giovedì 30 giugno 2011

Sessualità umana - XX appuntamento

 Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Oggi ci soffermiamo sul periodo più complicato della vita umana e cioè l'adolescenza, un periodo dove si può davvero rischiare di uscire fuori strada se la famiglia non riesce a trasmettere i giusti insegnamenti sul valore della sessualità, del matrimonio, della vita stessa. Come detto nello scorso appuntamento, proprio la cultura del laissez-faire ha prodotto i risultati disastrosi dei giorni nostri, con adolescenti sempre più spinti verso le ombre di questa vita rappresentate dall'alcool, dalla droga, dal sesso facile e dall'immoralità dilagante. Bisogna dunque evitare di lasciare che i giovani crescano da soli, senza un vero insegnamento solido alle spalle, perché ciò significherebbe consegnarli un destino ignoto, dove potrebbero andare a sbattere contro il muro del male:

VI

I PASSI NELLA CONOSCENZA  

3. L'adolescenza nel progetto di vita

98. L'adolescenza rappresenta, nello sviluppo del soggetto, il periodo della progettazione di sé e perciò della scoperta della propria vocazione: tale periodo tende ad essere oggi — sia per ragioni fisiologiche che per motivi socio-culturali — più prolungato nel tempo che nel passato. I genitori cristiani devono « formare i figli alla vita, in modo che ciascuno adempia in pienezza il suo compito secondo la vocazione ricevuta da Dio ».25 Si tratta di un impegno di somma importanza, che costituisce in definitiva il culmine della loro missione di genitori. Se ciò è sempre importante, lo diventa in maniera particolare in questo periodo della vita dei figli: « Nella vita di ciascun fedele laico ci sono momenti particolarmente significativi e decisivi per discernere la chiamata di Dio: ... tra questi ci sono i momenti dell'adolescenza e della giovinezza ».26

99. E molto importante che i giovani non si ritrovino soli nel discernere la vocazione personale. Sono rilevanti e talora decisivi il consiglio dei genitori e il sostegno di un sacerdote o di altre persone adeguatamente formate — nelle parrocchie, nelle associazioni e nei nuovi e fecondi movimenti ecclesiali, ecc. — che siano in grado di aiutarli a scoprire il senso vocazionale dell'esistenza e le varie forme della chiamata universale alla santità, poiché il « seguimi di Cristo si può ascoltare lungo una diversità di cammini, tramite i quali procedono i discepoli e i testimoni del Redentore ».27

100. Per secoli, il concetto di vocazione era stato riservato esclusivamente al sacerdozio e alla vita religiosa. Il Concilio Vaticano II, ricordando l'insegnamento del Signore — « Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste » (Mt 5,48) — ha rinnovato l'appello universale alla santità:28 « Questo forte invito alla santità — scrisse poco dopo Paolo VI — può essere considerato come l'elemento più caratteristico di tutto il magistero conciliare e, per così dirlo, il suo ultimo fine »;29 e ribadisce Giovanni Paolo II: « Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana.30 Questa consegna non è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa ».31

Dio chiama alla santità tutti gli uomini e, per ciascuno di essi, ha dei piani ben precisi: una vocazione personale che ognuno deve riconoscere, accogliere e sviluppare. A tutti i cristiani — sacerdoti e laici, sposati o celibi —, si applicano le parole dell'Apostolo delle genti: « Eletti di Dio, santi e amati » (Col 3,12).

101. E quindi necessario che non manchi mai nella catechesi e nella formazione impartita dentro e fuori della famiglia, non solo l'insegnamento della Chiesa sul valore eccelso della verginità e del celibato,32 ma anche sul senso vocazionale del matrimonio, che non può mai essere considerato da un cristiano soltanto come avventura umana: « Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa », dice San Paolo (Ef 5,32). Dare ai giovani questa ferma convinzione, di portata trascendentale per il bene della Chiesa e dell'umanità, « dipende in gran parte dai genitori e dalla vita familiare che costruiscono nella propria casa ».33

