirituale, che conosce gli imbrogli e le astuzie del nemico, egli ne riceve un grande dispiacere : perché egli sa che la sua malizia dimorerà impotente, dal momento in cui i suoi tentativi saranno scoperti e messi in luce. Infine, egli imita un capitano che vuole prendere un posto dove spera di fare un ricco bottino. Egli assedia il suo campo, considera le forze e la disposizione di questo posto, ed attacca dal lato più debole. E’ così del nemico della natura umana. Egli si aggira incessantemente intorno a noi ; esamina da tutte le parti ognuna delle nostre virtù teologali, cardinali e morali, e quando ha scoperto in noi il luogo più debole e meno provvisto delle armi della salute, è da lì che ci attacca e cerca di riportare su di noi una piena vittoria”. Poi Sant’Ignazio affronta i giochi del diavolo che scimmiotta l’Angelo che fu in altri tempi : “E’ proprio dell’Angelo cattivo, quando si trasforma in Angelo di luce, di entrare dapprima nei sentimenti dell’anima pia, e di finire con ispirargli i suoi. Così, egli comincia col suggerire a quest’anima dei pensieri buoni e santi, conformi alle sue disposizioni virtuose ; ma ben presto, poco a poco, egli compita di attirarlo nei suoi tranelli segreti, e di farla acconsentire ai suoi colpevoli disegni. Noi dobbiamo esaminare con grande cura il seguito ed il cammino dei nostri pensieri. Se l’inizio, il mezzo e la fine, tutto è buono in essi, e tendono puramente al bene, è una prova che essi vengono dall’Angelo buono ; ma se, nel seguito dei pensieri che ci sono suggeriti, finisce per incontrarvisi qualcosa di meno buono che non ci eravamo proposti di fare, o se questi pensieri indeboliscono la nostra anima, la inquietano, la turbano, le ostacolano la pace, la tranquillità di cui gioiva prima, è una nota evidente che essi sono del cattivo spirito”. E Sant’Ignazio nel precisare che il nemico si riconosce e si scopre “dalla sua coda di serpente, cioè dal fine pernicioso nel quale ci porta”.
Perché il demonio non abusa in definitiva che di quelli che hanno ben voluto lasciarsi abusare e turlupinare da lui. Nella biografia di sant’Ignazio,scrive Paul Verdun che Giampaolo, che fu per molto tempo suo compagno di apostolato, dormendo una notte in un letto vicino al suo, fu risvegliato da un rumore di percosse e dai gemiti del fondatore della Compagnia di Gesù. Si alzò e chiese al suo vicino che cosa stava accadendo. Ma il santo, senza rispondergli iente gli ordinò di tornare a letto a dormire. Lo spirito delle tenebre tentò, in un’altra occasione di strangolare il santo, che restò afono per parecchi giorni.

 Don Marcello Stanzione - Pontifex 

venerdì 30 luglio 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarto appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino ci porta oggi verso la conferma di un fatto importante: non dalla legge siamo giustificati, ma dalla fede.


Quarta parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani    

Che diremo dunque di Abramo, nostro antenato secondo la carne? Se infatti Abramo è stato giustificato
per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo
ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia. A chi lavora, il salario non viene calcolato come
un dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in colui che giustifica l'empio, la sua fede
gli viene accreditata come giustizia. Così anche Davide proclama beato l'uomo a cui Dio accredita la
giustizia indipendentemente dalle opere:
Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
beato l'uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!

Orbene, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti
che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era
circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il
segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando
non era ancora circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a
loro venisse accreditata la giustizia e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la
circoncisione, ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua
circoncisione.
Non infatti in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede
del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; poiché se diventassero eredi coloro che
provengono dalla legge, sarebbe resa vana la fede e nulla la promessa. La legge infatti provoca l'ira; al
contrario, dove non c'è legge, non c'è nemmeno trasgressione. Eredi quindi si diventa per la fede,
perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che
deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi.
Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; è nostro padre davanti al Dio nel quale credette,
che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono. Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato
detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio
corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con
incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva
promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.
E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato come giustizia, ma anche per noi, ai quali
sarà egualmente accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore,
il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.

COMMENTO

Come annunciato all'inizio, il cammino di oggi ci porta a confermare la conclusione a cui eravamo giunti nello scorso appuntamento. E cioè che non è in base alla Legge che l'uomo è salvo e giustificato, ma solo in base alla fede. Oggi abbiamo come esempio a sostegno di questa tesi, la figura di Abramo. Abramo è vissuto in un periodo precedente la Legge: egli è un esempio fulgido per tutti noi, perchè ha creduto praticamente all'impossibile. Non vi era allora, la conoscenza che noi oggi possediamo. Abramo ha creduto perchè ha voluto credere nell'impossibile. Ha dato fiducia a Dio riconoscendo in Lui la strada giusta e il Padre fedele. Non ha dubitato nemmeno quando gli è stata presentata una promessa irrealizzabile ad occhi umani e cioè quando gli fu predetto che Dio avrebbe dato ad Abramo una discendenza. Abramo era vecchio e così era sua moglie: oggi, amiamo parlare molto di scienza per spiegare ogni cosa. La scienza, in quei giorni, avrebbe detto che sarebbe stato impossibile per Sara concepire un bambino, in quell'età avanzata. Eppure, Abramo non ha ragionato secondo canoni scientifici, ma secondo il cuore e secondo la fede: ha dato fiducia, ha creduto e per questo Dio l'ha ricompensato. Non solo gli ha donato l'impossibile e cioè un figlio, ma ha fatto di lui, padre di molti popoli. La sua discendenza sarebbe stata talmente numerosa che nessuno sarebbe stato in grado nemmeno di contarla! Vedete: da un opera di fede è scaturita un'opera di giustizia in abbondanza.
Ora, anche noi possiamo trovare la salvezza e la giustizia nel nostro Dio. E questo non in base a ciò che facciamo, ma in base al nostro cuore e alla fede che abbiamo in Colui che ci ha redenti e cioè Gesù Cristo. Tramite la fede in Gesù noi siamo salvi perchè Dio non tiene in conto il nostro peccato. Se invece facessimo delle opere per mostrarci buoni, mentre dentro vi è lordume, quale giustizia ci potrà esser accreditata?
Ma, come detto l'ultima volta, questo non significa che non vi devono essere le opere. Le opere sono la naturale conseguenza della fede: aver fede in Gesù significa seguire il Suo volere e come si può seguire il Suo volere se non adempiendo la Parola di Dio? La fede è nel cuore e non nella professione a parole. Se io a parole dico che bisogna aiutare e poi non lo faccio, quale merito ne ho?
Le opere sono insite nella fede: Papa Benedetto XVI lo ha riconosciuto e io vi saluto con uno stralcio del suo intervento in occasione dell'Angelus del 13 settembre 2009 : "Questa via è l'amore, che è l'espressione della vera fede. Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso, vuol dire che conosce veramente Dio. Se invece uno dice di avere fede, ma non ama i fratelli, non è un vero credente. Dio non abita in lui. Lo afferma chiaramente san Giacomo nella seconda lettura della Messa di questa Domenica: "Se non è seguita dalle opere, [la fede] in se stessa è morta" (Gc 2,17). A questo proposito, mi piace citare uno scritto di san Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Padri della Chiesa, che il calendario liturgico ci invita oggi a ricordare. Proprio commentando il passo citato della Lettera di Giacomo egli scrive: "Uno può anche avere una retta fede nel Padre e nel Figlio, così come nello Spirito Santo, ma se non ha una retta vita, la sua fede non gli servirà per la salvezza. Quando dunque leggi nel Vangelo: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio» (Gv 17,3), non pensare che questo verso basti a salvarci: sono necessari una vita e un comportamento purissimi" (cit. in J.A. Cramer, Catenae graecorum Patrum in N.T., vol. VIII: In Epist. Cath. et Apoc., Oxford 1844)."


