martedì 30 novembre 2010

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - III

Continuiamo il percorso inaugurato settimana scorsa e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Anche oggi vediamo come il venerabile Giovanni Paolo II abbia saputo cogliere il degrado verso il quale la famiglia cristiana stava giungendo. Oggi, questa realtà di degrado è ancora più sviluppata di prima e segue proprio le linee indicate dal Papa: e cioè un declino dei valori fondamentali; un degrado nel rapporto genitori-figli, con i primi sempre più distanti e permissivi; una mentalità ormai fissata sulla contraccezione, che respinge la vita e che preferisce l'aborto. Tutti questi timori che all'epoca stavano cominciando a prendere forma, oggi sono una realtà ben consolidata e questo deve farci riflettere sulla deriva che noi cristiani stiamo prendendo: infatti, questa mentalità di falsa libertà non è altro che disprezzo del disegno di Dio a vantaggio del nostro personale piacere: forme di convivenza che non confluiscono nel matrimonio religioso, famiglie allargate a causa di divorzi, separazioni e nuovi unioni sono le realtà di oggi che cozzano con la realtà biblica e con la Volontà di Dio Padre. Allora, forse dovremo cominciare a chiederci che cosa siamo, se siamo cioè cristiani che vogliono aver fede in Cristo e seguirne gli insegnamenti oppure se siamo persone ipocrite che mettono a tacere la coscienza andando a Messa la Domenica per poi vivere la propria vita, secondo una concezione del tutto egoistica e personale. Non a caso, come leggerete, il Papa richiama alla mente l'espressione di Sant'Agostino, di un conflitto, fra due amori: l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio (cfr. S. Agostino «De civitate Dei», XIV, 28: CSEL 40, II, 25s). Penso che questa frase agostiniana sintetizza l'attuale situazione del cristiano: ora spetta a noi scegliere quale amore seguire, se quello per Dio o se quello per noi stessi. Ecco il proseguo della Familiaris Consortio:

La situazione della famiglia nel mondo di oggi

6. La situazione, in cui versa la famiglia, presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l'uomo oppone all'amore di Dio.

Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall'altra parte, tuttavia non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell'indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell'aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l'instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva.

Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell'idea e dell'esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere.

Merita la nostra attenzione anche il fatto che, nei Paesi del così detto Terzo Mondo, vengono spesso a mancare alle famiglie sia i fondamentali mezzi per la sopravvivenza, quali sono il cibo, il lavoro, l'abitazione, le medicine, sia le più elementari libertà. Nei Paesi più ricchi, invece, l'eccessivo benessere e la mentalità consumistica, paradossalmente unita ad una certa angoscia e incertezza per il futuro, tolgono agli sposi la generosità e il coraggio di suscitare nuove vite umane: così la vita è spesso percepita non come una benedizione, ma come un pericolo da cui difendersi.

La situazione storica in cui vive la famiglia si presenta, dunque, come un insieme di luci e di ombre.

Questo rivela che la storia non è semplicemente un progresso necessario verso il meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di san Agostino, un conflitto, fra due amori: l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio (cfr. S. Agostino «De civitate Dei», XIV, 28: CSEL 40, II, 25s).

Ne consegue che solo l'educazione all'amore radicato nella fede può portare ad acquistare la capacità di interpretare «i segni dei tempi», che sono l'espressione storica di questo duplice amore.

L'influsso della situazione sulla coscienza dei fedeli

7. Vivendo in un mondo siffatto, sotto le pressioni derivanti soprattutto dai mass-media, non sempre i fedeli hanno saputo e sanno mantenersi immuni dall'oscurarsi dei valori fondamentali e porsi come coscienza critica di questa cultura familiare e come soggetti attivi della costruzione di un autentico umanesimo familiare.

Fra i segni più preoccupanti di questo fenomeno, i Padri Sinodali hanno sottolineato, in particolare, il diffondersi del divorzio e del ricorso ad una nuova unione da parte degli stessi fedeli, l'accettazione del matrimonio puramente civile, in contraddizione con la vocazione dei battezzati a «sposarsi nel Signore»; la celebrazione del matrimonio sacramento senza una fede viva, ma per altri motivi; il rifiuto delle norme morali che guidano e promuovono l'esercizio umano e cristiano della sessualità nel matrimonio.

La nostra epoca ha bisogno di sapienza

8. Si pone così a tutta la Chiesa il compito di una riflessione e di un impegno assai profondi, perché la nuova cultura emergente sia intimamente evangelizzata, siano riconosciuti i veri valori, siano difesi i diritti dell'uomo e della donna e sia promossa la giustizia nelle strutture stesse della società. In tal modo il «nuovo umanesimo» non distoglierà gli uomini dal loro rapporto con Dio, ma ve li condurrà più pienamente.

Nella costruzione di tale umanesimo, la scienza e le sue applicazioni tecniche offrono nuove ed immense possibilità. Tuttavia, la scienza, in conseguenza di scelte politiche che ne decidono la direzione di ricerca e le applicazioni, viene spesso usata contro il suo significato originario, la promozione della persona umana.

Si rende, pertanto, necessario ricuperare da parte di tutti la coscienza del primato dei valori morali, che sono i valori della persona umana come tale. La ricomprensione del senso ultimo della vita e dei suoi valori fondamentali è il grande compito che si impone oggi per il rinnovamento della società. Solo la consapevolezza del primato di questi valori consente un uso delle immense possibilità, messe nelle mani dell'uomo dalla scienza, che sia veramente finalizzato alla promozione della persona umana nella sua intera verità, nella sua libertà e dignità. La scienza è chiamata ad allearsi con la sapienza.

Si possono pertanto applicare anche ai problemi della famiglia le parole del Concilio Vaticano II: «L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. E' in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi» («Gaudium et Spes», 15).

L'educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così una esigenza prioritaria ed irrinunciabile.

E' l'alleanza con la Sapienza divina che deve essere più profondamente ricostituita nella cultura odierna. Di tale Sapienza ogni uomo è reso partecipe dallo stesso gesto creatore di Dio. Ed è solo nella fedeltà a questa alleanza che le famiglie di oggi saranno in grado di influire positivamente nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno.

domenica 28 novembre 2010

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Terza parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII:

Definizione della Liturgia

 La sacra Liturgia è pertanto il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all'Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra. L'azione liturgica ha inizio con la fondazione stessa della Chiesa. I primi cristiani, difatti, «erano assidui agli insegnamenti degli Apostoli e alla comune frazione del pane e alla preghiera» (Act. 2, 42). Dovunque i Pastori possono radunare un nucleo di fedeli, erigono un altare sul quale offrono il Sacrificio, e intorno ad esso vengono disposti altri riti adatti alla santificazione degli uomini e alla glorificazione di Dio. Tra questi riti sono, in primo luogo, i Sacramenti, cioè le sette principali fonti di salvezza; poi la celebrazione della lode divina, con la quale i fedeli anche insieme riuniti obbediscono alla esortazione dell'Apostolo: «Istruendovi ed esortandovi tra voi con ogni sapienza, cantando a Dio nei vostri cuori, ispirati dalla grazia, salmi, inni e cantici spirituali» (Col. 3, 16); poi la lettura della Legge, dei Profeti, del Vangelo e delle Lettere Apostoliche, e infine l'omelia con la quale il Presidente dell'assemblea ricorda e commenta utilmente i precetti del Divino Maestro, gli avvenimenti principali della sua vita, e ammonisce tutti gli astanti con opportune esortazioni ed esempi.

Il culto si organizza e si sviluppa secondo le circostanze ed bisogni dei cristiani, si arricchisce di nuovi riti, cerimonie e formole, sempre con il medesimo intento: «affinché cioè da quei segni noi siamo stimolati . . . ci sia noto il progresso compiuto e ci sentiamo sollecitati ad accrescerlo con maggior vigore: l'effetto, difatti, è più degno se più ardente è l'affetto che lo precede» (Sant'Agostino, Epist. CXXX ad Probam, 18). Così l'anima più e meglio si eleva verso Dio; così il sacerdozio di Gesù Cristo è sempre in atto nella successione dei tempi, non essendo altro la Liturgia che l'esercizio di questo sacerdozio. Come il suo Capo divino, così la Chiesa assiste continuamente i suoi figli, li aiuta e li esorta alla santità, perché, ornati di questa soprannaturale dignità, possano un giorno far ritorno al Padre che è nei cieli. Essa rigenera alla vita celeste i nati alla vita terrena, li corrobora di Spirito Santo per la lotta contro il nemico implacabile; chiama i cristiani intorno agli altari e, con insistenti inviti, li esorta a celebrare e prender parte al Sacrificio Eucaristico, e li nutre col pane degli Angeli perché siano sempre più saldi; purifica e consola coloro che il peccato ferì e macchiò; consacra con legittimo rito coloro che per divina vocazione sono chiamati al ministero sacerdotale; rinvigorisce con grazie e doni divini il casto connubio di quelli che sono destinati a fondare e costituire la famiglia cristiana; dopo averne confortato e ristorato col Viatico Eucaristico e la Sacra Unzione le ultime ore della vita terrena, accompagna al sepolcro con somma pietà le spoglie dei suoi figli, le compone religiosamente, le protegge al riparo della Croce, perché possano un giorno risorgere trionfando sulla morte; benedice con particolare solennità quanti dedicano la loro vita al servizio divino nel conseguimento della perfezione religiosa; stende la sua mano soccorrevole alle anime che nelle fiamme della purificazione implorano preghiere e suffragi, per condurle finalmente alla eterna beatitudine.
 

