domenica 21 ottobre 2012

Il cristiano vero ama il servizio, non il potere

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti uomini e donne a farsi avanti per essere sulle prime pagine dei giornali, delle riviste o della cronaca in genere, e non solo nel campo della politica o dell'economia o dello spettacolo, ma a volte in quello della violenza o della malavita organizzata.
Ed è emersa una risposta abbastanza evidente. Sono due le 'sirené che attraggono, seppur nascoste sotto modi e forme diversi: il prestigio e il potere È difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste 'sirené! Se si ha l'occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre.
Del resto 'l'occasione fa l'uomo ladrò è un detto della saggezza antica, quella che nasce da una lunga esperienza del vivere umano!
Il successo e il potere garantiscono di finire sulla bocca di tutti, di entrare nella vita di tanti e diventano un sogno per molti. Poco importa se, spesso, per arrivarci si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale, se si deve ignorare ogni sentimento di solidarietà verso gli altri, che invece, per noi che siamo di Cristo, sono valori che hanno il primo posto nella vita.
Dobbiamo esserne consapevoli: il prestigio e il potere, in ogni campo, esigono come prezzo di essere posti come principi di vita, da non mettere mai in discussione, se li si vuole raggiungere... anche se le conseguenze sono a volte devastanti: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, senza considerare il vuoto esistenziale, il deserto interiore, che una tale visione di vita, a lungo andare provoca in chi si è reso schiavo di tali 'sirené.
Il prestigio e il potere si rivelano 'padroni', che inaridiscono coloro che li seguono, rendendoli 'duri di cuore', fino a pretendere dagli altri un servizio, che è servilismo, distruggendo la meravigliosa condivisione e senso dell'uguaglianza nella dignità, che solo l'amore sa costruire.
Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Uno di loro mi fece attendere un'ora. Quando finalmente comparve, con una certa delicatezza, gli feci rilevare la non opportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di che cosa sia 'il trono', che ci si può costruire 'dentrò. Con fare sprezzante quasi mi urlò: 'Nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone!'... e vi era un chiaro compiacimento in queste sue parole! Gli risposi: 'lo non ho mai torto un capello a nessuno. Sono qui, perché sono stato invitato da lei e dai suoi compagni, e la ringrazio. Forse ai suoi occhi, per questo mio servizio, sono un niente, ma ho scelto io di voler essere un niente senza morti, abbracciando come principio della vita il servizio'. Mi guardò con attenzione, con un senso di sufficienza, poi ebbe una reazione furibonda e, mentre uscivo, urlò: 'Questa sera non arriverà a casa'. Un vero delirio di chi si sente grande... a suo modo!?
Sappiamo tutti che la superbia è il grande male, iniziato all'origine della creazione dell'uomo, a causa dell'uomo stesso. I progenitori erano stati creati per la felicità, erano il primo frutto dell'amore del Padre... ed erano nello stesso tempo la nostra origine.
Dio permise che l'amore fosse messo alla prova, perché amare è sempre una scelta libera. Il demonio seppe ingannarli, facendo balenare ai loro occhi la possibilità di 'essere come Dio, disobbedendo': è la tentazione della superbia, ieri, oggi e sempre, perché i nostri pro genitori caddero e quel vizio è ora annidato in ogni uomo.
Il Vangelo di oggi ha una prima parte in cui affiora la voglia di emergere, del potere e dall'altra la risposta netta di Gesù: 'Chi vuoi essere primo tra di voi sarà servo di tutti '.
Ricordiamo sempre che tutto quello che Gesù, il Figlio dell'uomo, chiede, lo ha vissuto in prima persona: è la grande lezione nella lavanda di piedi agli Apostoli
"In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistrà. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatoli a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc. 10,35-45)
È evidente che i due apostoli, Giacomo e Giovanni, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano ancora come tanti di noi.
Immaginavano che, stando vicino al Maestro, se non proprio subito, ma in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la 'gloria'. Ma non potevano sapere, né tanto meno comprendere ed accettare, da un punto di vista puramente umano, qual era il loro - e spesso il nostro - che la 'gloria' era nell'annientamento per amore, attraverso la passione fino al colmo dell'umiliazione sulla Croce. Affermava Paolo VI: 'Che l'umiltà sia un'esigenza costituzionale della morale del cristiano, nessuno lo può negare. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi termini stessi'.
