lunedì 26 dicembre 2011

Carissimi nell'augurarvi nuovamente di trascorrere delle serene feste, comunico che l'aggiornamento resterà sospeso sino a Venerdì 30 Dicembre 2011! 


Buone feste a tutti!


sabato 24 dicembre 2011

Buon Natale!


Sulla via di Betlemme: Cardinal Angelo Comastri

Concludiamo il nostro viaggio sulla via di Betlemme, che culminerà con la rievocazione del Santo Natale, attraverso la riproposizione di un bellissimo pensiero del Cardinal Comastri:

In ogni Natale Tu sei il festeggiato, ma quante volte noi ci appropriamo della festa…
E Ti lasciamo nell’angolo di un vago ricordo senza impegno, senza cuore e senza ospitalità sincera!
Da duemila anni, ad ogni Natale noi ci scambiamo gli auguri perché avvertiamo che la tua Nascita è anche la nostra nascita, la nascita della Speranza, la nascita dell’Amore, la nascita di Dio nella grotta della nostra povertà.
Però – quanto mi dispiace doverlo riconoscere! – il tuo Natale! Il tuo Natale è minacciato da un falso natale, che prepotentemente ci invade e ci insidia e ci narcotizza fino al punto di non vedere più e non sentire più il richiamo del vero Natale: il tuo Natale!
Quante luci riempiono le vie e le vetrine in questo periodo!
Ma la gente sa che la Luce sei Tu? E se interiormente gli uomini restano al buio, a che serve addobbare la notte con variopinte luminarie? Non è una beffa, o Gesù? Non è un tradimento del Natale? Queste domande, caro Gesù, si affollano nel mio cuore e diventano un invito forte alla conversione.

E noi cristiani mandiamo luce con la nostra vita? E le famiglie e le parrocchie assomigliano veramente a Betlemme? Si vede la stella cometa della testimonianza della vita abitata e trasformata dalla Tua Presenza?
Questi interrogativi non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo evitarli se vogliamo vivere un autentico Natale.
Dalle case e dai luoghi di divertimenti, in questi giorni, escono musiche che vorrebbero essere invito alla gioia. Ma di quale gioia si tratta? Gli uomini hanno scambiato il piacere con la gioia: quale mistificazione! Il piacere è il sollecito della carne e, pertanto, sparisce subito e va continuamente e insaziabilmente ripetuto; la gioia, invece, è il fremito dell’anima che giunge a Betlemme e vede Dio e resta affascinata e coinvolta nella festa dell’Amore puro.
Sarà questa la nostra gioia, sarà questo il nostro Natale? Gesù, come vorrei che fosse così!
Ma c’è un altro pensiero che mi turba e mi fa sentire tanto distante il nostro natale dal tuo Natale. A Natale, o Gesù, Tu non hai fatto il cenone e non hai prenotato una stanza in un lussuoso albergo di una rinomata stazione sciistica. Tu sei nato povero. Tu hai scelto l’umiltà di una grotta e le braccia di Maria (la “poverella” amava chiamarla Francesco d’Assisi, un grande esperto del Natale vero!).

Come sarebbe bello se a Natale, invece di riempire le case di cose inutili, le svuotassimo per condividere con chi non ha, per fare l’esperienza meravigliosa del dono, per vivere il Natale insieme a Te, o Gesù! Questo sarebbe il regalo natalizio!
A questo punto io ti auguro ancora, con tutto il cuore, buon compleanno, Gesù!
Ma ho paura che la tua Festa non sia la nostra festa.

Cambiaci il cuore, o Gesù, affinché noi diventiamo Betlemme e gustiamo la gioia del tuo Natale con Maria, con Giuseppe, con i pastori, con Francesco d’Assisi, con Papa Giovanni, con Maria Teresa di Calcutta e con tante anime che, con il cuore, hanno preso domicilio a Betlemme.
Buon Natale a tutti… ma ora sapete di quale Natale intendo parlare.

Card. Angelo Comastri

venerdì 23 dicembre 2011

Sulla via di Betlemme: Don Tonino Bello

Sulla nostra via verso Betlemme non poteva non accompagnarci il caro don Tonino Bello che ci ha regalato sempre delle perle di saggezza che ancora oggi risuonano nei nostri cuori e nelle nostre orecchie. In particolare, oggi possiamo scorrere con gli occhi una lettera scritta dal Vescovo a Gesù che nasce...



A Gesù che nasce
... che vive e regna nei secoli dei secoli,
 ma muore ed è disprezzato, minuto per minuto,
nella vita degli ultimi.

Caro Gesù,
voglio scrivere a te. Per tanti motivi. Prima di tutto, perché so che tu mi leggerai di sicuro e la mia lettera non rischierà di finire come le tue. Ce ne hai scritte tante, e sono tutte lettere d'amore, ma noi non le abbiamo neppure aperte. Nel migliore dei casi, le abbiamo scorse frettolosamente e con aria annoiata.
Poi, perché so che tu non ti fermi a fare l'analisi estetica di ciò che ti dico. Tu vai sempre al nocciolo, o alla radice, e sei imbattibile a leggere sotto le righe. E anche stavolta, ne sono certo, sotto le righe sai scorgere il mio cuore gonfio di paure e di speranze, di preoccupazioni e di tenerezze.
Poi, perché tu rispondi sempre, e non passi mai nulla sotto silenzio. Non c'è volta che tu ti rifiuti di ricambiare il saluto o di accusare ricevuta. Con gli altri, lo sai, non sempre è così. Più che la «ricevuta», sembra che accusino «il colpo».
Ma, soprattutto, scrivo direttamente a te, perché so che a Natale ti incontrerai con tantissime persone che verranno a salutarti. Tu le conosci a una a una. Beato te, che le puoi chiamare tutte per nome. Io non ci riesco.
Dal momento, però, che passeranno a trovarti, se non nell'Eucaristia e nei sacramenti almeno nel presepe, perché non suggerisci loro, discretamente, che non te ne andrai più dalla terra e che, pur trovandoti altrove per i tuoi affari, hai un recapito fisso nella tua Chiesa, dove ti potranno incontrare ogni volta che lo vorranno?
E, a proposito di «recapito», non pensi che la tua Chiesa, il cui grembo hai deciso di abitare per sempre dopo aver abitato per nove mesi quello di tua Madre, abbia bisogno di qualche restauro?
Si tratterà, caro Signore, di restauri costosi, perché da ricca deve diventare povera, da superba deve divenire umile, da troppo sicura deve imparare a condividere le ansie e le incertezze degli uomini, da riserva per aristocratici deve divenire fontana del villaggio.
Chi è profano in certe faccende pensa che sia un restauro quasi senza spese, sotto costo, perché si tratta di ridurre invece che di accrescere. Invece io so che occorre uno di quegli stanziamenti fortissimi della tua grazia, perché, se no, non se ne farà nulla.
Visto che mi sono messo sulla strada delle «raccomandazioni», posso approfittare dell'amicizia per fartene qualche altra?
Aiuta me e tutti i miei fratelli sacerdoti a lasciarci condurre dallo Spirito, che è Spirito di libertà e non di soggezione, Spirito di giustizia e non di dominio, Spirito di comunione e non di rivalità, Spirito di servizio e non di potere, Spirito di fratellanza e non di parte.
Dona ai laici della nostra Chiesa la gioia di te, che fai «nuove» tutte le cose. Ispira in essi i brividi dei cominciamenti, le freschezze del mattino, l'intuito del futuro.
Don Tonino Bello
Esorcizza nelle nostre comunità la paura del vuoto, l'impressione che si campi solo sulle parole, il sospetto che, di ardito, amiamo solo le metafore.
Metti nel cuore di chi sta lontano una profonda nostalgia di te.

Asciuga le lacrime segrete di tanta gente, che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri. Entra nelle case di chi è solo, di chi non attende nessuno, di chi a Natale non riceverà neppure una cartolina e, a mezzogiorno, non avrà commensali. Gonfia di speranze il cuore degli uomini, piatto come un otre disseccato dal sole.
Ricordati dei ragazzi dell'Istituto *** che non andranno a casa perché nessuno li vuole. Ricordati della famiglia *** che abita in via ***, a Molfetta, e sono otto in una stanza senza luce. Ricordati dei quattro vecchietti che dormono nelle celle di un ex convento a Ruvo, col cartone al posto dei vetri alla finestra. Ricordati di Giovanni che si droga e ogni tanto mi telefona di notte per dirmi che sta male. Ricordati di Antonella lasciata dal marito. Ricordati di tutti i poveri e gli infelici, i cui nomi hanno trovato accoglienza sterile solo sulla mia agenda, ma non ancora nel mio impegno di vescovo, chiamato a presiedere alla carità. Ricordati, Signore, di chi ha tutto, e non sa che farsene: perché gli manchi tu.

Buon Natale, fratello mio Gesù, che oltre a vivere e regnare per tutti i secoli dei secoli, muori e sei disprezzato, minuto per minuto, su tutta la faccia della terra, nella vita sfigurata degli ulti

Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza, ed. Paoline, 1988

giovedì 22 dicembre 2011

Sulla via di Betlemme: S. Alfonso Maria dé Liguori

Torniamo sulla "via di Betlemme" e continuiamo a prepararci al Santo Natale attraverso S. Alfonso Maria de Liguori, con la Novena del Santo Natale. E' una bellissima meditazione che denota la grande sapienza del santo:

Solennizzavano gli ebrei un giorno chiamato da essi dies ignis, giorno del fuoco, in memoria del fuoco col quale Neemia consumò il sagrificio, allorché ritornò co' suoi nazionali dalla schiavitù di Babilonia.2 Così ancora, anzi con maggior ragione dovrebbe chiamarsi il giorno di Natale, giorno di fuoco, in cui viene un Dio da bambino a metter fuoco d'amore ne' cuori degli uomini. Ignem veni mittere in terram, così disse Gesù Cristo, e in verità così fu. Prima della venuta del Messia, chi amava Dio sulla terra? Appena era egli conosciuto in un cantone del mondo, cioè nella Giudea; ed ivi pure quanti pochi erano quelli che l'amavano nel tempo che venne. Nel resto poi della terra chi adorava il sole, chi le bestie, chi le pietre, e chi altre creature più vili. Ma dopo ch'è venuto Gesù Cristo, il nome di Dio per tutto è stato conosciuto, e da molti amato. Fu più amato Dio dopo la venuta del Redentore tra pochi anni dagli uomini, accesi già da questo santo fuoco, che non era stato amato prima per quattro mila anni, da che gli uomini erano stati creati.

Molti Cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepio,3 per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi son quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché possa nascervi in essi e riposarvi Gesù bambino. Ma tra questi pochi vogliamo essere ancora noi, acciocché ancora noi siam fatti degni di restare accesi da questo felice fuoco, che rende l'anime contente in questa terra e beate nel cielo.- Consideriamo in questo primo giorno che il Verbo Eterno appunto a questo fine da Dio si fece uomo,4 per infiammarci del suo divino amore. Cerchiamo lume a Gesù Cristo ed alla sua5 santissima Madre, e cominciamo.