lunedì 26 luglio 2010

In onore di Sant'Anna e San Gioacchino


Oggi, in onore di Anna e Gioacchino, "nonni" di Gesù, presento l'omelia del Cardinal Tarcisio Bertone, enunciata in occasione della Festa loro dedicata:


CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DELLA FESTA LITURGICA
DEI SANTI GENITORI DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Parrocchia di Sant'Anna in Vaticano
Giovedì, 26 luglio 2007


Questa Celebrazione Eucaristica ci offre l'occasione per sperimentare la beatitudine di coloro che ascoltano la Parola di Dio; che entrano in relazione viva con il suo disegno di salvezza, attraverso la comunione con il Corpo, Sangue e Anima di Cristo, nostro Salvatore.

"Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!" (Mt 13, 16-17). Gesù fa sentire ai suoi discepoli la grandezza del dono ricevuto. Ad essi non parla in parabole del regno di Dio. Le parabole velavano una dottrina che l'interpretazione di molti rischiava di distorcere in senso nazionalistico e materiale; ad essi, che erano docili e umili, Gesù comunicava l'esatta interpretazione delle parabole: la felicità e la liberazione è per tutti, soprattutto per gli emarginati, gli ammalati, gli oppressi, i deboli, le donne, gli esclusi, i piccoli, gli stranieri, i poveri; l'origine di questa liberazione terrena ed eterna è Dio, che egli annuncia come Padre, Figlio e Spirito Santo.

Il Dio Trinitario non è un mistero incomprensibile, del quale è meglio non parlare. Il suo mistero è il mistero dell'Amore, nel quale tutti siamo inseriti. Ma per comprenderlo occorre diventare amici di Gesù - come ci invita costantemente a fare il Santo Padre - suoi intimi, suoi discepoli, occorre seguirlo nella sua missione.

Il motivo che ci riunisce intorno all'altare di questa Chiesa parrocchiale del Vaticano, dedicata a Sant'Anna, è la festa patronale. Anna e Gioacchino, esemplari sposi ebrei, hanno vissuto un tempo cruciale della storia della salvezza, nel momento in cui stava per avverarsi la promessa di Dio ad Abramo, e l'umanità stava per ricevere la risposta attesa dai giusti dell'Antico Testamento, che aspettavano la consolazione di Israele.

Abbiamo ascoltato le parole del Salmo 131 sulla fedeltà di Dio alla sua promessa: "Il Signore ha giurato a Davide e non ritratterà la sua parola: "Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono!". Il Signore ha scelto Sion, l'ha voluta per sua dimora: "Questo è il mio riposo per sempre; qui abiterò, perché l'ho desiderato"".

Anna e Gioacchino erano senz'altro del numero di quei pii ebrei che aspettavano la consolazione di Israele, e proprio a loro è stato dato un compito speciale nella storia della salvezza: sono stati scelti da Dio per generare l'Immacolata, la quale a sua volta è chiamata a generare il Figlio di Dio.

Conosciamo i nomi dei genitori della Beata Vergine tramite un testo non canonico, il Protovangelo di Giacomo. Essi sono citati nella pagina che precede l'annuncio dell'Angelo a Maria. Questa loro figlia non poteva non irradiare quella grazia tutta speciale della sua immacolatezza, la pienezza di grazia che la preparava per il disegno della maternità divina.

Possiamo immaginare quanto da lei avranno ricevuto questi due genitori, nello stesso tempo in cui esercitavano il loro compito di educatori. Il quadro che sovrasta l'altare di questa chiesa ci fa intuire qualcosa di quello che può essere stato il rapporto tra Sant'Anna e Maria anche nei confronti della Parola di Dio rivelata. Le univano, madre e figlia, oltre ai legami familiari, l'attesa condivisa del compimento delle promesse, la preghiera multiforme dei Salmi, il richiamo di una vita donata a Dio.

Avremo noi gli occhi e gli orecchi aperti per riconoscere un così alto mistero? Chiediamo ai Santi Anna e Gioacchino non solo di vedere e di udire il messaggio di Dio, ma anche di partecipare, con l'amore verso quanti incontreremo, al suo amore, in particolare portando a tutte le nostre famiglie luce e speranza. A Sant'Anna in particolare affidiamo le mamme, soprattutto quelle che sono ostacolate nella difesa della vita nascente o trovano difficoltà nel crescere ed educare i propri figli.

Papa Giovanni Paolo II nel visitare per la prima volta questa sua parrocchia di S. Anna (il 10 dicembre 1978), parlò, per così dire, della casa paterna di Maria, Madre di Cristo; di quella casa in cui, circondata dall'amore e dalla sollecitudine dei suoi genitori, Maria "imparava" da sua madre, come essere madre: "Quando dunque come "eredi della promessa" (cfr Gal 4, 28.31) divina, ci troviamo nel raggio di questa maternità - ha detto il Servo di Dio Giovanni Paolo II -, e quando risentiamo la sua santa profondità e pienezza, pensiamo allora che fu proprio Sant'Anna la prima a insegnare a Maria, sua figlia, come essere madre".

