Capitolo 1 – Educare in un mondo che cambia
7. L’opera educativa della Chiesa è strettamente legata al momento e al contesto in cui essa si trova a vivere, alle dinamiche culturali di cui è parte e che vuole contribuire a orientare. Il “mondo che cambia” è ben più di uno scenario in cui la comunità cristiana si muove: con le sue urgenze e le sue opportunità, provoca la fede e la responsabilità dei credenti. È il Signore che, domandandoci di valutare il tempo, ci chiede di interpretare ciò che avviene in profondità nel mondo d’oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Arriva la pioggia’, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: ‘Farà caldo’, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,54-57).
«Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico», ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, indicando pure il metodo: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»20. Tutto il popolo di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando così solidale con la storia del genere umano.
Mentre sperimentiamo le difficoltà in cui si dibatte l’opera educativa in una società spesso incapace di assicurare riferimenti affidabili, nutriamo una grande fiducia, sapendo che il tempo dell’educazione non è finito. Perciò vogliamo metterci alla ricerca di risposte adeguate e non ci scoraggiamo, sapendo di poter contare su una “riserva escatologica” alla quale quotidianamente attingere: la speranza che non delude (cfr Rm 5,5).
Così sostenuti, vogliamo prendere coscienza, insieme a tutti gli educatori, di alcuni aspetti problematici della cultura contemporanea – come la tendenza a ridurre il bene all’utile, la verità a razionalità empirica, la bellezza a godimento effimero – cercando di riconoscere anche le domande inespresse e le potenzialità nascoste, e di far leva sulle risorse offerte dalla cultura stessa. 8. Un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza: il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano. Nell’educazione, la libertà è il presupposto indispensabile per la crescita della persona. Essa, infatti, non è un semplice punto di partenza, ma un processo continuo verso il fine ultimo dell’uomo, cioè la sua pienezza nella verità dell’amore. «L’uomo può volgersi
al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione… La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere… L’uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene». Questa ricerca diffusa di libertà e di amore rimanda a valori a partire dai quali è possibile proporre un percorso educativo, capace di offrire un’esperienza integrale della fede e della vita cristiana.
Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia donate dalla fede, che sono infinitamente più grandi di ogni desiderio e attesa umani. Il compito dell’educatore cristiano è diffondere la buona notizia che il Vangelo può trasformare il cuore dell’uomo, restituendogli ragioni di vita e di speranza. Siamo nel mondo con la consapevolezza di essere portatori di una visione della persona che, esaltandone la verità, la bontà e la bellezza, è davvero alternativa al sentire comune.
Le persone fanno sempre più fatica a dare un senso profondo all’esistenza. Ne sono sintomi il disorientamento, il ripiegamento su se stessi e il narcisismo, il desiderio insaziabile di possesso e di consumo, la ricerca del sesso slegato dall’affettività e dall’impegno di vita, l’ansia e la paura, l’incapacità di sperare, il diffondersi dell’infelicità e della depressione. Ciò si riflette anche nello smarrimento del significato autentico dell’educare e della sua insopprimibile necessità. Il mito dell’uomo “che si fa da sé” finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante anche di se stessa e della vita.
Le cause di questo disagio sono molteplici – culturali, sociali ed economiche – ma al fondo di tutto si può scorgere la negazione della vocazione trascendente dell’uomo e di quella relazione fondante che dà senso a tutte le altre: «Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia».
Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”. Tale distorsione è stata magistralmente illustrata dal Santo Padre: «Una radice essenziale consiste – mi sembra – in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’‘io’ diventa se stesso solo dal ‘tu’ e dal ‘noi’, è creato per il dialogo, per la
comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo ‘tu’ e ‘noi’ nel quale si apre l’‘io’ a se stesso».
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