SUO COSTANTE FERVORE
NELLA CARRIERA DELLA SANTITA'.
Gli eletti del Signore al pari delle stelle nel firmamento differiscono fra di loro nella chiarezza delle virtù, e delle gesta: stella differt a stella in claritate. E ciò proviene non solo per la diversità dei ministeri, cui sono chiamati dal sommo distributore delle sorti, e per la varietà de' doni, che su di essi diffonde il celeste dispensatore delle grazie; ma ancora per la differente corrispondenza de' medesimi ai divini favori, e pel maggiore o minor fervore, con che adempiono il fine della propria vocazione. Tuttavolta ad ognuno di essi la Chiesa giustamente attribuisce l'elogio del Savio: Non est inventus similis illia perché ciascuno ha raggiunto lo scopo prefissogli dalla suprema Provvidenza. Or di Alfonso leggesi nella deposizione di vari suoi direttori: Non so, se alcuno siavi stato nella Chiesa di Dio, il quale sia vissuto tanto applicato sì coll'interno che coll'esterno nell'esercizio eroico di tutte le virtù. Non potrebbe adunque conciliarsi la verità di questo asserto, senza che il nostro eroe abbia camminato nella carriera di sua santità con un fervore sempre crescente e sempre costante in tutti gli anni del viver suo. Si ascolti su di ciò l'oracolo del sommo pontefice Pio VII nel decreto emanato: Tuto procedi posse ad beatificationem venerabilis servi Dei Alphonsi Mariae de Ligorio.
"L'onnipossente voce di Dio, la quale chiama le stelle, che deggiono rifulgere nel firmamento della militante Chiesa, chiamò il suo servo Alfonso Maria de Liguori, affinché splendesse di luce ammirabile nell'esercizio di tutte le apostoliche virtù. Egli corrispose fedelmente alla divina chiamata, e diffuse, in tutta la sua carriera lo splendore delle virtù degne di un apostolo, sia col disprezzare gli onori mondani, sia nell'insegnare colla voce e, con gli scritti agli erranti nelle tenebre di questo secolo la via del cielo, sia col chiamare a sé nuovi discepoli ed istruirli con ottime regole nell'esercizio del ministero apostolico, sia allorché eletto vescovo, congiungendo in sé mirabilmente la fortezza e la mansuetudine, di compimento alla sua carriera coll'incastrare nel diadema a lui dovuto anche la somma e l'eroismo delle virtù episcopali."
La santità, giusta l'insegnamento dell'angelico Dottore, applica tutto l'uomo al divino servizio: Sanctitas dicitur, per quam mens hominis seipsum et suos actus applicat Deo.b Or tale si appalesò la condotta di Alfonso, animata da un fervore, che lo dedicò e nell'anima e nel corpo interamente al divino amore; e senza interruzione lo guidò per le vie della perfezione, nella quale furono talmente rapidi i suoi progressi che ben potrebbero paragonarsi ad una corsa piuttosto che ad un cammino.
Un religioso dell'Ordine dei predicatori costituito in dignità, il quale da vicino esaminò il vivere di Alfonso per tutto il tempo impiegato dal santo nella missione di Benevento, e più volte lo trattò, e conversò con lui, allor quando era già vescovo in sant'Agata, si esprime ad onore di lui nei seguenti termini:
"Sotto l'uno e l'altro aspetto, a cioè di missionario e di vescovo, mi è sembrato costantemente un serafino vestito solamente dell'umana spoglia, e tanto penetrato dalla carità, cosicché bruciato in lui, ed annientato fosse tutto ciò che sa di terra, di debolezza, e di umane passioni. Mi si è presentato sempre allo sguardo cotanto avanzato nella virtù, da stare già sull'alto monte della sicurezza; e divenuto un intiero olocausto sull'altare della divinità viveva della vita stessa di Gesù Cristo, non volendo né amando altro che la volontà di Dio, in cui osservavasi ognora trasformato. La sua povertà più che apostolica e nel vestire, e nei mobili, e nel giornaliero sostentamento anche da vescovo non poteva andare disgiunta da una perenne mortificazione, che lo accompagnò benanche nelle sue penose malattie. La vita di lui sembrava un continuo miracolo: pochissimo sonno, scarsissimo cibo, debolezza di complessione unita a fatiche incomprensibili ed assidue, sostenute in lui da quel fuoco, che lo divorava per lo zelo della divina gloria: i suoi pensieri, le sue parole, i suoi scritti erano altrettante linee, che andavano a terminare a questo nobilissimo centro della carità. Quello finalmente, che lo dimostrava consumato eroe nella carriera delle virtù, era il suo trattare disinvolto, entrando nella folla degli affari, e conservando tuttavia un indicibile raccoglimento". Così questo religioso, osservatore minuto delle azioni di Alfonso, ne ha delineato il ritratto veritiero, e non punto aggravato dalle tinte della esagerazione.