Ma c'è un altro aspetto che vorrei sottolineare: i Santi Anna e Gioacchino possono essere presi come modello anche per la loro santità vissuta in età avanzata. Secondo un'antica tradizione essi erano già anziani quando fu loro affidato il compito di dare al mondo, custodire e allevare la Santa Madre di Dio.

Nella Sacra Scrittura la vecchiaia è circondata di venerazione (2 Mac 6, 23). Il giusto non chiede di essere privato della vecchiaia e del suo peso; al contrario così egli prega: "Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza... E ora nella vecchiaia e nella canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue meraviglie" (Sal 71 [70], 5-18).

Con la sua stessa presenza, la persona anziana ricorda a tutti, e specialmente ai giovani, che la vita sulla terra è una "parabola" con un suo inizio ed una sua fine: per provare la sua pienezza essa chiede di riferirsi a valori non effimeri e superficiali, ma solidi e profondi.

Purtroppo un gran numero di giovani del nostro tempo si avviano ad una concezione della vita in cui i valori etici diventano sempre più superficiali, dominati come sono da un edonismo imperante. Ciò che preoccupa soprattutto è che le famiglie si disgregano mano a mano che gli sposi giungono all'età matura e avrebbero maggior bisogno di amore, di aiuto e di comprensione vicendevole.

Gli anziani che hanno ricevuto una sana educazione morale dovrebbero dimostrare con la vita e con la loro condotta sul lavoro la bellezza di una sana vita morale. Dovrebbero dimostrare ai giovani la forza profonda della fede che ci hanno trasmesso i nostri martiri, e la bellezza della fedeltà alle leggi divine della morale coniugale.

Tempo fa si è rivolto a me un gruppo di cattolici giapponesi, desiderosi di costituire una Pia Associazione ispirata ai Santi Gioacchino ed Anna, che raggruppa coppie di sposi della così detta "terza età", dedite proprio a promuovere gli ideali di vita che ho appena esposto.
Per terminare desidero proporre a tutti voi qui presenti, la preghiera che essi recitano quotidianamente:

O Santi Gioacchino e Anna,
proteggete le nostre famiglie,
dai promettenti inizi
fino all'età matura,
carica delle sofferenze della vita,
e sorreggetele nella fedeltà
alle solenni promesse.

Accompagnate coloro che, anziani,
si avvicinano all'incontro con Dio.
Addolcite il trapasso, supplicando
per quell'ora la materna presenza
della vostra diletta figlia,
la Vergine Maria,
e del suo divin Figlio: Gesù.
Amen.


sabato 24 luglio 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Terzo appuntamento

Con un giorno di ritardo (ieri ho preferito dar spazio alla memoria di Santa Brigida di Svezia), torna l'appuntamento settimanale con le Lettere Apostoliche, un cammino che spero possa portare frutti per tutti noi. 


Terza parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani  


-1Qual è dunque la superiorità del Giudeo? O quale l'utilità della circoncisione?
-2Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le rivelazioni di Dio.
-3Che dunque? Se alcuni non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fedeltà di Dio?
-4Impossibile! Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come sta scritto:
Perché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole
e trionfi quando sei giudicato.
-5Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Forse è ingiusto Dio quando
riversa su di noi la sua ira? Parlo alla maniera umana.
-6Impossibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo?
-7Ma se per la mia menzogna la verità di Dio risplende per sua gloria, perché dunque sono ancora
giudicato come peccatore? 8Perché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come alcuni - la
cui condanna è ben giusta - ci calunniano, dicendo che noi lo affermiamo?
9Che dunque? Dobbiamo noi ritenerci superiori? Niente affatto! Abbiamo infatti dimostrato
precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del peccato, 10come sta scritto:

Non c'è nessun giusto, nemmeno uno,
11non c'è sapiente, non c'è chi cerchi Dio!
12Tutti hanno traviato e si son pervertiti;
non c'è chi compia il bene, non ce n'è neppure uno.
13La loro gola è un sepolcro spalancato,
tramano inganni con la loro lingua,
veleno di serpenti è sotto le loro labbra,
14la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza.
15I loro piedi corrono a versare il sangue;
16strage e rovina è sul loro cammino
17e la via della pace non conoscono.
18Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi.

19Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia
chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. 20Infatti in virtù delle opere
della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la
conoscenza del peccato.
21Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge
e dai profeti; 22giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è
distinzione: 23tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratuitamente per
la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. 25Dio lo ha prestabilito a servire come
strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo
la tolleranza usata verso i peccati passati, 26nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua
giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù.
27Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla
legge della fede. 28Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle
opere della legge. 29Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei
pagani! 30Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della
fede anche i non circoncisi. 31Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto,
anzi confermiamo la legge.

