domenica 21 ottobre 2012
Il cristiano vero ama il servizio, non il potere
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti uomini e donne a farsi avanti per essere sulle prime pagine dei giornali, delle riviste o della cronaca in genere, e non solo nel campo della politica o dell'economia o dello spettacolo, ma a volte in quello della violenza o della malavita organizzata.
Ed è emersa una risposta abbastanza evidente. Sono due le 'sirené che attraggono, seppur nascoste sotto modi e forme diversi: il prestigio e il potere È difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste 'sirené! Se si ha l'occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre.
Del resto 'l'occasione fa l'uomo ladrò è un detto della saggezza antica, quella che nasce da una lunga esperienza del vivere umano!
Il successo e il potere garantiscono di finire sulla bocca di tutti, di entrare nella vita di tanti e diventano un sogno per molti. Poco importa se, spesso, per arrivarci si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale, se si deve ignorare ogni sentimento di solidarietà verso gli altri, che invece, per noi che siamo di Cristo, sono valori che hanno il primo posto nella vita.
Dobbiamo esserne consapevoli: il prestigio e il potere, in ogni campo, esigono come prezzo di essere posti come principi di vita, da non mettere mai in discussione, se li si vuole raggiungere... anche se le conseguenze sono a volte devastanti: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, senza considerare il vuoto esistenziale, il deserto interiore, che una tale visione di vita, a lungo andare provoca in chi si è reso schiavo di tali 'sirené.
Il prestigio e il potere si rivelano 'padroni', che inaridiscono coloro che li seguono, rendendoli 'duri di cuore', fino a pretendere dagli altri un servizio, che è servilismo, distruggendo la meravigliosa condivisione e senso dell'uguaglianza nella dignità, che solo l'amore sa costruire.
Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Uno di loro mi fece attendere un'ora. Quando finalmente comparve, con una certa delicatezza, gli feci rilevare la non opportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di che cosa sia 'il trono', che ci si può costruire 'dentrò. Con fare sprezzante quasi mi urlò: 'Nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone!'... e vi era un chiaro compiacimento in queste sue parole! Gli risposi: 'lo non ho mai torto un capello a nessuno. Sono qui, perché sono stato invitato da lei e dai suoi compagni, e la ringrazio. Forse ai suoi occhi, per questo mio servizio, sono un niente, ma ho scelto io di voler essere un niente senza morti, abbracciando come principio della vita il servizio'. Mi guardò con attenzione, con un senso di sufficienza, poi ebbe una reazione furibonda e, mentre uscivo, urlò: 'Questa sera non arriverà a casa'. Un vero delirio di chi si sente grande... a suo modo!?
Sappiamo tutti che la superbia è il grande male, iniziato all'origine della creazione dell'uomo, a causa dell'uomo stesso. I progenitori erano stati creati per la felicità, erano il primo frutto dell'amore del Padre... ed erano nello stesso tempo la nostra origine.
Dio permise che l'amore fosse messo alla prova, perché amare è sempre una scelta libera. Il demonio seppe ingannarli, facendo balenare ai loro occhi la possibilità di 'essere come Dio, disobbedendo': è la tentazione della superbia, ieri, oggi e sempre, perché i nostri pro genitori caddero e quel vizio è ora annidato in ogni uomo.
Il Vangelo di oggi ha una prima parte in cui affiora la voglia di emergere, del potere e dall'altra la risposta netta di Gesù: 'Chi vuoi essere primo tra di voi sarà servo di tutti '.
Ricordiamo sempre che tutto quello che Gesù, il Figlio dell'uomo, chiede, lo ha vissuto in prima persona: è la grande lezione nella lavanda di piedi agli Apostoli
"In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistrà. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatoli a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc. 10,35-45)
È evidente che i due apostoli, Giacomo e Giovanni, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano ancora come tanti di noi.
Immaginavano che, stando vicino al Maestro, se non proprio subito, ma in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la 'gloria'. Ma non potevano sapere, né tanto meno comprendere ed accettare, da un punto di vista puramente umano, qual era il loro - e spesso il nostro - che la 'gloria' era nell'annientamento per amore, attraverso la passione fino al colmo dell'umiliazione sulla Croce. Affermava Paolo VI: 'Che l'umiltà sia un'esigenza costituzionale della morale del cristiano, nessuno lo può negare. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi termini stessi'.
Se ci guardiamo dentro con sincerità troviamo in noi stessi tanti lati oscuri, al punto da riuscire a volte ad appannare persino ogni tentativo di superbia, per mascherarla. Siamo proprio nulla. Solo del bene che lasciamo operare da Dio in noi dovremmo vantarci.