Se ci guardiamo dentro con sincerità troviamo in noi stessi tanti lati oscuri, al punto da riuscire a volte ad appannare persino ogni tentativo di superbia, per mascherarla. Siamo proprio nulla. Solo del bene che lasciamo operare da Dio in noi dovremmo vantarci.
Questo lo capivano e lo capiscono i grandi nello Spirito. Ho avuto la grazia di stare vicino a persone davvero 'grandi' agli occhi di Dio e degli uomini, proprio per la loro umiltà e confidenza nell'azione della Grazia, e sempre mi hanno colpito proprio per la loro semplicità di cuore, questa è la luce vera che effondevano ed effondono ancora.
Così come nulla rattrista ed allontana come la superbia.
Non resta a noi, che siamo di Cristo, che riconquistare quello spirito di verità che genera l'umiltà. Alziamo il nostro sguardo a Maria SS. ma.
Nessuna creatura al mondo è stata e sarà grande come Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Suo Figlio. Leggendo il Vangelo appare tutta la sua umiltà, quella che le fa cantare: L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e grande è il Suo Nome'.
Che ci aiuti Maria a voler essere umili, ossia graditi a Dio e quindi amati... anche se agli occhi degli uomini siamo considerati un nulla.
L'umiltà è verità e aiuta a guardare con mitezza e bontà, con speranza radicata in Dio, ogni espressione della vita.
Con questo spirito riflettiamo ancora con le parole di Paolo VI:
"Noi abbiamo passato in rivista i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e cosi via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l'attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente; ecc.
Vi diremo ora che vi è un altro aspetto delle Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini.
Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l'umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l'invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza.
Chiesa umile, non nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell'esercizio delle sue potestà, generatrice e moderatrice del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l'edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d'ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l'indegnità propria, sempre ricordando l'esclamazione dell'Apostolo pescatore: «Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Lc. 5, 8).
E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell'indefettibilità della Chiesa e della rappresentazione di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli.
La Chiesa di Pietro gode di un'assistenza di Cristo e d'una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male; e la Chiesa intera non cessa d'essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell'esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l'edificazione del Corpo di Cristo» (Ef. 4, 12).
Questa osservazione, che ci condurrebbe allo studio delicato dell'azione del Signore nella sua Chiesa, ci autorizza a fare a voi, diletti figli e figlie, una raccomandazione.
Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la raccomandazione. Non vi accontentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, che essa presenta; conoscetela nella verità, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice".

domenica 14 ottobre 2012

Un invito rifiutato: Vieni e seguimi

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Il Vangelo di oggi contiene da una parte l'offerta di Gesù a stare con Lui sempre e dall'altra l'incredibile rifiuto. Si preferiscono le cose della terra all'incommensurabile valore di accettare l'invito di Gesù, ossia la vocazione, la piena realizzazione di se stessi.
È una pagina che fa meditare tutti, a cominciare da chi Dio sceglie e chiama a 'stare con Lui'. Leggiamola questa pagina: cogliamone la bellezza e la tragedia del rifiuto.
"Mentre Gesù stava per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domanda: 'Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?'.
Una domanda che la dice lunga sul desiderio di quel giovane di andare oltre le prospettive che offre il presente, incapaci di proiettarsi e proiettare verso l'eternità.
Gesù gli rispose: 'Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre.
Egli allora gli disse: 'Maestro tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza'.
Allora FISSATOLO, LO AMÒ e gli disse: 'UNA COSA SOIA TI MANCA: VA', VENDI QUELLO CHE HAI E DALLO AI POVERI E AVRAI UN TESORO IN CIELO, POI VIENI E SEGUIMI: Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni".
Credo sia necessario che ci fermiamo un momento per riflettere sull'invito e sul rifiuto: un invito a stare con Gesù, che certamente è la più grande ricchezza per l'uomo, ogni uomo, e la conseguente immaginabile tristezza del Maestro nel vedersi rifiutato, ma anche il dramma del giovane che gli volta le spalle 'perché aveva molti beni'. Ma non c'è confronto tra ciò che viene offerto e ciò che trattiene nell'accettare l'invito! Eppure è quello che avviene in tutti i tempi.
La reazione di Gesù non si fa attendere e la verità che proclama è terribile, e riguarda anche noi. "Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 'Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno dei cieli!: I discepoli rimasero stupefatti a queste parole, ma Gesù riprese: 'Come è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio!'.