I santi quanto più han progredito nella divina carità, più ancora sono stati perfetti nella cognizione di Dio: e quanto più hanno imparato a conoscere Dio, tanto più perfetto è divenuto in essi il timore di Dio stesso: a somiglianza di un figlio rispettoso, il quale apprende a temere il suo genitore e rispettarlo in ragione della sua età, e del conoscimento, che acquista del merito di lui, e dell'obbligazione che gli professa. Questo timore consiste nell'odiare qualunque colpa possa offendere la maestà di Dio, e nell'adempiere tutto ciò, che incontrar possa il suo divino beneplacito. E poiché della sapienza è principio il timor di Dio; così ne è il progresso e la consumazione. Alfonso imparò a temere Iddio sin dalla sua prima infanzia: i genitori di lui lo ammaestrarono come i genitori di Tobia di questa grande ed importantissima verità, dalla quale dipende il ben essere morale e fisico dell'uomo su questa terra. Alfonso bevve a questa fonte pria ancora che in lui si sviluppasse l'uso della ragione; quindi conservò gelosamente sino alla tomba quell'innocenza, e purità, la quale gli fu conferita dalla grazia santificante nel lavacro della rigenerazione: Miram vitae innocentiam, quam nunquam ulla lethali labe foedavit, così la Chiesa ha onorato questo santo nelle lezioni del suo uffizio.
Imperciocché per tutto il corso di sua vita non solo fu esente da ogni colpa grave, ma abbominò finanche l'ombra del peccato, e fu vigilantissimo ad evitare ogni minimo difetto, essendo solito dire: Quando il demonio ci istiga a fare un piccolo difetto, non pretende quel solo difetto, ma qualche grave conseguenza. Quindi all'abito acquistato di ravvisare qualunque pericolo di offendere Iddio, e di sfuggirlo, Alfonso accoppiava quella rara prudenza dei santi di temere sempre l'offesa di Dio, e di guardarsene.
Quel servo di Dio fra Cipriano da Napoli cappuccino, il quale per essere in intima amistà col nostro santo ne conosceva tutti gli andamenti del vivere, attesta di avere osservato in lui costantemente una somma delicatezza di coscienza nello sfuggire qualunque colpa. Aveva sì grande orrore del peccato, così egli si esprime, che dove lo temeva, dava risolutamente la negativa a qualunque richiesta, ed impegno: se ne dubitava, differiva la risposta per consigliarsi: sebbene portato fosse pel suo temperamento a compiacere, né si facesse molto pregare per favorire; ove nasceva alcun sospetto di colpa, ripugnava fortemente, di modo che correva nella sua diocesi questo adagio: dove monsignore fa scrupolo, non bisogna flottarlo, perché si contrista, non si guadagna. Vi sono state occasioni, nelle quali ha dovuto violentare il suo buon cuore, e resistere ai più perniciosi impegni.
Ma il fervore di Alfonso a progredire nella santità risplende ancora più nell'esercizio costante di tutte le virtù in grado eroico. La santità per essere luminosa e sublime non deve limitarsi a conservare gelosamente la stola dell'innocenza ricevuta nel santo battesimo; bensì questa veste nuziale della carità è d'uopo, che adornata sia delle gemme preziose di sante azioni, tendenti alla divina gloria ed al conseguimento del fine della propria vocazione. La purità, che rende bella e piacevole un'anima al divino cospetto, dice s. Tommaso l'angelico, non consiste solo nella esenzione dal male, che difforma l'essere, ma richiede inoltre l'operazione del bene, che l'abbellisce, ed adorna.