Questo lo capivano e lo capiscono i grandi nello Spirito. Ho avuto la grazia di stare vicino a persone davvero 'grandi' agli occhi di Dio e degli uomini, proprio per la loro umiltà e confidenza nell'azione della Grazia, e sempre mi hanno colpito proprio per la loro semplicità di cuore, questa è la luce vera che effondevano ed effondono ancora.
Così come nulla rattrista ed allontana come la superbia.
Non resta a noi, che siamo di Cristo, che riconquistare quello spirito di verità che genera l'umiltà. Alziamo il nostro sguardo a Maria SS. ma.
Nessuna creatura al mondo è stata e sarà grande come Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Suo Figlio. Leggendo il Vangelo appare tutta la sua umiltà, quella che le fa cantare: L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e grande è il Suo Nome'.
Che ci aiuti Maria a voler essere umili, ossia graditi a Dio e quindi amati... anche se agli occhi degli uomini siamo considerati un nulla.
L'umiltà è verità e aiuta a guardare con mitezza e bontà, con speranza radicata in Dio, ogni espressione della vita.
Con questo spirito riflettiamo ancora con le parole di Paolo VI:
"Noi abbiamo passato in rivista i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e cosi via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l'attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente; ecc.
Vi diremo ora che vi è un altro aspetto delle Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini.
Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l'umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l'invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza.
Chiesa umile, non nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell'esercizio delle sue potestà, generatrice e moderatrice del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l'edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d'ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l'indegnità propria, sempre ricordando l'esclamazione dell'Apostolo pescatore: «Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Lc. 5, 8).
E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell'indefettibilità della Chiesa e della rappresentazione di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli.
La Chiesa di Pietro gode di un'assistenza di Cristo e d'una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male; e la Chiesa intera non cessa d'essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell'esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l'edificazione del Corpo di Cristo» (Ef. 4, 12).
Questa osservazione, che ci condurrebbe allo studio delicato dell'azione del Signore nella sua Chiesa, ci autorizza a fare a voi, diletti figli e figlie, una raccomandazione.
Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la raccomandazione. Non vi accontentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, che essa presenta; conoscetela nella verità, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice".
Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti uomini e donne a farsi avanti per essere sulle prime pagine dei giornali, delle riviste o della cronaca in genere, e non solo nel campo della politica o dell'economia o dello spettacolo, ma a volte in quello della violenza o della malavita organizzata.
Ed è emersa una risposta abbastanza evidente. Sono due le 'sirené che attraggono, seppur nascoste sotto modi e forme diversi: il prestigio e il potere È difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste 'sirené! Se si ha l'occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre.
Del resto 'l'occasione fa l'uomo ladrò è un detto della saggezza antica, quella che nasce da una lunga esperienza del vivere umano!
Il successo e il potere garantiscono di finire sulla bocca di tutti, di entrare nella vita di tanti e diventano un sogno per molti. Poco importa se, spesso, per arrivarci si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale, se si deve ignorare ogni sentimento di solidarietà verso gli altri, che invece, per noi che siamo di Cristo, sono valori che hanno il primo posto nella vita.
Dobbiamo esserne consapevoli: il prestigio e il potere, in ogni campo, esigono come prezzo di essere posti come principi di vita, da non mettere mai in discussione, se li si vuole raggiungere... anche se le conseguenze sono a volte devastanti: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, senza considerare il vuoto esistenziale, il deserto interiore, che una tale visione di vita, a lungo andare provoca in chi si è reso schiavo di tali 'sirené.
Il prestigio e il potere si rivelano 'padroni', che inaridiscono coloro che li seguono, rendendoli 'duri di cuore', fino a pretendere dagli altri un servizio, che è servilismo, distruggendo la meravigliosa condivisione e senso dell'uguaglianza nella dignità, che solo l'amore sa costruire.
Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Uno di loro mi fece attendere un'ora. Quando finalmente comparve, con una certa delicatezza, gli feci rilevare la non opportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di che cosa sia 'il trono', che ci si può costruire 'dentrò. Con fare sprezzante quasi mi urlò: 'Nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone!'... e vi era un chiaro compiacimento in queste sue parole! Gli risposi: 'lo non ho mai torto un capello a nessuno. Sono qui, perché sono stato invitato da lei e dai suoi compagni, e la ringrazio. Forse ai suoi occhi, per questo mio servizio, sono un niente, ma ho scelto io di voler essere un niente senza morti, abbracciando come principio della vita il servizio'. Mi guardò con attenzione, con un senso di sufficienza, poi ebbe una reazione furibonda e, mentre uscivo, urlò: 'Questa sera non arriverà a casa'. Un vero delirio di chi si sente grande... a suo modo!?