COMMENTO
  
Le parole di oggi di San Paolo sono molto importanti perchè vanno ad abbattere un principio molto diffuso in quei tempi e cioè la superiorità del Giudeo e della Legge. In quel tempo, i Giudei pensavano di essere superiori perchè scelti da Dio: ciò li portava ad escludere che a Salvezza potesse riguardare il popolo dei pagani. Gesù ha lanciato un messaggio universale, che raggiunge gli estremi confini della Terra. E' normale che questo messaggio universale ha colpito i giudei del tempo e soprattutto coloro che si convertivano al cristianesimo: questi ultimi continuavano a non capire questo messaggio, poiché insistevano nel porre la loro attenzione nella Legge. San Paolo invece afferma una nuova legge, la legge della fede. Innanzitutto egli fa salvo il fatto che i Giudei non hanno perso la fedeltà di Dio nonostante l'incredulità di molti: è questo un altro passo importante per spiegare che gli ebrei non sono dimenticati da Dio come molti credono. La fedeltà di Dio non viene mai meno, semmai è la fedeltà dell'uomo che viene meno, come è avvenuto ai tempi di Gesù. 
Però San Paolo ribadisce l'universalità del messaggio evangelico: fa subito capire che sia i giudei che i pagani sono sotto il peccato e che quindi non vi è differenza alcuna. Le Parole di Gesù e la Sua salvezza vanno dunque dritte sia al cuore del giudeo che del pagano, qualunque sia la sua nazionalità. E non fa differenza nemmeno la Legge: difatti la Legge non salva, ma porta solo alla conoscenza del peccato. Non si è salvi tramite la Legge (come molti Giudei sostenevano), ma si è salvi tramite la legge della fede! 
E qui mi viene da ricordare alcune parole di Sant?Agostino, il quale si è soffermato spesso sul rapporto tra la Legge delle opere e la Legge della fede. Per Sant'Agostino la legge delle opere e la legge della fede non differiscono tra loro per il contenuto morale. Noi siamo salvi per mezzo della fede in Cristo Gesù, la quale scolpisce nei nostri cuori i precetti divini. La giustificazione del peccato non è più frutto della pietà divina, ma del sacrificio di Gesù che ha redento le nostre colpe. Ecco perchè noi siamo salvi in virtù della fede e non della Legge, perchè quest'ultima presuppone solo la conoscenza del peccato. Ma spazziamo subito il campo da equivoci: esser salvi per mezzo della legge della fede in Cristo piuttosto che per mezzo della Legge delle opere, non significa che le opere non vanno più compiute. Le opere sono scolpite in noi per via della fede: aver fede, significa adempiere la Volontà del Padre. Per chi vuole approfondire, consiglio di leggere il passo seguente, tratto da un opera di Sant'Agostino, che si sofferma proprio sul significato della Legge della Fede, così come inteso da San Paolo in questo passo:

In che differiscano tra loro la legge dei fatti, cioè delle opere, che non esclude quel vanto e la legge della fede che l'esclude, vale la pena di esaminarlo, se pur riusciremo a coglierlo e a precisarlo. Ognuno è pronto a dire che la legge delle opere è nel giudaismo e la legge della fede nel cristianesimo, perché la circoncisione e le altre opere simili sono proprie della legge mosaica che ormai la disciplina cristiana non osserva più. Ma quanto sia sbagliato questo criterio già da molto tentiamo di mostrarlo e forse l'abbiamo già mostrato a coloro che sono svelti d'intelligenza, soprattutto a te e a quanti somigliano a te. Ma poiché è un punto di grande interesse, merita che ci ritorniamo sopra a più riprese e ci fermiamo a chiarirlo con testimonianze ancora più numerose. La legge infatti a cui Paolo nega la forza di giustificare è la stessa legge che egli dice sopraggiunta perché abbondasse la colpa. Ma tuttavia, perché nessuno ignorantemente e sacrilegamente criticasse e accusasse per questo la legge, egli la prende a difendere scrivendo: Che diremo dunque? La legge è peccato? No certamente. Ma io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Dice pure: La legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene. La lettera che uccide è dunque la stessa legge che dice: Non desiderare e della quale Paolo scrive anche quello che ho già riferito poco fa: Per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato. Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata, dal Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. Poi scrive quello di cui ci occupiamo attualmente: Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. La legge dunque delle opere è quella che dice: Non desiderare, perché essa fa conoscere il peccato. Vorrei allora sapere se qualcuno oserà dirmi che la legge della fede non dice: Non desiderare. Se non lo dice, che ragione abbiamo di non peccare tranquillamente e impunemente sotto di essa? Di dire ciò accusavano l'Apostolo coloro dei quali egli scrive: Perché non dovremmo fare il male, affinché venga il bene, come alcuni la cui condanna è ben giusta, ci calunniano dicendo che noi lo affermiamo? Ma se anch'essa dice: Non desiderare, come non cessano d'attestarlo e conclamarlo molti precetti evangelici e apostolici, perché mai non si chiama anch'essa legge delle opere? Se non ha le opere degli antichi sacramenti, cioè della circoncisione e delle altre prescrizioni, non per questo non sono opere quelle che essa ha nei sacramenti appropriati al suo tempo. Non è forse vero invece che erano in questione le opere dei sacramenti quando il motivo di far menzione della legge era che da essa viene la conoscenza del peccato e perciò da essa nessuno viene giustificato? Non esclude quindi il vanto, che viene escluso invece dalla legge della fede, mediante la quale vive il giusto. Ma forse non viene la conoscenza del peccato anche dalla legge della fede, dicendo essa pure: Non desiderare? 

venerdì 23 luglio 2010

In memoria di Santa Brigida di Svezia

In memoria di Santa Brigida di Svezia, compatrona di Europa, oggi do spazio nel mio angolo ad una nuova Omelia del Venerabile Giovanni Paolo II, affinché capiamo meglio il valore di questo ricordo.


CELEBRAZIONE ECUMENICA IN MEMORIA DI SANTA BRIGIDA DI SVEZIA,
COMPATRONA D'EUROPA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Sabato, 13 novembre 1999



1. "Ecco, io faccio nuove tutte le cose . . . queste parole sono certe e veraci" (Ap 21, 5).

Cristo fa nuove tutte le cose. Santa Brigida, illustre figlia della terra di Svezia, credette molto e con profondo amore in Cristo. Abbellì con il suo canto di fede e con le sue buone opere la Chiesa, nella quale riconosceva la comunità dei credenti, abitata dalla Spirito di Dio.

Oggi ricordiamo questa singolare figura di Santa e sono particolarmente lieto che in questa celebrazione siano accanto a me i più alti rappresentanti delle Chiese luterane di Svezia e di Finlandia, assieme ai miei venerati Fratelli nell'Episcopato di Stoccolma e di Copenaghen. Li saluto tutti e ciascuno con grande affetto.

Con deferenza saluto poi il Re e la Regina di Svezia, che hanno voluto onorare questa celebrazione con la loro presenza. Il mio saluto si estende inoltre alle Personalità politiche, che sono qui con noi. Saluto infine tutte voi, care Suore del Santissimo Salvatore di santa Brigida, qui guidate dalla vostra Superiora Generale.

2. Siamo riuniti ancora una volta per rinnovare davanti al Signore l'impegno per l'unità della fede e della Chiesa che santa Brigida fece proprio con convinzione in tempi difficili. La passione per l'unità dei cristiani è stata il nutrimento della sua intera esistenza. E questo impegno, grazie alla sua testimonianza ed a quella di Madre Elisabetta Hesselblad, è giunto fino a noi, attraverso la corrente misteriosa della Grazia che valica i confini del tempo e dello spazio.