Ma i discepoli ancora più sbalorditi dicevano tra loro: 'E chi si può salvare?:
Ma Gesù, guardandoli, disse: 'Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio!: Pietro allora disse: 'Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Gesù gli rispose: In verità vi dico: non v'è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli, sorelle o padre o madre o figlio campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case, fratelli, sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna (Mc 10, 17-30).
Un Vangelo stupendo, ma duro per chi lo rifiuta, per tanti, anche oggi.
Difficile comprendere il cuore dell'uomo, anche ai nostri giorni. Quando dico 'cuore' intendo sempre riferirmi alla sede delle nostre scelte, delle nostre preferenze, con cui poi indirizziamo non solo gli affetti, ma l'intera vita.
Troppo spesso il nostro cuore diventa un groviglio di interessi che, a volte, si affacciano e pretendono di avere il primo posto.
Al mattino forse preghiamo: 'Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa', poi ci accorgiamo di rincorrere tutto il giorno altri dèi, che sono gli interessi materiali cercati disordinatamente o, più semplicemente, il nostro egoismo e alla fine con amarezza, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo chiederci: 'Cosa o chi conta davvero nella mia vita e merita di essere amato veramente?' o meglio: 'Chi o cosa è l'amore a cui tengo di più, la mia vita, la mia forza, la mia felicità?'
Ci deve essere - credo - nel cuore di ciascuno CHI sì propone come sicuro amore, che sia come il respiro dell'anima. Era quello che cercava quel bravo giovane.
Era andato da Gesù attendendo non so quale risposta alla sua domanda: 'Maestro che devo fare per avere la vita eterna?'. Una domanda senza equivoci. Non chiedeva cosa fare per avere una buona salute o fortuna o altro, che è frutto di questa terra. Chiedeva quello che l'avrebbe reso eterno. Un'esigenza che è in tutti. Assediati da tante offerte terrene, illusorie e fallaci, forse in qualche momento di serenità e di fede, tanti si pongono la stessa domanda. In fondo è la domanda essenziale, che dovrebbe interessare e indirizzare lo stile della nostra vita: una domanda che non trova risposta in questa misera terra, che può dare soddisfazioni, come la salute, la fortuna o la ricchezza, ma non un 'senso', né tanto meno la verità della vita, che nasce per tornare nell'eternità.
Solo Dio, da cui proveniamo, conosce la risposta e suggerisce il cammino, ossia la nostra vocazione.
Ma scrive, giustamente, Paolo VI: "Tra la chiamata di Dio e noi c'è sempre il dono della libertà. Non può esserci amore vero, che non sia fondato sulla libertà nel donare o accettare le scelte. Per libertà intendiamo l'oblazione personale e volontaria alla causa di Cristo e della sua Chiesa. Non vi possono essere vocazioni se non libere; la vocazione è offerta spontanea di sé. Oblazioni, diciamo, e qui sta praticamente il vero problema. Come, per esempio, avrà ancora oggi la Chiesa l'offerta di giovani vite, che si consacrano al suo servizio? Il mondo della religione non ha più le suggestive attrattive di un tempo: in certi ambienti è un mondo screditato dall'ateismo ufficiale e di massa, o dall'edonismo diventato ideale di vita; è un mondo senza ideale di vita, reso quasi incomprensibile alla psicologia delle giovani generazioni. Eppure la Chiesa attende, chiama, chiede. Chiama la gioventù specialmente, perché sa che i giovani hanno ancora udito buono ad intendere la voce. È una voce che invita alle cose difficili, alle cose eroiche, alle cose vere. È una voce umile e penetrante di Cristo, che dice oggi, come ieri, vieni!
La libertà è posta al suo supremo cimento, quello appunto dell'oblazione, della generosità, del sacrificio" (aprile 1968).
Ed ha ragione: oggi le voci di aiuto per una vita dignitosa, che conosca la verità del suo esistere, la ricerca della vera felicità sono tante. Direi che sono la domanda di tutti: non si può far finta di non sentirla. Pericoloso voltare le spalle a Dio che chiama - attraverso questa urgenza dei nostri fratelli -per preferire ciò che non è voce di verità, ma solo affezione a cose che passano e sono davvero poco o nulla davanti alla vita eterna.
Mi piace ricordare che la vocazione si estende anche ad ogni genere di vita e sono tante e diverse le vocazioni a cui Dio chiama: ne è pieno, per fortuna, il mondo e sono così belle e variegate da costituire il meraviglioso 'arcobaleno' che brilla già nel cielo di quaggiù.