 

sabato 27 novembre 2010

La storia di San Francesco di Assisi - Terza parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi vediamo i primi frutti della conversione di Francesco. Egli rappresenta in maniera reale, cosa significa conversione, al punto che tutti stentano a riconoscerlo, tanto è cambiato. Vediamo anche come Francesco affronti le prime prove dure, senza tirarsi indietro, senza perdersi d'animo e senza lasciarsi traviare dalla via che finalmente aveva trovato. Questo, carissimi, è un grande segno evangelico poiché Francesco non solo decide di caricarsi della Croce, esattamente come Gesù aveva chiesto ai suoi discepoli, affrontando i pericoli, le umiliazioni, e mettendosi persino contro suo padre, ma divenendo un vero e proprio adempimento della parole profetiche di Gesù: "Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita»."
Oggi, abbiamo la prova reale di cosa significhi perseguire una conversione di cuore che ci ponga contro a tutti, familiari e amici, e il tutto per amore di quel Gesù che ha sacrificato sé stesso per concederci la salvezza eterna: prendiamo esempio da lui perchè Francesco ha spianato la strada a chi vuole seguire Cristo in spirito di verità e amore, con coraggio, dandoci un esempio fulgido da seguire, nel nostro pellegrinaggio verso il Regno:

CAPITOLO QUARTO

VENDUTA OGNI COSA, SI LIBERA ANCHE DEL DENARO RICAVATO
 8. Così il beato servo dell'Altissimo, sospinto e preparato dallo Spirito Santo, essendo scoccata l'ora stabilita, si abbandona all'impulso della sua anima: calpesta i beni di questo mondo con la conquista di beni migliori. D'altronde non gli era più permesso differire: una epidemia mortifera si era diffusa ovunque, paralizzando a molti le membra in modo tale che avrebbe tolto loro anche la vita, se il Medico avesse tardato anche solo per poco.

Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando con sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi, secondo la sua abitudine, vende tutta la merce, e, con un colpo di fortuna, perfino il cavallo!

Sul cammino del ritorno, libero da ogni peso, pensa all'opera cui destinare quel denaro. Convertito a Dio in maniera rapida e meravigliosa, sente tale somma troppo ingombrante, la portasse pure per un'ora sola. Così, tenendone conto quanto l'arena, si affretta a disfarsene. Avvicinandosi ad Assisi, si imbatte in una chiesa molto antica, fabbricata sul bordo della strada e dedicata a San Damiano, allora in stato di rovina per vecchiaia.

9. Il nuovo cavaliere di Cristo si avvicina alla chiesa, e vedendola in quella miseranda condizione, si sente stringere il cuore. Vi entra con timore riverenziale e, incontrandovi un povero sacerdote, con grande fede gli bacia le mani consacrate, gli offre il denaro che reca con sé e gli manifesta i suoi proponimenti. Stupito per l'improvvisa conversione, il sacerdote quasi non crede a quanto odono le sue orecchie e ricusa di prendere quei soldi, temendo una burla. Infatti lo avevano visto, per così dire, il giorno innanzi a far baldoria tra parenti e amici, superando tutti nella stoltezza. Ma Francesco insiste e lo supplica ripetutamente di credere alle sue parole, e lo prega di accoglierlo con lui a servire il Signore. E finalmente il sacerdote gli permette di rimanere con lui, pur persistendo nel rifiuto del denaro, per paura dei parenti. Allora Francesco, vero dispregiatore della ricchezza, lo getta sopra una finestella, incurante di esso, quanto della polvere. Bramava, infatti, possedere la sapienza che è migliore dell'oro e ottenere la prudenza che è più preziosa dell'argento.

CAPITOLO QUINTO

IL PADRE LO PERSEGUITA E LO TIENE PRIGIONIERO

10. Mentre il servo dell'Altissimo viveva in quel luogo, suo padre andava cercando ovunque, come un diligente esploratore, notizie del figlio. Appena venne a conoscenza che Francesco dimorava in quel luogo e viveva in quella maniera, profondamente addolorato e colpito dal fatto matteso, radunò vicini e amici e corse senza indugio dal servo di Dio. Ma questi, che era ancora novizio nelle battaglie di Cristo, presentendo la loro venuta e sentendo le grida dei persecutori, si sottrasse alla loro ira, nascondendosi in un rifugio sotterraneo che si era preparato proprio in previsione di simile pericolo.

In quella fossa, che era sotto la casa, ed era nota forse ad uno solo, rimase nascosto per un mese intero, non osando uscire che per stretta necessità. Mangiava nel buio del suo antro il cibo che di tanto in tanto gli veniva offerto, e ogni aiuto gli era dato nascostamente. Con calde lacrime implorava Dio che lo liberasse dalle mani di chi perseguitava la sua anima e gli concedesse la grazia di compiere i suoi voti. Nel digiuno e nel pianto invocava la clemenza del Salvatore e, diffidando di se stesso, poneva tutta la sua fiducia in Dio.

Benché chiuso in quel rifugio tenebroso, si sentiva inondato da indicibile gioia, mai provata fino allora. Animato da questa fiamma interiore, decise di uscire dal suo nascondiglio ed esporsi indifeso alle ingiurie dei persecutori.

11. Si leva prontamente e di scatto, pieno di zelo e di letizia, si munisce dell'armatura necessaria per le battaglie del Signore; lo scudo della fede e un grande coraggio, e s'incammina verso la città, accusandosi, nel suo divino entusiasmo, di essersi attardato troppo per viltà.

Tutti quelli che lo conoscevano, vedendolo riapparire e mettendo a confronto il suo stato attuale col passato, cominciarono a insultarlo, a chiamarlo mentecatto, a lanciargli contro pietre e fango. Quell'aspetto, macerato dalla penitenza, e quell'atteggiamento tanto diverso dal solito, li inducevano a pensare che tutti i suoi atti fossero frutto di fame patita e di follia. Ma poiché la pazienza vai più dell'arroganza, Francesco non si lasciava disanimare né sconfiggere da insulto alcuno e ringraziava Dio per quelle prove.

Invano l'iniquo perseguita l'uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto maggiore è il trionfo della sua fortezza. L'umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso.

12. Quel vociare rumoroso e canzonatorio attorno a lui si diffondeva sempre di più per le vie e le piazze della città e il clamore degli scherzi rimbalzava di qua e di là toccando le orecchie di molti, finché giunse anche a quelle di suo padre. Questi, udito gridare il nome del figlio e saputo che proprio contro di lui era diretto il dileggio dei cittadini, subito andò da Francesco, non per liberarlo, ma per rovinarlo. Come il lupo assale la pecora, senza più alcun ritegno, con sguardo truce e minaccioso, afferrandolo con le mani, lo trascinò a casa. E, inaccessibile ad ogni senso di pietà, lo tenne prigioniero per più giorni in un ambiente oscuro, cercando di piegarlo alla sua volontà, prima con parole, poi con percosse e catene.
Ma il giovane dalle stesse sofferenze traeva forza e risolutezza per realizzare il suo santo ideale. Né la debilitante reclusione né i martellanti rimbrotti gli fecero mai perdere la pazienza.
Il cristiano infatti ha il mandato di rallegrarsi nelle tribulazioni: neppure sotto i flagelli e le catene può abbandonare la sua linea di condotta e di spirito e lasciarsi sviare dal gregge di Cristo. Non lo intimorisce il diluviare di molte acque, lui, che in ogni angoscia ha per rifugio il Figlio di Dio, il quale perché non riteniamo troppo pesante il giogo delle nostre sofferenze, ci mostra quanto sono assai più grandi quelle che egli ha sopportato per noi.

venerdì 26 novembre 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ventunesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a conoscere ciò che non entrerà nel Regno dei Cieli e a glorificare Dio nel nostro corpo

Sesta parte della Prima Lettera ai Corinzi

1V'è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare dagli ingiusti anziché dai santi? 2O non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di giudizi di minima importanza? 3Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita!

4Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? 5Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitro tra fratello e fratello? 6No, anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli! 7E dire che è già per voi una sconfitta avere liti vicendevoli! Perché non subire piuttosto l'ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? 8Siete voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai fratelli! 9O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, 10né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.

11E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!

12"Tutto mi è lecito!". Ma non tutto giova. "Tutto mi è lecito!". Ma io non mi lascerò dominare da nulla. 13"I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!". Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l'impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. 14Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.

15Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! 16O non sapete voi che chi si unisce alla prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. 17Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. 18Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. 19O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? 20Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

COMMENTO

Ed eccoci alla parte più controversa della Lettera di San Paolo: basti sapere che questa lettera contiene riferimenti espliciti al peccato carnale e omosessuale per capire quanto delicata sia e quante discussioni abbia suscitato, persino tra cristiani!
Ma partiamo dall'inizio: il primo pensiero di oggi è rivolto alle liti tra fratelli. Sembrarebbe che i corinzi si facessero giudicare da giudici presi dall'esterno della loro comunità e quindi da giudici pagani. San Paolo non accetta questo ed anzi ricorda ai corinzi che i santi saranno chiamati a giudicare il mondo e quindi è assurdo delegare tale funzione giudicante ai pagani, quando nella comunità vi sono persone chiamate alla santità e benedette dal Signore Gesù Cristo. Egli preferirebbe addirittura che si rinunciasse ad ottenere giustizia piuttosto che sottoporsi a giudici pagani perchè è indegno che uomini lavati da Cristo, tendenti alla santità, si lascino giudicare da uomini che non conoscono nemmeno la Sapienza di Dio.

