domenica 27 ottobre 2013

I giusti agli occhi di Dio

Commento di Mons.Antonio Riboldi alla Liturgia odierna:

Dal Vangelo di oggi emerge una caratteristica degli uomini di tutti i tempi e di ogni categoria: il grave difetto di credersi migliori' e, quindi, giudicare negativamente gli altri'.
"In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo, l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo'. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore'. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta, sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato". (Lc. 18, 9-14)
Ci vuole una bella faccia tosta' a mettersi ben in vista, ai primi posti nel tempio e tra gli uomini, proclamando la propria giustizia, proprio a Dio, IL GIUSTO, che conosce fino in fondo chi siamo e di quante ombre, oltre che luci, siamo ripieni.
Solo davanti agli uomini, che si nutrono tante volte di inganni, pur di affermarsi ed apparire quello che di fatto non sono, possiamo recitare la commedia delle bugie'!
Quanta gente abbiamo conosciuto che amava i primi posti nella stima nostra e poi, con tristezza, si è scoperto che erano ben altra cosa. Il Vangelo ci invita ad essere umili.
Papa Francesco, in un'omelia alla Casa S. Marta, proprio riferendosi a questo Vangelo, e stigmatizzando l'ipocrisia ha detto: "L'esempio da guardare è quello indicato dal Vangelo: il pubblicano che con umile semplicità prega dicendo: «Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore». Questa è la preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che siamo peccatori. Dei peccatori che, però, sanno a chi guardare per trovare una redenzione. Tutti noi abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo: la grazia della gioia; la grazia della magnanimità, della larghezza".
Così affermava Paolo VI: "Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini.
Se vogliamo rinnovare la vita cristiana non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà. Come risolvere innanzitutto il contrasto fra la vocazione alla grandezza e il precetto dell'umiltà
Noi abbiamo ogni giorno sulle labbra il Magnificat', l'inno sublime della Madonna, la quale proclama davanti a Dio, e a quanti ne ascoltano la dolcissima voce, la sua umiltà di serva, e nello stesso tempo celebra le grandezze operate da Dio in lei e profetizza l'esaltazione che di lei faranno tutte le generazioni... Il confronto con gli altri ci fa spesso pietosi verso noi stessi e orgogliosi verso il prossimo: ricordiamo la parabola del fariseo e del pubblicano, quando il primo dice di se stesso: io non sono come gli altri', mentre il pubblicano non osava neppure alzare gli occhi al cielo e si batteva il petto". (Omelia, 9 febbraio 1967)
A essere sinceri, infatti, cosa abbiamo di nostro? La vita? È un dono. La felicità o i carismi? Sempre doni di Dio. La salute e la bellezza del corpo? Doni di Dio!
Se da una parte Dio chiede che i Suoi doni vengano bene amministrati, dall'altra la giustizia vuole che si dia gloria a Chi ci ha fatto tali doni: non appropriarsene, che è superbia!
Dovremmo, in altre parole, essere capaci di imitare la Madonna che, mentre celebra le grandi opere che Dio ha compiuto in Lei, dall'altra si riconosce serva del Signore'.
Ma quanto è facile appropriarsi' dei doni di Dio, come fossero cosa nostra'!
Da qui la superbia, in cui satana è maestro, suggeritore.
"Cosa abbiamo noi - mi diceva il mio padre spirituale, un vero uomo di Dio - se non le nostre debolezze, la nostra miseria, il nostro nulla? Tutto è di Dio: di nostro il peccato".
Oggi, dice il Siracide:
"Il Signore è giudice e non vi è presso lui preferenza di persone.
Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell'oppresso.
Non trascura la supplica dell'orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza e la sua preghiera giungerà fino alle nubi.