Ogni vocazione chiede con libertà di essere accettata e vissuta, come è ad esempio nel matrimonio. È vero che oggi i matrimoni molte volte non conoscono la loro natura di vocazione di Dio... e vanno in frantumi al più piccolo urto!
Per cui mi commuove ogni volta celebro le nozze d'oro o d'argento, che sono la festa del sì coraggioso e libero alla vocazione del matrimonio.
E piace ricordare quello che mi disse un giorno papà, in un momento di dialogo - ero già sacerdote - "Sono 35 anni che vivo il matrimonio con tua mamma. Ma ogni giorno è come il primo. E sento che senza di lei la mia vita sarebbe un vuoto incolmabile, quasi da chiedermi: perché vivo?'. A dieci anni ero chierichetto nella mia parrocchia ed un giorno venne a impartire le cresime il cardinal Schuster. Lo accompagnavo in tutti i passi ed era per me 'Dio sulla terrà. A bruciapelo, entrando nella casa canonica mi chiese se non mi sarebbe piaciuto essere prete. Restai confuso. Nei giorni successivi continuò ad essere una voce che mi accompagnava in attesa di una risposta. Alla fine dissi sì. Ora guardo ad una vita spesa totalmente al servizio di Dio e della Chiesa, possibile solo perché quel sì non è stata solo una 'mia' risposta, ma la certezza donatami di essere sostenuto dalla incredibile grazia di Dio che mi aveva chiamato.
Tutti conoscete la mia vita forgiata dalla grazia nella vita religiosa, il cammino tra la gente del Belice e di Acerra. In quel giorno in cui dissi sì, mai avrei potuto lontanamente immaginare quello che Dio aveva progettato per me. Mi ha chiesto tanto, ho sofferto, ho sentito a volte il peso della croce, ma sempre con la fiducia che mi bastava prendere la Sua mano e seguirLo. Ora sono felice, sereno. Quando mi chiamerà avrò di buono quel sì, mai tradito né rinnegato, per Sua Grazia. È l'unica ricchezza che posso offrirGli.
Non mi resta che pregare perché le famiglie educhino i figli ai grandi sì a Dio, quando manifesta la Sua volontà. Prego per i giovani, perché sappiano essere generosi e aperti nel fare della vita un sì, senza ma, al bene che il Padre propone ed è nei Suoi progetti.
E prego per i sacerdoti, i consacrati, che testimonino con la gioia e la santità la bellezza dell'essere stati chiamati e di aver avuto la grazia di seguirLo.
Ricordiamocelo sempre: noi, 'scelti e chiamati' siamo le 'sentinelle di Dio'.
Una preghiera alla Madonna:
"Maria, donna del sì, noi intuiamo che il mistero del primo incontro con l'Altissimo è legato a quello della croce: uno spiega l'altro, uno è radice dell'altro, ma non abbiamo sempre il coraggio di vivere le conseguenze del tuo sì. Donaci di comprendere le radici misteriose dell'amore, che ti ha unita al Padre e al Figlio e insieme a tutti noi, perché anche noi impariamo a dire il nostro umile sì
alla vita, alla giustizia, alla solidarietà, a Dio".

domenica 7 ottobre 2012

L'uomo non separi mai...

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Anzitutto mi sembra doveroso gioire con voi, perché sappiamo che la nostra Patria è sotto la protezione di S. Francesco d'Assisi: il santo che tutti veneriamo con particolare devozione e sotto la cui protezione mettiamo la nostra Italia, che ha davvero tanto bisogno della sua protezione e guida. Francesco, il santo della perfezione evangelica radicale, ha portato in primo piano la bellezza della beatitudine di 'sorella povertà', che era poi lo stile di vita di Gesù.
In un tempo in cui pare che la ricchezza sia l'idolatria di molti, è giusto affidarci a lui, per renderci, con la sua intercessione, capaci di maggior sobrietà, più poveri in spirito e, quindi, diventare davvero uomini di vera pace.
Così come è bello ricordare che il mese di ottobre è il mese del S. Rosario.
