giovedì 26 dicembre 2013

Il Santo Natale

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Martedì, 24 dicembre 2013
  
1. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1).
Questa profezia di Isaia non finisce mai di commuoverci, specialmente quando la ascoltiamo nella Liturgia della Notte di Natale. E non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce. E in questa notte, mentre lo spirito delle tenebre avvolge il mondo, si rinnova l’avvenimento che sempre ci stupisce e ci sorprende: il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del vedere.
Camminare. Questo verbo ci fa pensare al corso della storia, a quel lungo cammino che è la storia della salvezza, a cominciare da Abramo, nostro padre nella fede, che il Signore chiamò un giorno a partire, ad uscire dal suo paese per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Da allora, la nostra identità di credenti è quella di gente pellegrina verso la terra promessa. Questa storia è sempre accompagnata dal Signore! Egli è sempre fedele al suo patto e alle sue promesse. Perché fedele, «Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Da parte del popolo, invece, si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e momenti di popolo errante.
Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi. «Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11). Popolo in cammino, ma popolo pellegrino che non vuole essere popolo errante.
2. In questa notte, come un fascio di luce chiarissima, risuona l’annuncio dell’Apostolo: «È apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11).
La grazia che è apparsa nel mondo è Gesù, nato dalla Vergine Maria, vero uomo e vero Dio. Egli è venuto nella nostra storia, ha condiviso il nostro cammino. È venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne. Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi.
3. I pastori sono stati i primi a vedere questa “tenda”, a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E’ legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù, e con loro lasciamo salire dal profondo del cuore la lode della sua fedeltà: Ti benediciamo, Signore Dio Altissimo, che ti sei abbassato per noi. Tu sei immenso, e ti sei fatto piccolo; sei ricco, e ti sei fatto povero; sei l’onnipotente, e ti sei fatto debole.
In questa Notte condividiamo la gioia del Vangelo: Dio ci ama, ci ama tanto che ha donato il suo Figlio come nostro fratello, come luce nelle nostre tenebre. Il Signore ci ripete: «Non temete» (Lc 2,10). Come hanno detto gli angeli ai pastori: «Non temete». E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre. Egli è la nostra pace. Amen.

domenica 17 novembre 2013

Non lasciamoci ingannare

Commento di Mons.Antonio Riboldi alla Liturgia odierna:

Quante volte, assistendo ai disordini che l'uomo sembra moltiplicare, giorno per giorno, e di fronte a catastrofi, sentiamo dire: ‘Ma è la fine del mondo!'.
Come ad affermare che stiamo arrivando al capolinea della storia ed in modo disastroso.
Questa è l'ultima domenica dell'anno liturgico, che scandisce la nostra storia, facendoci prendere per mano dalla vita di Gesù che, con amore, si fa battistrada per essere degni della Gloria celeste.
Insieme abbiamo vissuto il tempo dell'Attesa di Dio, che viene tra di noi, nell'Avvento; abbiamo gioito della Venuta di Gesù tra noi, ieri, oggi e sempre, nel Natale; abbiamo contemplato la Sua opera di redenzione nella Quaresima, che invitava alla conversione, per entrare nella Gioia della Sua Resurrezione, dopo la Sua Passione e Morte; e, sostenuti dalle ‘lingue di fuoco' della Pentecoste, che ci donava lo Spirito Santo, abbiamo cercato di stare alla scuola del Maestro, fino al compimento della Misericordia.
E così la Chiesa, oggi, proprio come a farci entrare nel compimento della Storia della Salvezza, ci fa meditare sulla fine di tutto, per dare inizio al Tutto, che è la Vita celeste.
Gesù, nel Vangelo, coglie l'occasione per il suo insegnamento, interrompendo l'estasi di chi si era soffermato nell'ammirazione delle bellezze esteriori, compiute dall'uomo, con parole che devono farci meditare. Ascoltiamo l'evangelista Luca:
"In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: ‘Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta'. Gli domandarono: ‘Maestro quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?'. Rispose: ‘Badate di non lasciarvi ingannare'. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io', e ‘Il tempo è vicino'. Non andate dietro a loro. Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine. Poi diceva loro: "... prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governanti, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza.... Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete perfino traditi dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi: sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita." (Lc. 21,5-19)
Con giustissima insistenza si fanno previsioni e progetti per un futuro che eviti catastrofi. E ci si accorge - e questa può essere saggezza - che il futuro non può essere mai la ripetizione di quanto si è cercato in tutti i modi, anche errati, di ottenere. In tutto. Anche nella nostra vita interiore.
E non riusciamo, a volte, a mettere in discussione che, quello che chiamiamo ‘progresso', può risultare un camminare ‘fuori strada'. Quando tentiamo di aggredire una montagna difficile, è saggezza accorgersi se siamo fuori sentiero e, quindi, con tempo e fatica, tornare alla ricerca di quello giusto.
Il Vangelo di oggi ci invita, quindi, a tornare indietro, se necessario, a fermarci un momento, per capire, alla luce del Vangelo, se il nostro vivere è nella giusta Via, Verità e Vita.
Come sanno fare i santi.
Mi è caro, insieme a voi, rifarmi alla vita del beato Rosmini, fondatore della Congregazione, definita ‘Istituto della carità' (Rosminiani, a cui ho la gioia di appartenere), la cui vita pare un riflesso del Vangelo di oggi.
Rosmini nasce a Rovereto (Trento) da una famiglia nobile e molto facoltosa.
A 18 anni, contro il parere dei genitori, che in lui avevano riposto disegni di carriera nobile e prestigiosa, segue la vocazione del sacerdozio. E' ordinato nel 1821, ma sente interiormente che la volontà di Dio vuole per lui ‘altro', e così per alcuni anni vive nella casa paterna di Rovereto, come in attesa che Dio manifesti la sua volontà. Attende che sia Dio a chiamarlo. Non vuole essere lui a scegliere. È quel principio di totale abbandono a Dio, che poi chiamerà - e darà come ‘segno' caratteristico ai suoi discepoli nell'Istituto - ‘principio di passività', ossia ‘essere sempre e tutto a disposizione di Dio'.
Nel 1828, lascia Rovereto: un taglio netto con la ricchezza e il benessere che avrebbe potuto continuare a godere nella bellezza del suo palazzo, ancora oggi luogo di arte e ammirazione, e si nasconde su un piccolo colle, che sovrasta la città di Domodossola, il Sacro Monte Calvario.
In un complesso abbandonato e isolato, sceglie come abitazione una ‘cella', tanto simile a quella di S. Francesco. È ancora oggi mèta di pellegrinaggi, ma, soprattutto per noi Rosminiani, è il ‘segno' della povertà, che è la via di Cristo e dei Santi. Una piccola stanza con il solo letto, una catinella per lavarsi ed una scrivania. Il resto solo povertà. Lui che era ricco!
E lì fonda l'Istituto della Carità. Scrive libri, continua il suo personale cammino di perfezione, i cui princìpi lascia in un libricino per tutti: Le Massime di perfezione cristiana.
Cosciente dell'importanza di lavorare per la Chiesa e con la Chiesa, decide di incontrarsi con il Santo Padre, per sottoporgli le sue idee.
Pio VII, già nel 1823, lo aveva incoraggiato a studiare filosofia, ora Pio VIII ribadisce: "E' volontà di Dio che essa si occupi nello scrivere libri: tale è la sua vocazione. La Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori, dico di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli per la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione. (Sembra il pensiero del nostro Papa, Benedetto XVI) Si tenga certo che ella potrà recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandosi nello scrivere che non esercitando qualunque opera del sacro ministero".