L'odierna celebrazione ci spinge a meditare sul messaggio di santa Brigida, che ho voluto recentemente proclamare compatrona d'Europa, insieme a santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce. Il suo amore attivo per la Chiesa di Cristo e la testimonianza che ha reso alla Croce costituiscono un emblema ed un'aspirazione per tutti noi, che ci apprestiamo a varcare le soglie di un nuovo millennio.

Sono molto lieto di inaugurare e benedire questa sera, al termine della presente celebrazione, una statua che renderà più viva, qui in Vaticano, la memoria di questa grande testimone della fede. Posta all'esterno di questa Basilica e proprio accanto alla Porta detta "della preghiera", l'effigie marmorea di santa Brigida costituirà per tutti un costante invito a pregare e ad operare sempre per l'unità dei cristiani.

3. Il mio pensiero va ora al 5 ottobre del 1991, quando, in questa stessa Basilica, ebbe luogo una solenne celebrazione ecumenica nel quarto centenario della canonizzazione di santa Brigida. In quella circostanza ebbi a dire: "Da ormai venticinque anni luterani e cattolici si adoperano per ritrovare la via comune . . . Il dialogo teologico ha riportato in luce il vasto patrimonio di fede che ci unisce... Nessuno ignora che dalla dottrina della giustificazione ha preso avvio la Riforma protestante e che essa ha infranto l'unità dei cristiani d'Occidente. Una sua comune comprensione... ci aiuterà, ne siamo certi, a risolvere le altre controversie che direttamente o indirettamente ad essa sono collegate".

Quella "comune comprensione" che io auspicavo nove anni fa, oggi, grazie al Signore, è diventata incoraggiante realtà. Il 31 ottobre scorso, nella città di Augusta, è stata firmata solennemente una Dichiarazione congiunta, nella quale luterani e cattolici hanno maturato un consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Questa acquisizione del dialogo ecumenico, pietra miliare nel cammino verso l'unità piena e visibile, è il risultato di un intenso lavoro di ricerca, di incontri e di preghiera.

Resta, tuttavia, dinanzi a noi un lungo cammino da percorrere: "grandis restat nobis via". Dobbiamo fare ancora di più, coscienti delle responsabilità che su tutti noi incombono alle soglie di un nuovo millennio. Dobbiamo continuare a camminare insieme, sostenuti da Cristo, che nel Cenacolo, alla vigilia della sua morte, ha pregato il Padre perché i suoi discepoli "tutti siano una cosa sola" (Gv 17, 21).

4. Nel testo della Dichiarazione congiunta è scritto quanto mai opportunamente che il consenso raggiunto dai cattolici e dai luterani "su verità fondamentali della dottrina della giustificazione deve avere degli effetti e trovare un riscontro nella vita e nell'insegnamento delle Chiese" (n. 43).

Ci affidiamo, in questa via, all'azione incessante dello Spirito Santo. Confidiamo, inoltre, anche in chi, prima di noi, ha tanto amato Cristo e la sua Croce e ha pregato, come santa Brigida, per la caratteristica irrinunciabile della Chiesa, quella della sua unità.

Non conosciamo il giorno dell'incontro con il Signore. Per questo il Vangelo ci chiama a vegliare, tenendo accese le nostre lampade, perché quando lo Sposo giungerà possiamo essere pronti ad accoglierlo. In questa vigile attesa, risuona nel cuore di ogni credente l'invocazione del divino Maestro: "Ut unum sint".

Santa Brigida ci sia di esempio ed interceda per noi. A voi, carissime sue figlie spirituali dell'Ordine del Santissimo Salvatore, chiedo in modo speciale di proseguire fedelmente nel vostro prezioso apostolato al servizio dell'unità.

Il nuovo millennio è ormai alle porte: "Cristo ieri, oggi, sempre" sia il centro e la meta d'ogni nostra aspirazione. E' Lui che fa nuove tutte le cose e traccia per i suoi fedeli un itinerario di gioiosa speranza. Preghiamo senza sosta perché Egli ci conceda la saggezza e la forza del suo Spirito; invochiamolo perché tutti i cristiani raggiungano quanto prima l'unità. Nulla è impossibile a Dio!

© Copyright 1999 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 22 luglio 2010

In onore di Maria Maddalena

Oggi, la Chiesa ricorda la figura di Maria Maddalena. In onore di questa celebrazione, pongo nel mio umile angolo, le parole del venerabile Giovanni Paolo II, tratte dall'omelia della celebrazione eucaristica del 22 luglio 2000 in Valle d'Aosta:

CELEBRAZIONE EUCARISTICA CON I SACERDOTI DELLA DIOCESI DI AOSTA

OMELIA DEL SANTO PADRE

22 luglio 2000

1. Carissimi Sacerdoti della diocesi di Aosta, sono particolarmente lieto di celebrare insieme con voi questa Santa Messa, al termine del mio soggiorno tra le vostre montagne. Vi saluto tutti con grande affetto e, in modo speciale, saluto il vostro Vescovo, che ringrazio di cuore per le tante premure avute in questi giorni verso di me ed i miei collaboratori.

Celebriamo la festa di Santa Maria Maddalena e la liturgia è oggi contrassegnata da una sorta di movimento, di "corsa" del cuore e dello spirito, animati dall'amore di Cristo. Le parole di san Paolo: "caritas Christi urget nos" (2 Cor 5,14), che abbiamo ascoltato nella prima lettura, possono e debbono ispirare la vita di ogni sacerdote, come hanno contrassegnato quella di Maria di Magdala.

La Maddalena ha seguito al Calvario colui che l’aveva guarita. È stata presente alla sepoltura di Gesù. Insieme con la Madre santissima e il discepolo amato ne ha raccolto l'ultimo respiro e la tacita testimonianza del costato trafitto: ha compreso che in quella morte, in quel sacrificio stava la sua salvezza. Ed il Risorto, come ci narra l'odierno Vangelo, ha voluto mostrare il suo corpo glorioso anzitutto a lei, che intensamente aveva pianto la sua morte. A lei ha voluto affidare "il primo annuncio della gioia pasquale" (Colletta), quasi a ricordarci che proprio a chi fissa lo sguardo con fede e con amore sul mistero della passione e morte del Signore, viene svelata la luminosa gloria della sua risurrezione.