Dopo questo nuovo rimprovero-esortazione, eccoci al punto più controverso, come suddetto. San Paolo fa un elenco di uomini, avente determinate caratteristiche peccaminose, ai quali sarà precluso l'ingresso nel Regno dei Cieli. Troviamo qui il coraggio di chi denuncia la realtà dei fatti e cioè che il Regno dei Cieli non è un porto al quale tutti attraccheranno, ma solo chi avrà saputo trovare la luce del faro, cioè la Luce di Cristo. Trovo giusto ripetere l'elenco paolino perchè possa ricordarci la verità, oggi troppo spesso nascosta o ridimensionata, dai fautori della teoria della modernità:  né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio.
Questo è un elenco significativo che contiene ciò che più è in abominio al Signore nostro Dio: troviamo gli immorali, cioè coloro che non conoscono la moralità né del corpo e né della condotta, poi troviamo gli idolatri e cioè coloro che rendono culto a dei o altre forme di divinità che non siano Dio; poi troviamo gli effeminati e cioè gli omosessuali attivi, coloro che non combattono la loro condizione di peccato, ma ne vengono travolti come accade oggi; e poi altri riferimenti sono compiuti verso gli adulteri (coloro che tradiscono la propria moglie o il proprio marito ed oggi questo è molto diffuso e a volte anche giustificato, purtroppo), verso i ladri, gli avari (possiamo definirli come coloro che rendono culto al dio denaro), gli ubriaconi, i maldicenti (ce ne sono fin troppi oggi di persone che calunniano e amano parlar male del prossimo) e i rapaci, cioè coloro che vivono approfittando e traendo vantaggio dalle disgrazie o debolezze altrui.

Ma ciò che più sconvolge l'anima umana e che, in parte, è base comune dei comportamenti peccaminosi succitati, è la fornicazione! "Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo. 19O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? 20Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!"
Ecco, la fornicazione la possiamo interpretare come una tentazione all'immoralità, all'impurità e racchiude diversi comportamenti carnali disordinati e perversi: pensiamo all'autoerotismo, alla prostituzione, al rapporto occasionale, al concubinato ecc... Tutti questi comportamenti sono figli della fornicazione e bruciano il corpo dell'uomo al punto da spingerlo alla dannazione eterna: difatti, chi cederà a questi istinti bassi e animaleschi, si brucerà con lo stesso fuoco di passione che sente pulsare nelle vene. Oggi si giustificano questi istinti, derubricandoli a semplici atteggiamenti naturali, figli della natura umana: ma tutto questo è solo un inganno poiché quell'istinto non è la natura, ma è la tentazione del maligno che ci mostra il lato perverso della sessualità e del desiderio verso la donna. Tutto quanto avviene oggi, come gli stupri e le pratiche estreme, sono il culmine di perversioni che raggiungono il nostro cuore, contaminandolo e allontanandolo da Dio. Sant'Agostino, ad esempio, trovò la sua libertà solo quando tornò a Dio dopo aver vissuto una vita schiavo del peccato carnale e sarà proprio lui a dire: “La continenza in verità ci raccoglie e ci riconduce a quell'unità, che abbiamo perduto disperdendoci nel molteplice”.

Dunque, accogliamo queste parole, e cerchiamo anche noi di non disperderci nelle passioni del nostro corpo, perchè in questo modo saremo solamente schiavi e non potremo mai esser degni di Dio e del Regno dei Cieli. Piuttosto, seguiamo il consiglio di San Paolo: glorifichiamo Dio nel nostro corpo attraverso la castità e la purezza!

giovedì 25 novembre 2010

"Educare alla vita buona del Vangelo" - Quinto appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta degli orientamenti pastorali per il prossimo decennio, per conoscere soprattutto il punto di vista dei Vescovi su questioni di notevole interesse sociale, come la famiglia:

Capitolo 1 – Educare in un mondo che cambia
Nei nodi della cultura contemporanea

Oggi la formazione dell’identità personale avviene in un contesto plurale, caratterizzato da diversi soggetti di riferimento: non solo la famiglia, la scuola, il lavoro, la comunità ecclesiale, ma anche ambienti meno definiti e tuttavia influenti, quali la comunicazione multimediale e le occasioni del tempo libero.
La molteplicità dei riferimenti valoriali, la globalizzazione delle proposte e degli stili di vita, la mobilità dei popoli, gli scenari resi possibili dallo sviluppo tecnologico costituiscono elementi nuovi e rilevanti, che segnano il venir meno di un modo quasi automatico di prospettare modelli di identità e inaugurano dinamiche inedite. La cultura globale, mentre sembra annullare le distanze, finisce con il polarizzare le differenze, producendo nuove solitudini e nuove forme di esclusione sociale.
Anche i rapporti con culture ed esperienze religiose diverse, resi più intensi dall’aumento dei flussi migratori e dalla facilità delle comunicazioni, possono costituire una risorsa feconda, da valorizzare senza indulgere a irenismi e semplificazioni o cedere a eccessivi timori e diffidenze. Queste condizioni, in cui si colloca oggi il percorso formativo, se comportano maggiore fatica e rischi inediti rispetto al passato, accrescono lo spazio di libertà della persona nelle proprie decisioni e fanno appello alla sua responsabilità. Ciò è di fondamentale importanza anche per la scelta religiosa, perché al centro della relazione dell’uomo con Dio c’è la libertà.
In una società caratterizzata dalla molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente diventa, dunque, educare a scelte responsabili. Per questo, sin dai primi anni di vita, l’educazione non può pensare di essere neutrale, illudendosi di non condizionare la libertà del soggetto. Il proprio comportamento e stile di vita – lo si voglia o meno – rappresentano di fatto una proposta di valori o disvalori. È ingiusto non trasmettere agli altri ciò che costituisce il senso profondo della propria esistenza. Un simile travisamento restringerebbe l’educazione nei confini angusti del sentire individuale e distruggerebbe ogni possibile profilo pedagogico. Di fronte agli educatori cristiani, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, si presenta, pertanto, la sfida di contrastare l’assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne l’inconsistenza, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione. In tale contesto è importante individuare un’altra radice dell’emergenza educativa nello scetticismo e nel relativismo, che Benedetto XVI interpreta come esclusione delle «due fonti che orientano il cammino umano», cioè la natura e la Rivelazione: «La natura viene considerata oggi come una cosa puramente meccanica, quindi che non contiene in sé alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale: è una cosa puramente meccanica, e quindi non viene alcun orientamento dall’essere stesso. La Rivelazione viene considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale, o – si dice – forse c’è rivelazione, ma non comprende contenuti, solo motivazioni. E se tacciono queste due fonti, la natura e la Rivelazione,
anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché anche la storia diventa solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro». Per questo, prosegue il Santo Padre, «fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione, è applicato e fatto proprio nella storia culturale e religiosa, non senza errori, ma in una maniera sostanzialmente valida, sempre di nuovo da sviluppare e da purificare. Così, in questo ‘concerto’ – per così dire – tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che sempre va avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono anche le indicazioni per un’educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell’‘io’ al ‘tu’, al ‘noi’ e al ‘Tu’ di Dio». L’educazione è strutturalmente legata ai rapporti tra le generazioni, anzitutto all’interno della famiglia, quindi nelle relazioni sociali. Molte delle difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo sono riconducibili al fatto che le diverse generazioni vivono spesso in mondi separati ed estranei. Il dialogo richiede invece una significativa presenza reciproca e la disponibilità di tempo.
All’impoverimento e alla frammentazione delle relazioni, si aggiunge il modo con cui avviene la trasmissione da una generazione all’altra. I giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione. A soffrirne di più è la famiglia, primo luogo dell’educazione, lasciata sola a fronteggiare compiti enormi nella formazione della persona, senza un contesto favorevole e adeguati sostegni culturali, sociali ed economici. Lo sforzo grava soprattutto sulle donne, alle quali la cura della vita è affidata in modo del tutto speciale. La famiglia, tuttavia, resta la comunità in cui si colloca la radice più intima e più potente della generazione alla vita, alla fede e all’amore. La formazione integrale è resa particolarmente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e dominato dall’impulso momentaneo. Si avverte, amplificato dai processi della comunicazione, il peso eccessivo dato alla dimensione emozionale, la sollecitazione continua dei sensi, il prevalere dell’eccitazione sull’esigenza della riflessione e della comprensione. Questa separazione tra le dimensioni della persona ha inevitabili ripercussioni anche sui
modelli educativi, per cui educare equivale a fornire informazioni funzionali, abilità tecniche, competenze professionali. Non raramente, si arriva a ridurre l’educazione a un processo di socializzazione che induce a conformarsi agli stereotipi culturali dominanti.
Il modello della spontaneità porta ad assolutizzare emozioni e pulsioni: tutto ciò che “piace” e si può ottenere diventa buono. Chi educa rinuncia così a trasmettere valori e a promuovere l’apprendimento delle virtù; ogni proposta direttiva viene considerata autoritaria. Già Paolo VI, indicando alcune linee fondamentali di quella che egli chiamava «l’arte sovrana di educare», osservava: «Se l’educatore fermasse la sua fatica soltanto ad un paziente, meticoloso, e, se volete, scientifico rilievo dell’ambiente, in cui oggi il ragazzo svolge la sua vita, fa
la sua esperienza e plasma la sua personalità, non farebbe opera completa... L’educatore non è un osservatore passivo dei fenomeni della vita giovanile; deve essere un amico, un maestro, un allenatore, un medico, un padre, a cui non tanto interessa notare il comportamento del suo pupillo in determinate circostanze, quanto preservarlo da inutili offese e allenarlo a capire, a volere, a godere, a sublimare la sua esperienza». Benedetto XVI, a sua volta, spiega che l’educazione non può risolversi in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi; il suo scopo è, piuttosto, quello di «formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio».Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito. La persona viene così
orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà, nonché verso l’esperienza liberante della
continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione della bellezza.