Finché non sia arrivata non si contenta, non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto,
rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l'equità". (Sir. 35, 15-22)
Mi torna sempre alla mente la testimonianza del mio Padre spirituale, il grande don Clemente Rebora, famoso poeta del 900, che poteva certamente raccontare' quello che aveva vissuto.
Stando insieme nei periodi di vacanza alla Sacra di S. Michele, facendo lunghe camminate con lui, io tentavo di fare sfoggio di ciò che avevo letto, soprattutto sui romanzi russi.
Lui ascoltava e taceva. Avevo addirittura l'impressione che non li avesse mai letti.
Non sapevo che, tra i tanti suoi titoli', da tutti riconosciuto, vi era quello di raffinato e grande conoscitore della letteratura russa! Ma aveva deciso, dopo la sua conversione, di oscurare tutto il passato', come non fosse esistito. L'unica cosa che bramava era guadagnare con una vita ascetica e santa il tempo che aveva perso nel mondo' - così amava dire. Quando seppi chi veramente era stato, mi vergognai della mia stupida voglia di recitare la parte del fariseo.
Forse tanti dei miei amici, che mi seguono, in questa grazia di farsi come plasmare dalla Parola di Dio', conoscono o hanno sentito parlare del mio Fondatore, Antonio Rosmini: un vero gigante della filosofia e della teologia, ma più ancora della santità.
Nel suo libretto Massime di perfezione', - da molti conosciuto e che sono le regole della santità -nella quinta massima, intitolata: Riconoscere intimamente il proprio nulla', così afferma:
"Il Cristiano deve meditare ed imitare continuamente la profondissima umiltà della Vergine Maria. Nelle divine Scritture la vediamo sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore.
Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale non venne tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta.
A giudizio umano, chi potrebbe credere che della più perfetta delle creature umane ci fosse raccontato così poco nelle divine Scritture? Nessuna opera da Lei intrapresa; una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò di essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa, quest'umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall'Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli" (V Massima n. 7)
Parole che vengono dal cuore di un uomo, Rosmini, che nella vita conobbe, per un tempo, l'amicizia e la stima incondizionata dei Papi e, improvvisamente, per presunti errori teologici',
- ormai sconfessati dalla Congregazione della Dottrina della fede, di cui era Prefetto proprio il nostro emerito e amato Pontefice, Benedetto XVI - fu come esiliato, emarginato, considerato quasi pericoloso per la teologia.
Nel silenzio assoluto impostogli, da lui accolto come volontà di Dio e a sua volta imposto alla Congregazione, a chi gli chiedeva come si sentisse, rispondeva: Adorare, tacere, godere'.
Aveva la certezza che se il grano caduto in terra non muore, non porta frutto'.
Ora la Chiesa ha riconosciuto le sue virtù eroiche, proclamandolo beato. L'umiltà porta sempre frutto.
Madre Teresa di Calcutta, altra grande santa del nostro tempo, amava dire: "Anche se commetti qualche errore, approfittiamo di questo per avvicinarci a Dio". DiciamoGli con umiltà: Non sono stata capace di essere migliore. Ti offro i miei fallimenti'.
E' lo stesso invito di Papa Francesco:
"Gesù è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all'altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini,... non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia. Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo!...
Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono.
E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia!". 