Pecca Adamo il nostro primo padre; ingrato a tanti benefici ricevuti, si ribella da Dio, disubbedendo al precetto di non cibarsi del pomo vietato. Dio perciò è obbligato a cacciarlo qui in terra dal paradiso terrestre, ed a privare in futuro così Adamo, come tutti i discendenti di questo ribelle, del paradiso celeste ed eterno, che loro avea preparato dopo questa vita temporale. Ecco dunque gli uomini tutti condannati ad una vita di pene e di miserie, e per sempre esclusi dal cielo. Ma ecco Dio, come ci avvisa Isaia (Cap. LII), che a nostro modo d'intendere par che afflitto si lamenti, e pianga dicendo: Et nunc quid mihi est hic, dicit Dominus, quoniam ablatus est populus meus gratis? (Is. LII, 5). Ed ora, dice Dio, che mi è restato di delizia in paradiso, ora che ho perduto gli uomini ch'erano la mia delizia? Deliciae meae esse cum filiis hominum (Prov. 8, 31). Ma come, Signore, voi tenete in cielo tanti serafini, tanti angeli, e tanto vi accora l'aver perduti gli uomini? Ma che bisogno avete voi e degli angeli e degli uomini per compimento della vostra beatitudine? Voi sempre siete stato e siete in voi stesso felicissimo; che cosa mai può mancare alla vostra felicità ch'è infinita? Tutto è vero, dice Dio, ma perdendo l'uomo - gli fa dire Ugon cardinale sul citato testo d'Isaia - Non reputo aliquid me habere;6 io stimo di aver perduto tutto, mentre la delizia mia era di stare cogli uomini, ed ora questi uomini io gli ho perduti, ed essi i miseri son condannati a vivere per sempre lontani da me. Ma come può dire il Signore che gli uomini sono la sua delizia? Sì, scrive S. Tommaso, Dio ama tanto l'uomo, come se l'uomo fosse suo Dio, e come se egli senza l'uomo non potesse esser felice: Quasi homo Dei deus esset, et sine ipso beatus esse non posset (Opusc. LXIII, cap. 7).7 Soggiunge S. Gregorio Nazianzeno, e dice che Dio per l'amore che porta agli uomini par che sia uscito di se: Audemus dicere quod Deus prae magnitudine amoris extra se sit (Epist. VIII).8 Correndo già il proverbio che l'amore trae l'amante fuori di sé: Amor extra se rapit.

Ma no, disse poi Dio, io non voglio perdere l'uomo; via si trovi un Redentore che per l'uomo soddisfi la mia giustizia, e così lo riscatti dalle mani de' suoi nemici, e dalla morte eterna a lui dovuta. Ma qui contempla S. Bernardo (Serm. I, in Annunc.), e si figura di vedere in contesa la giustizia e la misericordia divina. La giustizia dice: Io son perduta, se Adamo non è punito: Perii, si Adam non moriatur. La misericordia all'incontro dice: Io son perduta, se l'uomo non è perdonato: Perii, nisi misericordiam consequatur. In tal contesa decide il Signore che per salvare l'uomo reo di morte muoia un innocente: Moriatur qui nihil debeat morti.9 In terra non vi era chi fosse innocente. Dunque, disse l'Eterno Padre, giacché tra gli uomini non v'è chi possa soddisfare la mia giustizia, via su, chi vuole andare a redimere l'uomo? Gli angeli, i cherubini, i serafini, tutti tacciono, niuno risponde; solo risponde il Verbo Eterno, e dice: Ecce ego, mitte me.10 Padre, gli dice l'unigenito Figlio, la vostra maestà, essendo ella infinita, ed essendo stata offesa dall'uomo, non può esser ben soddisfatta da un angelo ch'è pura creatura; e benché voi vi contentaste della soddisfazione di un angelo, pensate che dall'uomo sinora con tanti benefici a lui fatti, con tante promesse e con tante minacce, pure non abbiam potuto ancora ottenere il suo amore, perché non ha conosciuto sinora l'amore che gli portiamo; se vogliamo obbligarlo senza meno ad amarci, che più bella occasione di questa possiamo trovare, che per redimerlo vada io vostro Figlio in terra, ivi io prenda carne umana, ed io pagando colla mia morte la pena da lui dovuta, così contenti appieno la vostra giustizia, e resti all'incontro l'uomo ben persuaso del nostro amore?

Ma pensa, o Figlio, gli rispose il Padre, pensa che addossandoti il peso di pagare per l'uomo, avrai da fare una vita tutta di pene. Non importa, disse il Figlio: Ecce ego, mitte me. Pensa che avrai da nascere in una grotta, che sarà stalla di bestie; di là dovrai fanciullo andare fuggiasco in Egitto, per fuggire dalle mani degli stessi uomini, che sin da fanciullo cercheranno di toglierti la vita. Non importa: Ecce ego, mitte me. Pensa che ritornato poi nella Palestina, ivi dovrai fare una vita troppo dura e disprezzata, vivendo da semplice garzone d'un povero artigiano. Non importa: Ecce ego, mitte me. Pensa che quando poi uscirai a predicare ed a manifestare chi sei, avrai sì bene alcuni, ma pochi, che ti seguiranno, ma la maggior parte ti disprezzeranno, chiamandoti impostore, mago, pazzo, samaritano; e finalmente ti perseguiteranno a tal segno che ti faran morire svergognato su d'un legno infame a forza di tormenti. Non importa: Ecce ego, mitte me.

Fatto dunque il decreto che 'l divin Figlio si faccia uomo, ed egli sia il Redentore degli uomini, s'invia l'arcangelo Gabriele a Maria; Maria l'accetta per figlio: Et Verbum caro factum est.11 Ed ecco Gesù nell'utero di Maria, ch'entrato già nel mondo, tutto umile e ubbidiente dice: Giacché, Padre mio, non possono gli uomini soddisfare la vostra giustizia da loro offesa, colle loro opere e sagrifici, ecco me tuo Figlio, vestito già di carne umana, a soddisfarla colle mie pene e colla mia morte in vece degli uomini. Ideo ingrediens mundum, dicit: Hostiam et oblationem noluisti, corpus autem aptasti mihi... tunc dixi: Ecce venio... ut faciam, Deus, voluntatem tuam (Hebr. V, 12).12

Dunque per noi miseri vermi, e per cattivarsi il nostro amore, ha voluto un Dio farsi uomo? Sì, è di fede, come c'insegna la santa Chiesa: Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de caelis,... et homo factus est.13 Sì questo ha fatto un Dio per farsi da noi amare. Alessandro il grande, dopo che vinse Dario e s'impadronì della Persia, egli per tirarsi l'affetto di quei popoli si fé vedere vestito alla persiana.14 Così appunto par che volle15 ancor fare il nostro Dio; per tirarsi l'affetto degli uomini, si vesti tutto alla foggia umana, e comparve fatt'uomo: Habitu inventus ut homo (Philip. II, 7). E così volle far vedere dove giungeva l'amore che portava all'uomo: Apparuit... gratia... Salvatoris nostri omnibus hominibus (Tit. II, 11). L'uomo non mi ama, par che dicesse il Signore, perché non mi vede; voglio farmi da lui vedere, e con lui conversare, e cosi farmi amare: In terris visus est, et cum hominibus conversatus est (Baruch, III, 38). L'amor divino verso l'uomo era troppo grande, e tal'era sempre stato ab eterno: In caritate perpetua dilexi te, ideo attraxi te miserans tui (Ier. XXXI, 3). Ma quest'amore non era ancora apparso quanto fosse grande ed incomprensibile. Allora veramente apparve, quando il Figlio di Dio si fé vedere da pargoletto in una stalla su della paglia: Benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri Dei (Tit. III, 4). Legge il testo greco: Singularis Dei erga homines apparuit amor.16 Dice S. Bernardo che prima era già apparsa nel mondo la potenza di Dio nella creazione, e la sapienza nel governo del mondo; ma solamente poi nell'Incarnazione del Verbo apparve quanto fosse grande la sua misericordia: Apparuerat ante potentia in rerum creatione, apparebat sapientia in earum gubernatione, sed benignitas misericordiae maxime apparuit in humanitate (S. Bern. Serm. I, de Nat.).17 Prima che Dio apparisse in terra fatt'uomo, non poteano giungere gli uomini a conoscere quanta fosse la bontà divina; perciò egli prese carne umana, acciocché apparendo da uomo si manifestasse agli uomini la grandezza della sua benignità: Priusquam appareret humanitas, latebat benignitas. Sed unde tanta agnosci poterat? Venit in carne ut, apparente humanitate, agnosceretur benignitas (S. Bern., Serm. I, in Epiph.).18 E in qual modo poteva meglio il Signore dimostrare all'uomo ingrato la sua bontà e l'amor che gli porta? L'uomo disprezzando Dio, dice S. Fulgenzio, s'era da Dio separato per sempre; ma non potendo più l'uomo ritornare a Dio, venne Dio a trovarlo in terra: Homo Deum contemnens, a Deo discessit, Deus hominem diligens, ad homines venit (S. Fulg., Serm. sup. Nat. Christi).19 E prima lo disse S. Agostino: Quia ad mediatorem venire non poteramus, ipse ad nos venire dignatus est.20

In funiculis Adam traham eos, in vinculis caritatis (Osee XI, 4). Gli uomini si fan tirare dall'amore; i segni d'affetto che taluno loro dimostra son certe catene che gli ligano e gli obbligano quasi per forza ad amare chi l'ama. A questo fine il Verbo Eterno volle farsi uomo per tirarsi con tal segno d'affetto - che maggiore non potea ritrovare - l'amore degli uomini: Deus factus est homo, ut familiarius ab homine diligeretur Deus (UGO de S. Vict., in Lib. Sent.).21 Ciò appunto par che volesse dare ad intendere il nostro Salvadore ad un divoto religioso francescano, chiamato il P. Francesco di S. Giacomo, come si narra nel Diario francescano a' 15 di dicembre. Gli si diede a vedere più volte Gesù da vago fanciullo, ma volendolo seco ritenere il divoto frate, il fanciullo sempre fuggiva; onde di tali fughe amorosamente si lagnava il Servo di Dio. Un giorno di nuovo gli apparve il S. Bambino, ma come? Gli si fé vedere con ceppi d'oro in mano, per dargli così ad intendere ch'era allora venuto ad imprigionare lui, e ad essere da lui imprigionato, per più da esso non separarsi. Fatto con ciò ardito Francesco, pose i ceppi al piede del Bambino, e se lo strinse al cuore; ed in fatti di là22 avanti gli parve di vedersi come nel carcere del suo cuore, fatto suo perpetuo prigioniero, l'amato Bambino.23 Ciò che fece questa volta Gesù con questo suo servo, ben lo fé con tutti gli uomini allorché si fece uomo; volle già con tal prodigio d'amore esser come da noi incatenato, ed incatenare insieme i nostri cuori, obbligandoli ad amarlo, secondo quel che già aveva predetto per Osea: In funiculis Adam traham eos, in vinculis caritatis.