Ci conduce per mano, nelle nostre riflessioni, il nostro Paolo VI, che così commenta:
"Il Rosario è un'educazione alla pietà religiosa, più semplice e popolare e allo stesso tempo più seria e più autentica: insegna a unire l'orazione con le azioni comuni della giornata; santifica le vostre amicizie e le vostre occupazioni, vi abitua a unire le parole della preghiera al pensiero, alla riflessione sui misteri del Rosario; e questi, che si presentano come quadri, come scene, come racconti, l'uno dopo l'altro, vi portano alla storia della vita di Gesù e di Maria e alla comprensione delle più alte verità della nostra religione: l'Incarnazione del Signore, la Sua redenzione, la vita cristiana presente e futura. È una scala, il S. Rosario, e voi vi salite insieme, adagio adagio, andando in su, incontro alla Madonna, che vuol dire incontro a Gesù. Perché questo è uno dei caratteri del Rosario, il più bello di tutti: è una devozione che attraverso Maria ci porta a Gesù. Si parla di Maria per arrivare a Gesù... Quante grazie porta questa devozione 'associatà! Sono grazie per voi, grazie per la vostra famiglia, grazie per la vostra città. Voi potete arrivare a confortare, con il Rosario, i malati, salvare i moribondi, convertire i peccatori, aiutare i missionari, liberare le anime del Purgatorio" (maggio 1964).
Porto con me, sempre, fin da ragazzo, la corona del S. Rosario, come a confermare alla Mamma Celeste il mio affetto e il mio bisogno di essere protetto. È la bella educazione ricevuta in famiglia, quando, da piccoli e più avanti, a sera, ci si ritrovava, come piccola chiesa, a recitare il S. Rosario. Mi ha commosso tanto, un giorno, accompagnando il Papa Giovanni Paolo II, per le scale della Sacra di S, Michele, vederlo sgranare ad ogni scalino la corona del S. Rosario: era la sua 'compagnia' quotidiana.
E veniamo al Vangelo di oggi, tanto necessario per avere idee chiare sul sacramento del matrimonio.
Difficilmente il Vangelo si sofferma a valutare singolarmente i fatti, che compongono, anche in modo sostanziale, la nostra vita. Gesù pare abbia a cuore essenzialmente - e non può essere diversamente, Lui, il Figlio di Dio venuto tra noi, uomo tra gli uomini, con tutti i nostri problemi - di offrirci la conoscenza della ragione del dono della vita che, ricordiamocelo sempre, ha di mira la salvezza eterna. Lì c'è la risposta per ciascuno di noi, ossia l'invito alla felicità eterna.
Ed è logico che in tale risposta trovi la sua collocazione il matrimonio, che è la vocazione più 'comuné alla santità.
Racconta il Vangelo oggi:
"Avvicinatisi dei farisei per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?. Ma egli rispose loro: Che cosa vi ha ordinato Mosè. Dissero: Mose ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla.
Gesù disse loro: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma, Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina, per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una cosa sola. L'uomo non separi mai ciò che Dio ha congiunto" (Mc 10, 2-16).
In fondo Gesù conferma solennemente quanto racconta la Genesi:
"Il Signore disse: 'Non è bene che l'uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile'. Allora il Signore fece scendere un torpore sull'uomo che si addormentò: gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò, con la costola che aveva tolto all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: 'Questa volta essa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata toltà. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (Gen 2, 18-24).
Così il matrimonio è essere 'scelti', chiamati a vivere il grande dono della carità, giocandosi tutto l'uno per l'altra.
Avete mai osservato quale enorme differenza passi tra una sia pur profonda amicizia, tra persone che sono, se buone, graditissimo dono del Signore - Amico e Padre per eccellenza - e l'amore tra due coniugi?
Un'amicizia è partecipazione del bene che si è e si ha, ma non coinvolge tutta la persona, non fa mai, in una parola, dei due amici una carne sola.
Nell'amicizia si conserva e si rispetta integralmente la libertà dell'altro: ci si può volere bene immensamente, ma non ci si appartiene.
Nel matrimonio l'amore fra due coniugi è totale, fino al dono della propria carne, realizzando la ragione che è nella creazione.
Al coniuge si offre tutto di se stesso, come dono meraviglioso e gratuito.
E tale dono realizza un'unione, che dovrebbe essere irreversibile, per l'eternità: a: un'unità che si costruisce lentamente, a volte facendo esperienza della croce.