domenica 20 ottobre 2013

Tutti missionari

Commento di Mons.Antonio Riboldi alla speciale giornata che viviamo oggi ed alla Liturgia odierna:

Oggi, tutta la Chiesa, in ogni parte del mondo, celebra la GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE. E così il S. Padre, nel Messaggio, scrive:
"Quest'anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l'Anno della fede, occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo.... L'Anno della fede, a cinquant'anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l'intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i "confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle Diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes, 37). Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo."
Le parole di Papa Francesco sono risposte a domande che da sempre ci coinvolgono: chi Dio ?manda ad evangelizzare'? In altre parole, chi sono ?i missionari' in ogni tempo e soprattutto oggi? A chi si rivolge Gesù?
Dove è oggi il campo della missione: solo nei Paesi che non sono ancora venuti a conoscenza del Vangelo e, quindi, della loro chiamata alla santità ed alla felicità del Cielo, o anche tra di noi?
Sorge spontanea la domanda: noi, che ci chiamiamo cristiani, siamo ?terra di missione' o ?popolo missionario'?
Troppo spesso, proprio nel nostro Occidente sviluppato, si respira un'aria di completa ?ignoranza della Parola del Vangelo', tanto che nasce il dubbio: non saremo forse noi da evangelizzare?
Sarà colpa di tanti fattori, della Chiesa, che non ha saputo trovare i modi per evangelizzare, o della famiglia, o...di tutti?
Un caro amico missionario mi confessò un giorno: ?Quanta poca fede c'è tra voi, al contrario della mia gente, in missione, che, non solo crede e sa a Chi crede e quale impegno contiene la fede, ma per la quale credere è grande festa: festa di una vita con Cristo!'.
Paolo VI, vero appassionato di Cristo, così ci ?provoca' ed annuncia:
"Se io domandessi agli uomini del nostro tempo: chi ritenete che sia Gesù Cristo? Come Lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo, ancora più necessario della nostra vita, annunciarLo alle anime?
Alla domanda, alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire. Esiste come una nube - e questa è opaca, pesante - di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga di Cristo, non Lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerLo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere, per tutti, Maestro e Guida, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerLo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo e amarlo. C'è persino chi urla contro Cristo: "Via!" - è il grido blasfemo alla croce! - Non c'è posto per Iddio, né per la religione: si affannano a cancellare il Suo Nome e la Sua Presenza. Tale è il contenuto di questo laicismo sfrenato che incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce.
Noi, che ci diciamo di Cristo, abbiamo questo grandissimo e dolcissimo Nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo, ma...noi sappiamo bene chi è?
Sapremo dirGli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome: chiamarLo Maestro, Pastore; invocarLo quale Luce dell'anima e ripeterGli: Tu sei il nostro Salvatore?". (Palo VI, 14 marzo 1964)
In queste parole di Paolo VI c'è davvero la passione che lui, come tutti i veri discepoli, sentono e vivono. È la passione che spinge tanti a rispondere alla chiamata di Dio di andare là dove Dio non è conosciuto e quindi amato: i nostri missionari.
Commuove la loro ?passione' di ?andare' e portare la conoscenza di Gesù ai confini della terra, a volte con il rischio della propria vita... insieme ai loro fedeli, in tante parti del mondo, anche oggi!
Non ci siamo mai chiesto perché, quando i missionari tornano tra di noi, per un momento di riposo, si sentono a disagio nel respirare la nostra ?aria'?
Forse perché è un'aria di benessere, che tante volte ha lambito, se non invaso totalmente, le nostre case e,...anche i nostri cuori, diventando ?aria di sufficienza', ma senza Dio?
Ritornano tra di noi e...già desiderano tornare tra ?i loro cristiani'.
Raccontano l'adattamento al clima e ai costumi, le difficoltà della loro gente, anche solo a sopravvivere, ma, soprattutto, la fede dei loro villaggi, la gioia delle comunità, che stravolgono tutte le nostre false sicurezze.
La gioia di ?entrare nella conoscenza di Dio' manca invece in molte nostre famiglie, dove, troppe volte, è calato il silenzio su Dio e così si rischia di essere cristiani solo nel nome.
Forse la missione dovrebbe proprio cominciare dalle nostre famiglie.
Forse, tante volte, anche noi sacerdoti non sappiamo trovare le vie o il modo appassionato di annunziare il Vangelo.
Ma dobbiamo tornare tutti al Vangelo, a cominciare da noi, dalle famiglie, a quanti dicono di amare l'uomo. È quello a cui ci esorta il grande evangelizzatore, S. Paolo, scrivendo a Timoteo: "Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l'hai appreso e che fin dall'infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, esorta con ogni magnanimità e dottrina.". (2 Tim. 3, 14)
Accogliamo il grido di Gesù, nel Vangelo di oggi, Giornata Missionaria Mondiale, che fa davvero riflettere: "Ma il Figlio dell'Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?", suggerendo anche, nello stesso brano, la medicina da prendere': "Pregate sempre senza stancarvi." (Lc. 18, 1-8)
E non manchiamo di farci vicini', tutti, con la nostra generosità, ai missionari, perché possano mostrare l'amore del Padre verso i poveri tra cui vivono, usando delle nostre mani, e... preghiamo con le parole di Madre Teresa di Calcutta:
"O Signore, fa' sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.
Suscita in loro la fame della Tua Parola e lascia che questa sia il nostro pane quotidiano.
Fa' che quanti sanno leggere, guardino al Vangelo con i propri occhi,
mentre quanti non sanno leggere, incontrino altri che leggano per loro."
Riascoltando le parole consolanti di Gesù, con cui lo stesso Papa Francesco conclude il Messaggio: "Coraggio, io ho vinto il mondo".