In diversi modi, dice S. Leone, aveva già Dio beneficato l'uomo; ma in niun modo meglio palesò l'eccesso della sua bontà, che inviandogli il Redentore ad insegnargli la via della salute ed a procurargli la vita della grazia: Diversis modis humano generi bonitas divina munera impertiit, sed abundantiam solitae benignitatis excessit, quando in Christo ipsa ad peccatores misericordia, ad errantes veritas, ad mortuos vita descendit (S. Leo, Serm. 4, de Nativ.).24 Dimanda S. Tommaso, perché l'Incarnazione del Verbo dicasi opera della Spirito Santo: Et incarnatus est de Spiritu Sancto. È certo che tutte le opere di Dio, chiamate da' Teologi opera ad extra, sono opere di tutte e tre le divine persone; e perché poi l'Incarnazione si attribuisce alla sola persona dello Spirito Santo? La ragion principale che ne assegna l'Angelico è perché tutte l'opere del divin amore si attribuiscono allo Spirito Santo, ch'è l'amore sostanziale del Padre e del Figlio; e l'opera dell'Incarnazione fu tutta effetto dell'immenso amore che Dio porta all'uomo: Hoc autem ex maximo Dei amore provenit, ut Filius Dei carnem sibi assumeret in utero Virginis (S. Thom., III p., q. 32, a. 1).25 E ciò volle significare il profeta dicendo: Deus ab austro veniet (Habac. III [3]). A magna caritate Dei in nos effulsit, commenta Ruperto abbate.26 A tal fine scrive ancora S. Agostino (Cap. 4, de Catech.) venne in terra il Verbo Eterno per far conoscere all'uomo quanto Dio l'amasse: Maxime propterea Christus advenit, ut cognosceret homo quantum eum diligat Deus.27 E S. Lorenzo Giustiniani (De casto connub., c. 23): In nullo sic amabilem suam hominibus patefecit caritatem, sicut cum Deus homo factus est.28

Ma quel che più fa conoscere l'amore divino verso il genere umano, è che venne il Figlio di Dio a cercarlo quando l'uomo lo fuggiva; ciò significò l'Apostolo dicendo: Nusquam... angelos..., sed semen Abrahae apprehendit (Hebr. II , [16]). Commenta S. Grisostomo: Non dixit suscepit, sed apprehendit, ex metaphora insequentium eos qui aversi sunt, ut fugientes apprehendere valeant (Hom. V, in Epist. ad Hebr.).29 Venne Dio dal cielo quasi ad arrestare l'uomo ingrato che da lui fuggiva, come se gli dicesse: Uomo, vedi che per tuo amore io son venuto a posta in terra a cercarti; perché mi fuggi? Ferma, amami: non fuggire più da me che tanto t'amo.- Venne dunque Dio a cercare l'uomo perduto, ed acciocché l'uomo conoscesse meglio l'amore che questo Dio gli portava, e si rendesse ad amare chi tanto l'amava, volle nella prima volta che l'avesse avuto a mirare visibile, apparirgli da tenero bambino, posto sulle paglie. O paglie beate, più vaghe delle rose e de' gigli, esclama S. Grisologo, e qual terra fortunata v'ha prodotte! E qual fortuna è mai la vostra in aver la sorte di servire di letto al Re del cielo! Ah! che voi - siegue a dire il santo - siete pur fredde per Gesù, mentre non sapete riscaldarlo in questa umida grotta, dov'egli ora se ne sta tremando di freddo; ma siete fuoco e fiamme per noi, giacché ci somministrate un incendio d'amore che non vagliono a smorzarlo tutte l'acque de' fiumi: O felices paleas, rosis et liliis pulchriores, quae vos genuit tellus? Non palearum momentaneum, sed perpetuum vos suppeditatis incendium, quod nulla flumina exstinguent, (S. Petr. Chrys., serm. 38).30

Non bastò, dice S. Agostino, al divino Amore l'averci fatti ad immagine sua nel creare il primo uomo Adamo, se non si fosse fatto egli poi ad immagine nostra nel redimerci: In homine fecit nos Deus ad imaginem suam; in hac die factus est ad imaginem nostram.31 Adamo si cibò del pomo vietato, ingannato dal serpente che aveva detto ad Eva che chi avesse assaggiato quel frutto, sarebbe diventato simile a Dio, acquistando la scienza del male e del bene. E perciò disse allora il Signore: Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis (Gen., cap. 3).32 Ciò disse Dio per ironia e per rimproverare l'audacia di Adamo; ma noi dopo l'Incarnazione del Verbo con verità possiam dire: Ecco Dio diventato come uno di noi: Nunc vere dicimus, ecce Deus factus est quasi unus ex nobis (Riccar. de S. Vict.).33 Guarda dunque, o uomo, parla S. Agostino: Deus tuus factus est frater tuus:34 il tuo Dio si è fatto come te, figlio di Adamo come sei tu, s'è vestito della stessa tua carne, s'è fatto passibile e soggetto a patire e morire come te. Poteva egli assumer la natura d'angelo; ma no, volle prendere la stessa tua carne, acciocché soddisfacesse a Dio colla stessa carne - benché senza peccato - di Adamo peccatore. E di ciò egli se ne gloriava, chiamandosi spesso figliuolo dell'uomo; onde ben possiamo chiamarlo nostro vero fratello. È stato infinitamente maggior abbassamento, un Dio farsi uomo, che se tutti i principi della terra, tutti gli angeli e santi del cielo colla divina Madre si fossero abbassati a diventare un filo d'erba o un pugno di letame; si perché l'erba, il letame, ed i principi, gli angeli e santi son creature e creature, ma tra la creatura e Dio vi è una differenza infinita.

Ah che quanto più un Dio s'è umiliato per noi a farsi uomo, tanto maggiormente, dice S. Bernardo, ci ha fatto conoscere la sua bontà: Quanto minorem se fecit in humilitate, tanto maiorem se fecit in bonitate.35 Ma l'amore che ci porta Gesù Cristo, esclama l'Apostolo, troppo ci obbliga e ci stringe ad amarlo: Caritas... Christi urget nos (II Cor. V, 14). Oh Dio, che se la fede non ce ne assicurasse, chi mai potrebbe credere che un Dio per l'amore d'un verme, qual è l'uomo, siasi fatto verme come l'uomo! Se mai accadesse, dice un divoto autore, che voi camminando per una strada, a caso col piede schiacciaste un verme di terra, e l'uccideste; e poi avendone voi compassione, taluno vi dicesse: Or via, se volete voi restituire la vita a questo morto verme, bisogna prima che voi diventiate verme com'esso, e poi vi sveniate; e facendo un bagno dì tutto il vostro sangue, in quello dovrà immergersi il verme e riceverà la vita. Che rispondereste voi? E che m'importa, certamente direste, che 'l verme risorga o resti morto, ch'io abbia da procurar la sua vita colla morte mia? E tanto più ciò direste, se quello non fosse un verme innocente, ma un aspide ingrato, che dopo averlo voi beneficato, avesse tentato di torvi la vita. Ma se mai l'amor vostro verso quest'aspide ingrato giugnesse a tanto che vi facesse già soffrire la morte per rendere ad esso la vita, che ne direbbero gli uomini? E' che non farebbe per voi quel serpe, salvato colla vostra morte, se fosse capace di ragione? Ma questo ha fatto Gesù Cristo per voi verme vilissimo; e voi ingrato, se Gesù avesse potuto di nuovo morire, co' vostri peccati avete già attentato più volte di torgli la vita. Quanto siete più vile voi a riguardo di Dio, che non è un verme a riguardo di voi? Che importava a Dio che voi rimaneste morto e dannato nel vostro peccato, come già meritavate? E pure questo Dio ha avuto tanto amore per voi, che per liberarvi dalla morte eterna, prima si e fatto verme come voi, e poi per salvarvi ha voluto spargere tutto il suo sangue, ed ha voluto patire la morte da voi meritata.

Sì, tutto è di fede. Et Verbum caro factum est (Luca I).36 Dilexit nos et lavit nos... in sanguine suo (Apoc. I, 5). La santa Chiesa in considerare l'opera della Redenzione si dichiara atterrita: Consideravi opera tua, et expavi (Resp. III, in 2. noct. Circumc.). Prima lo disse il profeta: Consideravi opera tua et expavi. Egressus es in salutem populi tui, in salutem cum Christo tuo (Habach III).37 Onde con ragione S. Tommaso chiamò il mistero dell'Incarnazione, Miraculum miraculorum.38 Miracolo incomprensibile, dove Dio dimostrò la potenza del suo amore verso gli uomini, che da Dio lo rendeva uomo, da Creatore creatura: Creator oritur ex creatura, dice S. Pier Damiani (Serm. I, de Nat.);39 da Signore lo rende a servo, da impassibile soggetto alle pene ed alla morte: Fecit potentiam in brachio suo (Luc. II).40 S. Pietro d'Alcantara in udire un giorno cantar l'Evangelio che si dice nella terza Messa di Natale, In principio erat Verbum, etc., in considerare questo gran mistero, talmente restò infiammato d'amore verso Dio, che in estasi fu portato per lungo tratto in aria a' piedi del SS. Sacramento (Vita, I. 3, c. 1).41. E S. Agostino diceva che non si saziava di sempre considerare l'altezza della divina bontà nell'opera della Redenzione umana: Non satiabar considerare altitudinem consilii tui super salutem generis humani (Confess., cap. 6).42 E perciò il Signore mandò questo santo, per esser egli stato tanto divoto di questo mistero, a scriver sul cuore di S. Maria Maddalena de' Pazzi le parole: Et Verbum caro factum est.43

Chi ama, non ama ad altro fine che per essere amato; avendoci dunque Dio tanto amati, altro da noi non vuole, dice S. Bernardo, che 'l nostro amore: Cum amat Deus, non aliud vult quam amari (Serm. 83, in Cant.).44 Onde poi ciascuna45 di noi esorta: Notam fecit dilectionem suam, ut experiatur et tuam.46 Uomo chiunque sei, hai veduto l'amore che ti ha portato un Dio in farsi uomo e patire e morire per te; quando sarà che Dio vedrà coll'esperienza e co' fatti l'amore che tu gli porti? Ah che al vedere ogni uomo un Dio vestito di carne, che ha voluto fare per lui una vita così penosa, ed una morte cosi spietata, dovrebbe continuamente ardere d'amore verso questo Dio cosi amante. Utinam dirumperes coelos et descenderes; a facie tua montes defluerent..., aquae arderent igni (Is. LXIV, 1, [2]). Oh se ti degnassi, mio Dio - diceva il profeta, allorché non era ancora venuto in terra il divin Verbo - di lasciare i cieli e scendere qui tra noi a farti uomo! Ah che allora al vederti gli uomini fatto come uno di loro, montes defluerent, si spianerebbero tutti gli ostacoli e tutte le difficoltà, che ora gli uomini incontrano nell'osservare le vostre leggi ed i vostri consigli. Aquae arderent igni, ah, che a questa fiamma che voi accendereste ne' cuori umani, l'anime più gelate arderebbero del vostro amore. Ed in fatti dopo l'Incarnazione del Figlio di Dio, che bell'incendio d'amore divino s'è veduto risplendere in tante anime amanti! È certo che solo dagli uomini47 è stato più amato Dio in un solo secolo, dopo che Gesù Cristo è stato con noi, che in tutti gli altri quaranta secoli antecedenti alla sua venuta. Quanti giovani, quanti nobili, e quanti ancora monarchi hanno lasciate le loro ricchezze, gli onori, ed anche i regni, per ritirarsi o in un deserto o in un chiostro, poveri e disprezzati, per meglio amare questo lor Salvatore! Quanti martiri sono andati giubilando e ridendo a' tormenti ed alla morte! Quante verginelle han rifiutate le nozze de' grandi per andare a morire per Gesù Cristo, e così rendere qualche contraccambio d'affetto ad un Dio che s'è degnato d'incarnarsi e di morire per loro amore!

Sì, tutto è vero, ma - veniamo ora alle lagrime - è succeduto lo stesso in tutti gli uomini? Han tutti cercato di corrispondere a questo grande amore di Gesù Cristo? Oh Dio che la maggior parte poi l'han pagato e lo pagano d'ingratitudine! E tu, fratello mio, dimmi, come hai riconosciuto l'amore che ti ha portato il tuo Dio? L'hai ringraziato sempre? Hai considerato che cosa viene a dire un Dio farsi uomo per te, e per te morire?- Un cert'uomo assistendo alla Messa senza divozione, come fanno tanti, a quelle parole che in fine si dicono, Et Verbum caro factum est, non fé alcun segno di riverenza; allora un demonio gli diede un forte schiaffo, dicendo: Ingrato, senti che un Dio s'è fatt'uomo per te, e tu neppure ti degni d'inchinarti? Ah che se Iddio, disse, avesse fatto ciò per me, io in eterno starei per sempre ringraziandolo.48 - Dimmi, cristiano, che avea da fare più Gesù Cristo per farsi amare da te? Se il Figlio di Dio avesse avuto a salvar dalla morte il suo medesimo Padre, che più poteva fare che abbassarsi sino a prender carne umana, e sacrificarsi alla morte per la di lui salute? Dico più: se Gesù Cristo fosse stato un semplice uomo, e non già una persona divina, e avesse voluto con qualche segno d'affetto acquistarsi l'amore del suo Dio, che avrebbe potuto fare più di quello che ha fatto per te? Se un servo tuo per tuo amore avesse dato tutto il sangue e la vita, non ti avrebbe già incatenato il cuore, ed obbligato almeno per gratitudine ad amarlo? E perché Gesù Cristo poi, giungendo a dare sino la vita per te, non ha potuto sinora giungere ad acquistarsi il tuo amore?