In ciò si rese insigne il nostro santo, perché con quel medesimo fervore di spirito, con cui entrò nella palestra del suo combattimento, così costantemente combatté sino alla morte; e con quel medesimo ardore, con cui intraprese da giovane a servire il suo Dio, col medesimo si mantenne costante in tutta sua vita. Anzi a lui deve adattarsi quell'elogio registrato nei salmi: Ascensiones in corde suo disposuit; poiché di giorno in giorno crebbe in lui questo ardore in ragione dell'incremento di sua carità. Quindi si osservò in lui, che sino alla decrepitezza non mancò di praticare i medesimi esercizi di pietà, che intraprese nella sua gioventù; ne cessò di faticare oltre le sue forze nella vigna del Signore.
Per cagion di esempio quell'Ave Maria, che imprese a recitare al suono dell'orologio nel principio del suo tirocinio allo stato ecclesiastico, quella stessa seguitò a recitare sino alla morte, tal che divenuto sordo, voleva esserne avvisato; quei salmi che prese a recitare da giovane in onore del nome santissimo di Maria, non mancò recitarli anche da vescovo, e fino all'ultimo della sua vita.
Obbligatosi ancor secolare nel ritiramento degli esercizi di visitare il Santissimo Sacramento, che si espone in giro per tutte le chiese di Napoli con le quarantore, non mancò punto di prestargli costantemente la medesima adorazione, dovunque si trovasse almeno in ispirito sino alla morte, avendo sempre presso di sé il diario, che ne individuava le chiese. Divenuto poi quasi cieco per la sua grande età, né potendo leggere, domandava ogni giorno al fratello serviente, in qual chiesa di Napoli fossero le quarantore per adorare Gesù Cristo quivi esposto. Da giovane visitava le stazioni della Via crucis? or benché storpio non lasciò visitarle, facendosi reggere dal fratello laico e dal serviente. Finalmente solito ad inginocchiarsi nel dire l'Angelus Domini, quantunque decrepito, lasciava talvolta di mangiare per recitarlo in ginocchioni. Così fu costante Alfonso in qualunque atto virtuoso benchè piccolo.
Che se dal fervore, con cui si esercitano le virtù minutamente e costantemente, sogliono dedurre i maestri della vita spirituale la verità dell'amore verso Dio, e formare il giudizio certo della santità, avendo Alfonso perseverato fino alla decrepitezza nell'esercizio minutissimo degli atti di pietà, che intraprese nel primo fervore di sua gioventù, è d'uopo conchiudere, che la costanza di lui nell'amare Iddio e nell'onorarlo non solo fu permanente, ma produsse in lui un continuo e non interrotto incremento nella santità.
Il che possiamo dedurre con maggiore evidenza, riflettendo a quello spirito, che lo animò nel servire il suo Dio, e nell'adempiere il fine della sua vocazione. Giusta l'avviso di S. Paolo ogni cristiano deve operare la sua salute con timore, e tremore: Cum timore, et tremore vestram salutem operamini. Ora Alfonso fissò in sè stesso questo grande ed importantissimo documento, piantandolo nel suo spirito per base della sua santità. Prevenuto dalla grazia, e chiamato da Dio ad occupare per il lungo corso di diciotto lustri vari impieghi, e tutti gelosi, conobbe la grande necessità di compiere questa sua missione, gettandosi con filiale confidenza nelle braccia della divina bontà; ma conobbe in pari tempo che qual figlio di Adamo aveva bisogno di vivere sempre in timore.