Un tale amore è sempre condivisione della vita, anche nelle piccole scelte quotidiane, fino a diventare 'carne della mia carne, ossa delle mie ossa'. L'amore nel matrimonio non può mai essere un evento occasionale della vita, da usare e gettare, ma richiede una virtù che oggi pare sconosciuta, la fedeltà 'fin che morte non ci separi', per poi essere uniti un giorno per sempre.
Così si esprime il Concilio Ecumenico Vaticano II nel documento 'Chiesa e mondo':
"Però non dappertutto la dignità del matrimonio - ripeto fondata sull'amore che ne è il grande cardine, la pietra angolare - brilla con identica chiarezza, perché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale - che dovrebbe essere, ripeto, la pietra angolare - è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e usi illeciti contro la generazione. Tuttavia il valore e la solidità del matrimonio e famigliare prendono risalto dal fatto che le difficoltà, molto spesso, rendono manifesta in maniera diversa la vera natura dell'istituto stesso" (n. 48).
E perché il matrimonio giungesse al suo compimento, Dio ha voluto che l'amore tra i coniugi diventare un sacramento, ossia uno strumento di santificazione; ha voluto, cioè, dargli il senso delle cose sante, quelle in cui opera Lui stesso accanto all'uomo. Per cui i coniugi sanno di poter contare su una 'grazia di stato', ossia sulla grazia del matrimonio, sacramento che fa superare tante difficoltà, ossia sentire Gesù farsi partecipe della vita matrimoniale.
Quando questa 'compagnia' è vissuta con fede, spiega molto bene la riuscita di tante famiglie, la gioia e la serenità che riscontriamo in sposi che hanno la fortuna di celebrare le 'nozze d'argento o d'orò. Altro infatti è camminare 'insieme', ma con la compagnia di Gesù.
C'è una spiritualità del matrimonio che è fondamentale e a cui si dovrebbero educare i giovani fidanzati nella preparazione al matrimonio.
Il grave difetto dei matrimoni, oggi, è proprio qui: tanta esteriorità, nella celebrazione, senza la dovuta serietà nella preparazione. In fondo è il cuore che va ricondotto alla bellezza della sua donazione totale nel matrimonio, infatti è proprio il cuore che viene travolto da mille errori, che non gli permettono di accostarsi al grande sacramento con quella apertura al dono, sempre, che sarà il fondamento della felicità.
Da qui le crisi profonde che caratterizzano tante famiglie, che si fanno e disfano con la facilità con cui si cambia un vestito. Ma tra persone umane, se davvero mature nel cuore, non ci si può trattare come fossimo 'oggetti' a cui, al mattino, si può dire adoro e, alla sera, 'non ti sopporto più'. Sicuramente troppo spesso si confonde la sessualità con l'amore, ma l'una deve essere ai servizio dell'altro, e mai senza l'altro.
La persona umana, uomo o donna, - se matura nel cuore, ripeto ? è come 'la vite' evangelica: si fa innestare nell'altro fino a diventare una cosa sola.
L'amore è la sublimità, difficile se si vuole, di rimanere nell'altro ? senza negare se stesso ? fino a diventare 'uno', ma se è reciso fa morire la vite stessa.
Gesù questa immaturità nell'amore la chiamava e la chiama 'durezza di cuore': per questa Mosè aveva concesso il ripudio.
Come fare per affrontare questa insidia contro l'amore e quindi contro il matrimonio?
Anzitutto dovrebbe essere conosciuto e rivalutato il ruolo dell'amore e non soffermarsi solo sugli aspetti sessuali.
Così l'apostolo Paolo descrive la aratura dell'amore - una regola per tutti -:
"L'amore è paziente, benigno è l'amore; non è invidioso l'amore; non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode delle ingiustizie, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine" (1 Cor 13, 4-9).
E come riuscire, senza paura, a fare della propria famiglia, ai cui centro sono gli sposi, qualcosa di bello, come 'una piccola chiesa domestica'?
Preghiamo, oggi e sempre, per tutti gli sposi e per le nostre famiglie:
"Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,
noi ti rendiamo grazie e benediciamo il Tuo santo nome;
Tu hai creato l'uomo e la donna e hai benedetto la loro unione, perché l'uno fosse per l'altro aiuto e appoggio.
Accorda agli sposi (a noi sposi) di vivere insieme lungamente nella gioia e nella pace,
perché i loro (nostri) cuori aiutino a salire verso di Te, che sei l'Amore, per mezzo del Tuo Figlio Gesù, nello Spirito Santo. Sempre. Amen".