Ohimè che gli uomini disprezzano il divino amore, perché non intendono, diciam meglio, perché non vogliono intendere qual tesoro sia il godere la divina grazia, la quale, come disse il Savio, è un tesoro infinito: Infinitus est thesaurus, quo qui usi sunt participes facti sunt amicitiae Dei (Sap. VII, 14).49 Si stima la grazia d'un principe, d'un prelato, d'un nobile, d'un letterato, d'una carogna; e la grazia di Dio non si stima niente da taluni, mentre la rinunziano per un fumo, per un gusto bestiale, per un poco di terra, per un capriccio, per niente. Che dici, caro mio fratello, vuoi tu ancora annoverarti tra questi ingrati? Vedi, se non vuoi Dio, dice S. Agostino, se puoi ritrovare altra cosa migliore di Dio: Aliud desidera, si melius invenire potes.50 Va, ti trova un principe più cortese, un padrone, un fratello, un amico più amabile, e che t'ha amato più di Dio. Va, ti trova uno che possa meglio di Dio renderti felice in questa e nell'altra vita. Chi ama Dio non ha che temere di male, mentre Dio non sa non amare chi l'ama. Ego diligentes me diligo (Prov. VIII, 17). E chi è amato da Dio, qual timore può mai avere? Dominus illuminatio mea, et salus mea, quem timebo? (Ps. II, 26).51 Così dicea Davide, e così diceano le sorelle di Lazzaro al Signore: Quem amas infirmatur (Io. XI, 3). Bastava lor sapere che Gesù Cristo amava il lor fratello, per credere che gli desse tutto l'aiuto per guarirlo. Ma come all'incontro può Dio, amare chi disprezza il suo amore? -Deh via risolviamoci una volta di rendere amore ad un Dio che tanto ci ha amato. E preghiamolo sempre, che ci conceda il gran dono del suo santo amore. Dicea S. Francesco di Sales che questa grazia di amare Dio è la grazia che dobbiamo desiderare e chiedere sopra ogni grazia, perché col divino amore ad un'anima viene ogni bene.52 Venerunt... omnia bona pariter cum illa (Sap VII, 11). Perciò diceva S. Agostino: Ama, et fac quod vis.53 Chi ama una persona sfugge quanto può di disgustarla, e va cercando sempre più di compiacerla. E così, chi veramente ama Dio non sa far cosa avvedutamente che gli dispiaccia, ma si studia quanto più può di dargli gusto.

E per ottenere più presto e più sicuramente questo dono del divino amore, ricorriamo alla prima amante di Dio; dico a Maria sua Madre, che fu così infiammata d'amor divino, che i demoni - come dice S. Bonaventura - non aveano ardire di accostarsi a tentarla: A sua inflammata caritate pellebantur, ut non ausi sint illi appropinquare.54 E soggiunge Riccardo che anche i serafini poteano scendere dal cielo ad imparare dal cuor di Maria il modo d'amare Dio: Seraphin e caelo descendere poterant, ut amorem discerent in corde Virginis.55 E perché il cuor di Maria fu già tutto fuoco d'amore divino, perciò, ripiglia S. Bonaventura, tutti coloro che amano questa divina madre, ed a lei si accostano, tutti ella gli accende dello stesso amore, e simili a lei li rende: Quia tota ardens fuit, omnes se amantes, eamque tangentes accendit, et sibi assimilat.56

Se taluno ne' discorsi volesse addurre qualche esempio di Gesù bambino, potrà avvalersi degli esempi posti dopo le Meditazioni.

mercoledì 21 dicembre 2011

Sulla via di Betlemme: San Gregorio Nazianzeno

Torniamo sulla "via di Betlemme" avvicinandoci sempre più al giorno della rievocazione del mistero più grande di tutti. Meditiamo questa giornata attraverso le parole di San Gregorio Nazianzeno (Dai discorsi di san Gregorio Nazianzeno, vescovo) che si sofferma sulla grandezza di questo giorno unico che è il Natale poiché "di nuovo è nata la Luce" e il Verbo si è fatto carne, assumendo la nostra stessa condizione:

Cristo è nato: rendetegli onore; Cristo è disceso dai cieli, venite ad incontrarlo; Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia. Canta al Signore, terra tutta. Si rallegrino i cieli ed esulti la terra a causa del Cristo celeste innanzitutto e del Cristo terrestre poi. Il Cristo infatti si è fatto carne: trasalite di timore e di gioia insieme; di timore per la colpa, di gioia per la speranza. Chi non dovrebbe onorare colui che fin dall'inizio esiste? Chi non dovrebbe glorificare colui che è il compimento di ogni cosa?

Di nuovo sono abolite le tenebre, di nuovo è nata la luce, di nuovo l'Egitto è punito con la notte, di nuovo Israele è illuminato da una colonna. Il popolo immerso nell'ombra dell'ignoranza contempli ora la grande luce della conoscenza. Le cose vecchie sono passate; tutto ecco è diventato nuovo. La lettera ha ceduto il posto allo spirito: essa trionfa; le ombre si dissipano, la verità avanza: un piccolo bambino ci è nato, ci è stato dato un figlio che porta sulla spalla l'insegna regale - attraverso la croce infatti egli è stato elevato - gli è stato dato come nome Angelo del gran consiglio, cioè del consiglio del Padre suo. Gridi dunque Giovanni: Preparate la strada del Signore. Anch'io proclamerò la grandezza di questo giorno: l'immateriale si incarna, il Verbo si fa carne; l'invisibile si mostra agli occhi; colui che le nostre mani non possono raggiungere può ora essere toccato, l'intemporale ha un inizio, il Figlio di Dio diventa Figlio dell'uomo: è Gesù il Cristo colui che ieri, oggi e nei secoli è per sempre. Si scandalizzino i Giudei, se ne facciano beffe i Greci, pruda la lingua agli eretici; crederanno quando l'avranno visto salire al cielo o almeno discendere dal cielo e sedere come giudice.

Natale, la festa della Natività che oggi celebriamo ha due nomi, due appellativi che indicano la stessa cosa. Dio infatti, con la sua nascita, si è mostrato agli uomini: da un lato, egli esiste e da tutta l'eternità è generato dall'Eterno: il suo essere è perciò al di sopra di ogni ragione e giustificazione - in realtà nessuna causa potrebbe essere superiore al Verbo- d'altra parte è nato per noi, perché colui che ci dà l'esistenza ci faccia anche dono della felicità; o piuttosto per ricondurci grazie alla sua incarnazione all'innocenza che avevamo perduto a causa del peccato. La festa di oggi poiché ricorda l'apparizione di Dio sulla terra si chiama Theofania e in quanto suggerisce l'idea della nascita si chiama Natività.

Ecco dunque la solennità che celebriamo: l'arrivo di Dio presso gli uomini, perché noi possiamo andare a Dio o piuttosto, più esattamente, perché noi ritorniamo a lui, affinché, spogliato l'uomo vecchio, rivestiamo il nuovo e così come siamo morti in Adamo, viviamo in Cristo, nasciamo con lui, siamo crocifissi con lui, sepolti con lui e con lui risorgiamo. La mia vita deve subire infatti questa magnifica conversione: e come dopo i giorni felici vengono quelli tristi, così dopo la tristezza viene la felicità.

 Poiché lì dove regnò l'errore, la grazia ha sovrabbondato e se la sensualità è stata per l'uomo causa di perdizione, con quanta più abbondanza la passione di Cristo l'ha giustificato! Celebriamo così questa festa, non come una gioia mondana, ma in Dio, non come la capisce il mondo, ma in modo soprannaturale; vediamo in essa non il significato che noi vorremmo darle, ma quello che il Signore ha voluto, non le opere della debolezza, ma quelle del risanamento, non il miracolo della creazione, ma quello della restaurazione.

San Gregorio Nazianzeno

Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia

Cristo è nato, rendetegli onore.
Cristo è disceso dai cieli, venite a incontrarlo;
Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia.
Canta al Signore tutta la terra.
Anch’io proclamerò la grandezza di questo giorno:
l’immateriale si incarna, il Verbo si fa carne;
l’invisibile si mostra agli occhi;
colui che le nostre mani non possono raggiungere
pu? ora essere toccato, l’intemporale ha un inizio,
il Figlio di Dio diventa Figlio dell’uomo:
E' Gesù Cristo colui che ieri, oggi e nei secoli è per sempre.
Ecco dunque la solennitá che celebriamo:
l’arrivo di Dio presso gli uomini, perchè noi possiamo andare a Dio
piuttosto o più esattamente, perchè noi ritorniamo a Lui...

(Dal Sermone sulla teofania)

martedì 20 dicembre 2011

Sulla via di Betlemme: Sant'Agostino d'Ippona

Torniamo sulla "via di Betlemme" avvicinandoci sempre più al giorno della rievocazione del mistero più grande di tutti. Ancora oggi, a distanza di duemila anni, rimaniamo sbigottiti dinanzi a quest'evento: come poteva il Signore entrare in un corpo piccolino, per di più in una mangiatoia? Il Figlio dell'Altissimo come poteva esser allattato e vivere da neonato? E' questa la grandezza di Dio ed è questo che più ci sconvolge: l'umiltà assoluta di Gesù. Erode lo cercò tra i ricchi e i potenti perchè mai avrebbe immaginato che il Re dei Re potesse nascere in una grotta fredda, al buio, in mezzo agli animali. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che il Messia tanto atteso potesse nascere di nascosto, in silenzio, senza chiedere nulla. Nessuno poteva immaginare che il Salvatore avrebbe chiamato a celebrarlo dei pastori, piccoli tra i piccoli. Insomma, Gesù è stato e continua ad essere un mistero grandissimo e bellissimo: la sintesi perfetta dell'umiltà e della grandezza del Signore. Continuiamo dunque a percorrere la via di Betlemme meditando insieme a Sant'Agostino, santo che si distinse per la sua sapienza:

DISCORSO 184

NATALE DEL SIGNORE
Il mistero dell'incarnazione rimane nascosto ai superbi.


1. 1. È spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra 1, il giorno da giorno è nato nel nostro giorno. Esultiamo e rallegriamoci! 2 Quanto beneficio ci abbia apportato l'umiltà di un Dio tanto sublime lo comprendono bene i fedeli cristiani, mentre non lo possono capire i cuori empi, perché Dio ha nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli 3. Si aggrappino perciò gli umili all'umiltà di Dio, perché con questo aiuto tanto valido riescano a raggiungere le altezze di Dio; nella stessa maniera in cui, quando non ce la fanno da soli, si fanno aiutare dal loro giumento. I sapienti e gli intelligenti invece, mentre si sforzano di indagare sulla grandezza di Dio, non credono alle cose umili; e così trascurando queste non arrivano neanche a quella. Vuoti e frivoli, gonfi d'orgoglio, sono come sospesi tra cielo e terra in mezzo al turbinio del vento. Sono sì sapienti e intelligenti, ma secondo questo mondo, non secondo colui che ha creato il mondo. Se possedessero la vera sapienza, quella che è da Dio, anzi che è Dio stesso, comprenderebbero che Dio poteva assumere un corpo, senza per questo doversi mutare in corpo. Comprenderebbero che Dio ha assunto ciò che non era, pur rimanendo ciò che era; che è venuto a noi nella natura di uomo, senza essersi per nulla allontanato dal Padre; che è rimasto ciò che è da sempre e si è presentato a noi nella nostra propria natura; che ha nascosto la sua potenza in un corpo di bambino senza sottrarla al governo dell'universo. E come di lui che rimane presso il Padre ha bisogno l'universo, così di lui che viene a noi ha bisogno il parto di una Vergine. La Vergine Madre fu infatti la prova della sua onnipotenza: vergine prima del concepimento, vergine dopo il parto; trovata gravida senza essere resa tale da un uomo; incinta di un bambino senza l'intervento di un uomo: tanto più beata e più singolare per aver avuto in dono la fecondità senza perdere l'integrità. Quei sapienti preferiscono ritenere inventato un prodigio così grande anziché crederlo realmente avvenuto. Così nei riguardi di Cristo, uomo e Dio, non potendo credere alla natura umana, la disprezzano; non potendo disprezzare quella divina, non la credono. Ma quanto più essi lo disprezzano, tanto più noi accettiamo il corpo dell'uomo nell'umiltà del Dio; e quanto più essi lo ritengono impossibile, tanto più per noi è opera divina il parto verginale nella nascita del bambino.