In conformità di tal massima regolò egli le sue azioni, e pervenne sicuramente al compimento de' suoi desideri, e di sua vocazione. Sembra incredibile, che un uomo innocente per costumi, macerato e depresso nelle sue forze per l'austerità, occupato interamente nell'unione con Dio, ed immerso instancabilmente nelle opere del ministero apostolico; un uomo, il quale non riguardò giammai altro, che la gloria del suo Dio, e che viveva in questa terra ma solo col corpo, mentre lo spirito ognora congiunto era col suo Dio, potesse nondimeno temere cotanto della sua eterna salute, fino a palpitare talvolta, e raccomandarsi per questo oggetto alle orazioni di chicchessia.
E pure tant'è: la vita di Alfonso si racchiude in quella sentenza di s. Gregorio Magno: Qui sic operantur quae Dei sunt, ut cuncta quae mundi sunt deserant, et totam mentem igne divini amoris incendunt, hi nimirum omnipotenti Domino sacrificium et holocaustum fiunt.
Nondimeno tremava sempre di sé medesimo, e per tal modo camminava costantemente nella via della perfezione. Bello è quanto avvenne un giorno fra il gran servo di Dio D. Mariano Arcieri ed il nostro santo.
Veneravansi scambievolmente perché l'uno conosceva la santità dell'altro; e questa cognizione generava in loro una reciproca stima. Essendosi pertanto incontrati questi due santi, si vide fra essi una bella gara di umiltà. Il venerabile D. Mariano pregava Alfonso, affinché gli ottenesse da Gesù Cristo la santa perseveranza; ed Alfonso pregava D. Mariano, affinché gl'impetrasse dal Signore la grazia di una buona morte.
Un religioso agostiniano parlando del nostro santo attesta, che allorquando gli accadeva di andarlo a visitare, nel discorrere seco lui gli sembrava di conversare con un apostolo fornito di tutte le virtù; ma poiché Alfonso sempre raccomandavasi alle preghiere di lui con grande calore e per timore della sua eterna salute questo religioso tutto sorpreso in una delle volte si pose ad animarlo col mettergli davanti agli occhi la vita da lui spesa in continue opere virtuose, e tendenti alla divina gloria. Ah! disse il santo allora pieno di confusione, la mia vita quanto è stata imperfetta! Il che riempì di somma edificazione quel buon religioso.
Lo stesso timore palesò Alfonso con monsignor Bergamo vescovo di Gaeta, allorché il medesimo andò a conferire con lui per gli affari di sua diocesi. Il medesimo timore espresse con certi missionari napolitani, i quali diretti ad una missione, nel passare per Nocera vollero riverire il santo, e specchiarsi in quel modello di santità. In Arienzo stando un padre della Congregazione per vestirsi dei sacri paramenti e celebrargli la messa, essendo infermo a letto, sel chiamò vicino, e gli disse: Padre, pregate Dio ad usarmi misericordia. Chi sa se mi salverò? E ciò disse con volto infiammato ed attonito: tanto egli era penetrato dal divino timore!
Altra volta in un giorno di sabato santo essendo andati tutti della comunità ad augurargli la solennità della Pasqua giusta il nostro costume, si rivolse loro, e disse: Voi avete fatti gli esercizi, ed io mi sono apparecchiato all'eternità. Poi soggiunse: Veramente così è, ogni uomo, che sta per uscire dal mondo, tutto gli sembra paglia, e si maraviglia, come gli uomini possano attaccarsi al mondo.
Un altro religioso, il quale restò intenerito dai discorsi divoti del nostro santo e dalle sue belle massime, si raccomandò alle orazioni di lui. Ma il santo rispose: Sì signore, io vi terrò raccomandato a Gesù Cristo ed a Maria santissima; ma vostra riverenza ancora preghi per me il Signore, che mi faccia fare una buona morte. Padre mio, soggiunse, io mi veggo vicino a quel tremendo passaggio all'eternità: spero nel sangue di Gesù Cristo, e nell'intercessione di Maria Vergine mia cara madre di salvarmi, ma prego vostra riverenza di tenermi presente nella messa, e cercarmi la grazia, che mi faccia spirare amando Gesù, amando Maria. Bella cosa morire in braccio a Gesù ed a Maria. E ciò disse con tanta unzione di spirito, che quel religioso disse nel partire: Oh pazzo chi in vita non ama Dio!