2. Maria Maddalena ci insegna così che le radici della nostra vocazione di apostoli affondano nell'esperienza personale di Cristo. Dall'incontro con Lui ha origine un nuovo modo di vivere non più per se stessi, ma per Lui, che è morto e risorto per noi (cfr 2 Cor 5,15), lasciando alle spalle l'uomo vecchio per conformarsi sempre più pienamente a Cristo, Uomo nuovo.

Quest'insegnamento di vita è, con speciale eloquenza, per noi pastori della Chiesa, chiamati a guidare il Popolo di Dio con la parola, ma anzitutto con la testimonianza della vita. E pertanto chiamati ad un'intimità più grande con Cristo, che ci ha scelti come amici: "vos autem dixi amicos" (Gv 15,15).

Carissimi fratelli nel sacerdozio, auguro a ciascuno di voi di mantenere sempre viva la vostra comunione con Cristo. Vi sospinga, nel vostro apostolato, il suo amore, non solo nelle grandi occasioni, ma soprattutto in quelle ordinarie, nelle vicende di ogni giorno. L'intima unione con Dio, alimentata nella Santa Messa, nella Liturgia delle Ore, nella preghiera personale, muove il sacerdote a compiere con fede e carità il suo ministero pastorale. Sta proprio in quest'intimità con Gesù il segreto della sua missione.

Preghiamo, nel corso di questa celebrazione eucaristica, perché il Signore ci renda degni ministri della sua grazia. Invochiamolo, per intercessione di Santa Maria Maddalena, affinché, attraverso di voi, carissimi sacerdoti, giunga ai residenti ed ai villeggianti di questa Regione l'incessante annuncio della morte e risurrezione di Cristo. Iddio, che ha arricchito di stupende bellezze naturali la Valle d'Aosta, alimenti con il suo Spirito la fede di quanti vi abitano. E la Vergine Santa vegli materna su di voi e sul servizio apostolico che siete chiamati a svolgere con costante generosità, rendendolo ricco di abbondanti frutti di bene.

© Copyright 2000 - Libreria Editrice Vaticana



lunedì 19 luglio 2010

In ricordo di Paolo Borsellino

Oggi, 19 Luglio, si celebra il ricordo di un uomo che ha sacrificato la sua
vita per non cedere al puzzo del compromesso morale: Paolo Borsellino. Egli è stato un'icona nella lotta alla mafia e ad ogni forma di criminalità organizzata e di prepotenza: ha risvegliato le coscienze addormentate di molti e soprattutto ha generato un valore che è stato recepito da molti esponenti della nuova generazione. Mi piace vedere che quando ci sono manifestazioni come quella delle "Agende rosse", ci siano sempre dei ragazzi in prima fila, a testimoniare che vi è speranza per il futuro. Oggi, il nostro Paese, è attanagliato dalla morsa delle mafie: in ogni settore, soprattutto politico. E' questa è la cosa più grave e devastante: il fatto che ci siano collusioni tra ambiente politico ed ambiente mafioso. Lo stesso Borsellino si soffermava spesso su questo e rimaneva sconcertato nell'apprendere di questo tipi di legami e nell'apprendere che lo stesso Stato che egli fieramente serviva, potesse essere complice di coloro che combatteva a costo della sua vita.
Oggi, in ricordo di Paolo Borsellino, ho deciso di pubblicare nel mio angolo una parte del racconto del suo figlio Manfredi, di quel terribile quanto mai dimenticato giorno del 19 Luglio 1992.

di Manfredi Borsellino:

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all'orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per "fottere" il mondo con due ore di anticipo.
In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d'altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore "Pippo" Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell'Università di Palermo e storico esponente dell'Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia "loffia" domenicale tradendo un certo desiderio di "fare strada" insieme, ma non ci riuscì. L'avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.

Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell'85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati "deportati" all'Asinara, o quella dell'anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese.
Ma quella era un'estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all'apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.

Così quell'estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo "esposta" per la sua adiacenza all'autostrada per rendere possibile un'adeguata protezione di chi vi dimorava.
Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l'ultimo bagno nel "suo" mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D'Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.

Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti.
Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel "tenere comizio" come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l'eccidio) e l'agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull'uscio della villa del professore Tricoli, io l'accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l'appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.

Ho realizzato che mio padre non c'era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell'attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d'infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D'Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi "resti", perché quando giunsi in via D'Amelio fui riconosciuto dall'allora presidente della Corte d'Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna.
Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all'interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell'esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell'ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un'ultima volta.

La mia vita, come d'altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza "se" e senza "ma" a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in "familiari superstiti di una vittima della mafia", che noi vivessimo come figli o moglie di ....., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva "Paolino" sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza "farci largo" con il nostro cognome, divenuto "pesante" in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo "montati la testa", rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l'onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra.
E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l'avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ovverosia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall'evento drammatico che mi sono trovato a vivere.

D'altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, ovverosia una persona che in un modo o nell'altro avrebbe "sfruttato" questo rapporto di sangue, avrebbe "cavalcato" l'evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di .... o perché di cognome fa Borsellino. (...)
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.

(Il testo di Manfredi Borsellino è tratto dal volume "Era d'estate" a cura di Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi edito da Pietro Vittorietti)

 

venerdì 16 luglio 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Secondo appuntamento


Seconda parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani  

1Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni
te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. 2Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è
secondo verità contro quelli che commettono tali cose. 3Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che
commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio? 4O ti prendi gioco della
ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio
ti spinge alla conversione? 5Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di
te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, 6il quale renderà a ciascuno secondo
le sue opere: 7la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e
incorruttibilità; 8sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono
all'ingiustizia. 9Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il
Greco; 10gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco,
11perché presso Dio non c'è parzialità.
12Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno
peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. 13Perché non coloro che ascoltano la legge sono
giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. 14Quando i pagani, che
non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se
stessi; 15essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza
della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. 16Così avverrà
nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.
17Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, 18del quale
conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, 19e sei convinto di
esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, 20educatore degli ignoranti, maestro dei
semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità... 21ebbene, come mai tu,
che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? 22Tu che proibisci
l'adulterio, sei adùltero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? 23Tu che ti glori della legge, offendi
Dio trasgredendo la legge? 24Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta
scritto.
25La circoncisione è utile, sì, se osservi la legge; ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei
come uno non circonciso. 26Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non
circoncisione non gli verrà forse contata come circoncisione? 27E così, chi non è circonciso fisicamente,
ma osserva la legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della legge e la circoncisione, sei un
trasgressore della legge. 28Infatti, Giudeo non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella
visibile nella carne; 29ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello
spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini ma da Dio.