Il Natale è gioia per tutti.

2. 2. Celebriamo pertanto il Natale del Signore con una numerosa partecipazione e un'adeguata solennità. Esultino gli uomini, esultino le donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna; ambedue i sessi sono stati da lui onorati. Si trasformi nel secondo uomo chi nel primo era stato precedentemente condannato 4. Una donna ci aveva indotti alla morte; una donna ci ha generato la vita. È nata una carne simile a quella del peccato 5, perché per suo mezzo venisse mondata la carne del peccato. Non venga condannata la carne ma, affinché la natura viva, muoia la colpa. È nato Cristo senza colpa perché in lui possa rinascere chi era nella colpa. Esultate, giovani consacrati, che avete scelto di seguire Cristo in modo particolare e non avete cercato le nozze. Non tramite le nozze è venuto a voi colui che avete trovato per seguirlo 6: e vi ha donato di non curarvi delle nozze, per mezzo delle quali siete venuti al mondo. Voi infatti siete venuti al mondo attraverso nozze carnali; mentre Cristo senza queste è venuto alle nozze spirituali: e vi ha donato di disprezzare le nozze, proprio perché vi ha chiamato ad altre nozze. Non avete cercato le nozze da cui siete nati, perché avete amato più degli altri colui che non è nato alla stessa maniera che voi. Esultate, vergini consacrate: la Vergine vi ha partorito colui che potete sposare senza perdere l'integrità. Non potete perdere il bene che amate né quando lo concepite né quando partorite. Esultate, giusti: è il Natale di colui che giustifica. Esultate, deboli e malati: è il Natale del Salvatore. Esultate, prigionieri: è il Natale del Redentore. Esultate, schiavi: è il Natale del Signore. Esultate, liberi: è il Natale del Liberatore. Esultate, voi tutti cristiani: è il Natale di Cristo.

Le due nascite di Cristo.

2. 3. Cristo, che nato dal Padre è l'autore di tutti i tempi, nato da una madre ci dà la possibilità di celebrare questo giorno nel tempo. Nella prima nascita non ebbe bisogno di avere una madre, in questa nascita non cercò nessun padre. Però Cristo è nato e da un Padre e da una madre; e senza un padre e senza una madre; da un Padre come Dio, da una madre come uomo; senza madre come Dio, senza padre come uomo. Chi potrà narrare la sua generazione? 7: sia la prima generazione che fu fuori del tempo, sia la seconda, senza intervento d'uomo? la prima che fu senza inizio, la seconda, senza modello? la prima che fu sempre, la seconda che non ebbe né un precedente né un susseguente? la prima che non ha fine, la seconda che inizia dove termina?.

3. 3. Giustamente perciò i Profeti hanno preannunciato la sua futura nascita, mentre i cieli e gli angeli lo hanno annunciato già nato. Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo 8, allattava colui che è il nostro pane 9. O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell'uomo.

lunedì 19 dicembre 2011

Sulla via di Betlemme: San Bernardo da Chiaravalle

Anche quest'anno torna il cammino insieme, non a caso denominato "Sulla via di Betlemme", che ci accompagnerà alla Festa più bella di tutte e cioè il Natale che ci ricorda proprio il tempo quando il "Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Per prepararci al meglio, iniziamo meditando una bellissima riflessione di San Bernardo da Chiaravalle che ci invita a riflettere sulla meraviglia e l'eccezionalità di questo momento magico, unico nella storia, che apre le porte alla salvezza di chi era perduto:

(Dai “Discorsi” di san Bernardo)


Una parola di allegrezza è risuonata sulla nostra terra, grida di giubilo e di vittoria nelle tende dei peccatori. Si è fatta udire una parola intrisa di tenerezza, di consolazione, linguaggio fascinoso, degno di essere ricevuto da tutti. O monti, erompete in grida di gioia e di lode. Persino gli alberi della foresta battano le mani davanti al Signore, perché egli viene. Udite, cieli, e la terra presti ascolto: ogni creatura, ma l’uomo soprattutto sbalordisca e lodi il Signore. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce a Betlemme di Giuda. (cf Mt 2,1) Quale cuore di sasso non si sentirebbe fondere a tale annuncio? Esiste messaggio più soave? Potrebbe essere trasmessa notizia più fausta? Nessuno udì mai cosa simile, né mai l’universo ascoltò analogo annunzio. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce a Betlemme di Giuda. E’ un’umile parola che riguarda il Verbo umiliato, ma traboccante di fascino celeste.
L’impressione prodotta stimola la mente. Essa si porta dentro come del miele in abbondanza che vorrebbe riversare di fuori con ancora maggior effusione; purtroppo le vengono meno le espressioni adeguate. Infatti la grazia insita in quell’annunzio è tale che mutandone anche una sola parola, esso comincia immediatamente a perdere la sua forza di attrazione. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce a Betlemme di Giuda. Nascita di una impeccabile santità, degna di essere onorata dall’intero universo, amabile per ogni uomo a motivo della grandezza dei benefici che arreca: nascita inaccessibile agli angeli, tanto profondo è il suo mistero adorabile; per chiunque questa nascita è meravigliosa, tanto singolare ed eccellente ne è la novità Prima di essa non ne fu mai conosciuta una simile e non ve ne sarà mai in futuro. E’ un parto unico, estraneo al dolore e alla vergogna. immune da corruzione, che invece di scoprire ha consacrato il santuario di un seno virgineo. Nascita oltre la natura, ma al suo servizio: supera la natura umana per l’eccellenza del prodigio, ma la restaura tanto perfetto è il mistero che racchiude.
Fratelli, chi narrerò questa generazione? (Is 53,8). L’annuncia un angelo, la potenza dell’Altissimo la ricopre con la sua ombra, lo Spirito sopraggiunge. Una vergine crede, una vergine concepisce nella fede, una vergine mette al mondo, pur rimanendo vergine. Possiamo non stupire? Il Figlio dell’Altissimo, Dio nato da Dio prima dei secoli, nasce ora nel nostro mondo. La Parola nasce senza parlare, piccina piccina. Potremo mai essere abbastanza stupefatti? E non si tratta certo di una nascita inutile. Stimarne la grandezza non è perdere tempo. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce a Betlemme di Giuda. Ecco venire il Signore, egli porta la salvezza, il suo profumo soave. Arriva pieno di gloria. Difatti con Gesù è la salvezza a venirci incontro; con Cristo ecco l’unzione del balsamo olezzante; con il Figlio di Dio è qui la gloria, perché è lui stesso la salvezza, l’unzione, persino la gloria, come sta scritto: Il figlio saggio rende lieto e dà gloria al padre. (Pro 10,1)
Beata l’anima che dopo aver gustato il frutto salutifero, inebriata dal profumo dello Sposo, si slancia per contemplare la sua gloria, questa gloria che egli ha dal Padre come Figlio Unigenito. Potete respirare di nuovo, o smarriti. Gesù è venuto a cercare e salvare quello che era perduto. Malati, state tornando sani: Cristo è venuto a guarire i cuori affranti con il balsamo della misericordia. Trasalite di gioia, tutti voi che aspirate a grandi realizzazioni: il Figlio di Dio è sceso verso di voi per rendervi coeredi del suo regno.Sicché ti supplico, Signore: guariscimi e sarò guarito, salvami e sarò Salvato; (Ger 17,14) glorificami e sarò glorificato. Davvero, benedici il Signore, anima mia: benedetto il suo nome santissimo da tutto il mio essere, ché egli perdona tutte le mie colpe e guarisce tutte le mie malattie, anzi sazia il desiderio del mio cuore. Salvezza per i peccati, balsamo per le malattie, gloria per l’anima: ecco, fratelli, quello che gusto quando ascolto l’annunzio della nascita di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Perché il Redentore è chiamato Gesù se non per il motivo che e lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati? (Mt 1,21). Perché volle chiamarsi Cristo se non perché il giogo cederà davanti all’abbondanza del profumo? Infine, come mai il Figlio di Dio si è fatto uomo, se non perché gli uomini divengano figli di Dio? Nessuno mai resistette alla sua volontà. Se Gesù ci giustifica, chi ci condannerà? Se Cristo ci risana, chi ci potrà lacerare? Se il Figlio di Dio ci innalza, potrà mai qualcuno abbassarci? Gesù nasce. Rallegratevi tutti., o peccatori, che vi sentite condannare nella vostra coscienza al supplizio eterno. La tenerezza di Gesù travalica il numero e l’estensione di qualsiasi ammasso peccaminoso. Cristo nasce. Esultate tutti voi, torturati da vizi e passioni, giacché di fronte al balsamo di Cristo nessuna malattia dell’anima regge, per quanto incallita possa essere.
Gesù nasce: rallegratevi voi che anelate ad un destino glorioso; arriva il vostro benefattore. Fratelli, ecco l’erede, facciamogli buona accoglienza e avremo noi l’eredità. Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,32). Nessuno dubiti o tentenni: Il segno che possediamo ha la più alta credibilità; Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Il Figlio unico del Padre ha voluto dei fratelli, per essere il primogenito di molti. Si è fatto uomo, figlio dell’uomo, fratello dei mortali, per far saltare ogni esitazione alla nostra umana pusillanimità che sempre dubita. Qualora poi una tale condotta divina sembrasse incredibile, gli occhi vengono in soccorso alla fede. Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce a Betlemme di Giuda. Che favore per questo villaggio! Non a Gerusalemme, la città dei re della Giudea, nasce Gesù, ma a Betlemme, il più piccolo dei capoluoghi di Giuda. Piccola Betlemme, ormai esaltata dal Signore; l’Altissimo si è fatto minimo in te, lui che ha fatto gran caso di te.
Gerusalemme, inghirlanda il letto nuziale, ma che sia con l’ornamento dell’umiltà e di un cuore di povero. Sono questi i lini graditi al Signore; ecco le sete in cui gli piace essere avvolto. Offri dunque al tuo Dio in sacrificio quello che è abominio per gli Egiziani. Infine, fratelli, considerate che Cristo nasce a Betlemme di Giuda. Perciò cercate come potete diventare voi stessi un’altra Betlemme di Giuda. Allora il Salvatore non sdegnerà essere vostro ospite. Betlemme significa casa del pane e Giuda testimonianza. Se vi nutrite del pane della parola divina, per quanto indegni ne possiate essere, ricevete, con tutta la fede e la pietà di cui siete capaci, il pane che scende dal cielo e dà la vita al mondo. E’ il corpo del Signore Gesù questo pane, la sua carne di Risorto, piena di vita nuova, che riparerà e fortificherà il vecchio otre del vostro corpo. Una volta ricucito, esso potrà sopportare il vino nuovo immesso dentro di lui.
Se poi vivete mediante la fede, e se in nessun modo avrete da gemere per aver dimenticato di mangiare il vostro pane, sappiate che siete diventati un’altra Betlemme, una casa di pane, davvero degna di accogliere il Signore, anche se magari lascia a desiderare la vostra testimonianza di vita. Che la Giudea sia il luogo della vostra testimonianza; rivestitevi di fede e di bellezza: ecco l’abito che Cristo desidera prima di tutto per i suoi ministri. Pane e testimonianza, l’apostolo li raccomanda ambedue in queste parole: “Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10). La giustizia in fondo al cuore è il pane nella casa. La giustizia è infatti pane che sazia, come sta scritto: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5,6). Questa giustizia del fondo del cuore è la giustizia che deriva dalla fede, l’unica riconosciuta e stimata presso Dio. Bisogna poi che la vostra bocca renda testimonianza, per giungere alla salvezza. Allora potrete accogliere senza paura colui che nasce a Betlemme di Giuda, Gesù Cristo, Figlio di Dio.