Or questo pensiero, che Alfonso aveva sempre fisso nella sua mente, era quello sprone, che l'incitava ad aumentare ogni dì nel suo cuore la perfezione evangelica, movendolo ad operare sempre nuovi atti virtuosi, ed a compiere sempre nuove opere di gloria di Dio. Considerandosi qual pellegrino il quale tende alla sua patria, ed anela di giunger presto alla medesima, Alfonso non si rivolse né a destra, né a sinistra nel suo cammino; ma diresse i suoi passi con frettolosità e vigore per la via, che al cielo lo conduceva, sforzandosi e vincendo ogni naturale ritrosia, ogni fisica indisposizione, ogni sentimento umano, ed ogni passione, che avesse potuto rattenerlo anche per un momento nel suo andare. Con questo pensiero anelava da vescovo di ritornare nella solitudine della sua cella, ed espresse questo suo sentimento scrivendo ad un sacerdote: Spero fra breve ritirarmi nella mia cella a Nocera per apparecchiarmi alla morte.
Il nostro santo era così convinto di questa grande verità, che l'uomo cioè deve considerarsi quaggiù come un viandante il quale non ripone il suo affetto nei luoghi per dove passa, quantunque deliziosi ed incantevoli, che nelle sue opere ascetiche, e particolarmente nelle sue meditazioni, procura d'ispirare questo sentimento ai suoi lettori quasi in ogni pagina, sicuro di aver guadagnato il cuore di chi legge i suoi libri, se gli venga fatto d'imprimergli questa gran massima. Lettor mio, così nella Via della salute, se volete viver bene, procurate di vivere i giorni che vi restano, a vista della morte. Oh come giudica bene le cose, e dirige le sue azioni, chi le dirige a vista della morte!
Tutto il male morale vien causato dall'attacco a questo mondo, alle sue pompe, ed ai suoi diletti: quando adunque taluno si persuade della brevità dei suoi giorni, e medita sempre questa grande verità, non può essere a meno, che non distacchi il suo spirito dall'amore delle cose terrene per invogliarsi ad acquistare i beni futuri ed interminabili. Su di ciò Alfonso cercò adunque di fondare la conversione delle anime, e la loro costanza nell'operare il bene, e su questo fondamento egli lavorò sempre indefesso ad ergere in alto l'edifizio della sua santità.
Quindi con questa massima stessa regolava le anime che a lui dirigevansi per consiglio, o per affidargli la propria coscienza nel tribunale della penitenza; e molto più con questa norma voleva, che si regolassero i suoi congregati sia riguardo alla propria condotta, sia nell'ammaestramento degli altri. Non era pago che i suoi alunni per l'adempimento di loro vocazione si prefiggessero l'acquisto di una perfezione ordinaria, ma voleva ahe avessero la mira ad una santità insigne: di modo che quando alcuno richiedeva di essere ammesso nella sua congregazione, lo interrogava qual fosse il fine, che lo induceva a lasciare il mondo per vestire l'abito religioso. Se quegli rispondeva, che sentivasi a ciò ispirato per assicurare la sua eterna salute, il santo subito ripigliava: No, figlio mio, non basta, mentre anche nel secolo potete salvarvi; ma dovete entrare in Congregazione per farvi santo e gran santo.
A questo medesimo proposito parlandosi talora alla sua presenza della copiosa benedizione, che il Signore si degnava di spargere sulla congregazione da lui fondata, e che vi erano domande da molte parti per nuove fondazioni di case del suo Istituto, Alfonso diceva: Ancorché noi avessimo 30 case nel regno, 50 nello stato pontificio, 200 nelle Indie, e poi non fossimo santi, a che ci gioverebbe? E chi potrebbe abbastanza esprimere, con qual fervore e zelo impegnasse i suoi congregati alla pratica costante delle virtù ed alla fuga da ogni difetto?
