mercoledì 31 agosto 2011

Alle sorgenti della Pietà - X parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana. Siamo giunti a quello che l'autore definisce come il cuore della fede: il credo nel Nostro Signore Gesù Cristo, attraverso il quale abbiamo la speranza nella vita eterna: 

- Capitolo 8 -

"CREDO IN UN SOLO SIGNORE GESU' CRISTO UNIGENITO FIGLIO DI DIO"

 IL CUORE DELLA FEDE 

Nella prima parte del Credo esprimiamo la nostra fede nel Padre, Creatore di tutte le cose. Nella seconda parte, che è quella centrale e più ampia, noi esprimiamo la nostra fede nel Signore Gesù Cristo. Diciamo: "Io credo... in un solo Signore Gesù Crísto Unigenito Figlio di Dio". Questo è, per così dire, il cuore del Simbolo della Fede. Noi, infatti, siamo chiamati cristiani proprio perché crediamo nel Signore Gesù Cristo. La fede, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, è accoglienza di una persona nella nostra esistenza. Per fede noi accogliamo Gesù nella nostra vita quale nostro Salvatore e Signore. Vorrei introdurre questo tema facendovi una domanda: in che cosa si distingue il cristianesimo dalle altre religioni?

- Forse dal fatto che ci insegna ad essere onesti, buoni, retti? Ma anche le altre religioni propongono gli stessi valori.

- Forse perché ci insegna a pregare e a onorare Dio? Ma fanno lo stesso anche i mussulmani, gli ebrei, i buddisti e tanti altri!

Allora in che cosa consiste la differenza? In tre cose.

1) Tutte le religioni umane sono costituite dal cammino dell'uomo verso Dio. Indicano e offrono una strada per arrivare a Dio.

 La religione cristiana, al contrario, ci rivela il cammino di Dio verso l'uomo: un cammino di amore e misericordia. Là, nelle altre religioni, è l'uomo che cerca Dio. Qui, nel cristianesimo, è Dio che cerca l'uomo: è il Buon Pastore che cerca la pecorella smarrita.

2) Nelle religioni umane l'atteggiamento dell'uomo è quello di cercare la giustificazione (cioè la salvezza) mediante i propri sforzi.

 Nel Cristianesimo invece l'uomo accoglie per fede la giustificazione che Dio gli dona gratuitamente, anche se ciò non esime l'uomo dal prestare la sua cooperazione. Là è l'uomo che si salva, qui è Dio che lo salva!

3) Infine in tutte le religioni umane c'è distinzione tra Dio ed il profeta che lo rivela. Così, ad esempio, nell'Islam altro è Dio (Allah), altro è il suo profeta (Maometto).

Nel Cristianesimo invece è Dio stesso che si rivela e si fa presente nel mondo nella Persona di Gesù Cristo. Per i cristiani Gesù non è soltanto il profeta di Dio, ma è Dio in Persona, la Seconda Persona della Santissima Trinità fatta uomo! Vedete, allora, come il cristianesimo è una religione totalmente diversa da ogni altra. Esso, infatti, non è frutto della chiaroveggenza di un uomo, ma è di origine divina, è stato rivelato da Dio.

Nessun uomo, per quanto acuto ed illuminato, avrebbe mai osato proporci quello che ci propone Gesù. Ma Egli lo può fare perché è Dio in persona. Noi non abbiamo che da ringraziare ed adorare! E' il Creatore stesso che scende dal suo Cielo e viene a portarci il dono della salvezza. Noi non abbiamo che da accoglierlo e corrispondervi nella fede!

 Il Cristianesimo è tutto qui!

IL GRANDE PROGETTO DI DIO

Dopo la caduta originale l'uomo è dominato dal peccato. E' un uomo che ha rifiutato Dio e la sua Legge: perciò è un uomo in cui regna l'egoismo con tutte le sue concupiscenze, sorgenti inquinate di disordini e di colpe. Nessun uomo, per quanti sforzi faccia, può ritenersi giusto agli occhi di Dio! Su questo punto la Bibbia è categorica: 'Tutti sono peccatori, tutti sono cattivi, non ce ne è uno che sia giusto!" (Rm 3,9-10). Certo, fra questi peccatori, ce ne sono di quelli che si sforzano di essere onesti e santi. Ma nessuno riesce a colmare l'abisso che il peccato ha scavato tra noi e Dio. Così l'umanità intera, quella del passato, quella del presente e quella del futuro, vive in un regime di separazione da Dio e nell'incapacità di riallacciare rapporti di comunione con Lui. Questa situazione, che noi chiamiamo peccato originale, la troviamo alle sorgenti della nostra vita quando entriamo a far parte di questa povera umanità. Siamo come i bambini che nascono dopo il terremoto: nascono baraccati, senza casa, senza niente.

Noi uomini siamo i terremotati del peccato. Veniamo al mondo in una situazione di miseria, di colpa e di morte. I nostri sforzi, per quanto encomiabili e degni di ammirazione, sono insufficenti. Siamo perduti. Per noi non c'è speranza di salvezza!

"La carne ed il sangue - dice la Bibbia - non possono ereditare il Regno di Dio" (1 Cor 15,50). Carne e sangue, nel linguaggio biblico, significano la natura umana, quella cioè che riceviamo dai nostri genitori con la concezione e la nascita. Siamo concepiti peccatori e nasciamo peccatori. Noi non siamo peccatori perché facciamo peccati ma facciamo peccati perché siamo già peccatori. "Non può un albero cattivo dar frutti buoni" afferma Gesù (Mt 7,18). Noi tutti siamo ramoscelli di un albero che è inquinato fin dalle radici ed i nostri frutti non possono essere che frutti inquinati.

 Ma ecco che Dio ha pietà di noi e compie Lui stesso quello che noi non siamo capaci di fare. Egli risponde alle nostre esigenze con il dono di suo Figlio. Quali sono le nostre esigenze, le nostre necessità? Sono tre.

1) La prima essenza che sentiamo in noi è quella del perdono dei nostri peccati personali. Sentiamo il bisogno di venire perdonati. Come risponde Dio a questa nostra esigenza? Risponde offrendoci il Sangue di suo Figlio. Egli ci rivela che il Sangue di Gesù è il prezzo del perdono, un prezzo infinitamente superiore a tutte le nostre colpe, un prezzo che Lo soddisfa pienamente ed abbondantemente. Perciò se ci accostiamo con fede a questo Sangue preziosissimo i nostri peccati personali ci saranno perdonati. Che cos'è la Confessione se non un accostarci sacramentalmente a questo Sangue?

2) La seconda esigenza che sentiamo in noi è quella, più profonda, di essere guariti radicalmente dal peccato che inquina la nostra natura umana. E' necessario che questa natura peccatrice venga distrutta e, al suo posto, ce ne venga data un'altra, giusta, santa! Dio risponde a questa esigenza mediante la Croce di Gesù. In Gesù è tutta la nostra umanità che viene crocifissa e muore: "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti" (1 Pt 2,24). San Paolo scrive: "Sono stato crocijRsso con Cristo" (Gal 2,19). Così la Croce, cioè la morte di Gesù, è stata anche la morte della vecchia umanità di Adamo, morte che avrà il suo segno visibile quando lasceremo questo corpo alla cenere nella tomba.

3) Ma abbiamo una terza esigenza che è quella della vita. L'uomo non è fatto per la morte, ma per la vita: per una vita senza fine, felice, in continua crescita. Ebbene Dio ci dona in Gesù una vita nuova, quella che la Bibbia chiama "la vita eterna". E' la vita stessa del Figlio di Dio. Dice il Vangelo di Giovanni: "A quanti credono in Gesù, Dio ha fatto un dono: quello di essere figli di Dio mediante una nuova nascita, non dalla carne e dal sangue, ma da Dio stesso!" (cfr Gv 1,12-13) . Non si tratta soltanto della vita spirituale, ma anche corporale perché noi pure risorgeremo come è risorto Cristo. Dio dunque non ci ha fatto e non ci fa tante grazie: non ci dà tanti doni. Ci fa una sola grazia, ci dà un solo dono: suo Figlio Gesù! Ma in Gesù c'è ogni grazia, ogni dono: "In Lui - scrive San Paolo - ci sono tutti i tesori della sapienza e della scienza" (1 Cor 1,30 ). "In Lui - scrive ancora l'apostolo - c'è la pienezza della divinità" (Col 2,9) cioè la pienezza del bene. Qualsiasi bene tu cerchi, lo trovi in Gesù! Di qualsiasi dono tu abbia bisogno, lo trovi in Gesù! In Lui Dio ci ha donato tutto: ci ha donato sè stesso!

GESU, IL DONO DI DIO

Ma vediamo un po' meglio la ricchezza di questo dono analizzando i titoli che il Simbolo attribuisce a Gesù: lo chiama: Gesù - Cristo - Signore.

1) Gesù!

Parlando a Giuseppe l'angelo Gabriele svela, con il nome, anche il significato: `Eo chiamerai Gesù, perché salverà il suo popolo dai peccati" (Mt 1,21). In ebraico Gesù significa: "Dio è salvezza!".

"Lo chiamerai: Dio - è - salvezza": un nome che non solo indica un programma, una missione, ma anche una realtà: egli è Dio stesso che viene a portare la salvezza! Salvezza da che cosa? Dai peccati, spiega l'angelo. Ecco qui, nel nome stesso di Gesù, una prima rivelazione della sua realtà personale e della sua missione: egli è Dio che viene a salvarci! 2) Cristo! Gesù è il Cristo!

Cristo è un nome che viene dal greco e che traduce l'ebraico Messia.

Messia vuol dire: Mandato da Dio, inviato di Dio. Gesù è un mandato. E' mandato a compiere una missione nel mondo. Chi lo manda è il Padre. Lo afferma egli stesso: "Il Padre mi ha mandato a compiere l'opera sua". L'opera di Dio è la salvezza del mondo. Questo mandato dal Padre è, per Gesù, una consacrazione. Quando si destina un calice per il servizio liturgico, lo si consacra, cioè lo si toglie all'uso profano per adibirlo al servizio esclusivo di Dio. Così quando un uomo viene mandato a continuare l'opera di Gesù lo si consacra al Signore. E' accaduto per tutti noi nel battesimo e nella cresima, avviene per gli sposi nel sacramento del matrimonio, per i religiosi mediante la loro professione, per i diaconi, sacerdoti e vescovi con l'ordinazione. Tutto il popolo cristiano è consacrato al servizio di Dio: è un popolo messianico. Partecipa della consacrazione di Gesù. Questa consacrazione si attua mediante il dono dello Spirito Santo. A Nazareth Gesù fece sue le parole dell'antico profeta: `Eo Spirito del Signore è sceso sopra di me e mi ha consacrato con l'unzione spirituale. Per questo sono stato mandato ad evangelizzare i poveri, a portare la libertà agli oppressí ed ai prigionieri, a predicare il tempo della, misericordia di Dio" (cfr Lc 4,18,19). Ed infatti, poco prima, presso il fiume Giordano lo Spirito Santo era sceso sopra di Lui ed il Padre, dal Cielo, lo aveva proclamato " il figlio suo diletto" (cfr Mt 3,17)!