102. I genitori devono sempre adoperarsi per dare l'esempio e la testimonianza, con la propria vita, della fedeltà a Dio e della fedeltà dell'uno all'altro nell'alleanza coniugale. Ma il loro esempio è particolarmente decisivo nell'adolescenza, periodo in cui i giovani cercano modelli vissuti e attraenti di condotta. Siccome in questo tempo i problemi sessuali si fanno spesso più evidenti, i genitori devono anche aiutarli ad amare la bellezza e la forza della castità con consigli prudenti, mettendo in luce il valore inestimabile che per viverla possiedono la preghiera e la ricezione frequente e fruttuosa dei sacramenti, in particolare la confessione personale. Devono, inoltre, essere in grado di dare ai loro figli, secondo le necessità, una spiegazione positiva e serena dei punti fermi della morale cristiana come, per esempio, l'indissolubilità del matrimonio e i rapporti tra amore e procreazione, nonché l'immoralità dei rapporti prematrimoniali, dell'aborto, della contraccezione e della masturbazione. Circa queste ultime realtà immorali, che contraddicono il significato della donazione coniugale, giova ricordare ancora che: « Le due dimensioni dell'unione coniugale, quella unitiva e quella procreativa, non possono essere separate artificialmente senza intaccare la verità intima dell'atto coniugale stesso ».34 Al riguardo sarà per i genitori un aiuto prezioso la conoscenza approfondita e meditata dei documenti della Chiesa che trattano questi problemi.35

103. In particolare, la masturbazione costituisce un disordine grave, illecito in se stesso, che non può essere moralmente giustificato, anche se « l'immaturità dell'adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo squilibrio psichico, o l'abitudine contratta possono influire sul comportamento, attenuando il carattere deliberato dell'atto, e far sí che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave ».36 Gli adolescenti vanno quindi aiutati a superare tali manifestazioni di disordine che sono espressione spesso dei conflitti interni e dell'età e non raramente di una visione egoistica della sessualità.

104. Una particolare problematica, che può manifestarsi nel processo di maturazione-identificazione sessuale, è quella della omosessualità, che d'altronde si diffonde sempre più nelle culture urbanizzate. E necessario che questo fenomeno venga presentato con equilibrio di giudizio, alla luce dei documenti della Chiesa.37 I giovani richiedono di essere aiutati a distinguere i concetti di normalità e di anomalia, di colpa soggettiva e di disordine oggettivo, evitando di indurre ostilità, e d'altro canto chiarendo bene l'orientamento strutturale e complementare della sessualità in relazione alla realtà del matrimonio, della procreazione e della castità cristiana. « L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile ».38 Bisogna distinguere la tendenza che può essere innata e gli atti di omosessualità che « sono intrinsecamente disordinati »39 e contrari alla legge naturale.40

Molti casi, specialmente quando la pratica di atti omosessuali non si è strutturata, possono giovarsi positivamente di un'appropriata terapia. In ogni modo, le persone che sono in questa condizione devono essere accolte con rispetto, dignità e delicatezza, evitando ogni forma di ingiusta discriminazione. I genitori, da parte loro, quando avvertissero nei figli, in età infantile o adolescenziale, l'apparire di tale tendenza o dei relativi comportamenti, si facciano aiutare da persone esperte e qualificate per portare tutto l'aiuto possibile.

Per la maggior parte delle persone omosessuali, tale condizione costituisce una prova. « Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione ».41 « Le persone omosessuali sono chiamate alla castità ».42

105. La consapevolezza del significato positivo della sessualità, in ordine all'armonia e allo sviluppo della persona, nonché in relazione alla vocazione della persona nella famiglia, nella società e nella Chiesa, rappresenta sempre l'orizzonte educativo da proporre nelle tappe dello sviluppo adolescenziale. Non si deve mai dimenticare che il disordine nell'uso del sesso tende a distruggere progressivamente la capacità di amare della persona, facendo del piacere — invece che del dono sincero di sé — il fine della sessualità e riducendo le altre persone a oggetti della propria gratificazione: così esso indebolisce sia il senso del vero amore tra l'uomo e la donna — sempre aperto alla vita — sia la stessa famiglia e induce successivamente al disprezzo della vita umana che potrebbe essere concepita, considerata allora come un male che minaccia in certe situazioni il piacere personale.43 « La banalizzazione della sessualità », infatti, « è tra i principali fattori che stanno all'origine del disprezzo della vita nascente: solo un amore vero sa custodire la vita ».44