Riferirò qui alcuni tratti delle sue conferenze ai medesimi nel giorno di sabato. Nell'ultimo sabato dell'anno 1752, così si espresse: " Padri e fratelli miei, tre cose deve fare un congregato:
1° Lasciare i difetti: oh che sconcerto sarebbe, se un congregato del Santissimo Redentore si vedesse commettere peccati veniali ad occhi aperti!
2° Lasciare anche le cose indifferenti, comodità, beni di questa terra, spassi, gusti.
3° Sforzarsi di camminare sempre avanti nella via della perfezione: stando in Congregazione siamo in obbligo di aspirare alla santità, e per questo il Signore dà tanti mezzi, che non dà agli altri. Non dobbiamo dire mai basta, mai fermarci, né contentarci di una mediocrità; ma dobbiamo sempre avanzarci un giorno più dell'altro, se vogliamo arrivare ".
Nella conferenza del sabato del 20 gennaio 1753:
" Dilettissimi miei fratelli, che uno sia tiepido nel servizio di Dio proviene da mancanza di fede. Quando io considero quel che fanno alcuni signori per guadagnarsi la grazia del re, e poi niente si fa per guadagnarsi quella di Dio, dico che tutto è per mancanza di fede". E sopra le parole del vangelo: Filii huius saeculi prudentiores filiis lucis sunt, così disse: « Noi propriamente ci dobbiamo chiamare figli di luce, perché Dio ci ha fatto conoscere, che non ci è altro nel mondo, che darsi tutto, e totalmente a Dio. Noi che siamo servi di un Signore così buono, e così grande, se abbiamo viva fede, dobbiamo affaticarci per piacere a questo Signore, e trattare di avanzarci sempre più nell'amicizia e grazia sua. I mondani fanno tanto per acquistarsi un poco di fumo, e noi che stiamo in Congregazione, non vogliamo far niente per acquistarci un bene infinito, un regno eterno, lo stesso Dio? ».
In un'altra conferenza così si espresse: «Quando quel che si fa, si fa con ispirito e fervore per piacere a Dio, e per dar gusto a Dio, quando uno non si spaventa, né si ritira indietro per le difficoltà che incontra, né lascia di operare per il patire, e per le fatiche che vi sono, allora veramente opera per Dio, e non per inclinazione, né per amor proprio.»
Ed in altra conferenza: «E' massima de' maestri di spirito, che Dio vuole alcuni salvi non solo, ma santi. Se mi domanda un cristiano: quid faciam? io gli rispondo: serva mandata. Ma per un congregato? Pare che di noi si avveri specialmente il detto di S. Paolo: Charitas Christi urget nos. E noi così negligenti? Qui timet Deum, nihil negligit. Dio suole abbandonare alcuni del mondo, quando si sono dati in preda ad ogni scelleraggine: ma le anime spirituali, i religiosi, li abbandona per causa delle piccole mancanze. Perciò timore, timore, timore.»
E poiché il suo cuore era ripieno di questo timor filiale verso Dio, perciò nell'insinuare a tutti di accendere nel proprio cuore puro e santo il divino amore, di continuo inculcava, che l'accompagnassero con questo costante timor filiale di Dio, mentre col santo timore accompagnato dal divino amore l'anima viene ad osservare perfettamente la divina legge, e gli obblighi del proprio stato.
Da quanto finora ho riferito intorno all'impegno, ch'ebbe continuo il nostro santo di tendere all'acquisto della sua santità, e di progredire ogni giorno nella medesima, senza arrestarsi giammai, risulta chiaramente, ch'egli deve paragonarsi, giusta la parabola evangelica, alle vergini prudenti, le quali avendo fornito di olio abbondante le loro lampade, erano sempre apparecchiate a seguir da vicino lo sposo celeste, ed essere introdotte alle sue nozze divine. Imperocché Alfonso avendo acceso nel cuore la fiamma della divina carità, ben si guardò, che la medesima rallentasse la sua vampa; che anzi aggiungendovi tutto giorno nuova esca coll'infondere l'olio di sante operazioni, si mantenne viva ed ardente fino alla sua morte, potendosi a lui adattare l'elogio dei sacri cantici: Lampades eius lampades ignis atque flammarumd
Padre Celestino Berruti |
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