Dall’accoglienza all’integrazione

 In questo tempo di grande mobilità dei popoli, la Chiesa è sollecitata a promuovere l’incontro e l’accoglienza tra gli uomini: «i vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine».
In tale prospettiva, la nostra attenzione si rivolge in modo particolare al fenomeno delle migrazioni di persone e famiglie, provenienti da culture e religioni diverse. Esso fa emergere opportunità e problemi di integrazione, nella scuola come nel mondo del lavoro e nella società. Per la Chiesa e per il Paese si tratta senza dubbio di una delle più grandi sfide educative. Come sottolinea Benedetto XVI, «l’avvenire delle nostre società poggia sull’incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze». I diritti
fondamentali della persona devono costituire il punto focale dell’impegno di corresponsabilità delle istituzioni pubbliche nazionali e internazionali, che riusciranno a offrire prospettive di convivenza tra i popoli solo «tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone».
All’accoglienza deve seguire la capacità di gestire la compresenza di culture, credenze ed espressioni religiose diverse. Purtroppo si registrano forme di intolleranza e di conflitto, che talora sfociano anche in manifestazioni violente. L’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione. Particolare attenzione va riservata al numero crescente di minori, nati in Italia, figli di stranieri.
L’acquisizione di uno spirito critico e l’apertura al dialogo, accompagnati da una maggiore consapevolezza e testimonianza della propria identità storica, culturale e religiosa, contribuiscono a far crescere personalità solide, allo stesso tempo disponibili all’accoglienza e capaci di favorire processi di integrazione.
La comunità cristiana educa a riconoscere in ogni straniero una persona dotata di dignità inviolabile, portatrice di una propria spiritualità e di un’umanità fatta di sogni, speranze e progetti. Molti di coloro che giungono da lontano sono fratelli nella stessa fede: come tali la Chiesa li accoglie, condividendo con loro anche l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. L’approccio educativo al fenomeno dell’immigrazione può essere la chiave che spalanca la porta a un futuro ricco di risorse e spiritualmente fecondo.

mercoledì 24 novembre 2010

L'omosessualità è una condizione di peccato

Se qualcuno presenta delle tendenza radicate omosessuali profondamente radicate - ed oggi ancora non si sa se sono effettivamente congenite oppure se nascano invece con la prima fanciullezza - se in ogni caso queste tendenze hanno un certo potere su quella data persona, allora questa è per lui una grande prova, così come una persona può dovere sopportare altre prove".

Queste sono le parole pronunciate dal Papa Benedetto XVI, nel suo libro, che hanno scatenato un malumore generale. Io sono rimasto allibito per l'ignoranza di coloro che hanno alzato la voce: l'mosessualità, infatti, è stata sempre considerata una situazione peccaminosa che bisognava combattere. Troviamo riferimenti nelle Lettere Apostoliche, specie con San Paolo:  "Non entreranno nel regno dei cieli gli immorali, gli idolatri, gli adulteri, gli effeminati, i sodomiti, gli avari, gli ubriaconi, i maldicenti, i rapaci" (1 Cor 6,9-10).
Troviamo riferimenti nel Catechismo della Chiesa Cattolica: 2357 L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, [Cf  Gen19,1-29; Rm 1,24-27; 2357  1Cor 6,10;  1Tm 1,10 ] la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 8]. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. 2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.


Anche Giovanni Paolo II (Papa "moderno") disse in merito all'omosessualità: atti che vengono privati della loro finalità essenziale e indispensabile, come “intrinsecamente disordinati” e tali che non possono essere approvati in nessun caso.


Allora da dove escono gli attacchi al nostro Papa? Forse l'uomo pensa che modernità vuol dire cancellare la Parola di Dio? Se un uomo vuole giustificare il suo peccato, è una sua responsabilità, ma non può pretendere che si cambi la Bibbia, che si pieghi la Volontà di Dio alle proprie convinzioni. L'omosessualità è una situazione di prova, di tentazione simile alle altre prove che il cristiano affronta come la concupiscenza o la fornicazione. Tempo fa, venne da noi un ragazzo omosessuale che sta, piano piano, entrando in quel cammino che porta alla Verità e alla Speranza. Egli, come avrete modo di leggere, è un omosessuale che però ha scelto di combattere il suo stato perché si è reso conto che l’omosessualità non è gradita a Dio e che può e deve essere combattuta come un normale peccato. Non discriminiamo gli omosessuali in quanto a persone, perché anche loro sono uomini e figli di Dio esattamente come noi. Questo però non giustifica la loro condotta. Infatti è proprio la condotta omosessuale, inteso come peccato, che non vediamo di buon occhio, ma non le persone. Difendere quindi questa categoria, non vuol dire condividere le loro idee, ma proteggere loro come uomini. Allo stesso modo, non vedere l'omosessualità di buon occhio, non vuol dire avercela con gli omosessuali. Premesso questo, ecco la sua testimonianza:

Premetto che non sono in grado di citare passi del Vangelo perché non lo conosco bene, però nel corso degli anni ho fatto un ragionamento, basato molto su una visione religiosa. Ho compreso che l'omosessualità è un peccato. Questa certezza mi viene anche da un ragionamento: la procreazione viene da Uomo e Donna, per cui anche se guardiamo la nostra fisiologia, l'Uomo è fatto per stare con la Donna, solo dalla loro unione "nasce" la vita. Anche la genetica ce lo insegna. Da questo deduco che qualunque rapporto fisico da uomo e uomo o donna e donna non è un rapporto normale. Certo mi si potrebbe dire: il sesso non si fa solo per procreare, anche per piacere: due uomini (o donne) fanno sesso per puro piacere; ma allora siamo peggio degli animali: ci lasciamo travolgere dagli istinti più noi che siamo esseri superiori e intelligenti che non gli animali che pur non possedendo una ragione, hanno rapporti solo ai fini della procreazione. Questo mi basta per capire che l'atto sessuale ha lo scopo di procreare, e due uomini (o donne) non possono procreare. In conclusione credo che la omosessualità sia peccato perché:

1) Non lo ritengo un comportamento normale; anche se molti si dicono tolleranti, quando si vedono due uomini che si baciano si prova una sensazione spiacevole. Attenzione però: non ho nulla contro gli omosessuali, anche perché io ne faccio parte.

2) E' condannato nella Bibbia. Considerazione alquanto superficiale per un non credente.

Questa è la mia umile constatazione che può sicuramente essere opinabile.

Volevo aggiungere una frase che sarà sicuramente nota a molti: "Il peggior inganno del Diavolo è quello di persuaderci che egli non esiste". ( Charles Baudelaire )".”


Spero che ciò servi a far capire la bontà delle parole del Papa e che in futuro, prima di aprire bocca, si pensi che la guida di un cristiano è la Parola di Dio e quella, nessuno la può cambiare!

martedì 23 novembre 2010

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - II

Continuiamo il percorso inaugurato settimana scorsa e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi leggiamo alcuni punti di estrema importanza tra i quali vi è un esplicito riferimento ai fedeli laici. Ecco, Giovanni Paolo II, ha sempre avuto una grande fiducia nei fedeli laici e fu lui ad auspicare una loro partecipazione più attiva. Oggi ritroviamo questo auspicio e vediamo anche come egli avesse già percepito il pericolo del cambiamento che soprattutto i mass media avrebbero portato all'interno della famiglia. Purtroppo, oggi vediamo come i timori del Santo Padre erano fondati e la famiglia è messa a dura prova a causa di modelli di vita illusori e lontani da quello che Dio aveva prospettato e tutt'ora prospetta. Cerchiamo di imparare il più possibile da questo percorso insieme al venerabile Wojtyla perchè in queste parole vi è una saggezza ispirata dall'alto:
PARTE PRIMA

LUCI E OMBRE DELLA FAMIGLIA, OGGI

Necessità di conoscere la situazione

4. Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l'uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la Chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 472-476).

Questa conoscenza è, dunque, una imprescindibile esigenza dell'opera evangelizzatrice. E', infatti, alle famiglie del nostro tempo che la Chiesa deve portare l'immutabile e sempre nuovo Vangelo di Gesù Cristo, così come sono le famiglie implicate nelle presenti condizioni del mondo che sono chiamate ad accogliere e a vivere il progetto di Dio che le riguarda. Non solo, ma le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia, e pertanto la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell'inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia anche dalle situazioni, domande, ansie e speranze dei giovani, degli sposi e dei genitori di oggi (cfr. «Gaudium et Spes», 4).