106. Bisogna anche ricordare come nelle società industrializzate gli adolescenti siano interiormente interessati, e talora turbati, non soltanto per i problemi di identificazione di sé, di scoperta del proprio piano di vita, e per le difficoltà di raggiungere un'integrazione della sessualità in una personalità matura e ben orientata, ma anche per problemi di accettazione di sé e del proprio corpo. Sorgono ormai ambulatori e centri specializzati per l'adolescenza spesso caratterizzati da intenti puramente edonistici. Una sana cultura del corpo, che porti all'accettazione di sé come dono e come incarnazione di uno spirito chiamato all'apertura verso Dio e verso la società, dovrà accompagnare la formazione in questo periodo altamente costruttivo, ma anche non privo di rischi.

Di fronte alle proposte di aggregazione edonistica che vengono fatte, specialmente nelle società del benessere, è poi sommamente importante presentare ai giovani gli ideali della solidarietà umana e cristiana e le modalità concrete di impegno nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali e nel volontariato cattolico e missionario.

107. In questo periodo sono molto importanti le amicizie. Secondo le condizioni e le usanze sociali del luogo in cui si vive, l'adolescenza è un periodo in cui i giovani godono di più autonomia nei rapporti con gli altri e negli orari della vita di famiglia. Senza togliere loro una giusta autonomia, i genitori devono sapere dire di no ai figli quando è necessario45 e al contempo coltivare il gusto nei propri figli per ciò che è bello, nobile e vero. Devono anche essere sensibili all'autostima dell'adolescente, che può attraversare una fase di confusione e di minor chiarezza sul senso della dignità personale e delle sue esigenze.

108. Attraverso i consigli dettati dall'amore e dalla pazienza, i genitori aiuteranno i giovani ad allontanarsi da un eccessivo rinchiudersi in se stessi e insegneranno loro — quando sia necessario — a camminare contro le abitudini sociali tendenti a soffocare il vero amore e l'apprezzamento per le realtà dello spirito: « Siate sobri e restate in guardia! Il diavolo, vostro avversario, si aggira, come leone ruggente, in cerca di chi divorare. Resistetegli, fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze sono patite anche da tutti i vostri fratelli sparsi per il mondo. Il Dio di ogni grazia, chi vi ha chiamati in Gesù Cristo all'eterna sua gloria, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, forti, incrollabili » (1 Pt 5,8-10).

mercoledì 29 giugno 2011

In memoria dei Santi Apostoli Pietro e Paolo

Oggi, come saprete, la Chiesa Cattolica celebra i Santissimi Apostoli Pietro e Paolo considerati le colonne portanti su cui si basa la stessa nostra cara e amata Chiesa. Per questo oggi è una giornata meravigliosa per tutti noi e per lo stesso motivo voglio dedicare lo spazio odierno proprio a tali Santi Apostoli. Possiamo dunque meditare su San Pietro e su San Paolo attraverso una bellissima riflessione di Sant'Agostino d'Ippona, ma prima lasciatemi fare gli auguri al nostro caro Papa Benedetto XVI per il sessantesimo anniversario del suo sacerdozio: caro Papa, possa Dio guidarti nel compimento della tua alta missione e conservarti nella fede sino alla fine. Ecco ora le parole di Sant'Agostino:
 

DISCORSO 299/B - SUL NATALE DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