Gesù è il Cristo, il Messia, il Consacrato a Dio, cioè il Servo di Dio, venuto nel mondo per compiere l'opera di Dio e per comunicarla a tutti gli uomini.

In Lui e mediante il suo ministero (che oggi continua nella Chiesa) Dio compie la salvezza del mondo e la attua in ogni uomo che crede al Vangelo.

3) Gesù è il Signore.

Il titolo Signore è pasquale, cioè è il titolo che i cristiani danno a Gesù Risorto. Il primo è stato Tomaso quando, aprendo il cuore alla fede, grida a Gesù Risuscitato: "mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28)!

Finché Gesù è su questa terra e compie il suo ministero di salvezza è il servo di Dio. Ma quando risorge da morte e sale alla destra del Padre ecco che diventa il Signore. S. Paolo ce ne parla così: "Gesù si è fatto obbediente fino alla morte ed alla morte di croce. Per questo Dio lo ha glorificato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, così che nel nome del Signore Gesù, ogni ginocchio si pieghi in terra, in cielo o negli inferi per la gloria di Dio Padre" (Fil 2,8).

La parola Signore che noi attribuiamo anche a Dio Padre e allo Spirito Santo, in realtà è propria del Figlio suo Gesù. Significa che egli, anche nella sua umanità glorificata, è il Re, il Cuore e il Centro del nuovo mondo.

Da Lui viene la nuova vita, la vita eterna. Da Lui si espande nell'universo la nuova potenza che tutto rinnova: lo Spirito Santo. Proclamare Gesù Signore, significa riconoscerlo come nostro Re, nostro principio vitale, nostro Dio. Accogliere Gesù come Signore, significa farlo sedere sul trono del nostro cuore sottomettendogli per amore tutta la nostra vita, tutti i nostri interessi, tutto il nostro essere. Così Egli, mediante lo Spirito Santo, prende possesso della nostra esistenza e vive in noi: "non più io vivo, ma Cristo vive in me!" (Gal 2,20).

Ecco allora il significato primo della nostra professione di fede, quando diciamo: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo". Vuol dire che noi accogliamo nel cuore e nella vita Gesù il Figlio di Dio, come nostro Salvatore, come nostro Messia, come nostro Signore.

Questa triplice realtà coinvolge tutti i credenti perché, mediante l'incarnazione, essa diventa nostra così che nella nostra povera umanità è Gesù Cristo Signore che vive ed agisce per portare la salvezza di Dio al mondo.

E' questo che il mondo si attende, sia pur inconsciamente, da noi cristiani! Non tanto un nuovo regime politico, e neppure una nuova rivoluzione sociale (che del resto è necessariamente insita nel rinnovamento cristiano del mondo), ma la divina realtà del Signore vivente in noi.

E' del Signore Gesù Cristo che ha bisogno l'uomo perché solo nel Signore Gesù Cristo trova vita, salvezza, perdono. Infatti: Gesù è l'unico che può dare un senso vero alla vita dell'uomo rivelandogli il suo eterno destino in Paradiso;

. Gesù è l'unico che può offrire all'uomo peccatore il perdono di Dio che Egli ci ha ottenuto con il suo sacrificio; . Gesù è l'unico che può infondere la vera pace nel cuore umano e, di conseguenza, nella nostra società;

. Gesù è l'unico che può dare una vita piena, felice, eterna! Preghiamo la Madonna perché ci aiuti a credere nel Signore Gesù Cristo come ci ha creduto Lei quando si è offerta senza riserve alla Parola di Dio che le rivelava il dono del Padre: Gesù!

CONTEMPLAZIONE

Questa contemplazione sarebbe opportuno farla davanti al Ss.mo Sacramento o almeno davanti ad una immagine di Gesù per meglio immergerti nella meditazione della Parola di Dio.

Lettera agli Efesini cap. 1

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto;  nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.
 In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.

martedì 30 agosto 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXXVIII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Dopo esserci soffermati sull'importante tappa della preparazione al matrimonio e alla vita familiare, riscopriamo oggi il momento culminante di questo percorso preparativo e cioè il momento della celebrazione:

PARTE QUARTA

LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI

I. I tempi della pastorale familiare 

La celebrazione

67. Il matrimonio cristiano richiede di norma una celebrazione liturgica, che esprima in forma sociale e comunitaria la natura essenzialmente ecclesiale e sacramentale del patto coniugale fra i battezzati.

In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione del matrimonio - inserita nella liturgia, culmine di tutta l'azione della Chiesa e fonte della sua forza santificatrice (cfr. «Sacrosantum Concilium» 10) - deve essere per sé valida, degna e fruttuosa. Si apre qui un vasto campo alla sollecitudine pastorale, affinché siano pienamente assolte le esigenze derivanti dalla natura del patto coniugale elevato a sacramento, e sia altresì fedelmente osservata la disciplina della Chiesa per quanto riguarda il libero consenso, gli impedimenti, la forma canonica e il rito stesso della celebrazione. Quest'ultimo dev'essere semplice e dignitoso, secondo le norme delle competenti autorità della Chiesa, alle quali spetta pure - secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo e in conformità con le norme impartite dalla Sede Apostolica (cfr. «Ordo celebrandi Matrimonium», 17) - di assumere eventualmente nella celebrazione liturgica quegli elementi propri di ciascuna cultura, che meglio valgono ad esprimere il profondo significato umano e religioso del patto coniugale purché nulla contengano di meno confacente con la fede e la morale cristiana.

In quanto segno, la celebrazione liturgica deve svolgersi in modo da costituire, anche nella sua realtà esteriore, una proclamazione della Parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti. L'impegno pastorale si esprimerà qui con la cura intelligente e diligente della «liturgia della Parola» e con l'educazione alla fede dei partecipanti alla celebrazione e, in primo luogo, dei nubendi.

In quanto gesto sacramentale della Chiesa, la celebrazione liturgica del matrimonio deve coinvolgere la comunità cristiana, con la partecipazione piena, attiva e responsabile di tutti i presenti, secondo il posto e il compito di ciascuno: gli sposi, il sacerdote, i testimoni, i parenti, gli amici, gli altri fedeli, tutti membri di un'assemblea che manifesta e vive il mistero di Cristo e della sua Chiesa.

Per la celebrazione del matrimonio cristiano nell'ambito delle culture o tradizioni ancestrali, si seguano i principi qui sopra enunziati.

Celebrazione del matrimonio ed evangelizzazione dei battezzati non credenti

68. Proprio perché nella celebrazione del sacramento una attenzione tutta speciale va riservata alle disposizioni morali e spirituali dei nubendi, in particolare alla loro fede, va qui affrontata una difficoltà non infrequente, nella quale possono trovarsi i pastori della Chiesa nel contesto della nostra società secolarizzata.

La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è imperfettamente disposto.

Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore «al principio». La decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l'immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione.

E' vero, d'altra parte, che in alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa.

Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.

Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale.

Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano.

Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo validamente ma anche fruttuosamente.

lunedì 29 agosto 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Ventisettesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. E riprendiamo esattamente da dove avevamo lasciato, con il rapporto tra Gesù e Santa Faustina che diventa sempre più intimo e costruttivo: in aggiunta a questo, oggi scopriamo anche quanto grande è il desiderio di Gesù di far espandere la Sua Divina Misericordia su tutti i peccatori:


+ Pasqua di Risurrezione. Oggi durante la funzione pasquale, ho visto il Signore Gesù in un grande splendore; si è avvicinato a me e mi ha detto: « Pace a voi, figlioli Miei! » ed ha alzato la mano ed ha benedetto. Le piaghe delle mani, dei piedi e del costato non erano cancellate ma risplendenti. Poi mi guardò con tanta amabilità ed amore che la mia anima s'immerse totalmente in Lui e mi disse: « Hai preso tanta parte alla Mia Passione, per questo avrai tanta parte alla Mia gloria ed alla Mia gioia». Tutta la funzione pasquale mi sembrò che durasse un solo minuto. Un misterioso raccoglimento s'impossessò della mia anima e continuò finché durarono le feste. L'amabilità di Gesù è così grande, che non è possibile descriverla. Il giorno seguente, dopo la S. Comunione, udii questa voce: « Figlia Mia, guarda l'abisso della Mia Misericordia e rendi onore e gloria a questa Mia Misericordia e fallo in questo modo: riunisci tutti i peccatori del mondo intero ed immergili nell'abisso della Mia Misericordia. Desidero darMi alle anime. Desidero le anime, figlia Mia. Nel giorno della Mia festa, nella festa della Misericordia, attraverserai il mondo intero e condurrai le anime avvilite alla sorgente della Mia Misericordia, lo le guarirò e le fortificherò ». Oggi ho pregato per un anima agonizzante, che stava morendo senza i santi sacramenti, benché li avesse ardentemente desiderati. Ma ormai era troppo tardi. Si tratta di una mia parente, la moglie di uno zio paterno. Era un'anima cara a Dio. In quel momento non ci fu distanza per noi. O voi, piccoli, insignificanti sacrifici quotidiani, siete per me come i fiori di campo che spargo ai piedi dell'amato Gesù. Talvolta queste minuzie io le paragono alle virtù eroiche, in quanto per la loro incessante continuità esigono eroismo. Durante le sofferenze non cerco aiuto dalle creature, ma Dio è tutto per me, benché qualche volta mi sembri che il Signore non mi ascolti. Allora mi armo di pazienza e di silenzio, come la colomba che non si lamenta, né mostra dolore quando le tolgono i piccoli. Voglio volare alto nel calore stesso del sole e non voglio ristagnare in basso tra il fumo e la nebbia. Non mi stancherò, perché mi sono appoggiata a Te, mia Forza. Prego ardentemente il Signore che si degni di fortificare la mia fede, affinché nella grigia vita quotidiana non mi regoli secondo considerazioni umane, ma secondo lo spirito. Oh! come tutto attira l'uomo verso la terra, ma una fede viva mantiene l'anima in una sfera più alta ed assegna all'amor proprio il posto che gli spetta, cioè l'ultimo.