lunedì 14 ottobre 2013

Un raggio di sole

Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre (San Francesco d'Assisi). 

San Francesco ci riempie il cuore con una semplice frase che soddisfa il nostro bisogno maggiore: il bisogno della speranza. Le nostre vite sono spesso tribolate, grandi e piccole tribolazioni che generano in noi il panico, la paura vera di non farcela ad andare avanti, di non avere la forza necessaria per continuare a lottare. Per questo assistiamo a numerosi casi di depressione che, nei casi più tragici ed estremi, giungono al culmine del suicidio. 
Ma noi non dobbiamo mai smettere di lottare perché c'è un raggio di sole che spazza tutte le nostre ombre e questo raggio di sole è l'amore di Cristo che si manifesta in modi differenti, a volte con una parola dolce, a volte con un sorriso, a volte con una pacca sulla spalla, a volte con un aiuto insperato. Impariamo ad apprezzare il raggio di sole che illumina la nostra vita anche quando è avvolta dall'oscurità delle nubi: sappiamo che sopra le nuvole il cielo è sempre azzurro e che prima o poi il sole spunterà di nuovo illuminando e irradiando di calore le nostre vite! 
 

giovedì 10 ottobre 2013

Riscoprire la fede

Sono trascorsi un paio di anni dal mio disimpegno nell'aggiornamento di questo spazio, ma non è mai mancata la mia presenza anche e soprattutto grazie a molti lettori che hanno continuato a scrivermi ed a ringraziarmi per la presenza di questa piccola oasi nel mare non certo pulito della rete.
Negli ultimi giorni, alcune parole di un ragazzo mi hanno fatto riflettere al punto da spingermi a ritornare a prendere in mano l'aratro che avevo lasciato tempo fa per riprendere il lavoro di semina che, grazie a Dio, ha continuato a dar suoi frutti anche in questo periodo di sospensione.
Innanzitutto, un sussulto di umiltà mi ha spinto a cercare un nome a questo spazio che fosse lontano da un'impostazione troppo personalistica che contraddistingue già fin troppi spazi, con le conseguenze che si conoscono. In realtà, non ho duvuto riflettere a lungo perchè dopotutto l'emergenza che ci troviamo a vivere è sicuramente quella della crisi di fede che aveva spinto lo stesso Papa emerito Benedetto XVI a decretare l'anno della fede che ormai si avvia alla conclusione.
Il titolo "riscoprire la fede" è ciò che il cuore mi ha suggerito poiché si tratta di riscoprire un qualcosa che abbiamo smarrito, a volte relativizzato, altre volte piegato ai nostri piaceri, altre volte rinnegato.
Ognuno di noi deve sentirsi spinto alla ricerca della conoscenza, al ritrovamento della fede delle origini ed a condividere le proprie esperienze affinché possano esser utili per il lavoro di semina che riguarda ogni singolo cristiano.
Approfittiamo di questo speciale tempo che stiamo vivendo per riscoprire la fede sulle orme del Vangelo di Gesù!