A ciò si deve aggiungere poi una ulteriore riflessione di particolare importanza nel tempo presente. Non raramente all'uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana. E' un'offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obiettività.

Molti sono già consapevoli di questo pericolo in cui versa la persona umana ed operano per la verità. La Chiesa, col suo discernimento evangelico, si unisce ad essi, offrendo il proprio servizio alla verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna.

Il discernimento evangelico

5. Il discernimento operato dalla Chiesa diventa l'offerta di un orientamento perché sia salvata e realizzata l'intera verità e la piena dignità del matrimonio e della famiglia.
Esso è compiuto dal senso della fede (cfr. «Lumen Gentium», 12), che è un dono che lo Spirito partecipa a tutti i fedeli (cfr. Gv 2,20), ed è, pertanto, opera di tutta la Chiesa, secondo le diversità dei vari doni e carismi che, insieme e secondo la responsabilità propria di ciascuno, cooperano per una più profonda intelligenza ed attuazione della Parola di Dio. La Chiesa, dunque, non compie il proprio discernimento evangelico solo per mezzo dei Pastori, i quali insegnano in nome e col potere di Cristo, ma anche per mezzo dei laici: Cristo «li costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10) perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale» («Lumen Gentium», 35). I laici, anzi, in ragione della loro particolare vocazione, hanno il compito specifico di interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo, in quanto sono chiamati ad illuminare ed ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio Creatore e Redentore.

Il «soprannaturale senso della fede» (cfr. «Lumen Gentium», 12; Sacra Congregazione della Fede, «Mysterium Ecclesiae», 2: AAS 65 [1973] 398-400) non consiste però solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l'opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere ed in questo difende i poveri e i disprezzati. La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica, quando si rivela utile per cogliere il contesto storico nel quale l'azione pastorale deve svolgersi e per conoscere meglio la verità; tale ricerca sola, però, non è da ritenersi senz'altro espressione del senso della fede.

Perché è compito del ministero apostolico di assicurare la permanenza della Chiesa nella verità di Cristo e di introdurvela più profondamente, i Pastori devono promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, vagliare e giudicare autorevolmente la genuinità delle sue espressioni, educare i credenti a un discernimento evangelico sempre più maturo (cfr. «Lumen Gentium», 12 «Dei Verbum», 10).

Per l'elaborazione di un autentico discernimento evangelico nelle varie situazioni e culture in cui l'uomo e la donna vivono il loro matrimonio e la loro vita familiare, gli sposi e i genitori cristiani possono e devono offrire un loro proprio e insostituibile contributo. A questo li abilita il loro carisma o dono proprio, il dono del sacramento del matrimonio (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 735s).

domenica 21 novembre 2010

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - seconda parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII:

I caratteri della Liturgia

 Il dovere fondamentale dell'uomo è certamente quello di orientare verso Dio se stesso e la propria vita. «A Lui, difatti, dobbiamo principalmente unirci, e indefettibile principio, al quale deve anche costantemente rivolgersi la nostra scelta come ad ultimo fine, che perdiamo peccando anche per negligenza e che dobbiamo riconquistare per la fede credendo in Lui» (San Tommaso, Summa Theol., 2.a 2.æ, q. 81, a. 1). Ora, l'uomo si volge ordinatamente a Dio quando ne riconosce la suprema maestà e il supremo magistero, quando accetta con sottomissione le verità divinamente rivelate, quando ne osserva religiosamente le leggi, quando fa convergere verso di Lui tutta la sua attività, quando per dirla in breve presta, mediante le virtù della religione, il debito culto all'unico e vero Dio.

Questo è un dovere che obbliga prima di tutto gli uomini singolarmente, ma è anche un dovere collettivo di tutta la comunità umana ordinata con reciproci vincoli sociali, perché anch'essa dipende dalla somma autorità di Dio. Si noti, poi, che questo è un particolare dovere degli uomini, in quanto Dio li ha elevati all'ordine soprannaturale. Così se consideriamo Dio come autore dell'antica Legge, lo vediamo proclamare anche precetti rituali e determinare accuratamente le norme che il popolo deve osservare nel rendergli il legittimo culto. Stabilì, quindi, vari sacrifici e designò varie cerimonie con le quali dovevano compiersi; e determinò chiaramente ciò che si riferiva all'Arca dell'Alleanza, al Tempio ed ai giorni festivi; designò la tribù sacerdotale e il sommo sacerdote, indicò e descrisse le vesti da usarsi dai sacri ministri e quanto altro mai aveva relazione col culto divino (cfr. Levitico). Questo culto, del resto, non era altro che l'ombra (Heb. 10, 1) di quello che il Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento avrebbe reso al Padre Celeste.

Difatti, appena «il Verbo si è fatto carne» (Joh. 1, 14), si manifesta al mondo nel suo ufficio sacerdotale facendo all'Eterno Padre un atto di sottomissione che durerà per tutto il tempo della sua vita: «entrando nel mondo dice: . . . Ecco, io vengo . . . per fare, o Dio, la tua volontà . . .» (Heb. 10, 5-7), un atto che sarà portato a compimento in modo mirabile nel sacrificio cruento della Croce: «In virtù di questa volontà noi siamo stati santificati per mezzo dell’oblazione del Corpo di Gesù Cristo fatta una volta sola per sempre» (Heb. 10, 10). Tutta la sua attività tra gli uomini non ha altro scopo. Fanciullo, è presentato nel Tempio al Signore; adolescente vi ritorna ancora; in seguito vi si reca spesso per istruire il popolo e per pregare. Prima d'iniziare il ministero pubblico digiuna durante quaranta giorni, e con il suo consiglio ed il suo esempio esorta tutti a pregare sia di giorno che di notte. Come maestro di verità, «illumina ogni uomo» (Joh. 1, 9) perché i mortali riconoscano convenientemente il Dio immortale, e non «si sottraggano per perdersi, ma siano fedeli per la salvezza dell'anima» (Heb. 10, 39). Come Pastore, poi, Egli governa il suo gregge, lo conduce ai pascoli di vita, e dà una legge da osservare perché nessuno si discosti da Lui e dalla retta via che Egli ha tracciata, ma tutti vivano santamente sotto il suo influsso e la sua azione. Nell'ultima Cena, con rito e apparato solenne, celebra la nuova Pasqua e provvede alla continuazione di essa mediante l'istituzione divina dell'Eucaristia; l'indomani, sollevato tra cielo e terra, offre il salutare sacrificio della sua vita, e dal suo petto squarciato fa in certo modo sgorgare i Sacramenti che impartiscono alle anime i tesori della Redenzione. Facendo questo, Egli ha per unico scopo la gloria del Padre e la sempre maggiore santificazione dell'uomo.

Entrando, poi, nella sede della beatitudine celeste, vuole che il culto da Lui istituito e prestato durante la sua vita terrena continui ininterrottamente. Giacché Egli non lasciò orfano il genere umano, ma come lo assiste sempre col suo continuo e valido patrocinio facendosi nostro avvocato in cielo presso il Padre (1 Joh. 2, 1), così l'aiuta mediante la sua Chiesa, nella quale è indefettibilmente presente nel corso dei secoli. Chiesa che Egli ha costituito colonna di verità (1 Tim. 3, 15) e dispensatrice di grazia, e che col sacrificio della Croce fondò, consacrò e confermò, in eterno.

La Chiesa, dunque, ha in comune col Verbo incarnato lo scopo, l'impegno e la funzione d'insegnare a tutti la verità, reggere e governare gli uomini, offrire a Dio il sacrificio accettabile e grato, e così ristabilire tra il Creatore e le creature quell'unione ed armonia che l'Apostolo delle genti chiaramente indica con queste parole: «Voi non siete più stranieri e ospiti, ma siete concittadini dei Santi e della famiglia di Dio, sovraedificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, con lo stesso Gesù Cristo come pietra angolare, su cui tutto l'edificio insieme connesso s'innalza in tempio santo nel Signore, e sopra di lui anche voi siete insieme edificati in dimora di Dio nello Spirito» (Eph. 2, 19-22) Perciò la società fondata dal Divino Redentore non ha altro fine, sia con la sua dottrina e il suo governo, sia col Sacrificio ed i Sacramenti da Lui istituiti, sia infine col ministero da Lui affidatole, con le sue preghiere e il suo sangue, che crescere e dilatarsi sempre più: il che avviene quando Cristo è edificato e dilatato nelle anime dei mortali, e quando, vicendevolmente, le anime dei mortali sono edificate e dilatate a Cristo; di maniera che in questo esilio terreno prosperi il tempio nel quale la Divina Maestà riceve il culto grato e legittimo. In ogni azione liturgica, quindi, insieme con la Chiesa è presente il suo Divino Fondatore: Cristo è presente nell'augusto Sacrificio dell'altare sia nella persona del suo ministro, sia, massimamente, sotto le specie eucaristiche; è presente nei Sacramenti con la virtù che in essi trasfonde perché siano strumenti efficaci di santità; è presente infine nelle lodi e nelle suppliche a Dio rivolte, come sta scritto: «Dove sono due o tre adunati in nome mio, ivi io sono in mezzo ad essi» (Matth. 18, 20).

sabato 20 novembre 2010

La storia di San Francesco di Assisi - Seconda parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: vediamo oggi il cambiamento interiore di Francesco e l'intervento di Dio che muta la sua vita per sempre. Questo lo possiamo considerare uno dei momenti più importanti nella storia di Francesco poiché si verifica la conversione del suo cuore, grazie alla Potenza di Dio! E' come se si riproponesse l'illuminazione di San Paolo sulla via di Damasco e ancora una volta Cristo riesce a sciogliere il cuore dell'uomo con la forza dell'amore e del perdono. Questa è una lezione anche per noi, perchè la conversione di cuore è un qualcosa che ci tocca tutti da vicino e che prima o poi sperimentiamo nella nostra vita: anche in noi, infatti, si manifesta lo Spirito Santo di Dio (“Ecco, io sto alla porta e busso!” (Apocalisse 3: 20))!