+ Cade nuovamente una tremenda oscurità sull'anima mia. Mi sembra di essere sotto l'influsso di illusioni. Quando sono andata a confessarmi, per attingere luce e serenità, non le ho trovate. Il confessore mi ha fatto venire ancora più dubbi di quanti ne avessi prima. Mi ha detto: e Non riesco a conoscere quale potenza agisce in lei, forse Dio e forse anche lo spirito maligno ». Quando mi sono allontanata dal confessionale, ho cominciato a riflettere sulle sue parole. Più riflettevo, più la mia anima sprofondava nelle tenebre. Che fare, Gesù? Quando Gesù mi si avvicinava amabilmente, io avevo paura. Sei veramente Tu, Gesù? Da un lato mi attira l'amore, dall'altro mi allontana la paura. Che tormento! Non riesco a descriverlo. Quando andai a confessarmi di nuovo, ricevetti questa risposta: “Sorella, io non la capisco; è meglio che lei non si confessi da me”. Dio mio, io debbo farmi tanta violenza per riuscire a dire qualche cosa della mia vita interiore ed ecco la risposta che ne ottengo: « Sorella, io non la capisco». Quando ripartii dal confessionale, fui assalita da innumerevoli tormenti. Andai davanti al SS.mo Sacramento e dissi: « Gesù, salvami! Vedi bene che sono debole ». Ad un tratto udii queste parole: « Durante gli esercizi spirituali prima dei voti ti darò un aiuto ». Rinfrancata da queste parole, presi ad andare avanti senza domandare consigli a nessuno. Però avevo una tale mancanza di fiducia verso me stessa, che decisi una volta per sempre di farla finita con questi dubbi. Per questo attendevo con ansia gli esercizi spirituali, che dovevano precedere i voti perpetui. Fin da alcuni giorni prima pregai senza posa il Signore perché concedesse lumi al sacerdote che mi doveva confessare, affinché finalmente decidesse in maniera categorica, si o no e già pensavo fra me: starò tranquilla una volta per tutte. Ma mi amareggiavo dubitando che qualcuno volesse ascoltare tutte quelle cose. Decisi tuttavia di non pensarci affatto e di aver fiducia nel Signore. Mi risuonavano all'orecchio quelle parole: « durante gli esercizi spirituali ». È già tutto pronto. Domattina dobbiamo andare a Cracovia per gli esercizi. Oggi sono andata in cappella a ringraziare Dio per le innumerevoli grazie, che mi ha concesso durante questi cinque mesi. Il mio cuore era profondamente commosso di fronte a tante grazie ed all'amorevole interessamento delle Superiore. « Figlia Mia, sta' tranquilla. Prendo su di Me tutte le questioni. Le risolverò Io Stesso con le Superiore e col confessore. Parla con Padre Andrasz con la stessa semplicità e fiducia con la quale parli con Me ».

Oggi 18.IV.1933 siamo arrivate a Cracovia. Che gioia trovarmi di nuovo qui, dove ho imparato a fare i primi passi nella vita spirituale. La cara Madre Maestra sempre la stessa, gioiosa e piena d'amore per il prossimo. Sono entrata un momento in cappella. La gioia mi ha inondato l'anima. Mi è venuto in mente in un istante tutto un mare di grazie, che ho ricevuto qui quand'ero novizia. Ed oggi ci siamo riunite tutte per andare per un ora in noviziato. Madre Maestra, Madre Giuseppina, ci ha rivolto alcune parole ed ha predisposto lo svolgimento degli esercizi. Quando ci ha detto quelle poche parole, mi è venuto davanti agli occhi il gran bene che quella cara Madre ci ha fatto. Ho sentito nell'anima una grande riconoscenza verso di lei. Una certa pena mi ha stretto il cuore al pensiero che sono qui in noviziato per l'ultima volta. Ormai debbo lottare con Gesù, lavorare con Gesù, soffrire con Gesù, in una parola, vivere e morire con Gesù. Non ci sarà più la Maestra a seguirmi passo passo, ad istruirmi, a mettermi in guardia, ad ammonirmi, ad incoraggiarmi, a riprendermi. Da sola sento una strana paura. Gesù, pensa Tu a qualcosa per questo. Per la verità avrò comunque una Superiora, ma d'ora in poi mi sentirò più sola.

+ ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO. Cracovia, 21.IV.1933
Esercizi spirituali di otto giorni prima dei voti perpetui. Oggi incomincio gli esercizi spirituali. Gesù, o mio Maestro, guidami Tu; disponi di me secondo la Tua volontà. Purifica il mio amore, affinché sia degno di Te. Fa' di me quello che desidera il Tuo Misericordiosissimo Cuore. O Gesù, in questi giorni saremo faccia a faccia fino al momento della nostra unione. Mantienimi, Gesù, nel raccoglimento dello spirito. Verso sera il Signore mi disse: « Figlia Mia, nulla ti spaventi, né ti turbi. Conserva una profonda tranquillità. È tutto nelle Mie mani. Ti farò comprendere tutto per bocca di Padre Andrasz. Sii come una bambina davanti a lui ». Un momento davanti al Santissimo Sacramento. O Signore e mio eterno Creatore, come potrò ringraziarTi per questa grande grazia, per esserTi degnato di scegliere me miserabile come Tua sposa, unendomi a Te con un vincolo eterno? Amabilissimo Tesoro del mio cuore, Ti offro tutti gli arti di adorazione e di ringraziamento delle anime sante, di tutti i cori angelici e soprattutto in unione con la Madre Tua. O Maria, Madre mia, Ti prego umilmente, copri la mia anima col Tuo manto verginale in questo momento così importante della mia vita, in modo che io sia più gradita al Figlio Tuo e possa degnamente esaltare la Sua Misericordia davanti al mondo intero e per tutta l'eternità. Oggi non sono riuscita a comprendere la meditazione. il mio spirito era mirabilmente immerso in Dio. Nonostante l'impegno non sono riuscita a pensare a quello che diceva il predicatore degli esercizi. Spesso non sono in grado di pensare secondo determinati schemi; il mio spirito è col Signore e questa è la mia meditazione. Alcune parole del mio incontro con la Madre Maestra Maria Giuseppina. Mi ha chiarito molte cose e mi ha tranquillizzato riguardo alla vita interiore assicurandomi che sono sulla buona strada. Ho ringraziato il Signore Gesù per questa grande grazia, poiché essa è stata la prima fra le Superiore a non procurarmi dubbi a questo riguardo. Oh! quanto infinitamente buono è Dio! O Ostia viva, unica mia forza, sorgente d'amore e di misericordia, abbraccia il mondo intero; fortifica le anime che stanno cedendo. Benedetto l'istante ed il momento nel quale Gesù ci lasciò il Suo misericordiosissimo Cuore! Soffrire senza lamentarsi, consolare gli altri, e le proprie sofferenze immergerle nel dolcissimo Cuore di Gesù. Tutti i momenti liberi dagli impegni li passerò ai piedi del SS.mo Sacramento. Al piedi del Signore cercherò luce, conforto e forza. Mostrerò incessantemente riconoscenza verso Dio per la grande Misericordia che ha avuto verso di me, non dimenticando mai i benefici che mi ha elargito e specialmente la grazia della vocazione. Mi nasconderò tra le suore come una modesta violetta tra i gigli. Voglio fiorire per il mio Creatore e Signore. Dimenticare me stessa, annientarmi completamente a favore delle anime immortali: questa è una delizia per me!

domenica 28 agosto 2011

Se qualcuno vuol seguirmi...

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci mostra la condizione per seguirLo, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

A volte i nostri progetti non conoscono la pienezza della gioia, perché forse in essi abbiamo realizzato quello che è puramente un bene transitorio: erano il “sogno della vita”, in cui si era riposta ogni aspettativa, ma poi si infrangono in un ‘vuoto’ che sbriciola ogni possibilità di gioia e allora è davvero grande la nostra sofferenza, che, a volte, finisce nella sensazione di un fallimento della vita stessa.
Se ricordiamo, il Vangelo della scorsa settimana, ci raccontava dell’improvvisa e imprevista domanda di Gesù a quanti lo seguivano, dodici uomini, tanto semplici nella vita e desiderosi di ‘sogni’: “Voi chi dite che io sia?”.

La risposta di Pietro era stata immediata: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”.

E Gesù: “Beato te, Simone , figlio di Giona, perché né la carne, né il sangue, te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io dico a te: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Possiamo immaginare la grande gioia di Pietro. Ma Pietro non era ancora ‘entrato’ nel grande mistero della presenza di Gesù tra di noi: la Sua missione, dataGli dal Padre, per la nostra salvezza. Una missione che Gesù stesso svela ai Suoi, ‘scandalizzando’ il generoso Pietro.

“Gesù - continua infatti il racconto di Matteo - cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto, da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi e venire ucciso e resuscitare il terzo giorno”.

Un discorso chiarificatore, che mostrò, in tutta la sua durezza, il perché Gesù era venuto tra noi, per tutti. Pietro non accetta questa durezza. Gesù non poteva, secondo lui, finire così, e forse lo pensiamo anche noi, quando vediamo, oggi, Gesù calpestato, crocifisso.

Pietro, allora, non aveva capito, e non capiamo noi, la logica dell’amore che, per salvare, si fa dono totale, fino alla morte per la nostra resurrezione. Dio non si diverte a farci soffrire, ma permette la sofferenza - bagaglio del nostro essere creature limitate e finite - per la vita eterna. “Pietro allora trasse in disparte Gesù - racconta Matteo - e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”. Ma Egli, voltandosi, disse a Pietro: ‘Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini‘.

Allora Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnasse il mondo intero e poi perdesse la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell‘uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli e renderà a ciascuno secondo le sue azioni”. (Mì. 16,21-27)

Incredibile come Gesù affronti Pietro che, per il grande amore che aveva per il Maestro, cercava di sbarrare la strada al disegno del Padre, nel Figlio; un disegno che Lo portava a dare tutta la vita, per renderci veramente liberi, figli di Dio, eredi del Suo Regno.

Un duro prezzo quello che Gesù doveva pagare. Pietro, in fondo, tentava di ‘fermare’ la via del dolore, seguendo il nostro istinto, che vorrebbe cancellare la sofferenza, - e tanti hanno pensato o pensano così, ricorrendo anche al suicidio o ad altro - ma così facendo Pietro, come noi, ostacola la via dell’amore.

Pietro non si era neppure posto la ragione di una ‘necessità del dolore’, nei disegni di Dio, e neppure si era chiesto quale potesse essere la strada per raggiungere la pienezza della felicità, che è l’aspirazione di tutti: felicità che è dono del Padre e va conquistata. Ma lo sbaglio di Pietro, se ci pensiamo, è il nostro.

E pare di sentire rivolta a noi la risposta di Gesù: una risposta destinata a togliere ogni illusione, sempre: la sofferenza è necessaria, se vogliamo ‘pensare come Dio e non come gli uomini‘.

Eppure fa impressione come il mondo tenti tutte le vie per sopprimere quella sofferenza, che è l’ombra della croce, proiettata su di noi e che ci precede sempre. Giusto alleviare le sofferenze di chi è malato, è carità.

Ma difficile curare le sofferenze del cuore, che sono quelle che fanno più male, colpiscono, a volte, il centro della ragione di vivere e portano alla disperazione. E non è facile, credetelo, anche per noi Pastori, farsi Cirenei di tante situazioni, in cui davvero il peso della croce a volte provoca tante cadute, come fu per Gesù, nella salita al Calvario. Ci vuole tanto, ma tanto amore, fino a farsi carico della sofferenza dell’altro, come Maria sotto la croce del Figlio. Ma è difficile, oggi, incontrare chi, non solo capisca il dolore, ma accetti di condividerlo. Eppure è nella condivisione che si scopre ed esperimenta l’amicizia vera.

Così il profeta Geremia, in uno ‘sfogo con Dio’, parla della sofferenza procuratagli dai suoi contemporanei:

“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me. Quando parlo, devo gridare, devo proclamare: Violenza! Oppressione. Così la parola del Signore è diventata per me, motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: ‘Non penserò più a Lui, non parlerò più in Suo nome!‘. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. (Ger. 20, 7-9)

E S. Paolo, scrivendo ai Romani, gli fa eco, come a confermarci tutti nell’inevitabilità della sofferenza, vissuta come amore: “Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”. (Rom. 12, 1-2)

Facendoci condurre per mano dalla parola di Dio, mi viene oggi da pensare a tanti dei miei amici, che hanno la bontà di riflettere con me e farsi illuminare da Dio stesso, e stanno vivendo piccole o grandi sofferenze, forse non trovando conforto e ragione.