E come rispondendo a questo invito, Rosmini scrive il famoso ‘Delle cinque piaghe della Chiesa' e ‘Le Massime di perfezione', forse i due testi più conosciuti. Ma la sua immensa capacità di fede e pensiero gli consente di affrontare problematiche tuttora attuali: ‘Principi di scienza morale', ‘Antologia in servizio della scienza morale', ‘Il rinnovamento della filosofia in Italia', ecc.
Ma c'erano gli avversari, desiderosi di trovare una qualche occasione per umiliarlo.
Intanto Pio IX, salito al soglio pontificio, lo vorrebbe ordinare cardinale, anzi Segretario di Stato.
Ma gli eventi politici precipitano: è il 1848. Pio IX è costretto a fuggire da Roma e rifugiarsi a Gaeta, dove richiede l'intervento di Rosmini.
È l'inizio dell'esilio, della umiliazione e, io dico, della sua santità.
Incomprensioni e pressioni fanno sì che Pio IX decida di mettere all'Indice ‘Delle Cinque piaghe della Chiesa' e ‘La Costituzione civile secondo la giustizia sociale'. Si è passati dall'offerta del cardinalato alla condanna! E pensare che Manzoni, amico di Rosmini, ebbe a dire di lui: ‘Delle cinque o sei più grandi intelligenze che l'umanità abbia prodotto a distanza è Rosmini'.
Possiamo immaginare la veemenza con cui gli avversari attaccarono Rosmini, il sacerdote amato e lodato dai Papi. Fu tanta la bagarre contro di lui, che il S. Padre impose ‘il silenzio', che era come una pietra sulla tomba. Come risponde Rosmini? Prega per le ‘incredibili vicende per le quali mi conduce la Provvidenza, a cui non fallisce giammai l'immutabile consiglio. Io, meditandola, la annunzio; ammirandola, l'amo; amandola, la celebro; celebrandola, la ringrazio; ringraziandola, m'empio di letizia.' (lettera all'amico don Parma)
Vive gli ultimi anni a Stresa, nel silenzio, circondato da dubbi, come emarginato dalla sana dottrina. Continua a scrivere, dandosi una regola precisa: ‘Adorare, tacere, godere'.
Il ‘cuore', che dette alla Congregazione, è la carità.
Una carità che coinvolge tutto l'uomo, in tre aspetti che vanno in lui armonicamente amati, curati e rispettati. La carità temporale è la cura della vita corporea, riconoscendo e promuovendo tutto ciò che è dono di Dio: la salute, il cibo, il lavoro, la casa e ogni realtà necessaria ad una vita dignitosa.
Un gradino più su, ma sempre ‘l'uomo da amare', la carità intellettuale, secondo le parole di Gesù: ‘Non di solo pane vive l'uomo'. Occorre non fermarsi ai soli bisogni del corpo, ma ridare all'uomo la coscienza della propria dignità, la capacità di esprimersi e scegliere, non per affermare se stesso, ma come libertà nel dire ‘sì' a Dio e al prossimo. È la carità della cultura, dell'intelligenza che fa scoprire le immense ‘ricchezze che Dio ha dato ad ogni uomo'. È un ‘cogito ergo sum', che si apre al Trascendente. Ed è la carità che oggi più manca.
In un incontro, anni fa, con Giovanni Paolo II, alla sua domanda di cosa necessitassero gli italiani, risposi: ‘Ci vorrebbero tante Madre Teresa della cultura. L'uomo non pensa più e questo lo rende una merce senza senso'. Ricordo che dette un pugno sulla scrivania e disse: ‘Questa è l'intuizione, che cercavo'. Ed oggi, più che mai, è l'urgenza della Chiesa, di fronte all'attacco indiscriminato del materialismo.
Ed infine la carità spirituale: aiutare l'uomo nel cammino della santità, che è poi la carità più grande, quella di Cristo stesso verso di noi.
Rosmini amava affermare che mentre la carità temporale può essere un'attività limitata al corpo, come gli ospedali; la stessa carità intellettuale può essere esplicata negli istituti di educazione o scuole; quella spirituale è propria dei pastori, in particolare, e dei cristiani coscienti della loro missione. E aggiungeva che di queste tre forme di carità, chi le svolge tutte e tre, sono ‘i pastori di anime'.
Amare un uomo integralmente, fare un uomo, è mettere in atto la parabola del buon Samaritano: non dategli appena un pezzo di pane, dategli il pane della cultura, dategli il Pane della Vita.
Aiutatelo a rizzarsi in piedi: è la carità integrale... che non ama mai un uomo a metà!
Oggi la nostra Italia ne ha più che mai bisogno, per questo Rosmini si impone alla nostra attenzione e devozione. È stato ed è davvero un gigante della carità intellettuale e spirituale del nostro tempo.
Dio, i Suoi Santi, li dà a tempo opportuno, e Rosmini è davvero un dono necessario per questa nostra umanità a dir poco confusa.
Così amava dialogare con Dio:
"O quanto è dolce il conversar con Dio, parlar di Dio, soddisfare Dio.
Ricordarsi, volere e intendere Dio. Conoscere Dio, innamorarsi in Dio!
Lo stare e il ritornare con Dio; il cercare e il trovare in Dio, Dio.
Donando tutto se medesimo a Dio lasciare per Dio il gusto anche di Dio.
Il pensare, il parlare, l'operare per Dio.
Solo sperare col dilettarsi in Dio.
Il dilettarsi e il consacrarsi a Dio e a Dio solo piacer, patir per Dio,
solo godere in Dio.
Solo voler Dio e stare sempre con Dio: gioire nei gusti e nelle pene in Dio.
Veder Dio, toccar Dio, gustare Dio: vivere, morire e stare con Dio."