CAPITOLO SECONDO

DIO VISITA IL SUO SPIRITO CON UNA MALATTIA E UN SOGNO


3. Ecco dunque quest'uomo vivere nel peccato con passione giovanile! Trascinato dalla sua stessa età, dalle tendenze della gioventù e incapace di controllarsi, poteva soccombere al veleno dell'antico serpente. Ma la vendetta, meglio la misericordia divina, all'improvviso richiama la sua coscienza traviata mediante angustia spirituale e infermità corporale, conforme al detto profetico: Assedierò la tua vita Os. 2,6 di spine, la circonderò con un muro.

Colpito da una lunga malattia, come è necessario per la caparbietà umana, che non si corregge se non col castigo, egli cominciò effettivamente a cambiare il suo mondo interiore. Riavutosi un po', per ricuperare le forze, si mise a passeggiare qua e là per la casa, appoggiato ad un bastone. Un giorno uscì, ammirando con più attenzione la campagna circostante; ma tutto ciò che è gradevole a vedersi: la bellezza dei campi, l'amenità dei vigneti, non gli dava più alcun diletto. Era attonito di questo repentino mutamento e riteneva stolti tutti quelli che hanno il cuore attaccato a beni di tal sorta.

4. Da quel giorno cominciò a far nessun conto di sé e a diprezzare ciò che prima aveva ammirato ed amato. Non tuttavia in modo perfetto e reale, perché non era ancora libero dai lacci della vanità, né aveva scosso a fondo il giogo della perversa schiavitù.

Abbandonare le consuetudini è infatti molto arduo: una volta impiantatesi nell'animo, non si lasciano sradicare facilmente; lo spirito, anche dopo lunga lontananza, ritorna ai primitivi atteggiamenti, e il vizio finisce per diventare una seconda natura. Pertanto Francesco cerca ancora di sottrarsi alla mano divina; quasi immemore della correzione paterna, arridendogli la fortuna, accarezza pensieri terreni; ignaro del volere di Dio, sogna ancora grandi imprese per la gloria vana del mondo.

Un cavaliere di Assisi stava allora organizzando grandi preparativi militari: pieno di ambizioni, per accaparrarsi maggior ricchezza e onore, aveva deciso di condurre le sue truppe fin nelle Puglie. Saputo questo, Francesco, leggero d'animo e molto audace, trattò subito per arruolarsi con lui: gli era inferiore per nobiltà di natali, ma superiore per grandezza d'animo; meno ricco, ma più generoso.

5. La sua mente era tutta consacrata al compimento di simile progetto, e aspettava ansioso l'ora di partire. Ma la notte precedente, Colui che l'aveva colpito con la verga della giustizia lo visitò in sogno con la dolcezza della grazia; e poiché era avido di gloria, lo conquise con lo stesso miraggio di una gloria più alta. Gli sembrò di vedere la casa tappezzata di armi; selle, scudi, lance e altri ordigni bellici e se ne rallegrava grandemente, domandandosi stupito che cosa fosse. Il suo sguardo infatti non era abituato alla visione di quegli strumenti in casa, ma piuttosto a cataste di panno da vendere.
E mentre era non poco sorpreso davanti all'avvenimento inaspettato, si sente dire: «Tutte queste armi sono per te e i tuoi soldati». La mattina dopo, destandosi, si alzò con il cuore inondato di gioia e, interpretando la visione come ottimo auspicio, non dubitava un istante del successo della sua spedizione nelle Puglie. Tuttavia non sapeva quello che diceva, ignorando ancora il compito che il Signore intende­va affidargli. Non gli mancava comunque la possibilità di intuire che aveva interpretato erroneamente la visione, il fatto non lo entusiasmava né allietava come al solito; a fatica anzi gli riusciva di mettere in atto quei suoi piani e realizzare il viaggio tanto desiderato.
In verità, molto a proposito si parla di armi subito all'inizio della missione di Francesco, ed è assai conveniente armare il soldato che si accinge a combattere contro il forte armato, Lc. 11,21 perché, come nuovo Davide, liberi Israele, nel nome del Dio 1 Sam. 17,45 degli eserciti, dall'antico oltraggio dei nemici.

CAPITOLO TERZO

NASCONDE SOTTO IL VELO DI ALLEGORIE

IL SEGRETO DELLA SUA TRASFORMAZIONE INTERIORE

6. Già cambiato spiritualmente, ma senza lasciar nulla trapelare all'esterno, Francesco rinuncia a recarsi nelle Puglie e si impegna a conformare la sua volontà a quella divina. Si apparta un poco dal tumulto del mondo e dalla mercatura e cerca di custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore. Come un mercante avveduto, sottrae allo sguardo degli scettici la perla trovata, e segretamente si adopra a comprarla con la vendita di tutto il resto.

Vi era ad Assisi un giovane, che egli amava più degli altri. Poiché era suo coetaneo e l'amicizia pienamente condivisa lo invitava a confidargli i suoi segreti, Francesco lo portava con sé in posti adatti al raccoglimento dello spirito, rivelandogli di aver scoperto un tesoro grande e prezioso. L'amico, esultante e incuriosito, accettava sempre volentieri l'invito di accompagnarlo.

Alla periferia della città c'era una grotta, in cui essi andavano sovente, parlando del «tesoro». L'uomo di Dio, già santo per desiderio di esserlo, vi entrava, lasciando fuori il compagno ad attendere, e, pieno di nuovo insolito fervore, pregava il Padre suo in segreto. Desiderava che nessuno sapesse quanto accadeva in lui là dentro; e, celando saggiamente a fin di bene il meglio, solo a Dio affidava i suoi santi propositi. Supplicava devotamente Dio eterno e vero di manifestargli la sua vita e di insegnargli a realizzare il suo volere. Si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace, finché non avesse compiuto ciò che aveva deliberato. Mille pensieri l'assalivano senza tregua e la loro insistenza lo gettava nel turbamento e nella sofferenza.

Bruciava interiormente di fuoco divino, e non riusciva a dissimulare il fervore della sua anima. Deplorava i suoi gravi peccati, le offese fatte agli occhi della maestà divina. Le vanità del passato o del presente non avevano per lui più nessuna attrattiva, ma non si sentiva sicuro di saper resistere a quelle future. Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse tanto spossato da apparire irriconoscibile.

7. Un giorno finalmente, dopo aver implorato con tutto il cuore la misericordia divina, gli fu rivelato dal Signore come doveva comportarsi. E fu ripieno di tanto gaudio da non poterlo contenere e da lasciare, pur non volendo, trasparire qualcosa agli uomini.

Il grande amore che gli invadeva l'anima non gli permetteva ormai di tacere; tuttavia parlava in linguaggio enigmatico: cercava di esprimersi con gli altri nello stesso modo figurato con cui l'abbiamo visto discorrere con l'amico preferito di un tesoro nascosto. Diceva di rinunciare a partire per le Puglie, ma allo scopo di compiere magnanime imprese nella sua patria. Gli amici pensavano che avesse deciso di maritarsi e gli domandavano: «Vuol forse prendere moglie, Francesco?». Egli rispondeva: «Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista, superiore a tutte le altre in bellezza e sapienza».

Gc. 1,27 E veramente sposa è la vera religione che egli abbracciò; Mt. 13,44 e il Regno dei Cieli è il tesoro nascosto che egli cercò così ardentemente. Bisognava davvero che si compisse pienamente la vocazione evangelica in colui che doveva essere Ef. 3,7 ministro fedele e autentico del Vangelo!

venerdì 19 novembre 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ventesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a riflettere sulla presenza del male in mezzo a noi cristiani:


1Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. 2E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! 3Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: 4nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, 5questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore.

6Non è una bella cosa il vostro vanto. Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? 7Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! 8Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.

9Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. 10Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolàtri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! 11Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. 12Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? 13Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!

COMMENTO 

Continua il rimprovero di San Paolo alla comunità dei Corinzi che avevamo visto nascere già la settimana scorsa. Il punto cruciale era l'orgoglio dei Corinzi che stava seminando il male in mezzo alla Comunità e oggi vediamo che questo stesso orgoglio impedisce loro di vedere il male che si cela in mezzo a loro. Ed in particolare San Paolo si riferisce all'immoralità dilagante, considerata da lui addirritura superiore a quella presente tra i pagani! Attenzione a questo punto perchè è di estrema attualità: oggi, infatti, l'immoralità non è solo una caratteristica dei pagani, o meglio degli atei o semi-atei, ma è una caratteristica che è presente in mezzo a noi cristiani, o almeno presunti tali. Questo è un serio problema poiché la seduzione del peccato è divenuta talmente forte che non solo ci rende incapaci di resistervi, ma ci spinge persino a giustificare le nostre colpe e a far passare l'immoralità come figlia della natura, nel senso che comportarsi in un certo modo è naturale! Questi sono inganni pressanti che ci stanno spingendo verso il baratro. Ma prima di continuare su questo binario, partiamo da quanto dice San Paolo:

 Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. 10Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolàtri: altrimenti dovreste uscire dal mondo! 11Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è impudico o avaro o idolàtra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme.