COMMENTO

In questa seconda parte della Lettera di San Paolo ai Romani, troviamo alcuni spunti fondamentali per la nostra vita di cristiani. Il giudizio è uno di questo. Noi siamo sempre inclini a guardare la pagliuzza nell'occhio del nostro fratello, dimenticando invece di guardare alla trave che abbiamo nel nostro. Questa è un abitudine che tutti, purtroppo abbiamo e San Paolo ci avvisa che dobbiamo imparare, invece, a guardare più al nostro comportamento che a quello altrui. In realtà, San Paolo parla in un tempo in cui dominava il giudizio sugli altri e l'ipocrisia di chi emanava tali giudizi: abbiamo visto i farisei che guardavano i peccati della povera gente mentre loro commettevano abomini peggiori. PEr questo San Paolo dice che coloro che giudicano gli altri prima che sé stessi, non sfuggiranno all'ira di Dio perchè con i loro atteggiamento non fanno altro che accumulare collera sulle loro teste. Così anche noi: pensiamo forse di essere migliori perchè predichiamo o evangelizziamo? Non serve a nulla evangelizzare gli altri, se non si è in grado di evangelizzare prima sé stessi. Se dunque io dicessi che non si deve commettere un peccato, quale merito ne avrei se quello stesso peccato viene da me commesso? Non sarei solo un ipocrita dinanzi agli occhi di Dio? Certo, avrei rispetto tra gli uomini, ma a che giova esser da loro rispettati? Dio solo è capace di scrutare gli animi e quindi ciò che conta, è il Suo giudizio e non quello umano.

Un altro punto importante riguarda la Legge e la Sua conoscenza. Anche qui, ci viene da tirare in ballo i farisei del tempo che avevano perso di vista il Cuore della Legge. Essi erano bravi a rimproverare coloro che non osservavano le norme, ma non avevano capito il cuore di quelle norme. Ecco, San Paolo dice una cosa fondamentale: non l'ascolto della Parola conta, ma la Sua applicazione concreta! Oggigiorno, molti parlano e si basano su formalizzazioni, ma pochi applicano realmente: Dio invece chiama all'applicazione e non all'ascolto passivo: lo stesso che avviene oggi durante la Messa. Mentre il prete parla, si ascolta, ma una volta varcato l'uscio della Chiesa, ci si dimentica ogni cosa e si torna a compiere le stesse cose di prima. A cosa serve dunque ascoltare, se non applichiamo? San Paolo considera l'applicazione talmente importante al punto che essa giustifica anche chi non conosce nemmeno la Legge! Dinanzi a Dio, non conterò dunque l'intelligenza e la sapienza, ma l'osservanza e il comportamento concreto! L'esempio della circoncisione non fa altro che avallare questa tesi: il cuore conta, non la forma. 


Iniziativa in difesa della vita nascente

 Oggi, vi voglio rendere partecipi di un iniziativa che mi è stata segnalata via mail, da uno dei nostri più cari visitatori. Spero che sappiate accoglierla come dovuto:




Associazione Due minuti per la vita
Preghiera in difesa della vita nascente
Casella postale 299 - 10121 Torino - Fax. 011.19.83.42.99
Newsletter n. 135
Torino, 14 luglio 2010
San Camillo de Lellis
Il Ministro Meloni scrive ad Avvenire ed il
Direttore rilancia la richiesta della revoca del patrocinio
Dopo oltre 1700 email Vi chiediamo ancora di far girare la voce!
Cari amici,
in risposta al nostro appello pubblico del 6 luglio, il Ministro Giorgia Meloni ha scritto una lettera al Direttore di Avvenire – pubblicata sabato scorso a pagina 8 – per spiegare le ragioni ed il senso del patrocinio concesso alla campagna pro-contraccezioneTravelsex lanciata dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) per l’estate.
Di fronte alle argomentazioni fornite dal Ministro, che ci sembrano eludere il vero nocciolo della questione – cioè il fatto che le campagne tipo Travelsex, veicolando un’idea banalizzante e deresponsabilizzante della sessualità, non fanno che aggravare la situazione delle “gravidanze indesiderate” tra gli adolescenti e, quindi, costituiscono un mezzo insufficiente e sbagliato per raggiungere l’obiettivo pur dichiarato –,  il Direttore Marco Tarquinio ha rilanciato la richiesta di revocare il patrocinio ministeriale concesso.

A questo punto 
Vi chiediamo di aiutarci ancora a diffondere l'iniziativa segnalando la pagina internetwww.dueminutiperlavita.eu/Campagna_Sigo.html  in cui è presente il modulo per inviare l’email di protesta: perché non far firmare i famigliari, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, il parroco e, perché no, le persone che si incontrano in vacanza?
In sole tre settimane oltre 1700 email sono state inviate alla SIGO ed al Ministero, ed è molto importante che tante altre ne continuino ad arrivare! Chiunque condivida e voglia difendere una visione della sessualità che sia davvero rispettosa dell’uomo e della donna può mandare il proprio messaggio!


Fidandoci del Vostro aiuto auguriamo un buon pomeriggio ed una buona festa della Madonna del Carmine per venerdì!
In Gesù e Maria,
Responsabili
Ps. da alcuni giorni la protesta contro la campagna Travelsex è diventata anche una “causa” su Facebook, al fine di aumentarne la visibilità. Veniteci a trovare ed aderite numerosi: http://www.causes.com/causes/503465?recruiter_id=42115671
***
Questa newsletter viene inviata a coloro che hanno chiesto informazioni ed aggiornamenti sull'iniziativa di preghiera dei Due minuti per la vita o sulle iniziative dell'omonima Associazione. Se il Vostro indirizzo è stato inserito per errore ci scusiamo del disagio arrecato: chi non desiderasse ricevere nostre ulteriori  comunicazioni  è pregato di inviare un messaggio a info@dueminutiperlavita.org avente per oggetto “cancellazione” oppure può cliccare qui ed inviare il messaggio che si aprirà dal proprio programma di posta elettronica (in questo caso la disiscrizione sarà automatica).

giovedì 15 luglio 2010

Messaggio Vergine Regina degli Ultimi Tempi

Messaggio del 14-07-2010


Figli miei, sono a voi per aiutarvi ad essere perfetti testimoni dell’amore di Dio attraverso un comportamento degno dei figli di Dio. Attingete dai doni che lo Spirito Santo mette a disposizione di ognuno di voi per esercitare la giustizia e la pace e ricordatevi che solo seminando si raccoglie. Vi chiedo perciò di diffondere ovunque vi è dato di portare la parola di Gesù: il suo vangelo e le sue parabole, come insegnamento di vita e di comportamento. Gli apostoli hanno fatto così e ognuno di voi è apostolo di Cristo se vive e opera in Lui. La vostra casa è la Chiesa, è lì che vi incontrate realmente con Cristo, per questo vi chiedo di frequentarla assiduamente, perché oggi sono pochi coloro che partecipano al sacrificio quotidiano della Santa Messa e in molti vi entrano solo per abitudine, dimenticando ciò che avviene realmente sull’altare.Vi amo figli miei e vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Geremia 16, 6-13

6 Moriranno in questo paese grandi e piccoli; non saranno sepolti né si farà lamento per essi; nessuno si farà incisioni né si taglierà i capelli. 7 Non si spezzerà il pane all'afflitto per consolarlo del morto e non gli si darà da bere il calice della consolazione per suo padre e per sua madre. 8 Non entrare nemmeno in una casa dove si banchetta per sederti a mangiare e a bere con loro, 9 poiché così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Ecco, sotto i vostri occhi e nei vostri giorni farò cessare da questo luogo le voci di gioia e di allegria, la voce dello sposo e della sposa.
10 Quando annunzierai a questo popolo tutte queste cose, ti diranno: Perché il Signore ha decretato contro di noi questa sventura così grande? Quali iniquità e quali peccati abbiamo commesso contro il Signore nostro Dio? 11 Tu allora risponderai loro: Perché i vostri padri mi abbandonarono - parola del Signore - seguirono altri dèi, li servirono e li adorarono, mentre abbandonarono me e non osservarono la mia legge. 12 Voi però avete agito peggio dei vostri padri; ognuno di voi, infatti, segue la caparbietà del suo cuore malvagio rifiutandosi di ascoltarmi. 13 Perciò vi scaccerò da questo paese verso un paese che né voi né i vostri padri avete conosciuto e là servirete divinità straniere giorno e notte, poiché io non vi userò più misericordia.

www.verginedegliultimitempi.com 

mercoledì 14 luglio 2010

E il Verbo si fece carne...

 
Oggi posto un'altra pillola per riflettere:
 "Alla fine dei tempi, miliardi di persone furono portate su di una grande pianura davanti al trono di Dio. Molti indietreggiarono davanti a quel bagliore. Ma alcuni in prima fila parlarono in modo concitato. Non con timore reverenziale, ma con fare provocatorio.
Può Dio giudicarci? Ma cosa ne sa lui della sofferenza?", sbottò una giovane donna. Si tirò su una manica per mostrare il numero tatuato di un campo di concentramento nazista. "Abbiamo subìto il terrore, le bastonature, la tortura e la morte!".
In un altro gruppo un giovane nero fece vedere il collo. "E che mi dici di questo?", domandò mostrando i segni di una fune. "Linciato. Per nessun altro crimine se non per quello di essere un nero".
In un altro schieramento c'era una studentessa in stato di gravidanza con gli occhi consumati. "Perché dovrei soffrire?", mormorò. "Non fu colpa mia".
Più in là nella pianura c'erano centinaia di questi gruppi. Ciascuno di essi aveva dei rimproveri da fare a Dio per il male e la sofferenza che Egli aveva permesso in questo mondo.
Come era fortunato Dio a vivere in un luogo dove tutto era dolcezza e splendore, dove non c'era pianto né dolore, fame o odio. Che ne sapeva Dio di tutto ciò che l'uomo aveva dovuto sopportare in questo mondo? Dio conduce una vita molto comoda, dicevano.
Ciascun gruppo mandò avanti il proprio rappresentante, scelto per aver sofferto in misura maggiore. Un ebreo, un nero, una vittima di Hiroshima, un artritico orribilmente deformato, un bimbo cerebroleso. Si radunarono al centro della pianura per consultarsi tra loro. Alla fine erano pronti a presentare il loro caso. Era una mossa intelligente.
Prima di poter essere in grado di giudicarli, Dio avrebbe dovuto sopportare tutto quello che essi avevano sopportato. Dio doveva essere condannato a vivere sulla terra.
"Fatelo nascere ebreo. Fate che la legittimità della sua nascita venga posta in dubbio. Dategli un lavoro tanto difficile che, quando lo intraprenderà, persino la sua famiglia pensi che debba essere impazzito. Fate che venga tradito dai suoi amici più intimi. Fate che debba affrontare accuse, che venga giudicato da una giuria fasulla e che venga condannato da un giudice codardo. Fate che sia torturato. Infine, fategli capire che cosa significa sentirsi terribilmente soli. Poi fatelo morire. Fatelo morire in un modo che non possa esserci dubbio sulla sua morte. Fate che ci siano dei testimoni a verifica di ciò".
Mentre ogni singolo rappresentante annunciava la sua parte di discorso, mormorii di approvazione si levavano dalla moltitudine delle persone riunite.
Quando l'ultimo ebbe finito ci fu un lungo silenzio. Nessuno osò dire una sola parola. Perché improvvisamente tutti si resero conto che Dio aveva già rispettato tutte le condizioni.

"E il Verbo si fece carne" (Giovanni 1,14).

Autore: Bruno Ferrero - Libro: Solo il Vento lo sa
Casa Editrice: ElleDiCi""
 
 Non penso ci sia bisogno di commentare perchè questo racconto ipotetico è una realtà ben evidente: non alla fine dei tempi, ma ogni giorno noi ci poniamo e poniamo ad altri, quelle fatidiche domande: perchè devo soffrire? Perchè Dio permette tutto? Come può capire ciò che provo? Con quale diritti ci giudica?
Ecco, la risposta a queste domande l'uomo la conosce ormai da duemila anni, poiché Dio ha incarnato la sofferenza e il dolore, provando su di sé le torture più micidiali. Gesù si è sacrificato per noi, sottoponendosi a tentazioni, insulti, dolore, sofferenza e morte. Perciò ogni qualvolta proviamo dubbi nel cuore, ricordiamoci che Gesù ha provato tutto ciò che proviamo noi e che quindi non è poi così distante come crediamo.