domenica 27 ottobre 2013

I giusti agli occhi di Dio

Commento di Mons.Antonio Riboldi alla Liturgia odierna:

Dal Vangelo di oggi emerge una caratteristica degli uomini di tutti i tempi e di ogni categoria: il grave difetto di credersi migliori' e, quindi, giudicare negativamente gli altri'.
"In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo, l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo'. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore'. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta, sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato". (Lc. 18, 9-14)
Ci vuole una bella faccia tosta' a mettersi ben in vista, ai primi posti nel tempio e tra gli uomini, proclamando la propria giustizia, proprio a Dio, IL GIUSTO, che conosce fino in fondo chi siamo e di quante ombre, oltre che luci, siamo ripieni.
Solo davanti agli uomini, che si nutrono tante volte di inganni, pur di affermarsi ed apparire quello che di fatto non sono, possiamo recitare la commedia delle bugie'!
Quanta gente abbiamo conosciuto che amava i primi posti nella stima nostra e poi, con tristezza, si è scoperto che erano ben altra cosa. Il Vangelo ci invita ad essere umili.
Papa Francesco, in un'omelia alla Casa S. Marta, proprio riferendosi a questo Vangelo, e stigmatizzando l'ipocrisia ha detto: "L'esempio da guardare è quello indicato dal Vangelo: il pubblicano che con umile semplicità prega dicendo: «Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore». Questa è la preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che siamo peccatori. Dei peccatori che, però, sanno a chi guardare per trovare una redenzione. Tutti noi abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo: la grazia della gioia; la grazia della magnanimità, della larghezza".
Così affermava Paolo VI: "Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini.
Se vogliamo rinnovare la vita cristiana non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà. Come risolvere innanzitutto il contrasto fra la vocazione alla grandezza e il precetto dell'umiltà
Noi abbiamo ogni giorno sulle labbra il Magnificat', l'inno sublime della Madonna, la quale proclama davanti a Dio, e a quanti ne ascoltano la dolcissima voce, la sua umiltà di serva, e nello stesso tempo celebra le grandezze operate da Dio in lei e profetizza l'esaltazione che di lei faranno tutte le generazioni... Il confronto con gli altri ci fa spesso pietosi verso noi stessi e orgogliosi verso il prossimo: ricordiamo la parabola del fariseo e del pubblicano, quando il primo dice di se stesso: io non sono come gli altri', mentre il pubblicano non osava neppure alzare gli occhi al cielo e si batteva il petto". (Omelia, 9 febbraio 1967)
A essere sinceri, infatti, cosa abbiamo di nostro? La vita? È un dono. La felicità o i carismi? Sempre doni di Dio. La salute e la bellezza del corpo? Doni di Dio!
Se da una parte Dio chiede che i Suoi doni vengano bene amministrati, dall'altra la giustizia vuole che si dia gloria a Chi ci ha fatto tali doni: non appropriarsene, che è superbia!
Dovremmo, in altre parole, essere capaci di imitare la Madonna che, mentre celebra le grandi opere che Dio ha compiuto in Lei, dall'altra si riconosce serva del Signore'.
Ma quanto è facile appropriarsi' dei doni di Dio, come fossero cosa nostra'!
Da qui la superbia, in cui satana è maestro, suggeritore.
"Cosa abbiamo noi - mi diceva il mio padre spirituale, un vero uomo di Dio - se non le nostre debolezze, la nostra miseria, il nostro nulla? Tutto è di Dio: di nostro il peccato".
Oggi, dice il Siracide:
"Il Signore è giudice e non vi è presso lui preferenza di persone.
Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso.
Non trascura la supplica dell'orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza e la sua preghiera giungerà fino alle nubi.
Finché non sia arrivata non si contenta, non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto,
rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità". (Sir. 35, 15-22)
Mi torna sempre alla mente la testimonianza del mio Padre spirituale, il grande don Clemente Rebora, famoso poeta del 900, che poteva certamente raccontare' quello che aveva vissuto.
Stando insieme nei periodi di vacanza alla Sacra di S. Michele, facendo lunghe camminate con lui, io tentavo di fare sfoggio di ciò che avevo letto, soprattutto sui romanzi russi.
Lui ascoltava e taceva. Avevo addirittura l'impressione che non li avesse mai letti.
Non sapevo che, tra i tanti suoi titoli', da tutti riconosciuto, vi era quello di raffinato e grande conoscitore della letteratura russa! Ma aveva deciso, dopo la sua conversione, di oscurare tutto il passato', come non fosse esistito. L'unica cosa che bramava era guadagnare con una vita ascetica e santa il tempo che aveva perso nel mondo' - così amava dire. Quando seppi chi veramente era stato, mi vergognai della mia stupida voglia di recitare la parte del fariseo.
Forse tanti dei miei amici, che mi seguono, in questa grazia di farsi come plasmare dalla Parola di Dio', conoscono o hanno sentito parlare del mio Fondatore, Antonio Rosmini: un vero gigante della filosofia e della teologia, ma più ancora della santità.
Nel suo libretto Massime di perfezione', - da molti conosciuto e che sono le regole della santità -nella quinta massima, intitolata: Riconoscere intimamente il proprio nulla', così afferma:
"Il Cristiano deve meditare ed imitare continuamente la profondissima umiltà della Vergine Maria. Nelle divine Scritture la vediamo sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore.
Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale non venne tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta.
A giudizio umano, chi potrebbe credere che della più perfetta delle creature umane ci fosse raccontato così poco nelle divine Scritture? Nessuna opera da Lei intrapresa; una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò di essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa, quest'umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall'Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli" (V Massima n. 7)
Parole che vengono dal cuore di un uomo, Rosmini, che nella vita conobbe, per un tempo, l'amicizia e la stima incondizionata dei Papi e, improvvisamente, per presunti errori teologici',
- ormai sconfessati dalla Congregazione della Dottrina della fede, di cui era Prefetto proprio il nostro emerito e amato Pontefice, Benedetto XVI - fu come esiliato, emarginato, considerato quasi pericoloso per la teologia.
Nel silenzio assoluto impostogli, da lui accolto come volontà di Dio e a sua volta imposto alla Congregazione, a chi gli chiedeva come si sentisse, rispondeva: Adorare, tacere, godere'.
Aveva la certezza che se il grano caduto in terra non muore, non porta frutto'.
Ora la Chiesa ha riconosciuto le sue virtù eroiche, proclamandolo beato. L'umiltà porta sempre frutto.
Madre Teresa di Calcutta, altra grande santa del nostro tempo, amava dire: "Anche se commetti qualche errore, approfittiamo di questo per avvicinarci a Dio". DiciamoGli con umiltà: Non sono stata capace di essere migliore. Ti offro i miei fallimenti'.
E' lo stesso invito di Papa Francesco:
"Gesù è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all'altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini,... non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia. Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo!...
Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono.
E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia!". 

domenica 20 ottobre 2013

Tutti missionari

Commento di Mons.Antonio Riboldi alla speciale giornata che viviamo oggi ed alla Liturgia odierna:

Oggi, tutta la Chiesa, in ogni parte del mondo, celebra la GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE. E così il S. Padre, nel Messaggio, scrive:
"Quest'anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l'Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo.... L'Anno della fede, a cinquant'anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l'intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i "confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle Diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37). Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo."
Le parole di Papa Francesco sono risposte a domande che da sempre ci coinvolgono: chi Dio ?manda ad evangelizzare'? In altre parole, chi sono ?i missionari' in ogni tempo e soprattutto oggi? A chi si rivolge Gesù?
Dove è oggi il campo della missione: solo nei Paesi che non sono ancora venuti a conoscenza del Vangelo e, quindi, della loro chiamata alla santità ed alla felicità del Cielo, o anche tra di noi?
Sorge spontanea la domanda: noi, che ci chiamiamo cristiani, siamo ?terra di missione' o ?popolo missionario'?
Troppo spesso, proprio nel nostro Occidente sviluppato, si respira un'aria di completa ?ignoranza della Parola del Vangelo', tanto che nasce il dubbio: non saremo forse noi da evangelizzare?
Sarà colpa di tanti fattori, della Chiesa, che non ha saputo trovare i modi per evangelizzare, o della famiglia, o...di tutti?
Un caro amico missionario mi confessò un giorno: ?Quanta poca fede c'è tra voi, al contrario della mia gente, in missione, che, non solo crede e sa a Chi crede e quale impegno contiene la fede, ma per la quale credere è grande festa: festa di una vita con Cristo!'.
Paolo VI, vero appassionato di Cristo, così ci ?provoca' ed annuncia:
"Se io domandessi agli uomini del nostro tempo: chi ritenete che sia Gesù Cristo? Come Lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo, ancora più necessario della nostra vita, annunciarLo alle anime?
Alla domanda, alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire. Esiste come una nube - e questa è opaca, pesante - di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga di Cristo, non Lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerLo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere, per tutti, Maestro e Guida, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerLo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo e amarlo. C'è persino chi urla contro Cristo: "Via!" - è il grido blasfemo alla croce! - Non c'è posto per Iddio, né per la religione: si affannano a cancellare il Suo Nome e la Sua Presenza. Tale è il contenuto di questo laicismo sfrenato che incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce.
Noi, che ci diciamo di Cristo, abbiamo questo grandissimo e dolcissimo Nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo, ma...noi sappiamo bene chi è?
Sapremo dirGli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome: chiamarLo Maestro, Pastore; invocarLo quale Luce dell'anima e ripeterGli: Tu sei il nostro Salvatore?". (Palo VI, 14 marzo 1964)
In queste parole di Paolo VI c'è davvero la passione che lui, come tutti i veri discepoli, sentono e vivono. È la passione che spinge tanti a rispondere alla chiamata di Dio di andare là dove Dio non è conosciuto e quindi amato: i nostri missionari.
Commuove la loro ?passione' di ?andare' e portare la conoscenza di Gesù ai confini della terra, a volte con il rischio della propria vita... insieme ai loro fedeli, in tante parti del mondo, anche oggi!
Non ci siamo mai chiesto perché, quando i missionari tornano tra di noi, per un momento di riposo, si sentono a disagio nel respirare la nostra ?aria'?
Forse perché è un'aria di benessere, che tante volte ha lambito, se non invaso totalmente, le nostre case e,...anche i nostri cuori, diventando ?aria di sufficienza', ma senza Dio?
Ritornano tra di noi e...già desiderano tornare tra ?i loro cristiani'.
Raccontano l'adattamento al clima e ai costumi, le difficoltà della loro gente, anche solo a sopravvivere, ma, soprattutto, la fede dei loro villaggi, la gioia delle comunità, che stravolgono tutte le nostre false sicurezze.
La gioia di ?entrare nella conoscenza di Dio' manca invece in molte nostre famiglie, dove, troppe volte, è calato il silenzio su Dio e così si rischia di essere cristiani solo nel nome.
Forse la missione dovrebbe proprio cominciare dalle nostre famiglie.
Forse, tante volte, anche noi sacerdoti non sappiamo trovare le vie o il modo appassionato di annunziare il Vangelo.
Ma dobbiamo tornare tutti al Vangelo, a cominciare da noi, dalle famiglie, a quanti dicono di amare l'uomo. È quello a cui ci esorta il grande evangelizzatore, S. Paolo, scrivendo a Timoteo: "Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, esorta con ogni magnanimità e dottrina.". (2 Tim. 3, 14)
Accogliamo il grido di Gesù, nel Vangelo di oggi, Giornata Missionaria Mondiale, che fa davvero riflettere: "Ma il Figlio dell'Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?", suggerendo anche, nello stesso brano, la medicina da prendere': "Pregate sempre senza stancarvi." (Lc. 18, 1-8)
E non manchiamo di farci vicini', tutti, con la nostra generosità, ai missionari, perché possano mostrare l'amore del Padre verso i poveri tra cui vivono, usando delle nostre mani, e... preghiamo con le parole di Madre Teresa di Calcutta:
"O Signore, fa' sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.
Suscita in loro la fame della Tua Parola e lascia che questa sia il nostro pane quotidiano.
Fa' che quanti sanno leggere, guardino al Vangelo con i propri occhi,
mentre quanti non sanno leggere, incontrino altri che leggano per loro."
Riascoltando le parole consolanti di Gesù, con cui lo stesso Papa Francesco conclude il Messaggio: "Coraggio, io ho vinto il mondo".

lunedì 14 ottobre 2013

Un raggio di sole

Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre (San Francesco d'Assisi). 

San Francesco ci riempie il cuore con una semplice frase che soddisfa il nostro bisogno maggiore: il bisogno della speranza. Le nostre vite sono spesso tribolate, grandi e piccole tribolazioni che generano in noi il panico, la paura vera di non farcela ad andare avanti, di non avere la forza necessaria per continuare a lottare. Per questo assistiamo a numerosi casi di depressione che, nei casi più tragici ed estremi, giungono al culmine del suicidio. 
Ma noi non dobbiamo mai smettere di lottare perché c'è un raggio di sole che spazza tutte le nostre ombre e questo raggio di sole è l'amore di Cristo che si manifesta in modi differenti, a volte con una parola dolce, a volte con un sorriso, a volte con una pacca sulla spalla, a volte con un aiuto insperato. Impariamo ad apprezzare il raggio di sole che illumina la nostra vita anche quando è avvolta dall'oscurità delle nubi: sappiamo che sopra le nuvole il cielo è sempre azzurro e che prima o poi il sole spunterà di nuovo illuminando e irradiando di calore le nostre vite! 
 

giovedì 10 ottobre 2013

Riscoprire la fede

Sono trascorsi un paio di anni dal mio disimpegno nell'aggiornamento di questo spazio, ma non è mai mancata la mia presenza anche e soprattutto grazie a molti lettori che hanno continuato a scrivermi ed a ringraziarmi per la presenza di questa piccola oasi nel mare non certo pulito della rete.
Negli ultimi giorni, alcune parole di un ragazzo mi hanno fatto riflettere al punto da spingermi a ritornare a prendere in mano l'aratro che avevo lasciato tempo fa per riprendere il lavoro di semina che, grazie a Dio, ha continuato a dar suoi frutti anche in questo periodo di sospensione.
Innanzitutto, un sussulto di umiltà mi ha spinto a cercare un nome a questo spazio che fosse lontano da un'impostazione troppo personalistica che contraddistingue già fin troppi spazi, con le conseguenze che si conoscono. In realtà, non ho duvuto riflettere a lungo perchè dopotutto l'emergenza che ci troviamo a vivere è sicuramente quella della crisi di fede che aveva spinto lo stesso Papa emerito Benedetto XVI a decretare l'anno della fede che ormai si avvia alla conclusione.
Il titolo "riscoprire la fede" è ciò che il cuore mi ha suggerito poiché si tratta di riscoprire un qualcosa che abbiamo smarrito, a volte relativizzato, altre volte piegato ai nostri piaceri, altre volte rinnegato.
Ognuno di noi deve sentirsi spinto alla ricerca della conoscenza, al ritrovamento della fede delle origini ed a condividere le proprie esperienze affinché possano esser utili per il lavoro di semina che riguarda ogni singolo cristiano.
Approfittiamo di questo speciale tempo che stiamo vivendo per riscoprire la fede sulle orme del Vangelo di Gesù!