domenica 18 dicembre 2011

L'angelo del Signore portò l'annunzio a Maria

Nella Quarta ed ultima Domenica di Avvento, torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo il passo evangelico che ci riporta al glorioso annuncio dell'angelo Gabriele a Maria, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Ci sono eventi nella storia dell'uomo che segnano come l'inizio della Storia per l'Umanità: un inizio, in questo caso, che ha nome Salvezza.
Bisogna risalire alla nostra creazione, quando i nostri progenitori, creati da Dio con il solo fine di partecipare alla Sua felicità per sempre, dicendo "sì" al Suo amore, messi alla prova, preferirono l'offerta di un assurdo 'farsi come Dio', proposto da colui che divide, il diavolo, e con il loro gesto inevitabilmente rifiutarono Dio. Ma può una creatura, voluta per partecipare all'amore di Dio, conoscere la gioia, che è nel 'sì' a Chi ci ha creati per amore, se respinge la Sorgente stessa della felicità? Lo smarrimento di Adamo e di Eva si svelò subito e la Sacra Scrittura lo descrive così: Dio cercò Adamo e lo chiamò: 'Uomo dove sei?', 'Mi sono nascosto perché sono nudo'.
E da lì l'espulsione dal paradiso e quindi la condanna a vivere lontani dal Padre, come figli privi, non solo del Padre, ma della ragione e bellezza di vivere con Lui e per Lui. Uomini senza domani.
Ed è veramente la grande tristezza che ci prende quando siamo lontani dall'amore, che è il vero 'soffio della vità; è la stessa, a volte tragica, angoscia che sente il mondo, poiché, anche se non vuole ammetterlo, non è fatto per questa valle di lacrime, ma per qualcosa di più alto e concreto e senza fine. Ma la bontà immensa del Padre, subito, cercò il dialogo con chi aveva creato e che considera figli prodighi. Non poteva un Padre eternamente accettare di avere tanti figli senza casa. E ci volle tutta la storia di avvicinamento e di educazione paterna del Popolo eletto, raccontata nel Vecchio Testamento, per giungere al momento di riallacciare l'amicizia.
Sembra quasi impossibile che la grandezza di Dio, pur offeso, abbia conservato e conservi la fedeltà all'amore verso di noi. Ma è così. Eppure tante volte continuo a chiedermi come sia possibile che Dio ci voglia tanto bene, nonostante il nostro continuo rinnegarLo o ignorarLo platealmente o per superficialità. Davvero Dio è Dio nella Sua incredibile fedeltà all'amore: è Amore assoluto ed eterno! Non è certamente del cuore di Dio il poter accettare una situazione di sue creature disorientate, disperse, angosciate, sofferenti, come non fossero suoi figli. E' proprio da qui che ci si spiega il ritorno di Dio tra noi per conquistarci e riaprirci la Sua Casa e il Suo cuore di Padre, dopo avere preparato la Sua dimora, in una donna, concepita senza peccato originale, Maria SS. ma.

Così lo racconta il Vangelo di Luca:
"In quel tempo, Dio mandò l'Angelo Gabriele a Nazareth, un villaggio della Galilea. L'angelo andò da una fanciulla che era fidanzata ad un certo Giuseppe, discendente del re Davide. La fanciulla si chiamava Maria. l'angelo entrò in casa e le disse: 'Rallegrati, Maria, il Signore è con te. Egli ti ha colmata di grazia. Maria fu molto impressionata da queste parole e si domandava sul significato che poteva avere quel saluto. Ma l'angelo le disse: 'Non temere, Maria! tu hai trovato grazia presso Dio.
Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai il nome Gesù. Egli sarà grande e Dio, l'Onnipotente, lo chiamerà Suo Figlio. Il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre ed egli regnerà per sempre sul popolo di Israele. Il Suo regno non finirà mai'.

Allora Maria disse all'angelo: 'Come è possibile questo dal momento che io sono vergine?'. L'angelo rispose: 'Lo Spirito Santo verrà su di te e l'Onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il bambino che avrai sarà santo, Figlio di Dio. Vedi, Elisabetta, tua parente, alla sua età aspetta un figlio. Tutti pensavano che non potesse avere bambini, eppure è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio!'. Allora Maria disse: 'Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto '. Poi l'angelo la lasciò". (Lc. 1,26-38)
Si rimane affascinati dal modo con cui Dio si accosta alle sue creature, annunziando la possibilità di una riconciliazione con ciascuna, tramite la venuta di Suo Figlio Gesù nella nostra storia e, dall'altra parte, il sì di Maria. Impossibile sottrarsi alla stessa confusione di Maria nel contemplare come, nonostante la nostra debolezza e infedeltà, ma ancora più, nonostante il nostro nulla, agli occhi di Dio continuiamo ad essere quei figli che Lui ama di infinito amore. Una grandezza che non sempre rispettiamo o di cui abbiamo coscienza. Così come è bello contemplare l'umiltà di Maria, la sua garbata incapacità a cogliere un tale Evento e poi quella parola che da sola contiene la storia della salvezza: "sì".

Forse poche volte la nostra attenzione si ferma a questa divina manifestazione di affetto. Così come, forse, poche volte pensiamo che quell'apparente semplice 'sì' di Maria a Dio ci ha riaperto la via della salvezza. Ecco perché un tempo, e forse anche oggi, in tante chiese si ritma la giornata con il suono delle campane che sembra la scandiscano, ricordandoci che Dio ci ama. E' il suono dell'Angelus, il mattino, a mezzogiorno, la sera. Quelle campane vogliono ricordarci la gioia del nostro ritorno nel cuore di Dio. Era abitudine, e forse lo è ancora, per tanti, di accompagnare la giornata proprio con la recita di questo Vangelo, annuncio, ossia la recita dell'Angelus, come a voler rivivere in ogni istante della nostra quotidianità, la solennità della annunciazione: Dio è tra noi.

Così commentava, quel grande Papa del sorriso che fu Giovanni XXIII, la bellezza di Maria SS. ma:
"Colei che, in vista dei meriti di Suo Figlio redentore, è stata preservata dal peccato originale, ha avuto questo privilegio, perché predestinata alla sublime missione di Madre di Dio. Essa, che doveva una carne mortale al Verbo eterno del Padre, non poteva essere contaminata neppure per un istante dall'ombra del peccato. IMMACOLATA si dice dunque in dipendenza da Gesù Cristo, perché tutto la madre ha ricevuto in funzione del Figlio. Lo sbocciare in terra di questa corolla candidissima, è PRESAGIO SICURO DI RICONCILIAZIONE DELL'UMANITÀ CON DIO"
Tocca ora a noi immedesimarci in questo grande Evento che ci avvicina al Natale di Gesù. Non poteva il Padre amarci di più. Sapere che Dio ci ama tanto da tornare tra noi con la semplicità che è nel racconto dell'Angelus ci commuove. Forse noi a volte non lo comprendiamo in pieno, perché frastornati dalle creature nel mondo, tanto fragili da durare poco lasciandoci poi vuoto e tristezza.
Voglio pregare Maria, Madre di Gesù e nostra, con una preghiera che accompagnava il primo mistero del rosario: 'l'Annunciazione".
Ogni giorno, o mia cara Madre, forse l'uomo popola la sua immaginazione di sogni. Sogna ogni giorno di ricevere una bella notizia: la notizia di un lieto avvenimento in famiglia, il sogno di star bene o di diventare ricco, ma a sera, poi, si ritrova sempre con le mani vuote.
O Madre, i nostri sogni volano troppo in basso, non hanno l'impennata delle grandi cose, quelle che ci fanno conoscere l'ebbrezza del cielo.
Tu, Maria, forse non avevi che un sogno: essere amata da Dio ed amarLo con tutto il cuore.
Un amore così grande e totale e radicale da escludere dalla tua vita altri sogni che non si riferissero a Dio. Anche la scelta che facesti di Giuseppe, che appariva come tuo promesso sposo, forse era più un aderire alla consuetudine del tuo tempo, che una effettiva volontà di appartenergli.
Tu non aspettavi notizie, come noi, ma a te fu riservata la più grande notizia che si possa dare ad una donna. Dio esprime il Suo amore e lo conferma donandoci suo Figlio, come aveva sempre promesso. Così venendo tra noi Gesù, poteva avere inizio la nuova creazione, come se l'uomo venisse di nuovo impastato e su di lui si posasse il Suo Spirito. Una notizia da cambiare tutti. Ed è la notizia che tu avesti dall'Angelo. Una notizia che si intuiva dal saluto dell'Angelo, o meglio, una notizia che aveva bisogno di essere preceduta da un saluto, che subito facesse prevedere cose grandi:

'Ave, Maria. piena di grazia, il Signore è con te'

Un saluto da confondere chiunque, proprio come un dialogo tra due che si amano. Una notizia che non chiede attese, ma si fa subito evento. Chiede subito una risposta, coinvolge tutta la persona. Ti si chiedeva quello che tu non avevi mai immaginato, ossia di diventare 'madre dell'Altissimo', ma non per opera di uomo, ma per opera dello Spirito Santo. Ti si chiedeva di diventare 'madre dell'A1tsssimo. E non è cosa da poco, anzi è notizia che chiede una risposta immediata, perché dal sì dipendeva l'incredibile, ossia Dio tra noi e quindi un totale cambiamento dei nostri rapporti con il Padre.
Il tuo 'sì' apriva la strada nel tempo ai nostri 'sì' che a loro volta ci riportavano come figli nella casa del Padre: la casa che Lui aveva preparato creandoci.
O Maria, è stata grande la tua risposta. Con quel minuscolo 'sì' hai contribuito a creare la nuova storia del mondo.
Davanti alla nostra povertà di amore, insegnaci come fare a dire i sì a Dio quando Egli ci chiama a prove che siano conferma di amore. Siamo pigri, titubanti, a volte paurosi, ma con il tuo aiuto, rendici capaci di dire: "Si compia in me la Tua volontà".

venerdì 16 dicembre 2011

Questa è la nostra fede - X parte

Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": questa settimana cominciamo possiamo vedere il richiamo verso noi stessi, membri della comunità cristiana, verso la diffusione del primo annuncio:

IV. “NOI LO ANNUNCIAMO A VOI”

18. Un compito di tutta la comunità

Più volte in questi primi anni del nuovo millennio è stata ribadita l’urgenza di intraprendere un coraggioso impegno pastorale per un rinnovato primo annuncio della fede. A conclusione di questi orientamenti, i Vescovi italiani ritengono opportuno offrire delle brevi e concrete indicazioni operative, riguardanti i soggetti, le forme, i possibili percorsi per assolvere tale impegno.

Il compito del primo annuncio riguarda innanzitutto la Chiesa in quanto tale, e in modo particolare le diocesi e le comunità parrocchiali. Infatti «dal momento che tutta quanta la Chiesa è per sua natura missionaria e che l’opera di evangelizzazione è da ritenere dovere fondamentale del popolo di Dio, tutti i fedeli, consci della loro responsabilità, assumano la propria parte nell’opera missionaria», si legge nel Codice di diritto canonico,[34] e nell’elencare gli obblighi e i diritti di tutti i fedeli, lo stesso Codice recita: «Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo»[35]. Per l’evangelizzazione rimane sempre indispensabile la comunicazione interpersonale da parte di un credente nei confronti di un non credente, anche se occorre ricordare che, essendo fatto in comunione e a nome dell’intera comunità ecclesiale, l’annuncio non è mai un atto esclusivamente individuale: tutta la Chiesa ne è coinvolta.