Da questo comprendiamo che noi dobbiamo preoccuparci soprattutto del male che sta dilagando in mezzo a noi e inoltre questo passo ci richiama a vigilare per non lasciarci travolgere dall'impudicizia del nostro fratello. Questo significa avere fede, esser radicati nella fede e non cedere ai falsi insegnamenti, alle false vie e agli inganni dei nostri fratelli cristiani che giustificano il peccato. Dobbiamo stare attenti, ad esempio, a chi ci dice che il sesso è libertà o sfogo naturale; dobbiamo stare attenti a chi ci dice che guardare una donna al mondo di oggi non può esser considerato più immorale. Insomma, dobbiamo ricordarci di queste importanti parole di San Paolo che, seppur rivolte ai Corinzi di quel tempo, sono incredibilmente attuali quasi come se egli stesse parlando rivolto verso di noi e la nostra comunità cristiana. Bisogna impedire che il male ci divori per ignoranza o per orgoglio proprio come accaduto a questi Corinzi: noi abbiamo avuto un esempio, abbiamo avuto la possibilità di vedere il male dove si cela e abbiamo avuto la possibilità di conoscere come si muove. Approfittiamone e cerchiamo di combattere e di star lontano da chi, pur professandosi cristiano, ci porta verso lidi impervi e lontani dalle vie tracciate dal Signore: teniamo a mente quest'episodio e facciamoci guidare dal Vangelo per scovare l'albero secco. E se avevamo qualche legame con qualche ramo secco, allora tranciamolo via come dice San Paolo a proposito del lievito secco ("Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi").

Non tutto è però perduto: anche qui, anche in mezzo ad un rimprovero forte, troviamo lo slancio di amore e di misericordia con San Paolo che prega affinché il peccato muoia con la carne per far rivivere lo spirito nel Giorno del Signore!

giovedì 18 novembre 2010

"Educare alla vita buona del Vangelo" - Quarto appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale, volto alla scoperta degli orientamenti pastorali per il prossimo decennio, per conoscere soprattutto il punto di vista dei Vescovi su questioni di notevole interesse sociale, come la famiglia:

Capitolo 1 – Educare in un mondo che cambia

È tempo di discernimento

7. L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata al momento e al contesto in cui essa si trova a vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che vuole contribuire a orientare. Il “mondo che cambia” è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti. È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Arriva la pioggia’, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: ‘Farà caldo’, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,54-57).
«Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico», ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, indicando pure il metodo: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»20. Tutto il popolo di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando così solidale con la storia del genere umano.
Mentre sperimentiamo le difficoltà in cui si dibatte l’opera educativa in una società spesso incapace di assicurare riferimenti affidabili, nutriamo una grande fiducia, sapendo che il tempo dell’educazione non è finito. Perciò vogliamo metterci alla ricerca di risposte adeguate e non ci scoraggiamo, sapendo di poter contare su una “riserva escatologica” alla quale quotidianamente attingere: la speranza che non delude (cfr Rm 5,5).
Così sostenuti, vogliamo prendere coscienza, insieme a tutti gli educatori, di alcuni aspetti problematici della cultura contemporanea – come la tendenza a ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a godimento effimero – cercando di riconoscere anche le domande inespresse e le potenzialità nascoste, e di far leva sulle risorse offerte dalla cultura stessa. 8. Un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza: il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano. Nell’educazione, la libertà è il presupposto indispensabile per la crescita della persona. Essa, infatti, non è un semplice punto di partenza, ma un processo continuo verso il fine ultimo dell’uomo, cioè la sua pienezza nella verità dell’amore. «L’uomo può volgersi
al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione… La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere… L’uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene». Questa ricerca diffusa di libertà e di amore rimanda a valori a partire dai quali è possibile proporre un percorso educativo, capace di offrire un’esperienza integrale della fede e della vita cristiana.
Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede, che sono infinitamente più grandi di ogni desiderio e attesa umani. Il compito dell’educatore cristiano è diffondere la buona notizia che il Vangelo può trasformare il cuore dell’uomo, restituendogli ragioni di vita e di speranza. Siamo nel mondo con la consapevolezza di essere portatori di una visione della persona che, esaltandone la verità, la bontà e la bellezza, è davvero alternativa al sentire comune. 

Nei nodi della cultura contemporanea 

9. Considerando le trasformazioni avvenute nella società, alcuni aspetti, rilevanti dal punto di vista antropologico, influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione dell’identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra intelligenza e affettività. Si tratta di nodi critici che vanno compresi e affrontati senza paura, accettando la sfida di trasformarli in altrettante opportunità educative.
Le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza. Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione. Ciò si riflette anche nello smarrimento del significato autentico dell’educare e della sua insopprimibile necessità. Il mito dell’uomo “che si fa da sé” finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante anche di se stessa e della vita.
Le cause di questo disagio sono molteplici – culturali, sociali ed economiche – ma al fondo di tutto si può scorgere la negazione della vocazione trascendente dell’uomo e di quella relazione fondante che dà senso a tutte le altre: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia».
Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”. Tale distorsione è stata magistralmente illustrata dal Santo Padre: «Una radice essenziale consiste – mi sembra – in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’‘io’ diventa se stesso solo dal ‘tu’ e dal ‘noi’, è creato per il dialogo, per la
comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo ‘tu’ e ‘noi’ nel quale si apre l’‘io’ a se stesso».

mercoledì 17 novembre 2010

Fruttificare i talenti

Oggi, l'insegnamento di Gesù si è concretizzato in una Parabola che ci invita a prendere coscienza del nostro ruolo nel mondo e in questa vita. Difatti, noi non siamo chiamati ad una vita sedentaria, ma ad una vita operosa, capace di fruttificare i doni ricevuti da Dio.
Come possiamo notare dal mondo circostante, ogni uomo è dotato di un talento: chi l'orazione, chi la sapienza, chi l'arte, chi la musica, chi la pazienza ecc... Noi ci dimentichiamo spesso che questi doni sono di Dio ed è Lui che li ha affidati a noi, non per accrescere la nostra superbia o il nostro conto in banca, ma per metterli al servizio degli altri, della società stessa. Purtroppo vediamo oggi una società sempre più competitiva, che pone la competizione ad ogni livello: questo può esser un incentivo a scovare il proprio talento, ma può esser distruttivo se non si mostra il valore del talento il quale non è un pregio che ci pone su un livello superiore al prossimo, ma un dono che ci mette nella condizione di poter fare qualcosa per il mondo.
Molte volte chiudiamo la porta del nostro cuore semplicemente perchè pensiamo che il nostro talento sia inutile, oppure che esso sia inerte dinanzi all'enormità del mondo che ci circonda. In realtà questo è un facile alibi che ci porta a giustificare la nostra inoperosità. Se abbiamo un talento, noi lo dobbiamo usare, moltiplicare perché un giorno dovremo fare un rendiconto dinanzi a Dio e allora non si potrà usare il timore come causa di giustificazione. Avete letto la parabola di oggi? "Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”.
Ecco questa è la risposta che molti di noi darebbero al Signore in questo momento: siccome ho avuto paura, non ho usato il mio talento. Ma come reagirà il padrone? Ecco la risposta: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. 
Quest'ultima frase è poi molto significativa perchè fa capire come al servo produttivo sarà dato di più di quanto ha raccolto mentre al servo prudente sarà tolto pure quello che ha conservato con prudenza! Questo allora ci deve far riflettere e ci deve spingere a lavorare per gli altri, a far fruttificare quanto abbiamo ricevuto: se uno ha il dono dell'oratoria allora parli del Signore agli altri! Se uno ha il dono della sapienza, allora consigli il suo vicino! Se uno ha la ricchezza, la usi per aiutare il bisognoso! Se uno ha voglia di amare e di far carità, allora esca e faccia la carità. Perchè chi non farà queste cose, resterà un ibrido, cioè un uomo che alla fine non avrà compiuto la scelta decisiva, quella tra bene e male, quella se servire Dio o se servire Mammona e la cosa grave è che questa scelta non sarà stata compiuta, il più delle volte, per paura!