Momenti difficili, che chiedono parole che diano ‘sapore’ alle loro sofferenze. Anch’io, esperto di tante sofferenze, conosco il dolore, e ho avuto il sostegno di tanti amici e fratelli, che mi sono stati vicini, ma il conforto ‘totale’ l’ho sempre trovato solo nel Signore.

A mia volta desidero farmi vicino con tanta amicizia, offrendo una preghiera-riflessione, che scrivevo in una guida ai misteri dolorosi del Rosa rio, anni fa. ‘Maria, Madre nostra, deve essere stato davvero difficile per te, come Mamma, accompagnare Gesù nella sua passione e morte. Noi uomini vorremmo essere sempre felici, dalla nascita alla morte, e dopo. Non vorremmo incontrare, né vedere il dolore, mai. Ed invece, dentro e fuori di noi, esso ci accompagna, come fosse la nostra ombra, come una parte di noi stessi.

Tu, Madre dolorosa, non sei sfuggita al dolore. Lo hai accolto a braccia aperte, come da giovinetta hai accolto l’Amore, nell’ Annunciazione dell’Angelo. Sapevi che dicendo ‘sì’ al tuo Signore e Creatore, la tua vita sarebbe diventata dura, molto dura; diventando Madre di Gesù, la tua vita, per immenso amore, sarebbe stata un condividere quello che il Figlio avrebbe vissuto, fino alla morte.

Il dolore, per te, altro non era che il modo di amare. All’appuntamento con la passione di tuo Figlio, tu eri lì. Gesù chiamava spesso quell’appuntamento la ‘sua ora’; noi, oggi, diremmo la grande Ora della storia dell’umanità. Ed è diventata anche ‘la tua ora’.

Vorrei che fosse anche la ‘mia ora’, quando sono chiamato a soffrire. Ma noi uomini, tanto deboli, quando avvertiamo la ‘nostra ora’, ci facciamo prendere dalla paura, se non dalla disperazione.

Gesù aveva fatto precedere la ‘sua ora’ da meravigliosi atti di amore nel Cenacolo. E Lui ha voluto insegnarci che il dolore, per essere sacro, deve sempre essere vissuto come amore. ‘Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici’ disse Gesù. E così, amore e dolore sono come due poli che, uniti, danno luce e mostrano il Cuore di Dio e il Tuo, o Madre. Ciò non toglie, o Maria, che nel dolore io senta tutta la sua durezza.

Anche Gesù, Tuo Figlio, nostro Signore, Dio da Dio, l’avvertì e la visse nel1a preghiera, accettandola come ‘volontà del Padre’ e sotto la croce, dove hai voluto ‘stare’, per vivere fino in fondo il dolore del Figlio, in qualche modo, per te, era come morire con Lui.

Aiutami nei momenti di dolore a farmi vicino a Te, sotto la croce, e rendimi capace di quell’amore che rende il dolore gloria.





martedì 16 agosto 2011

Sospensione dei lavori

Carissimi, siamo nel cuore dell'estate e la maggior parte di noi è in ferie. Per questo motivo ho deciso di chiudere il mio piccolo angolo per tutta la settimana, sino a Domenica 28 Agosto. Vi auguro di trascorrere serene giornate con la benedizione del Signore nostro Gesù Cristo.

 

lunedì 15 agosto 2011

Grandi cose ha fatto per me

Quest'oggi si deroga la normale programmazione per soffermarsi su Maria di cui noi oggi celebriamo l'Assunzione! Meditiamo queste cose con mons. Roberto Brunelli:

"Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente", dice Maria nel suo cantico di lode a Dio, che si legge nel vangelo di oggi e che molti conoscono con la prima parola della sua traduzione in latino, "Magnificat". Le "grandi cose" che l'Onnipotente, vale a dire Colui per il quale nulla è impossibile, ha fatto per l'umile donna di Nazaret, sono quelle che i cristiani celebrano ogni anno con apposite feste. Per limitarci alle tre principali, tra loro connesse, al centro sta quella relativa alla divina maternità: fatto unico, che non si era mai visto né si vedrà mai più. Per dare al mondo il Redentore, tra tutte le donne Dio ha scelto lei come madre del suo Figlio; Colui che legge le menti e i cuori ha visto la fede a tutta prova e la totale disponibilità di questa giovane donna ad assecondare il suo progetto di salvezza per tutti gli uomini. La divina maternità, centro e fondamento dell'importanza di Maria, è celebrata ogni anno il 1° gennaio. In vista poi del fatto che sarebbe diventata la madre del suo Figlio, Dio l'ha preservata sin dal suo concepimento dalla macchia con cui ogni uomo entra in questo mondo: ecco la festa dell'Immacolata, l'8 dicembre. E poiché il suo corpo ha dato un corpo al Figlio di Dio, ecco la festa di oggi, il cui significato è espresso così nei testi della Messa: "Tu (Dio) non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita".
Davvero grandi cose ha fatto per lei l'Onnipotente. Ma la festa dell'Assunta, come ogni altra festa cristiana, non è soltanto contemplazione delle opere di Dio: riguarda anche quanti la celebrano. Dice sempre la liturgia di oggi: "(In lei, Signore,) hai fatto risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza". Il cristiano è un pellegrino, che cammina nel tempo avendo chiara la meta, la vita eterna con Dio; Maria è lo specchio in cui si riflette la possibilità che Dio offre a tutti di raggiungere la meta, come è già avvenuto per lei. E questo manifesta che non solo per Maria Dio ha fatto "grandi cose": le ha fatte e le fa anche per chiunque cerchi di condividere la sua fede e la sua disponibilità. Ogni credente può riferire a sé le parole della Madre di Dio, se solo ricorda che l'Onnipotente gli ha dato la vita, lo ammette alla sua amicizia, gli dà un futuro con lui.
Specificamente, come ha glorificato il corpo di Maria, Dio intende fare altrettanto per noi, nei tempi e nei modi che solo lui conosce, perché anche il corpo dell'uomo ha valore ai suoi occhi. Importante è salvarsi l'anima, si dice comunemente; ma è sbagliato: Dio ha creato non l'anima, ma la persona, composta di anima e corpo, e nulla di quanto egli ha creato sfugge alle sue cure o è privo di rilievo. La festa di oggi suona così anche come richiamo ad un atteggiamento corretto verso il corpo, troppo spesso oggetto di attenzioni squilibrate, con forzature di ogni sorta: da un lato cosmetici, lifting, palestra e quant'altro, nel tentativo talora patetico di annullare i segni del tempo che passa; dall'altro la noncuranza, quando non il disprezzo, del corpo altrui, cui si infliggono violenze, fame, abusi e sfruttamento.

Il corpo dell'uomo ha in sé una dignità non inferiore a quella del corpo glorificato di Maria. E allora torna utile riflettere su un episodio riferito dall'evangelista Luca (11,27-28). Una volta, dalla folla in ascolto di Gesù, una donna espresse ad alta voce la sua ammirazione: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!" Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!"


domenica 14 agosto 2011

La grande fede della donna delle briciole

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo attraverso il commento di padre Ermes Ronchi:


Gesù, uomo di incontri. Incontri che trasformano. E la svolta avviene attorno all'immagine dei cagnolini e delle briciole. Gesù dapprima si sottrae: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini.
Nella mentalità comune dei giudei i pagani erano considerati cani. E poi la risposta geniale della madre Cananea: è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. La donna sembra dire «fai delle briciole di miracolo, briciole di guarigione anche per noi, gli ultimi». Qualcosa commuove Gesù e ne cambia l'atteggiamento: è la convinzione assoluta di quella donna che tutti, anche i pagani sono amati, che per Dio non esistono figli e no; è l'umiltà di chi va in cerca solo di briciole, di pane perduto.
Donna, grande è la tua fede!
Non frequenta la sinagoga, invoca altri dèi, Baal e Astarte, ma per Gesù è donna di grande fede. Non tanto o non solo per il suo indomito amore di madre, che non si arrende ai silenzi di Gesù, al suo atteggiamento prima gelido («non le rivolse nemmeno una parola») e poi ruvido. Lo farebbe qualsiasi madre! La grande fede della donna non sta in formule o dichiarazioni, ma in una convinzione profonda, che la incalza: Dio è più attento alla vita e al dolore dei suoi figli che non alla fede che professano.
Non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono per la carne della loro carne: esse conoscono Dio dal di dentro, lo sentono pulsare nel profondo delle loro piaghe, all'unisono con il loro cuore di madre. Credono che il diritto supremo davanti a Dio è dato dalla sofferenza e dal bisogno, non dalla razza o dalla religione. E che questo diritto appartiene a tutti i figli di Dio, che sono tutti uguali, giudei e fenici, credenti e pagani, sotto il cielo di Tiro o sotto quello di Nazaret. E Gesù cambia, si modificano l'ampiezza della sua missione e il volto del Padre. Una donna pagana «converte» Gesù; lo porta ad accogliere come figli i cagnolini di Tiro e di Sidone, lo apre ad una dimensione universale: No, tu non sei venuto solo per quelli di Israele, tu sei pastore del dolore del mondo. Gesù cammina e cresce nella fede, imparando qualcosa su Dio e sull'uomo dall'amore e dall'intelligenza di una madre straniera. Da questo incontro di frontiera, da un dialogo fra stranieri prima brusco e poi rasserenante, emerge un sogno: la terra vista come un'unica grande casa, una tavola ricca di pane, una corona di figli. Una casa dove nessuno, neppure i cuccioli, ha più fame. Dove non ci sono noi e gli altri, uomini e no, ma solo figli e fame da saziare. Dove ognuno, come Gesù, impara da ognuno. Sogno che abita Dio e ogni cuore buono.

sabato 13 agosto 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Trentaseiesima parte

(NB Per Problemi tecnici ieri non è stato possibile l'aggiornamento del blog)

Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: siamo ormai alle battute conclusive e settimana prossima giungeremo alla conclusione definitiva di un racconto che ci ha letteralmente fatto tremare dall'emozione di osservare una così profonda testimonianza di fede. Oggi veniamo proiettati nella dimensione dei miracoli compiuti dal beato Francesco: in particolare vediamo i primi tre miracoli che si riferiscono alla guarigione di paralitici, ciechi e indemoniati (gli stessi miracoli che hanno accompagnato l'esistenza terrena di Gesù, a dimostrazione quale intima unione vi sia fra il poverello d'Assisi e il Signore Gesù Cristo). 

I MIRACOLI DI SAN FRANCESCO

127. Invocando umilmente la grazia del Signor nostro Gesù Cristo, nell'intento di eccitare la doverosa devozione dei contemporanei e corroborare la fede dei posteri, prendiamo a narrare brevemente, ma secondo verità, i miracoli che, come abbiamo sopra ricordato, furono letti e annunziati al popolo, presente il Signor papa Gregorio.

I.

PARALITICI GUARITI 

Il giorno medesimo in cui il santo corpo di Francesco, come un preziosissimo tesoro, fu sepolto cosparso di aromi celesti più che terrestri, venne condotta sulla sua tomba una fanciulla, che già da un anno aveva il collo orrbilmente piegato da una parte e il capo aderente alla spalla, così che non poteva guardare in alto se non di traverso e a gran fatica. Le misero per qualche istante il capo sotto l'urna in cui riposava il corpo del Santo; immediatamente, per i meriti di lui, la fanciulla eresse il collo e il capo riprese la sua posizione normale, tanto che essa, colta da spavento per l'improvvisa trasformazione, cominciò a fuggire e a piangere. Sulla spalla si vedeva come una fossa dovuta evidentemente alla posizione innaturale del capo durante la lunga infermità.

128. Nel territorio di Narni viveva un fanciullo con una tibia talmente deformata che non poteva muoversi se non appoggiandosi su due stampelle. Era povero e viveva di elemosine, poiché era ammalato da molti anni e non conosceva neppure suo padre e sua madre. Per i meriti del beatissimo padre nostro Francesco riacquistò piena salute, e camminava liberamente, senza bastone, lodando e benedicendo Iddio e il suo servo fedele.

129. Un abitante di Foligno, di nome Nicolò, era paralizzato alla gamba sinistra. Straziato dal dolore, aveva speso più di quanto potesse in medici, fino a indebitarsi, nella speranza di ricuperare la salute. Vedendo che tutte le cure non approdavano a nulla e rincrudendosi il dolore al punto che con i suoi ripetuti urli nella notte impediva il sonno anche ai vicini, decise finalmente di votarsi a Dio e a san Francesco, e si fece condurre sul sepolcro di lui. Vi rimase una notte intera in preghiera. Ed ecco, poté tornare a casa con le proprie gambe, senza bastone, il cuore pieno di gioia.

130. Un altro fanciullo aveva una gamba contorta in maniera tale che il ginocchio aderiva al petto e il calcagno alla coscia. I genitori lo portarono al sepolcro del Santo, e intanto il padre si era rivestito di un aspro cilicio, mentre la madre si impegnava in una dolorosa penitenza per lui. Guarì così rapidamente e completamente, che poteva correre tutto sano e lieto per la piazza, rendendo grazie a Dio e al beato Francesco.

131. Nella città di Fano c'era un rattrappito, che aveva le tibie ulcerate, ripiegate all'indietro e appiccicate al corpo e talmente maleodoranti che nessuno si sentiva disposto ad accoglierlo in ospedale. Egli implorò la misericordia del beatissimo padre Francesco, e poco dopo ebbe la gioia di vedersi completamente ristabilito.

132. Una bambina di Gubbio dalle mani rattrappite, già a un anno aveva perduto l'uso di tutte le membra. La balia, fiduciosa di ottenere la guarigione, la porta alla tomba di san Francesco, recando con sé anche una figura di cera della misura della bimba. Dopo otto giorni di attesa, ecco avverarsi il miracolo: la piccola inferma ricupera l'uso delle sue membra, così da essere ritenuta idonea alle faccende di prima.

133. Un ragazzo di Montenero, incapace di camminare e di star seduto perché paralizzato dalla cintola in giù, giaceva da più giorni privo di forze davanti alla chiesa che custodiva il corpo del Santo. Ma un giorno riuscì ad entrare in chiesa e si trascinò fino a toccare il sepolcro, e subito si sentì guarito e uscì fuori sano e salvo. Raccontava questo ragazzo che, mentre se ne stava presso la tomba del glorioso Santo, gli si parò innanzi, proprio sopra il sepolcro, un giovane vestito da frate, con delle pere in mano, il quale offrendogli una pera, lo incoraggiò ad alzarsi. Lui, prendendo la pera, aveva risposto: «Come vedi, sono rattrappito e non posso alzarmi». Intanto mangiò la pera e stese la mano per prendere una seconda pera che il giovane gli offriva incoraggiandolo ancora una volta ad alzarsi. Ma l'infermo, ancora appesantito dal male non riusciva a mettersi in piedi. Mentre però stendeva la mano, il giovane frate gli lasciò prendere la pera, intanto gli prese la mano, lo condusse fuori e sparì. Ed egli, vedendosi sano e guarito aveva incominciato subito a gridare con tutta la voce, raccontando a tutti quello che gli era accaduto.

134. Una donna di Coccorano che era priva dell'uso di tutte le membra, ad eccezione della lingua, venne trasportata su una barella di stuoie al sepolcro del Santo. Dopo una breve sosta, si rialzò completamente guarita.

Anche un altro cittadino di Gubbio portò, dentro una cesta, un suo figlioletto davanti al sepolcro del Santo. Era talmente deformato, che aveva le tibie del tutto atrofizzate e ripiegate sui femori. Lo riebbe completamente guarito.

135. C'era a Narni un povero mendicante, di nome Bartolomeno. Una volta si era addormentato sotto un noce; al risveglio ebbe la dolorosa sorpresa di trovarsi paralizzato e di non poter più camminare. Crescendo il male di giorno in giorno, la gamba e il piede colpiti si assottigliarono, si piegarono e si inaridirono in modo tale, che il poveretto non avvertiva più né tagli né ustioni. Ma una notte gli appare in sogno il beato Francesco, vero amico dei poveri e padre dei miseri, invitandolo a recarsi a un bagno campestre, perché, commosso da tanta miseria, aveva deciso di guarirlo. L'infermo, destandosi, non sapendo cosa fare, racconta per filo e per segno la visione al vescovo della città, il quale lo consiglia di fare come gli era stato detto in sogno e lo benedice. Così, aiutandosi col suo bastone, si avvia barcollante, come meglio può verso il luogo indicato dal Santo. Mentre se ne va, triste e stremato per lo sforzo, ode una voce: «La pace del Signore sia con te! Coraggio, io sono colui al quale ti sei votato!». Il bagno è ormai vicino, ma è notte ed egli sbaglia strada; e la solita voce lo avverte e gli indica la direzione giusta. Ed ecco, appena arriva e si immerge nel bagno, una mano gli tocca il piede e un'altra mano la gamba riportandoli dolcemente alla posizione normale. Sentendosi guarito, balza fuori dall'acqua lodando e benedicendo l'onnipotenza del Creatore e il beatissimo suo servo Francesco, che gli aveva fatto una grazia così grande. Infatti erano sei anni che viveva in quello stato miserando ed era molto anziano.

II.

I CIECHI RICUPERANO LA VISTA

136. Una donna di nome Sibilla, da molti anni cieca, viene un giorno condotta, cieca e triste, sulla tomba del Santo. Ricupera istantaneamente la vista e se ne torna a casa lieta e giuliva.

Così anche un uomo di Spello ricupera la vista, da tempo perduta, davanti al sepolcro del Santo.

C'è a Camerino, una donna cieca all'occhio destro. I parenti le applicano sull'occhio leso un panno toccato dal beato Francesco, facendo un voto; subito esauditi, cantano a Dio e al Santo il loro gioioso ringraziamento.

Un caso analogo capita ad una donna di Gubbio, che non finisce di rallegrarsi per avere riavuta la vista in seguito a un voto fatto.

Un assisano cieco da cinque anni, che era stato amico di Francesco in vita, e continuava a pregarlo, ricordandogli la passata amicizia, si ritrovò guarito al solo contatto col sepolcro di lui.

Un certo Albertino di Narni aveva perduto completamente la vista e le palpebre gli scendevano fino agli zigomi. Appena fece voto al beato Francesco, fu prontamente guarito; allora fece i suoi preparativi e venne a visitare il sepolcro di lui.

III.

GLI INDEMONIATI LIBERATI

137. Viveva a Foligno un uomo di nome Pietro. Postosi in cammino per visitare il santuario di San Michele arcangelo, - non si sa se per adempiere un voto o per soddisfare una penitenza impostagli, - arrivato ad una fonte, stanco e assetato, prese a bere dell'acqua e gli sembrò d'avere ingoiato dei demoni. Ed effettivamente da quell'istante rimase ossesso per tre anni, dicendo e compiendo cose orrende. Si portò alla tomba del santissimo padre Francesco, e vi giunse ancora strapazzato dai demoni, più che mai furiosi contro di lui; appena toccò il sepolcro, fu, con evidente e chiaro miracolo liberato del tutto e per sempre.

138. Una volta il Santo apparve a una donna di Narni che era furiosa e talmente fuori di sé che faceva e diceva cose spaventose e sconce, e le disse: «Fatti un segno di croce». Quella rispose di essere impedita. Allora Francesco stesso glielo impresse sulla fronte; e all'istante fu liberata dalla pazzia e da ogni influsso demoniaco.

Innumerevoli sono stati gli infelici uomini e donne che tormentati in vari modi e con molteplici inganni dai demoni, furono liberati in virtù dei meriti del glorioso padre. Ma siccome tali persone possono essere sovente vittime piuttosto di illusione, ne abbiamo fattto soltanto un rapido accenno, per passare al racconto di fatti più importanti e mirabili.

giovedì 11 agosto 2011

Sessualità umana - XXV appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Continuano le raccomandazioni finali rivolte soprattutto ai genitori che si trovano a dover educare i propri figli all'amore e alla sessualità. Importante è ricordarsi sempre che Cristo ha la precedenza su ogni cultura e tradizione, perciò bisogna verificare se vi è compatibilità tra una cultura e/o tradizione ed il Vangelo di Gesù Cristo. Vi sono, infatti, molte pratiche contrarie al Vangelo e la stessa cultura sessuale occidentale, dominata dalla libertà del piacere sessuale in tutte le sue forme, non può né deve essere imposta da nessuno (come purtroppo è avvenuto già in un paese europeo che ha condannato i genitori che si erano opposti a che i figli propri assistessero alle lezioni di educazione sessuale nelle scuole pubbliche):

VII

ORIENTAMENTI PRATICI

I metodi particolari  

L'inculturazione e l'educazione all'amore

143. Un'autentica educazione all'amore deve tener conto del contesto culturale in cui vivono i genitori e i loro figli. Come un connubio tra la fede professata e la vita concreta, l'inculturazione è un'armonizzazione tra la fede e la cultura, dove Cristo e il suo Vangelo hanno la precedenza assoluta sulla cultura. « Poiché trascende tutto l'ordine della natura e della cultura, la fede cristiana, da un lato, è compatibile con tutte le culture, in ciò che hanno di conforme alla retta ragione e alla buona volontà, e, dall'altro, è essa stessa, in grado eminente, un fatto dinamizzante la cultura. Un principio illumina l'insieme dei rapporti della fede e della cultura: la grazia rispetta la natura, la guarisce dalle ferite del peccato, la corrobora e la eleva. La sopraelevazione alla vita divina è la finalità specifica della grazia, ma essa non può realizzarsi senza che la natura sia guarita e senza che l'elevazione all'ordine soprannaturale conduca la natura, nella sua linea propria, a una pienezza di formazione ».31 Perciò, non si può giustificare mai l'educazione sessuale esplicita e precoce dei bambini nel nome di una prevalente cultura secolarizzata. D'altra parte, i genitori devono educare i propri figli a capire e ad affrontare le forze di questa cultura, perché possano seguire sempre il cammino di Cristo.