Non c’è bisogno, per il credente, di alcuna forma di investitura che vada al di là dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, né di alcuna delega speciale, né di alcuna competenza specifica per comunicare il Vangelo nella vita ordinaria: l’impegno dell’evangelizzazione non è riservato a degli “specialisti”, ma è proprio di tutta la comunità[36]. Infatti, perché un credente sappia comunicare con la testimonianza il primo annuncio della fede, non gli si richiede altro che credere e non vergognarsi del Vangelo; basta dire, con atteggiamenti concreti e con linguaggio appropriato, perché si è lieti e fieri di credere. Risulta quindi obiettivo imprescindibile per ogni comunità parrocchiale adoperarsi perché tutti e singoli i fedeli riescano effettivamente a diffondere la fede e siano efficaci testimoni del Vangelo, liberi e limpidi, convinti e coerenti, nel proprio ambiente di famiglia, di lavoro, del tempo libero, nelle situazioni di povertà, di malattia e in ogni circostanza, lieta o triste, della vita.

19. L’annuncio nelle varie forme di azione pastorale

Per mettere in atto il primo annuncio, vanno promosse forme occasionali e, congiuntamente forme organiche di azione pastorale.

Risulta piuttosto difficoltoso pianificare in modo esaustivo e sistematico una “pastorale occasionale” di primo annuncio: per sua natura essa è legata alle situazioni più varie, di cui unico “regista” è lo Spirito del Cristo risorto, come si può vedere nel libro degli Atti degli apostoli. Del resto «diventa difficile stabilire i confini tra impegno di rivitalizzazione della speranza e della fede in coloro che, pur battezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e vero e proprio primo annuncio del Vangelo»[37]. Si tenga comunque presente che, per quanto difficilmente programmabile, la pastorale cosiddetta occasionale, rimane la via comune e la più ordinaria per l’annuncio del Vangelo. Anche nella comunicazione in forma pubblica e collettiva, non si può mai prescindere dal contatto da persona a persona, come chiaramente indicato dall’esempio di Gesù e dei primi missionari. Inoltre i tempi, i contenuti e i modi del primo annuncio andranno di volta in volta misurati sull’interazione fra annunciatore e destinatario, rifuggendo da semplificazioni approssimative e da qualsiasi rigidità.

Per le iniziative organiche di proposta del messaggio cristiano – facendo tesoro della ricca esperienza italiana della missione ad gentes, che è stata e resta la forma esemplare dell’evangelizzazione – si dovrà tener conto della struttura del primo annuncio, dell’età e delle situazioni dei destinatari, nonché delle risorse comunicative della pedagogia della Chiesa.

mercoledì 14 dicembre 2011

Alle sorgenti della Pietà - XXIII parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:

- Capitolo 21 -

"E' SIGNORE E DA' LA VITA"

 LA FONTE DELLA VITA 

Nel Credo, dopo aver affermato che lo Spirito Santo è una Persona, e precisamente la Terza Persona della Ss.ma Trinità, affermiamo altre due realtà: 1 ° che Egli è Signore; 2° che Egli dà la vita.

1 - Lo Spirito Santo è Signore. Che vuol dire?

Si tratta di una professione di fede nella divinità dello Spirito Santo: Egli è una Persona Divina in tutto uguale al Padre ed al Figlio. Tant'è vero che gli viene dato il medesimo titolo divino che nell'Antico Testamento si dava a Jahwè e nel nuovo Testamento a Gesù glorificato.

Di solito noi chiamiamo Signore il Padre e Gesù. Diciamo, per esempio: il Signore ha fatto il cielo e la terra. Oppure: vado a pregare il Signore.

In queste espressioni intendiamo parlare semplicemente di Dio. Ma diciamo pure: Il Signore è morto e risuscitato per noi Ed in questo caso intendiamo parlare del Figlio di Dio, cioè di Gesù.

Chiamando Signore anche lo Spirito Santo intendiamo riconoscergli la medesima natura divina che è nel Padre e nel Figlio. Dire che lo Spirito Santo è Signore, significa dire che è Dio! Certo, per noi è difficile parlare della Ss.ma Trinità, tanto più che noi accompagniamo sempre le nostre parole con immagini e non c'è nessuna immagine che possa esprimere questo mistero. Certe immagini che vengono talvolta presentate non solo sono inadeguate, ma addirittura pericolose perché possono falsificare il vero mistero della Trinità.

E' un mistero, cioè una realtà divina incomprensibile e basta! Noi l'accettiamo per fede, perché ce lo ha rivelato Gesù e non perché lo comprendiamo!

Ebbene, proprio per fede noi crediamo che lo Spirito Santo è Dio come il Padre e come il Figlio: un unico Dio, il Dio che ci ha creati, il Dio che ci ama, il Dio che ci aspetta in Cielo. Ma è una Persona distinta sia dal Padre che dal Figlio. Una Persona con la quale, come abbiamo visto nel capitolo precedente, possiamo intrattenere rapporti di amicizia e di amore.

2 - Ma è il secondo titolo che ora c'interessa più da vicino: Egli è vivificante dice il Credo, cioè Colui che dona la vita.

E' Gesù stesso che ce lo rivela al termine del suo grande discorso eucaristico nel cap. 6° di S. Giovanni. Egli dice: "E' lo Spirito che dà la vita!".

Di quale vita si parla qui? Non della vita naturale, ma della vita soprannaturale quella che Gesù chiama vita eterna e che noi usiamo chiamare "Grazia di Dio". Certo, lo Spirito Santo è anche il donatore della vita in genere, come lo è il Padre, come lo è il Figlio. Infatti ogni vita viene da Dio Creatore, in modo particolare la vita degli uomini. Nell'uomo, infatti, la vita procede sì da una generazione biologica, ma c'è anche uno spirito immortale (che noi siamo abituati chiamare anima) e questo non può che essere dono di Dio.

Tuttavia la vita di cui si parla qui, nel Credo, è un'altra: quella della grazia. Si tratta di una realtà nuova, superiore ad ogni aspettativa ed esigenza umana che Dio dona ai discepoli di Gesù facendoli così diventare suoi figli di adozione. Questa parola "adozione" non deve trarci in inganno. Infatti altra è l'adozione umana, altra l'adozione divina.

L'adozione umana è una finzione giuridica mediante la quale un bambino viene accolto come figlio nella famiglia dell'adottante. Ne riceve il nome, l'eredità, i titoli: non però la vita.

Invece nell'adozione divina noi riceviamo una vita nuova: diventiamo partecipi della vita stessa di Dio! Come insegna S. Pietro nella sua Lettera (cfr 2Pt 1,4). E S. Giovanni afferma: "Non solo siamo chiamati figli di Dio: lo siamo nella realtà. Ora però non si vede questa realtà in maniera manifesta. Ma verrà un giorno in cui essa apparirà visibilmente. Allora vedremo Dio faccia faccia, cioè vivremo anche in maniera manifesta la nuova vita che abbiamo ricevuto" (cfr 1Gv 3,1-2).

Questa rivelazione è molto importante: è fondamentale! Non si riesce a capire il cristianesimo se non si coglie la realtà della nostra vita. Infatti Gesù è venuto proprio per darci questa nuova vita: "Sono venuto - Egli dice - perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza!" (Gv 10,10 ). Egli definisce se stesso "pane della vita" ed addirittura la vita" stessa: "Io sono la vita". Gesù usa paragonare questa vita di grazia all'acqua viva e paragona lo Spirito Santo alla sorgente che zampilla questa vita per tutta l'eternità (cfr Gv 7,37-38).

Noi siamo soliti dire che Gesù è venuto a togliere i nostri peccati ed a morire per i nostri peccati. Ed è giusto! Ma non è esatto fermarsi lì. Bisogna aggiungere che Egli è venuto a toglierci i peccati per darci la nuova vita ed è risorto perché noi potessimo avere questa vita mediante la sua risurrezione. Cerchiamo di spiegarci.

Con il peccato l'uomo si separa da Dio, fonte eterna della vita. Questa separazione è raffigurata nella Bibbia dal racconto del peccato originale, quando Adamo ed Eva furono cacciati via dal Paradiso Terrestre affinché non potessero più gustare i frutti dell'albero della vita. Quell'albero è un simbolo: il simbolo della vita eterna che Dio vuole donare all'uomo perché, pur restando uomo, possa partecipare alla felicità stessa di Dio! La vita umana ci viene data, sempre da Dio, per naturale generazione e mediante la creazione dell'anima immortale. Ma questa vita umana è inquinata di peccato ed ha come punto di riferimento prima la morte fisica, poi un'immortalità infelice, lontana da Dio. Questo è il destino dell'uomo dopo il peccato! Ma Dio non ha accettato questo destino: non si è arreso di fronte al peccato dell'uomo! Dio persegue il suo disegno d'amore nonostante il peccato. Dio, infatti, non ci vuole bene perché siamo buoni noi, ma ci vuol bene perché Lui è buono! Il suo amore scaturisce dalla sua bontà: non è frutto della nostra giustizia!

Di fronte al peccatore l'amore di Dio diviene misericordia, ossia un amore rivolto al misero, attratto dalla miseria, come l'acqua della sorgente corre a riempire le buche e le valli, fino alla grande buca del mare.

Dio, dunque, persevera nel disegno di fare dell'uomo un suo figlio di adozione. Ma per ottenere ciò è necessario ché l'uomo venga rifatto ex-novo, sia ri-creato cioè creato di nuovo, rigenerato cioè generato ex novo non più dalla carne, ma dallo Spirito.

San Paolo insegna che " la carne non possederà mai il regno di Dio" (1Cor 15,50). Con la parola carne Egli intende l'uomo peccatore discendente da Adamo. Occorre far "rf-nascere" l'uomo, ma dallo Spirito. Come? Ecco il meraviglioso disegno di Dio: Egli manda dal Cielo il proprio Figlio Unigenito come sorgente della nuova umanità. Egli sarà per gli uomini il nuovo Adamo, la fonte della nuova vita spirituale, il nuovo Albero della vita.

Chiunque viene innestato in questo albero, riceve una vita nuova, la vita eterna! Ma per essere innestati, bisogna prima essere staccati dal vecchio albero marcio: bisogna morire al peccato!

Come può un uomo morire e rinascere?

Ecco il grande mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo.

Il Figlio di Dio si fa uomo e si carica del peccato dell'uomo. Poi lo porta sulla croce dove muore. Muore non solo per espiare il peccato, ma perché la sua carne deve essere riempita di una vita nuova in modo da diventare sorgente di vita eterna per tutti noi. Con la morte di Gesù la vecchia umanità peccatrice muore, ed è distrutta sia nella carne, che nel peccato. Con la risurrezione di Gesù una vita nuova entra nella carne umana: una vita eterna.

Ecco: Gesù Risorto è l'Albero della Vita Eterna!

Che cosa deve fare un uomo per possedere questa vita? Una cosa sola: credere!

Mediante la fede nel Salvatore e nel Signore Risorto l'uomo mangia, per così dire, il frutto dell'albero della vita "Io sono il Pane deUa vita... Chi mangia di Me non morrà in eterno!" (cfr Gv 6,48-51). La fede porta l'uomo ad unirsi alla morte ed alla risurrezione di Gesù nel Sacramento del Battesimo ed in ogni altro sacramento. Allora la Vita Eterna, che è Gesù stesso, fluisce in lui, lo vivifica ora nell'anima, un giorno anche nel corpo. Questa carne mortale deve passare, con Gesù, attraverso la morte fisica, ma per risorgere alla vita eterna!

Ed è qui che lo Spirito Santo si mostra datore della vita, vivificante.

E' il Soffio Santo di Dio, la Terza Persona della Santissima Trinità, che compie in noi il passaggio dal peccato alla vita di grazia, dalla morte alla risurrezione. E' questa la Missione che Egli ha compiuto nella carne di Gesù ed è la Missione che compie nei credenti.

Egli ha riempito con il suo amore e con la sua potenza il seno verginale di Maria e l'ha fatta diventare Madre del Figlio di Dio e Madre di tutti i credenti. Egli ha fatto compiere alla carne (cioè alla natura umana) di Gesù il passaggio dalla morte alla vita. Ora Egli fa compiere questo passaggio ai credenti: prima nella fede e nei sacramenti, poi nella morte fisica e nella risurrezione:

Per questo Gesù ha detto: 'E' bene che io me ne vada, perché se io non me ne vado non verrà a voi il Consolatore" (Gv 16,7). Una volta salito al Cielo alla destra del Padre, Gesù lascia l'umanità allo Spirito Santo che ha il compito di vivificarla. Lo Spirito porta la vita stessa del Figlio di Dio nel cuore e nella carne dei credenti per cui ogni cristiano può dire: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me". Verrà un giorno in cui questa vita nuova ed eterna si renderà visibile: sarà il giorno della risurrezione. Ora essa è già presente in noi, ma noi possiamo rendercene conto solo mediante la fede. Noi sappiamo che in noi c'è una vita nuova ed eterna, non perché la sentiamo, ma perché crediamo alla Parola del Signore.

II fondamento della nostra certezza è la Parola del Signore. Questa Parola ci assicura che Gesù ora siede alla destra del Padre e che, di conseguenza, lo Spirito ci è stato donato come vivificante: Colui che porta la vita. "Quando sarò andato al Padre, vi invierò lo Spirito" ha promesso Gesù (cfr Gv 14,15-17). Dove è ora Gesù? E' alla destra del Padre! Dunque lo Spirito ci è dato, secondo la sua promessa! Non conta il sentirlo o non sentirlo: conta la Parola del Signore! "Carissimi, vi scrivo per dirvi che voi siete figli di Dio e che possedete la vita eterna" dice San Giovanni. Poi afferma: "Sappiamo che chiunque è nato da Dio non appartiene più al mondo del peccato: la vita di Dio lo salva ed il Maligno non può fargli alcun male.

Sappiamo anche che noi veniamo da Dio, mentre il mondo appartiene al Maligno.

Sappiamo infine che il Figlio di Dio è venuto per darci la conoscenza del vero Dio (cioè la fede) e così inserirci (immetterci) in suo Figlio. Questo Figlio è vero Dio ed è la Vita eterna" (cfr 1Gv 5,18-20).

Sappiamo: è la certezza della fede, fondata sulla Parola di Dio!

Credo nello Spirito Santo che dà la vita! Grazie, Signore!

Maria, tempio dello Spirito Santo, prega per me!

CONTEMPLAZIONE

Come spunto per la contemplazione di questo mistero immagina di trovarti con gli apostoli nel cenacolo e ascolta, con le orecchie del cuore, quello che Gesù dice.

Vangelo di Giovanni cap. 14

 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiatefede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?
 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete. Perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi.
 Ma il Consolatore. lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome. egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo, egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato».

lunedì 12 dicembre 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quarantaduesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:

GIOVEDI’ SANTO 18.IV. 1935.
La mattina ho udito queste parole: «Da oggi al rito della risurrezione non sentirai la Mia presenza, ma la tua anima sarà colma di una grande nostalgia» ed immediatamente una grande nostalgia inondò la mia anima. Sentii il distacco dall'amato Gesù e quando si avvicinò il momento di fare la santa Comunione, vidi nel calice in ogni Ostia il Volto sofferente di Gesù. Da quel momento provai nel mio cuore una nostalgia ancora maggiore. Il Venerdì Santo, alle tre del pomeriggio, quando entrai in cappella, udii queste parole: «Desidero che quell'immagine venga pubblicamente venerata», e subito vidi Gesù che agonizzava sulla croce fra atroci tormenti e dal Cuore di Gesù uscirono gli stessi due raggi che ci sono in quell'immagine. Sabato. Durante i vespri vidi Gesù splendente come il sole, con una veste bianca, e mi disse: «Gioisca il tuo cuore», ed una gioia grande m'inondò e mi trapassò da una parte all'altra la presenza di Dio, che è un tesoro inenarrabile per l'anima. Quando quell'immagine venne esposta, vidi il vivo movimento della mano di Gesù, che tracciò un gran segno di croce. La sera dello stesso giorno, mentre stavo mettendomi a letto, vidi che quell'immagine stava passando sopra una città e quella città era coperta di reti e trappole. Gesù passando tagliò tutte le reti ed in ultimo fece un gran segno di croce e scomparve. E mi vidi circondata da una moltitudine di figure maligne che avvampavano di un grande odio contro di me. Dalle loro bocche uscirono minacce d'ogni genere, ma nessuna mi toccò. Dopo un momento, quella apparizione scomparve, ma mi ci volle parecchio tempo per addormentarmi.

26.IV. Venerdì, quando sono andata ad Ostra Brama, nel corso delle solennità durante le quali venne esposta quell'immagine, sono stata presente alla predica tenuta dal mio confessore. Quella predica trattava della Misericordia di Dio. Era la prima di quelle richieste dal Signore Gesù da tanto tempo. Quando cominciò a parlare della grande Misericordia del Signore, l'immagine prese un aspetto vivo ed i raggi penetrarono nei cuori della gente riunita, però non in egual misura; alcuni ricevettero di più, altri meno. Vedendo la grazia di Dio, la mia anima fu inondata da una grande gioia. Improvvisamente udii queste parole: «Tu sei testimone della Mia Misericordia. Starai per i secoli davanti al Mio trono come viva testimone della Mia Misericordia». Finita la predica, non attesi la fine della funzione, perché avevo fretta di tornare a casa. Fatti pochi passi, mi venne sbarrata la strada da una moltitudine di spiriti del male, che mi minacciarono terribili tormenti, mentre si udivano queste voci: «Ci ha portato via tutto quello per cui avevamo lavorato per tanti anni». Quando domandai loro: «Da dove venite in tale moltitudine?», quelle figure maligne mi risposero: «Dai cuori degli uomini. Non ci torturare!». Vedendo allora l'odio tremendo che avevano contro di me, chiesi aiuto all'Angelo Custode ed in un attimo comparve la figura luminosa e raggiante dell'Angelo Custode, che mi disse: «Non temere, sposa del mio Signore; questi spiriti non ti faranno nulla di male senza il Suo permesso». Quegli spiriti maligni scomparvero immediatamente ed il fedele Angelo Custode mi accompagnò in modo visibile fin dentro casa. Il suo sguardo era modesto e sereno e dalla fronte gli usciva un raggio di fuoco. O Gesù, desidererei faticare, stancarmi fino alla spossatezza e soffrire per tutta la vita per quest'unico momento, in cui ho visto la Tua gloria, o Signore, ed i benefici che ne ricavano le anime

DOMENICA 28.IV.1935.
Domenica in Albis, cioè festa della Misericordia del Signore, chiusura del Giubileo della Redenzione. Quando andammo a quella solenne funzione, il cuore mi batteva dalla gioia, poiché quelle due solennità erano unite strettamente fra di loro. Pregai Iddio perché concedesse Misericordia alle anime dei peccatori. Quando la funzione stava per finire ed il sacerdote prese il Santissimo Sacramento per impartire la benedizione, tutto a un tratto vidi il Signore Gesù con lo stesso aspetto che ha nell'immagine. Il Signore diede la benedizione ed i raggi si diffusero su tutto il mondo. All'improvviso vidi un bagliore inaccessibile, a forma di un'abitazione di cristallo intessuta con onde di luce, impenetrabile a qualunque creatura e spirito. Per accedere a quel bagliore c'erano tre porte e in quel momento entrò Gesù, con lo stesso aspetto che ha nell'immagine, in quel bagliore, attraverso la seconda porta, fino all'interno dell'unità. Questa è l'unità trina, che è l'incomprensibile infinito. Inaspettatamente udii una voce: «Questa festa è uscita dalle viscere della Mia Misericordia ed è confermata nell'abisso delle Mie grazie. Ogni anima che crede ed ha fiducia nella Mia Misericordia, la otterrà». Mi rallegrai immensamente per la bontà e la grandezza del mio Dio.

29.IV.1935.
La vigilia dell'esposizione dell'immagine andai con la nostra Madre Superiora dal nostro confessore. Quando la conversazione cadde nell'argomento dell'immagine, il confessore chiese che una suora aiutasse ad intrecciare ghirlande. La Madre Superiora rispose che avrebbe dato una mano Suor Faustina. La cosa mi rallegrò enormemente. Quando tornammo a casa, m'interessai subito di procurare fronde verdi e con l'aiuto di un'educanda trasportammo il verde; ci fu d'aiuto anche una persona che sta presso la chiesa. Alle sette di sera era già tutto pronto, l'immagine era già stata appesa. Alcune signore però notarono che m'aggiravo in quei paraggi, dove certamente sono stata più d'impaccio che d'aiuto, perciò il giorno dopo chiesero alle suore che cosa fosse quella bella immagine e che significato avesse. «Loro suore lo sapranno di sicuro, dato che ieri c'era una suora ad adornarla». Le suore rimasero molto stupite, perché non ne sapevano niente. Ognuna di loro voleva vederla e sospettarono subito di me. Dissero: « Di sicuro suor Faustina è ben informata di tutto ». Quando cominciarono ad interrogarmi, non risposi, poiché non potevo dire la verità. Il mio silenzio fu motivo di maggior curiosità da parte loro. Raddoppiai la vigilanza su me stessa, per non mentire né dire la verità, poiché non ne avevo l'autorizzazione. Cominciarono allora a mostrarmi il loro malcontento ed a dirmi apertamente: «Come è possibile che gente estranea sia informata di ciò, e noi non ne sappiamo niente?». Cominciarono a circolare valutazioni di vario genere sul mio conto. Soffrii molto per tre giorni, ma una forza misteriosa penetrò nella mia anima. Gioisco di poter soffrire per il Signore e per le anime, che hanno ottenuto la Sua Misericordia in questi giorni. Vedendo il gran numero di anime che in questi giorni hanno ottenuto la Misericordia di Dio, considero proprio nulla le fatiche e le sofferenze, anche le più grandi ed anche se dovessero durare fino alla fine del mondo, poiché esse hanno un termine, mentre le anime che con questa festività si sono convertite sono state salvate da tormenti che durano in eterno. Ho provato una grande gioia nel vedere altri, che tornavano alla sorgente della felicità, in seno alla Divina Misericordia. Vedendo la dedizione e le fatiche del reverendo dr. Sopocko per questa causa, ammiravo la sua pazienza ed umiltà. Tutto questo è costato molto, non solo in sacrifici e dispiaceri di vario genere, ma anche molto denaro; ed a tutto ha provveduto il reverendo dr. Sopocko. Vedo che la Divina Provvidenza lo aveva preparato a compiere quest'opera della Misericordia, ancora prima che io pregassi Dio per questo. Oh, come sono misteriose le Tue vie, Dio, e felici le anime che seguono la voce della Tua grazia! Per tutto, anima mia, magnifica il Signore ed esalta la Sua Misericordia, poiché la Sua bontà non ha fine. Tutto passerà, ma la Sua Misericordia è senza limiti e senza termine. Sebbene la malvagità arrivi a colmare la sua misura, la Misericordia è senza misura. O mio Dio anche nei castighi coi quali colpisci la terra, vedo l'abisso della Tua Misericordia, poiché castigandoci in questa terra, ci liberi dal castigo eterno. Rallegratevi, creature tutte, poiché siete più vicine a Dio nella Sua infinita Misericordia, di quanto lo sia un lattante al cuore della madre. O Dio, Tu sei la pietà stessa per i più grandi peccatori sinceramente pentiti! Più grande è il peccatore, maggiore è il diritto che ha alla Misericordia divina.