Allora, Gesù ci chiama all'opera: seguiamo il Suo esempio, seguiamo il Suo Divino Insegnamento e allora riceveremo sin da ora, il centuplo di quanto abbiamo seminato perchè Dio gratifica sempre i suoi figli. Non avete notato quale sensazione meravigliosa si prova nel donare? Ecco, questo è l'antipasto della gratificazione del Signore, quella che poi si vivrà nella gioia eterna.
Mi piacerebbe farvi leggere anche le parole del nostro Papa Benedetto XVI, pronunciate durante l'Angelus di due anni fa e che sono molto chiarificatrici di quello di cui abbiamo parlato oggi:

La Parola di Dio di questa domenica – la penultima dell’anno liturgico – ci invita ad essere vigilanti e operosi, nell’attesa del ritorno del Signore Gesù alla fine dei tempi. La pagina evangelica narra la celebre parabola dei talenti, riportata da san Matteo (25,14-30). Il "talento" era un’antica moneta romana, di grande valore, e proprio a causa della popolarità di questa parabola è diventata sinonimo di dote personale, che ciascuno è chiamato a far fruttificare. In realtà, il testo parla di "un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni" (Mt 25,14). L’uomo della parabola rappresenta Cristo stesso, i servi sono i discepoli e i talenti sono i doni che Gesù affida loro. Perciò tali doni, oltre alle qualità naturali, rappresentano le ricchezze che il Signore Gesù ci ha lasciato in eredità, perché le facciamo fruttificare: la sua Parola, depositata nel santo Vangelo; il Battesimo, che ci rinnova nello Spirito Santo; la preghiera – il "Padre nostro" – che eleviamo a Dio come figli uniti nel Figlio; il suo perdono, che ha comandato di portare a tutti; il sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato. In una parola: il Regno di Dio, che è Lui stesso, presente e vivo in mezzo a noi.
Questo è il tesoro che Gesù ha affidato ai suoi amici, al termine della sua breve esistenza terrena. La parabola odierna insiste sull’atteggiamento interiore con cui accogliere e valorizzare questo dono. L’atteggiamento sbagliato è quello della paura: il servo che ha paura del suo padrone e ne teme il ritorno, nasconde la moneta sotto terra ed essa non produce alcun frutto. Questo accade, per esempio, a chi avendo ricevuto il Battesimo, la Comunione, la Cresima seppellisce poi tali doni sotto una coltre di pregiudizi, sotto una falsa immagine di Dio che paralizza la fede e le opere, così da tradire le attese del Signore. Ma la parabola mette in maggior risalto i buoni frutti portati dai discepoli che, felici per il dono ricevuto, non l’hanno tenuto nascosto con timore e gelosia, ma l’hanno fatto fruttificare, condividendolo, partecipandolo. Sì, ciò che Cristo ci ha donato si moltiplica donandolo! E’ un tesoro fatto per essere speso, investito, condiviso con tutti, come ci insegna quel grande amministratore dei talenti di Gesù che è l’apostolo Paolo.
L’insegnamento evangelico, che oggi la liturgia ci offre, ha inciso anche sul piano storico-sociale, promuovendo nelle popolazioni cristiane una mentalità attiva e intraprendente. Ma il messaggio centrale riguarda lo spirito di responsabilità con cui accogliere il Regno di Dio: responsabilità verso Dio e verso l’umanità. Incarna perfettamente quest’atteggiamento del cuore la Vergine Maria che, ricevendo il più prezioso tra i doni, Gesù stesso, lo ha offerto al mondo con immenso amore. A Lei chiediamo di aiutarci ad essere "servi buoni e fedeli", perché possiamo prendere parte un giorno "alla gioia del nostro Signore".


Vi lascio con un appello pro-Asia Bibi che mi è stato trasmesso dalla nostra Enza (diffuso in origine dal blog di Antonio Socci), sperando che nessuno compia lo scempio della condanna a morte. A tal proposito, vorrei solo dire che c'è una forte differenza tra noi e coloro che condannano a morte: noi cristiani conosciamo il perdono e chi conosce il perdono conosce Dio mentre chi non conosce la misericordia, non solo non conosce Dio, ma non riceverà nemmeno misericordia (“Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati; e con la misura con la quale misurate sarete misurati".(Mt, 7, 1-2)):

Si chiama Asia Bibi
le donne nell'ambiente in cui lavorava volevano che si convertisse all'islam, durante una discussione ha detto loro che Cristo ha offerto la sua vita per la nostra salvezza e chiedeva che cosa avesse fatto maometto, queste donne si sono offese la hanno chiusa in una stanza dopo averla picchiata e poi su consiglio degli imam la hanno denunciata per blasfemia,ecco come può morire un cristiano in quei 
  posti. Io ho già aderito con una mail per salvarla fatelo anche voi, mandate un messaggio di adesione a questo indirizzo: salviamoasiabibi@tv2000.it.
oppure mandate un sms al num 331 2933554
 E' il minimo che un cristiano dalla comoda vita come noi può fare. Mentre tutto il mondo si mobilita per Sakineh, dappertutto c'è la sua gigantografia, ci sono centinaia e centinaia di cristiani che rischiano la condanna a morte o sono già in attesa dell'esecuzione! 

martedì 16 novembre 2010

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - I

Dato l'interesse suscitato dal post che racchiudeva le parole del Venerabile Giovanni Paolo II sulla famiglia, mi è sembrato opportuno continuare a trattare questa tematica molto importante e fondamentale, considerando il periodo di forte crisi che stiamo attraversando, non solo economicamente parlando, ma anche e soprattutto dei valori familiari. E continuiamo sempre accompagnati dalla stretta mano di Karol Wojtjla che, seppur fisicamente non più tra noi, continua a vivere spiritualmente soprattutto attraverso le sue parole. Ecco, considerando il suo apporto decisivo alla fede (e alla mia storia personale), cerchiamo di ascoltare le sue esortazioni per poter riscoprire la bellezza di vivere secondo la fede, senza timori e senza paure poiché Cristo è sempre con noi e lo sarà "...sino alla fine dei tempi".
Detto questo, cominciamo questo nostro cammino in favore della famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio, attraverso l'Esortazione Apostolica "Familiaris Consortio", rivolta alla Chiesa e soprattutto ai fedeli (ed io aggiungerei soprattutto ai fedeli della società odierna) e che tenta di dipingere il ruolo della famiglia cristiana nel mondo di oggi. Cominciamo dalla sua introduzione, ricordandoci che essa promana sempre da quel servo di Dio che tutti noi abbiamo amato (molti di noi in ritardo) e che ha cambiato la storia della Chiesa e il mondo della fede, rendendolo vivo:

ESORTAZIONE APOSTOLICA
FAMILIARIS CONSORTIO
DI SUA SANTITA'
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO
AL CLERO ED AI FEDELI
DI TUTTA LA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I COMPITI
DELLA FAMIGLIA CRISTIANA
NEL MONDO DI OGGI

INTRODUZIONE

La Chiesa al servizio della famiglia


1. La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti.

Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi ed aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia («Gaudium et Spes», 52).

In modo particolare essa si rivolge ai giovani, che stanno per iniziare il loro cammino verso il matrimonio e la famiglia, al fine di aprire loro nuovi orizzonti, aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all'amore e al servizio della vita.

Il Sinodo del 1980 in continuità con i Sinodi precedenti

2. Un segno di questo profondo interessamento della Chiesa per la famiglia è stato l'ultimo Sinodo dei Vescovi, celebratosi a Roma dal 26 settembre al 25 ottobre 1980. Esso è stato la naturale continuazione dei due precedenti (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Omelia per l'apertura del VI Sinodo dei Vescovi, 2 (26 Settembre 1980): la famiglia cristiana, infatti, è la prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita e a portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità umana e cristiana.

Non solo, ma il precedente Sinodo si collega idealmente in qualche modo anche a quello sul sacerdozio ministeriale e sulla giustizia nel mondo contemporaneo. Infatti, in quanto comunità educativa, la famiglia deve aiutare l'uomo a discernere la propria vocazione e ad assumersi il necessario impegno per una più grande giustizia, formandolo fin dall'inizio a relazioni interpersonali, ricche di giustizia e di amore.

I Padri Sinodali, concludendo la loro assemblea, mi hanno presentato un ampio elenco di proposte, in cui avevano raccolto i frutti delle riflessioni sviluppate nel corso delle loro intense giornate di lavoro, e mi hanno chiesto con voto unanime di farmi interprete davanti all'umanità della viva sollecitudine della Chiesa per la famiglia, e di dare le indicazioni opportune per un rinnovato impegno pastorale in questo fondamentale settore della vita umana ed ecclesiale.

Nell'adempiere tale compito con la presente esortazione, come una peculiare attuazione del ministero apostolico affidatomi, desidero esprimere la mia gratitudine a tutti i componenti del Sinodo per il prezioso contributo di dottrina e di esperienza, che hanno offerto soprattutto mediante le «Propositiones», il cui testo affido al Pontificio Consiglio per la Famiglia, disponendo che ne approfondisca lo studio al fine di valorizzare ogni aspetto delle ricchezze in esso contenute.

Il prezioso bene del matrimonio e della famiglia

3. La Chiesa, illuminata dalla fede, che le fa conoscere tutta la verità sul prezioso bene del matrimonio e della famiglia e sui loro significati più profondi, ancora una volta sente l'urgenza di annunciare il Vangelo, cioè la «buona novella» a tutti indistintamente, in particolare a tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano, a tutti gli sposi e genitori del mondo.

Essa è profondamente convinta che solo con l'accoglienza del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza, che l'uomo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia.

Voluti da Dio con la stessa creazione (cfr. Gen 1-2), il matrimonio e la famiglia sono interiormente ordinati a compiersi in Cristo (cfr. Ef 5) ed hanno bisogno della sua grazia per essere guariti dalle ferite del peccato (cfr. «Gaudium et Spes», 47; «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 388s) e riportati al loro «principio» (cfr. Mt 19,4), cioè alla conoscenza piena e alla realizzazione integrale del disegno di Dio.

In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (cfr. «Gaudium et Spes», 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio.