martedì 30 agosto 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXXVIII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Dopo esserci soffermati sull'importante tappa della preparazione al matrimonio e alla vita familiare, riscopriamo oggi il momento culminante di questo percorso preparativo e cioè il momento della celebrazione:

PARTE QUARTA

LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI

I. I tempi della pastorale familiare 

La celebrazione

67. Il matrimonio cristiano richiede di norma una celebrazione liturgica, che esprima in forma sociale e comunitaria la natura essenzialmente ecclesiale e sacramentale del patto coniugale fra i battezzati.

In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione del matrimonio - inserita nella liturgia, culmine di tutta l'azione della Chiesa e fonte della sua forza santificatrice (cfr. «Sacrosantum Concilium» 10) - deve essere per sé valida, degna e fruttuosa. Si apre qui un vasto campo alla sollecitudine pastorale, affinché siano pienamente assolte le esigenze derivanti dalla natura del patto coniugale elevato a sacramento, e sia altresì fedelmente osservata la disciplina della Chiesa per quanto riguarda il libero consenso, gli impedimenti, la forma canonica e il rito stesso della celebrazione. Quest'ultimo dev'essere semplice e dignitoso, secondo le norme delle competenti autorità della Chiesa, alle quali spetta pure - secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo e in conformità con le norme impartite dalla Sede Apostolica (cfr. «Ordo celebrandi Matrimonium», 17) - di assumere eventualmente nella celebrazione liturgica quegli elementi propri di ciascuna cultura, che meglio valgono ad esprimere il profondo significato umano e religioso del patto coniugale purché nulla contengano di meno confacente con la fede e la morale cristiana.

In quanto segno, la celebrazione liturgica deve svolgersi in modo da costituire, anche nella sua realtà esteriore, una proclamazione della Parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti. L'impegno pastorale si esprimerà qui con la cura intelligente e diligente della «liturgia della Parola» e con l'educazione alla fede dei partecipanti alla celebrazione e, in primo luogo, dei nubendi.

In quanto gesto sacramentale della Chiesa, la celebrazione liturgica del matrimonio deve coinvolgere la comunità cristiana, con la partecipazione piena, attiva e responsabile di tutti i presenti, secondo il posto e il compito di ciascuno: gli sposi, il sacerdote, i testimoni, i parenti, gli amici, gli altri fedeli, tutti membri di un'assemblea che manifesta e vive il mistero di Cristo e della sua Chiesa.

Per la celebrazione del matrimonio cristiano nell'ambito delle culture o tradizioni ancestrali, si seguano i principi qui sopra enunziati.

Celebrazione del matrimonio ed evangelizzazione dei battezzati non credenti

68. Proprio perché nella celebrazione del sacramento una attenzione tutta speciale va riservata alle disposizioni morali e spirituali dei nubendi, in particolare alla loro fede, va qui affrontata una difficoltà non infrequente, nella quale possono trovarsi i pastori della Chiesa nel contesto della nostra società secolarizzata.

La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è imperfettamente disposto.

Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore «al principio». La decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l'immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione.

E' vero, d'altra parte, che in alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa.

Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.

Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale.

Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano.

Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo validamente ma anche fruttuosamente.

0 commenti:

Posta un commento