144. Nelle culture tradizionali, i genitori non devono accettare le pratiche contrarie alla morale cristiana, per esempio nei riti associati con la pubertà, che talora comportano l'introduzione dei giovani alle pratiche sessuali o fatti contrari alla integrità e dignità della persona come la mutilazione genitale delle ragazze. Appartiene dunque alle autorità della Chiesa di giudicare la compatibilità dei costumi locali con la morale cristiana. Le tradizioni della modestia e della riservatezza in materia sessuale, che caratterizzano diverse società, devono, però, essere rispettate ovunque. Allo stesso tempo, il diritto dei giovani ad un'adeguata informazione deve essere mantenuto. Inoltre, si deve rispettare il ruolo particolare della famiglia in tale cultura,32 senza imporre alcun modello occidentale dell'educazione sessuale.

mercoledì 10 agosto 2011

Alle sorgenti della Pietà - IX parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana. Continua oggi la trattazione del mondo invisibile, solo che stavolta la riflessione cade sugli angeli cattivi ed in particolare su quella dolorosa realtà rappresentata da satana: 

- Capitolo 7 -

"CREATORE DELLE COSE VISIBILI E INVISIBILI!" (3)

 IL MONDO ANGELICO (2) 

 B) GLI ANGELI CATTIVI 

Parlando delle creature invisibili, oggetto della nostra professione di fede, dobbiamo trattare anche di un argomento molto triste e molto spinoso: il Diavolo.

Lo so che al solo nominarlo alcuni sentono puzza di Medioevo, altri sogghignano increduli, altri ancora strizzano l'occhio con benevola condiscendenza come per dire: "Beh! si capisce! se la Chiesa, com'è suo dovere, non agita lo spauracchio del Diavolo e dell'Inferno, come può mettere un po' di freno a questo mondo così corrotto?".

Ci saranno magari delle mamme che per paura di influenzare con i tabù dei secoli bui i loro bambini, non vorranno che se ne parli neppure al catechismo, mentre non hanno difficoltà a far loro vedere cose più realistiche, come ad esempio, certi filmetti alla TV piuttosto spinti o pieni di morti e di mostri...

Altre ancora si faranno il segno della croce pensando di sentire chissà quali storie di corna, code, forche, fiamme... No! State tranquilli: nulla di tutto ciò, ma unicamente quello che ne dice Gesù e come lo dice Lui. Spero che almeno a Lui crederete!

ESISTE IL DEMONIO?

C'è chi ha contestato vivacemente e irriverentemente il Papa Paolo VI quando ha parlato del demonio, quasi che quel Pontefice si sia inventato il Diavolo o, comunque, lo abbia evocato dal dimenticatoio dove ormai lo aveva relegato una troppo facile e semplicistica catechesi, una teologia quantomeno discutibile e fatta passare per dottrina sicura di tutta la Chiesa e una certa pseudo scienza parapsicologica.

In realtà il Papa non aveva fatto altro che richiamare, in termini moderni, l'insegnamento biblico sullo Spirito del Male, insegnamento che la Chiesa non ha mai rinnegato. Ero incerto se toccare questo argomento, ma l'incontro che ho avuto con il Santo Padre, Giovanni Paolo II, il martedì 24 marzo 1981 in occasione della Santa Messa celebrata per Radio Tele Pace, mi ha tolto ogni indugio.

Il Papa, infatti, parlando affabilmente con noi dopo la Santa Messa ha ,fortemente insistito sulla lotta che le potenze del male hanno scatenato contro la Chiesa. "Et portae inferi non prevalebunt" ci ha detto invitandoci alla fiducia, ma ha pure soggiunto: "E' necessario però lottare, lottare". Su questo argomento è tornato più volte e ciò mi ha colpito. Non ha nominato espressamente il Diavolo, ma il discorso era molto chiaro. Noi siamo andati a Roma dal Vicario di Cristo per essere confermati nella fede cattolica e io ho accolto questa professione di fede del Papa sulla lotta contro il potere delle tenebre come una conferma dell'indefettibile dottrina della Chiesa sull'esistenza e l'azione del Maligno.

Non sono mancati e non mancano teologi che si pongono la domanda se il Maligno, di cui parla la Bibbia, non debba intendersi come un simbolo, il simbolo del male. Essi tendono, perciò, a rifiutare una identità personale del Demonio e interpretano i fatti dell'Antico Testamento e del Vangelo (nei quali egli viene presentato come un essere individuale e personale), quale frutto della mentalità di quei tempi e di quei luoghi, mentalità che sarebbe poi passata nella Chiesa e che avrebbe imperversato soprattutto nel Medioevo.

LA BIBBIA E IL DEMONIO

Anche qui, come abbiamo detto a proposito degli Angeli, ripetiamo che non si possono prendere tutti gli episodi biblici allo stesso modo. Indubbiamente il linguaggio e la mentalità rispecchiano i tempi e gli ambienti in cui hanno avuto origine i vari libri della Sacra Scrittura. In alcuni episodi la figura di Satana appare evidentemente quale frutto della fantasia dello scrittore, come avviene ad esempio nel Libro di Giobbe. Altre volte riesce difficile distinguere tra il Maligno ed il Male, cioè tra la cattiveria e la sua personificazione nel Demonio (vedi ad esempio l'ultima petizione del Padre Nostro dove la parola greca in alcuni testi viene letta come poneron, al neutro, e quindi viene tradotta con Male. Così, per esempio, fa la versione della CEI che ci fa dire: "...liberaci dal male". Invece la traduzione interconfessionale legge nel greco tou ponerou ossia: dal Maligno. E' difficile stabilire con certezza quale delle due versioni sia la più esatta). Sono molti. però. i passi biblici in cui la persona del Demonio viene chiaramente affermata. Possiamo dire questo: gli scrittori del Nuovo Testamento sono convinti che tutto il dolore e tutta la malvagità del mondo è causata senz'altro dal Maligno, dal demonio, chiamato anche Satana (cioè l'avversario, il nemico del genere umano) il grande dragone dell'Apocalisse (Ap 12), l'antico serpente della Genesi (Gen 3), il principe di questo mondo (Gv 12,31) e il seminatore del male nel campo di Dio di cui parla Gesù (Mt 13,39). Le sue opere, sempre secondo l'insegnamento degli evangelisti e degli apostoli, sono le tentazioni al peccato, la possessione, la malattia e la morte. Ma l'uomo non subisce l'azione diretta del demonio soltanto in questi casi di sofferenza. Qualunque forma di concupiscenza fa parte di quelle reti diaboliche che tendono a rovinare l'uomo.

LA LOTTA CONTRO SATANA

L'opera salvifica di Gesù è diretta perciò sostanzialmente contro il demonio. Il Regno di Dio, già operante in Cristo, segna la fine della potenza ininterrotta di Satana. D'ora innanzi l'uomo ha la possibilità di sfuggire al dominio del Maligno grazie a Cristo Salvatore e Signore. Naturalmente per il Nuovo Testamento è ovvio che il Demonio non ha nessuna intenzione di accettare pacificamente che l'uomo ritorni al suo Dio. Anche quando il suo tentativo decisivo di annientare lo stesso Gesù fallisce, il suo odio contro gli abitanti della, terra resta immutato. Non potendo in partenza impedire o falsificare il messaggio evangelico della salvezza, il demonio, un po' con le seduzioni mondane, un po' con minacce piuttosto pesanti tenta di stornare nuovamente la fede di tutti coloro che l'hanno abbracciata per poi rovinarli. Per questo sarebbe fatale, secondo il messaggio del Nuovo Testamento, se il credente allentasse anche solo un poco la vigilanza e la lotta contro il Demonio. (Dal Dizionario Religioso, pag. 181-182). Scrive in proposito San Paolo agli Efesini (6,10-11): "Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i Dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti". E' evidente che l'Apostolo parla del Diavolo e degli angeli suoi, quegli angeli cioè che seguendo l'apostasia di Lucifero si sono ribellati a Dio diventando suoi nemici.

Per essi, afferma Gesù, è stato creato l'Inferno: 'Via da me, maledetti - Egli dirà ai dannati - nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Mt 25,41).

Come si fa a interpretare simbolicamente queste parole così dure e così chiare? Non è possibile! Qui Gesù parla espressamente e dell'esistenza del diavolo e dell'esistenza dell'inferno.

San Giovanni, nella sua la Lettera, cap. 3, 8, scrive: "Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è venuto proprio per distruggere le opere del diavolo".

Qui non solo abbiamo un'esplicita affermazione dell'esistenza del diavolo, ma anche viene esplicitata l'idea, per noi cristiani fondamentale, che Gesù è venuto proprio per liberarci dal diavolo e dalle sue opere. Infatti noi proclamiamo che Gesù è il nostro Salvatore. Ma da chi e da che cosa ci avrebbe salvato se non esistessero il Diavolo e l'Inferno? Le due realtà sono legate insieme da un'unica fede: Gesù Salvatore da una parte; il Demonio e l'Inferno dall'altra. L'opera salvifica di Gesù consiste appunto nel liberarci dal potere di Satana e dal cadere nell'Inferno.

Ogni altra spiegazione dell'origine del male e dell'oppressione della malvagità sul mondo non può essere in accordo con la fede cattolica riguardante il mistero della salvezza.

Ben a ragione, dunque, Paolo VI parla di rinnovata presenza diabolica nel mondo e nella Chiesa di oggi quando afferma: 'Abbiamo la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. ...Non ci si fida più della Chiesa, ci si fida del primo profeta profano che viene a parlarci da qualche giornale o da qualche moto sociale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita... Eentrato il dubbio nelle finestre che invece dovevano essere aperte alla luce... Noi crediamo in qualcosa di preternaturale, venuto nei mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico e per impedire che la Chiesa scoppiasse nell'inno della gioia di aver avuto in pienezza la coscienza di sè..." (Paolo VI - 29/06/1972). Sono parole di un Papa, non di un uomo qualsiasi. Sono parole meditate, sofferte, volutamente pronunciate perché i credenti prendano coscienza di questa dolorosa realtà che è Satana.

Qui non si tratta di ritornare al Medioevo e nemmeno alle paure e ai tabù primitivi. Qui si tratta di prendere Satana e la sua opera demolitrice molto sul serio e di contrastarla lottando contro di lui con la potenza che ci viene da Dio. "Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio ed Egli si avvicinerà a voi... Umiliatevi davanti al Signore ed Egli vi esalterà". Sono parole dell'apostolo San Giacomo (4,7- 10) con le quali egli ci insegna come lottare contro Satana.

Anche San Pietro ci insegna la medesima cosa quando scrive: "Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché Egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede...". Poi, come consolazione, afferma: "Il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà dopo una breve sofferenza e vi confermerà e vi renderà forti e salvi!" (1a pt 5,6-10).