Sappiamo tutti che la superbia è il grande male, iniziato all'origine della creazione dell'uomo, a causa dell'uomo stesso. I progenitori erano stati creati per la felicità, erano il primo frutto dell'amore del Padre... ed erano nello stesso tempo la nostra origine.
Dio permise che l'amore fosse messo alla prova, perché amare è sempre una scelta libera. Il demonio seppe ingannarli, facendo balenare ai loro occhi la possibilità di 'essere come Dio, disobbedendo': è la tentazione della superbia, ieri, oggi e sempre, perché i nostri pro genitori caddero e quel vizio è ora annidato in ogni uomo.
Il Vangelo di oggi ha una prima parte in cui affiora la voglia di emergere, del potere e dall'altra la risposta netta di Gesù: 'Chi vuoi essere primo tra di voi sarà servo di tutti '.
Ricordiamo sempre che tutto quello che Gesù, il Figlio dell'uomo, chiede, lo ha vissuto in prima persona: è la grande lezione nella lavanda di piedi agli Apostoli
"In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistrà. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatoli a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc. 10,35-45)
È evidente che i due apostoli, Giacomo e Giovanni, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano ancora come tanti di noi.
Immaginavano che, stando vicino al Maestro, se non proprio subito, ma in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la 'gloria'. Ma non potevano sapere, né tanto meno comprendere ed accettare, da un punto di vista puramente umano, qual era il loro - e spesso il nostro - che la 'gloria' era nell'annientamento per amore, attraverso la passione fino al colmo dell'umiliazione sulla Croce. Affermava Paolo VI: 'Che l'umiltà sia un'esigenza costituzionale della morale del cristiano, nessuno lo può negare. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi termini stessi'.
Se ci guardiamo dentro con sincerità troviamo in noi stessi tanti lati oscuri, al punto da riuscire a volte ad appannare persino ogni tentativo di superbia, per mascherarla. Siamo proprio nulla. Solo del bene che lasciamo operare da Dio in noi dovremmo vantarci.
Questo lo capivano e lo capiscono i grandi nello Spirito. Ho avuto la grazia di stare vicino a persone davvero 'grandi' agli occhi di Dio e degli uomini, proprio per la loro umiltà e confidenza nell'azione della Grazia, e sempre mi hanno colpito proprio per la loro semplicità di cuore, questa è la luce vera che effondevano ed effondono ancora.
Così come nulla rattrista ed allontana come la superbia.
Non resta a noi, che siamo di Cristo, che riconquistare quello spirito di verità che genera l'umiltà. Alziamo il nostro sguardo a Maria SS. ma.
Nessuna creatura al mondo è stata e sarà grande come Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Suo Figlio. Leggendo il Vangelo appare tutta la sua umiltà, quella che le fa cantare: L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e grande è il Suo Nome'.
Che ci aiuti Maria a voler essere umili, ossia graditi a Dio e quindi amati... anche se agli occhi degli uomini siamo considerati un nulla.
L'umiltà è verità e aiuta a guardare con mitezza e bontà, con speranza radicata in Dio, ogni espressione della vita.
Con questo spirito riflettiamo ancora con le parole di Paolo VI:
"Noi abbiamo passato in rivista i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e cosi via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l'attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente; ecc.
Vi diremo ora che vi è un altro aspetto delle Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini.
Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l'umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l'invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza.
Chiesa umile, non nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell'esercizio delle sue potestà, generatrice e moderatrice del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l'edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d'ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l'indegnità propria, sempre ricordando l'esclamazione dell'Apostolo pescatore: «Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Lc. 5, 8).
E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell'indefettibilità della Chiesa e della rappresentazione di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli.
La Chiesa di Pietro gode di un'assistenza di Cristo e d'una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male; e la Chiesa intera non cessa d'essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell'esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l'edificazione del Corpo di Cristo» (Ef. 4, 12).
Questa osservazione, che ci condurrebbe allo studio delicato dell'azione del Signore nella sua Chiesa, ci autorizza a fare a voi, diletti figli e figlie, una raccomandazione.
Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la raccomandazione. Non vi accontentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, che essa presenta; conoscetela nella verità, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice".
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