E' così che dobbiamo vivere la nostra convinzione cattolica sull'esistenza del demonio e del suo potere! Molti affrontano la lotta contro il Maligno ricorrendo ai sortilegi ed alle stregonerie come pure ai maghi, agli astrologi e cose del genere che la Bibbia afferma essere in abominio a Dio e la Chiesa condanna come opere di superstizione. Invece dobbiamo affrontare Satana ponendo umilmente tutta la nostra fiducia nel Signore che nel suo Figlio Gesù ha vinto la potenza del Maligno. Le vere armi per contrastare e vincere le insidie del Maligno sono quelle che la Chiesa ci ha sempre offerto e che la Madonna continuamente ci richiama e cioè: la vigilanza, la penitenza, la preghiera. Soprattutto rivolgiamoci a Maria Immacolata, rifugiamoci nel suo Cuore materno invocandola con fervore e fiducia perché il demonio teme assai la Sua Persona e il Suo Nome! Nei casi di possessione o di ossessione (in realtà molto rari) abbiamo a disposizione la potente intercessione della Chiesa alla quale Gesù ha dato il potere di cacciare i demoni. Non dobbiamo quindi aver paura di Satana e del suo mondo tenebroso. Prudenti e vigilanti sì, ma non trepidanti e impauriti perché Dio è più forte di lui. A questo proposito vorrei ricordarvi che l'esorcismo più potente lo abbiamo nella recita del Padre Nostro e nel segno della Croce. Avanti, dunque, con fede e senza paure. Gesù ci ha detto: "Abbiate fiducia; Io ho vinto!".

CONTEMPLAZIONE

Oggi la nostra contemplazione viene fornita ancora una volta da un Salmo che la Chiesa ci fa recitare la sera della domenica per chiedere la protezione del Signore contro le insidie del Maligno. Medita questo Salmo con calma e devozione. Ne ricaverai serenità e sicurezza.

Salmo 90

Tu che abiti al riparo dell'Altissimo e dimori all'ombra dell'Onnipotente,

dì al Signore: «Mio rífugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido».

Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge.

Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio. La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte né la freccia che vola di giorno,

la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Mille cadranno al tuo franco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire.

Solo che tu guardi, con i tuoi occhi vedrai il castigo degli empi. Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell'Altissimo la tua dimora, non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda.

Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede.

Camminerai su aspidí e vipere, schiaccerai leoni e draghi.

Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.

Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi giorni.

martedì 9 agosto 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXXVII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Oggi ci soffermiamo sull'importante tappa della preparazione al matrimonio e alla vita familiare che si snoda in diversi gradi:

PARTE QUARTA

LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI

I. I tempi della pastorale familiare 

La preparazione

66. Più che mai necessaria ai nostri giorni è la preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare. In alcuni Paesi sono ancora le famiglie stesse che, secondo antiche usanze, si riservano di trasmettere ai giovani i valori riguardanti la vita matrimoniale e familiare, mediante una progressiva opera di educazione o iniziazione. Ma i mutamenti sopravvenuti in seno a quasi tutte le società moderne esigono che non solo la famiglia, ma anche la società e la Chiesa siano impegnate nello sforzo di preparare adeguatamente i giovani alle responsabilità del loro domani. Molti fenomeni negativi che oggi si lamentano nella vita familiare derivano dal fatto che, nelle nuove situazioni, i giovani non solo perdono di vista la giusta gerarchia dei valori, ma, non possedendo più criteri sicuri di comportamento, non sanno come affrontare e risolvere le nuove difficoltà. L'esperienza però insegna che i giovani ben preparati alla vita familiare in genere riescono meglio degli altri.

Ciò vale ancor più per il matrimonio cristiano, il cui influsso si estende sulla santità di tanti uomini e donne. Per questo la Chiesa deve promuovere migliori e più intensi programmi di preparazione al matrimonio, per eliminare, il più possibile, le difficoltà in cui si dibattono tante coppie a ancor più per favorire positivamente il sorgere e il maturare dei matrimoni riusciti.

La preparazione al matrimonio va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata.

La preparazione remota ha inizio fin dall'infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze. E' il periodo in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali, con quel che ciò significa per la formazione del carattere, per il dominio ed il retto uso delle proprie inclinazioni, per il modo di considerare e incontrare le persone dell'altro sesso, e così via. E' richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una solida formazione spirituale e catechetica, che sappia mostrare nel matrimonio una vera vocazione e missione, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa.

Su questa base in seguito si imposterà, a largo respiro, la preparazione prossima, la quale - dall'età opportuna e con un'adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale - comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta. Questa rinnovata catechesi di quanti si preparano al matrimonio cristiano è del tutto necessaria, affinché il sacramento sia celebrato e vissuto con le dovute disposizioni morali e spirituali. La formazione religiosa dei giovani dovrà essere integrata, al momento conveniente e secondo le varie esigenze concrete, da una preparazione alla vita a due che, presentando il matrimonio come un rapporto interpersonale dell'uomo e della donna da svilupparsi continuamente, stimoli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale e della paternità responsabile, con le conoscenze medico-biologiche essenziali che vi sono connesse, ed avvii alla familiarità con retti metodi di educazione dei figli, favorendo l'acquisizione degli elementi di base per un'ordinata conduzione della famiglia (lavoro stabile, sufficiente disponibilità finanziaria, saggia amministrazione, nozioni di economia domestica, ecc.).

lnfine non si dovrà tralasciare la preparazione all'apostolato familiare, alla fraternità e collaborazione con le altre famiglie, all'inserimento attivo in gruppi, associazioni, movimenti e iniziative che hanno per finalità il bene umano e cristiano della famiglia.

La preparazione immediata a celebrare il sacramento del matrimonio deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze quasi a dare un nuovo significato, nuovo contenuto e forma nuova al cosiddetto esame prematrimoniale richiesto dal diritto canonico. Sempre necessaria in ogni caso, tale preparazione si impone con maggiore urgenza per quei fidanzati che ancora presentassero carenze e difficoltà nella dottrina e nella pratica cristiana.

Tra gli elementi da comunicare in questo cammino di fede, analogo al catecumenato, ci deve essere anche una conoscenza approfondita del mistero di Cristo e della Chiesa, dei significati di grazia e di responsabilità del matrimonio cristiano, nonché la preparazione a prendere parte attiva e consapevole ai riti della liturgia nuziale.

Alle diverse fasi della preparazione al matrimonio - che abbiamo descritto solo a grandi linee indicative - devono sentirsi impegnate la famiglia cristiana e tutta la comunità ecclesiale. E' auspicabile che le conferenze episcopali, come sono interessate ad opportune iniziative per aiutare i futuri sposi ad essere più consapevoli della serietà della loro scelta e i pastori d'anime ad accertarsi delle loro convenienti disposizioni, così curino che sia emanato un Direttorio per la pastorale della famiglia. In esso si dovranno stabilire, anzitutto, gli elementi minimi di contenuto, di durata e di metodo dei «Corsi di preparazione», equilibrando fra loro i diversi aspetti - dottrinali, pedagogici, legali e medici - che interessano il matrimonio, e strutturandoli in modo che quanti si preparano al matrimonio, al di là di un approfondimento intellettuale, si sentano spinti ad inserirsi vitalmente nella comunità ecclesiale.

Benché il carattere di necessità e di obbligatorietà della preparazione immediata al matrimonio non sia da sottovalutare - ciò che succederebbe qualora se ne concedesse facilmente la dispensa - tuttavia, tale preparazione, deve essere sempre proposta e attuata in modo che la sua eventuale omissione non sia di impedimento per la celebrazione delle nozze.

lunedì 8 agosto 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Ventiseiesimo appuntamento

 Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Oggi continuiamo a vedere come il rapporto intimo tra Gesù e Suor Faustina si rinsaldi con quest'ultima che acquisisce nuova consapevolezza e forza nell'affrontare le difficoltà del suo cammino:

+ Una mattina udii nell'anima queste parole: «Va' dalla Madre Generale e dille che la tal cosa in quella data casa non mi piace ». Non posso dire di che cosa si trattasse, né di quale casa; ma alla Madre Generale lo dissi, sebbene mi costasse molto. Una volta accettai di subire la spaventosa tentazione, da cui era tormentata una delle nostre educande nella casa di Varsavia. Era la tentazione del suicidio. Soffrii per sette giorni. Dopo sette giorni Gesù le concesse la grazia e da quel momento anch'io cessai di soffrire. Questa è una sofferenza grande. Prendo spesso su di me i travagli delle nostre allieve. Gesù me lo permette e lo permettono anche i confessori. Il mio cuore è la dimora stabile di Gesù. All'infuori di Gesù nessun altro vi ha accesso. Da Gesù attingo la forza per lottare contro tutte le difficoltà e contrarietà. Desidero trasformarmi in Gesù, per potermi dedicare perfettamente alle anime. Senza Gesù non mi avvicinerei alle anime, perché so quello che sono in me stessa. Assorbo Iddio dentro di me, per poterLo dare alle anime.

+27.11.33. Desidero stancarmi, lavorare, annientarmi per la nostra opera di salvezza delle anime immortali. Non importa se questi sforzi abbrevieranno la mia vita, dato che essa non appartiene più a me, ma è proprietà della congregazione. Con la fedeltà alla congregazione desidero essere utile a tutta la Chiesa. O Gesù, oggi la mia anima è come offuscata dalla sofferenza. Nemmeno un raggio di luce. La tempesta infuria e Gesù dorme. O mio Maestro, non Ti sveglierò, non interromperò il Tuo dolce sonno. Io credo che Tu mi stia fortificando, senza che io me ne accorga. Vi sono ore intere in cui Ti adoro, o Pane vivo, in una grande aridità di spinto. O Gesù, l'amore puro non ha bisogno di consolazioni: si nutre della Tua volontà. O mio Sovrano, la Tua volontà è lo scopo della mia esistenza. Mi sembra che tutto il mondo sia al mio servizio e che dipenda da me. Tu, o Signore, comprendi la mia anima in tutte le sue aspirazioni. O Gesù, quando io stessa non posso cantarTi l'inno dell'amore, ammiro il canto dei Serafini, tanto amati da Te. Desidero, come fanno essi, immergermi in Te. Ad un simile amore nulla porrà un argine, poiché nessuna forza ha potere su di lui. Esso è simile al fulmine che illumina l'oscurità, ma non rimane in essa. O mio Maestro, plasma Tu stesso la mia anima secondo la Tua volontà ed i Tuoi eterni intendimenti. Una certa persona si è quasi assunta il compito di esercitarmi in vari modi nella virtù. Un giorno mi prese nel corridoio e cominciò col dire che non aveva l'autorità per farmi osservazioni, ma mi ordinò di fermarmi per mezz'ora in piedi nel corridoio di fronte alla piccola cappellina e di attendere la Madre Superiora ed al suo ritorno, dopo la fine della ricreazione, di accusarmi di svariate cose, che essa mi elencò, perché me ne accusassi. Benché non ne avessi nell'anima la minima idea, tuttavia ubbidii ed attesi per mezz'ora la Superiora. Ogni Suora che passava vicino a me, mi guardava ridendo. Quando mi accusai di fronte alla Madre Superiora, essa mi mandò dal confessore. Appena cominciai a confessarmi, quel Sacerdote s'accorse subito che c'era qualche cosa che non proveniva dalla mia anima e che io non avevo la più pallida idea di quelle cose e si meravigliò che quella persona avesse potuto giungere a dare un ordine simile. O Chiesa di Dio, tu sei la migliore delle madri. Tu sola sai educare e far crescere le anime. Oh! quanto amore e quanta venerazione ho per la Chiesa, per la migliore delle madri. Una volta il Signore mi disse: « Figlia Mia, la tua fiducia ed il tuo amore intralciano la Mia giustizia e non posso punire, perché Me lo impedisci ». Oh! quanta forza ha un'anima piena di fiducia! Quando penso ai voti perpetui ed a chi è Colui che desidera unirsi a me, questo pensiero m'induce a meditare su di Lui per ore intere. Come può succedere questo? Tu sei Dio e io una Tua creatura. Tu sei il Re immortale ed io una mendicante e la miseria in persona. Ma ormai è tutto chiaro per me, infatti questo abisso, Signore, lo colmano la Tua grazia e l'amore. Quest'amore colmerà l'abisso che c'è fra Te, o Gesù, e me. O Gesù, quanto profondamente rimane ferita un'anima quando essa cerca sempre di essere sincera ed invece l'accusano di ipocrisia e la trattano con diffidenza. O Gesù, anche Tu hai sofferto questo, per dare una riparazione al Padre Tuo. Desidero nascondermi in modo che nessuna creatura conosca il mio cuore. O Gesù, solo Tu conosci il mio cuore e lo possiedi totalmente. Nessuno conosce il nostro segreto. Con uno sguardo ci comprendiamo a vicenda. Dal momento che ci siamo conosciuti, sono felice. La Tua grandezza mi riempie completamente. O Gesù, quando sono all'ultimo posto e più in basso anche delle giovani postulanti, allora mi sento al posto adatto per me. Non sapevo che in quegli angoletti bui, il Signore avesse collocato tanta felicità. Adesso comprendo che anche in una prigione può erompere da un cuore puro una abbondanza d'amore per Te. Le cose esteriori non hanno significato per un amore puro; esso supera tutto. Né le porte di una prigione, né le porte del cielo contano per lui. Esso giunge fino a Dio Stesso e nulla riesce ad estinguerlo. Per lui non esistono barriere: è libero come un re ed ha ovunque ingresso libero. La morte stessa deve piegare la testa di fronte a lui.

Oggi è venuta da me una mia sorella carnale. Quando mi ha esposto le sue intenzioni, sono rimasta di stucco. E mai possibile? È una cara e bella anima di fronte a Dio, ma un fitto buio è sceso su di lei e non sapeva come cavarsela. Vedeva nero ovunque. il buon Dio l'ha affidata a me. Per due settimane ho potuto lavorare su di lei. Ma quanti sacrifici mi è costata quell'anima, Dio solo lo sa. Per nessun'altra anima, come per la sua, ho portato al trono di Dio un così gran numero di sacrifici, di sofferenze e di preghiere. Sentii d'aver costretto Dio a concederle la grazia. Quando penso a tutto questo, vedo un vero miracolo. Mi rendo conto del grande potere che ha la preghiera d'intercessione presso Dio. Ora, in questo tempo di Quaresima, sento la Passione del Signore nel mio corpo; tutto ciò che ha sofferto Gesù lo vivo profondamente nel mio cuore benché all'esterno le mie sofferenze non trapelino affatto. Le conosce soltanto il confessore. Breve colloquio con la Madre Maestra. Quando le domandai alcuni particolari per progredire nella vita interiore, quella santa Madre mi rispose a tutto con molta chiarezza di argomenti. Mi disse: « Se lei, sorella, continuerà a cooperare così con la grazia di Dio, sarà solo ad un passo dalla stretta unione con Dio. Lei comprende in che senso lo dico. La sua caratteristica sia la fedeltà alla grazia del Signore. Non tutte le anime Iddio le conduce per una tale strada ».

domenica 7 agosto 2011

Uomini di poca fede, perché dubitate?

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci mostra il dubbio della fede e il pronto intervento di Gesù, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Facile immaginarvi, carissimi, in giro un poco ovunque, per un giusto momento di riposo - almeno dovrebbe essere così. Un riposo a volte strappato davvero con le unghie, data la difficoltà economica che il mondo sta attraversando. Un riposo che purtroppo non è di tutti o per tutti.
Ogni volta, vi confesso, che anch'io mi accingo a programmare un breve periodo di riposo, mi viene quasi il rimorso, pensando a tanti che non possono godere di questa piccola gioia e non nascondo che, a volte, verrebbe voglia di rinunciarvi, per vivere fino in fondo la condivisione con chi non può. L'unica giustificazione che mi do è quella di spendere il riposo in modo da essere poi più fresco nel farmi dono a tutti... anche se, ovunque vado, vengo richiesto per presenze nelle varie comunità, per fare dono della S. Messa o di una buona Parola.
Ma lo faccio volentieri, perché è bello anche solo vedere come tanti, ma tanti, in un tempo di riposo, desiderino ascoltare la Parola... senza contare i numerosi incontri, camminando sui sentieri dei monti, che sono un arricchimento nella comunione.
Ci furono delle estati - ben dieci - in cui ebbi in dono da una comunità alpina una struttura per poter alloggiare i miei scugnizzi: ragazzini a cui era stato concesso poco e, a volte, un po' allo sbando, senza troppe regole: erano una trentina. Per loro la montagna era una favola mai vista.
La prima volta che arrivarono - ed il rifugio cappella era a 1.200 metri, vennero con poco ed una sola maglietta addosso. Erano l'immagine dell'abbandono e della povertà. Ci volle tanta pazienza, da parte dei volontari che li accompagnavano, per rivestirli e, soprattutto, lentamente educarli alle regole del vivere insieme. Ancora oggi ringrazio Dio, che in dieci anni non solo non successero incidenti, ma anzi fu loro data la possibilità di un cammino, al punto da diventare di esempio ai loro coetanei del luogo, fino ad essere stupendi chierichetti, nel servizio delle S. Messe nelle comunità.
Ricordo che un giorno chiesi ospitalità ad un caro gestore di una baita, per avere un piatto di pastasciutta per loro. Il giudizio finale fu: 'Padre, i suoi ragazzi sono molto più educati dei nostri: sono meravigliosi'. Questa è stata la mia più bella vacanza... per anni!
Una vacanza che somiglia al riposo di Gesù, narrato dal Vangelo di oggi:
"Dopo che la folla fu saziata, subito ordinò ai suoi discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù a pregare".
C'è tanta gente che, durante questo periodo di riposo, sceglie luoghi di solitudine e preghiera, come a volersi staccare dal frastuono esteriore ed interiore della vita e così ritrovare ciò che è il Bene della vita e su questo reimpostarla. Sono tanti, più di quanto pensiamo: giovani, coppie, adulti.
E sono quel 'sale della terrà, che poi diventa davvero la testimonianza di quello che dovremmo essere agli occhi del Padre.
Ma, racconta il Vangelo, Gesù, tornando dai suoi, viene chiamato a mostrare la Sua onnipotenza. È facile nella vita quotidiana conoscere momenti difficili, che creano un senso di disagio e paura.
"La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte, Gesù venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, al vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: 'E' un fantasma' e si misero a gridare dalla paura. Pietro gli disse: 'Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque". Ed egli disse:
'Vieni!'. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: 'Signore, salvami!'. E Gesù subito stese la mano, lo afferrò e gli disse: 'Uomo di poca fede, perché hai dubitato?'. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono dinanzi, esclamando: 'Tu sei veramente il Figlio di Dio'. (Mt. 14,22-33)
L'esperienza di Pietro, che chiede di camminare anche lui sulle acque, per poi spaventarsi - ossia l'impossibile per l'uomo, che diviene facile solo per chi ha forte fede - mette a nudo la nostra debolezza e mancanza di fiducia ed abbandono totale in Dio.
Quante volte ci troviamo in difficoltà tali, che crediamo di non poterle superare. È raro che la nostra vita quotidiana sia come un mare calmo.
Quando va bene, per le piccole spine che incontriamo, è un mare increspato che non deve far paura. Il difficile viene quando il mare è talmente agitato, che rende impossibile camminarci sopra.
Sono quei momenti che, credo, proviamo tutti e in cui mostriamo la qualità della nostra fede.
Il più delle volte, forse, assomigliamo a Pietro che, pur invitato da Gesù, si lascia prendere la mano dalla sua fragilità umana.
Solo chi ha fede radicale e profonda trova davvero la forza di 'camminare sulle acque'. Ma ci vuole tanta, ma tanta, fede e abbandono. Spesso chiediamo l'impossibile, ma poi manchiamo di fiducia, abbiamo paura di 'camminare sulle acque' e non comprendiamo che è il momento di affidarci alla potenza di Gesù, che non manca mai di manifestarsi, sostenendoci e guidandoci nella via che conduce al nostro vero bene, anche se, forse, non nelle forme che noi vorremmo.
Quante persone ho incontrato che, davanti ad una difficoltà, anche grave, in famiglia o nella vita personale, non trovano più la forza di reagire, andando così sempre più a fondo.
Quanta gente ho incontrato, nella mia vita di ministro di Dio, che si è arresa a difficoltà apparentemente insormontabili, fino a diffidare di tutto.
Altre volte è bastato, facendomi vicino, cercando di capire l'origine dello smarrimento e trovando accoglienza, insieme cercare la via della speranza: ed è stato come imparare a 'camminare sulle acque'.
Come Pietro, però, occorre avere fiducia in Gesù e rivolgersi a Lui, mostrando la nostra debolezza. Rimanere soli nella sofferenza o nella difficoltà, altro non è che un affogare sempre più. È urgente e necessario affidarsi a Gesù, abbandonarsi a Lui, un po' come è accaduto ad Elia:
"In quei giorni - racconta il libro dei Re - essendo giunto Elia al monte di Dio, l'Oreb, entrò in una caverna, per passarvi la notte, quand'ecco, il Signore gli disse: 'Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore'. Ecco, il Signore passò.
Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. 'Che fai qui, Elia?' Disse il Signore. Elia rispose: 'Signore, Re dell'universo, sono stato preso da un'ardente passione per te, quando ho visto che gli Israeliti hanno violato il tuo patto... Sono rimasto l'unico, ma cercano di togliermi la vita". (1 Re 19,9-15)
La Parola di Dio insegna ad avere fiducia in Lui, soprattutto nei momenti difficili, come quello di Pietro che rischiava di affogare e di Elia che era in fuga: Pietro viene afferrato da Gesù ed Elia è invitato a tornare, senza paura, tra la gente che gli vuole male, sostenuto dalla Presenza stessa di Dio.
È bello, allora, pensare, la risposta alla nostra fede, così.
Tutti sentiamo l'asprezza della vita che, a volte, è più di una burrascosa traversata sul lago. La famiglia con le sue tensioni, il lavoro che manca, le malattie, le incomprensioni ci fanno sentire le ossa rotte. Ed è proprio in questi momenti che deve tornarci in mente Gesù che, se da una parte ci invita a salire sulla barca, dall'altra se ne sta in disparte a vegliare su di noi, con il cuore rivolto al Padre e lo sguardo su di noi, pronto ad intervenire dicendoci: 'Coraggio, non temere, Io sono vicino a te'... sempre che dentro di noi custodiamo un angolo di ascolto e fiducia in Lui.
Non facciamoci sommergere dalle difficoltà, come chi non ha fede, ma immergiamoci nella fiducia in CHI HA CURA DI NOI, sempre: DIO.

"Signore Gesù, donami un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti,
e non permettere che mi crucci eccessivamente
per quella cosa troppo invadente che si chiama 'io'.
Donami, Signore, il senso dell'umorismo.
Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo
affinché conosca nella vita un po' di gioia
e possa farne parte anche agli altri". (S. Tommaso Moro)