1. La passione dei beati Apostoli ha reso sacro per noi questo giorno: disprezzando il mondo, hanno meritato una tale gloria in tutto il mondo. Pietro il primo degli Apostoli, Paolo l'ultimo degli Apostoli. Cristo, il Primo e l'ultimo, condusse ad un unico giorno di passione il primo e l'ultimo. Per poter ricordare quel che ho detto, tenete presente l'alfa e l'omega. Il Signore stesso dice apertamente nell'Apocalisse: Io sono l'Alfa e l'Omega 1; il Primo: nessuno prima di lui; l'Ultimo: nessuno dopo di lui. È colui che precede tutte le cose, colui che è il termine di tutte. Vuoi avere una visione contemplativa del Primo? Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui 2. Ti volgi a considerare l'Ultimo? Il termine della legge è Cristo per la giustizia di chiunque crede 3. Per vivere nel tempo, hai avuto lui come creatore; per vivere sempre hai lui come redentore. Consideriamo, carissimi, lo stesso beatissimo Pietro, primo degli Apostoli che dice nella sua epistola: Cristo patì per noi, lasciandoci l'esempio, affinché seguiamo le sue orme 4. Infine, durante la lettura del Vangelo, avete ascoltato: Seguimi 5. Gli rivolse l'invito, naturalmente Cristo a Pietro, il Maestro al discepolo, il Signore al servo, il Medico al risanato, per dirgli: Pietro, mi ami? E, come sapete, non gli disse soltanto “mi ami?” ma aggiunse: più di questi 6. Mi ami più di questi, più di quanto mi amano questi? Pietro non rispose “Ti amo più di quanto ti amano questi”, giacché non spettava all'uomo giudicare dei sentimenti altrui, ma dette questa risposta: Signore, tu sai che io ti amo 7. A che cerchi da me quel che hai infuso in me? Tu sai che cosa hai dato: perché vuoi sapere da me se ti amo, dal momento che solo da te ho di amarti? Tu sai che ti amo. E il Signore ripeté la medesima domanda e Pietro dette di nuovo la medesima risposta. La terza volta il Signore interrogò: Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: mi ami? 8 Il Signore voleva conoscere l'amore di Pietro, noi vogliamo capire l'afflizione di Pietro. Che ne pensiamo del dispiacere di Pietro, sentendosi chiedere per tre volte: Mi ami? Quante volte volesse domandare il Signore, perché il servo se ne dovrebbe rattristare? Ma è che, alla terza domanda del Signore, Pietro tornò con la mente alla sua terza negazione. Tu comprendi, beato Pietro, comprendi la tua defezione, a ripensarvi ti affliggi, ma rallegrati dopo il turbamento. L'amore confessi colui che aveva rinnegato il timore. Infine, fate attenzione a lui - che prima aveva rinnegato - diventato amante; anzi, fin da prima amante, ma debole fino allora. Diciamo che Pietro ha negato Cristo e non diciamo perché seguì Cristo nel rischio della passione. Il Medico si riservò la gradualità della cura: prima mostrò Pietro a Pietro, ma in seguito si rivelò in Pietro. Quasi a dirgli: Hai avuto la presunzione di morire per me e non per la fiducia in me, ma in quanto contavi sulle tue forze. Interpellato da una serva, scopristi te stesso: piangesti e ritornasti a me.

2. Di conseguenza, solo affidandogli le sue pecore, il Signore gli preannunciò la passione che oggi celebriamo. Disse: Quando eri più giovane, ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio 9. Così avvenne, Pietro negò, Pietro pianse, Pietro lavò nelle lacrime la sua negazione. Cristo risuscitò, Pietro fu esaminato sull'amore: ricevette le pecore affidategli, non sue, ma di Cristo. Non gli disse infatti: Pasci le tue pecore, ma: pasci le mie pecore: pasci quelle che ho acquistato, perché ho riscattato anche te. Quindi, Cristo Signore si trattenne quaranta giorni con i suoi discepoli; una nube lo sollevò sotto i loro occhi ed egli ascese al cielo. Lo accompagnarono con i loro sguardi mentre ascendeva: si fermarono poi in città, al compiersi di cinquanta giorni ricevettero lo Spirito Santo, ne furono ripieni. In quell'istante appresero le lingue di tutti i popoli, cominciarono ad esprimersi in esse tra lo stupore e l'ammirazione di coloro che avevano ucciso Cristo. Il negatore di un tempo, l'amante qual è ora, solo fra tutti, perché il primo di tutti, si precipitò dai Giudei e intraprese ad annunziare Cristo agli uccisori di Cristo. Sparse in mezzo a loro il seme della fede di Cristo, e dispose a morire per Cristo molti di quelli dai quali aveva temuto di essere ucciso per lui.

3. Quando si disse, quando venne predetto che gli Apostoli di Cristo avrebbero parlato nelle lingue di tutte le Genti? I cieli narrano la gloria di Dio: intendi per cieli coloro che recano Dio; e l'opera delle sue mani, cioè la gloria di Dio, annunzia il firmamento 10. Questo sono i cieli. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia 11. Giorno e notte non si smetta di annunziare Cristo. Rifletti tuttavia che il giorno al giorno ne affidò il messaggio: Cristo ai discepoli, la Luce alle luci. E la notte alla notte ne trasmise notizia: Giuda trasmise ai Giudei dove si trovava Cristo. Cristo venne catturato, Cristo fu ucciso, la morte fu uccisa in Cristo, perché Cristo risuscitò, e ascese al cielo, e inviò lo Spirito Santo promesso e ne furono ripieni, come otri nuovi, di vino nuovo. Aveva detto infatti il Signore: Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi 12. E sappiate che questo è stato adempiuto. I Giudei pieni di stupore, e alcuni quasi a scherno, senza sapere quel che affermarono, dissero: Costoro sono ubriachi di mosto 13. Se parlarono lingue che non avevano apprese fu dunque perché lo Spirito Santo ne dette e il dono e l'ispirazione e l'illuminazione. Nel loro ambiente ne avevano appresa una, forse due, invece parlarono che diciamo… tre lingue, quattro, cinque, sei… Perché vai cercando il numero? Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono 14; avete ascoltato ora il Salmo, mentre veniva cantato. Anch'essi furono uccisi ma il loro messaggio è stato scritto. Che fecero quelli che li uccisero? Per tutta la terra si è diffuso il loro annunzio 15. Noi residenti in Africa eravamo lontani di là dove non era linguaggio e non erano parole di cui non si udisse il suono. Lontani da lì eravamo, lontano eravamo a giacere, lontano eravamo in preda al sonno; ma, perché fossimo riscossi dal sopore, per tutta la terra si è diffuso il loro annunzio e ai confini del mondo la loro parola. Svegliati, tu che dormi, destati dai morti e ti illuminerà 16 colui che disse a Pietro: Mi ami? 17 Chi è capace di parlare degnamente di Pietro? È da tanto chi sta parlando di Pietro? Senza offesa, beato Pietro, mi si permetta di tacere appena un poco di te, il cui annuncio mi ha riscaldato. Il mio discorso non può esser solo per te; oggi non fosti solo tu a subire il martirio: senza dubbio sei tu il primo degli Apostoli, ma l'ultimo degli Apostoli ebbe il merito di esserti socio.

4. Si porti avanti a noi anche il beato Paolo, dobbiamo dire qualcosa di lui per un poco; avendo infatti questo senso il nome, volle essere chiamato Paolo, poiché in precedenza si chiamava Saulo. Prima Saulo, poi Paolo; perché prima superbo, poi umile. Ripensate al primo nome ed in esso riconoscete la colpevolezza del persecutore. Venne chiamato Saulo da Saul. Saul, dal quale la denominazione di Saulo, perseguitò il santo David, e nel santo David era prefigurato il Cristo venturo dalla stirpe di David, per mezzo della Vergine Maria. Saulo svolse il ruolo quando perseguitò i cristiani. Era stato un persecutore accanitissimo; quando venne lapidato il beato Stefano, egli stesso conservò le vesti dei lapidatori per trovarsi a lapidare nelle mani di tutti. Dopo il martirio del beatissimo Stefano, i fratelli che si trovavano a Gerusalemme vennero dispersi; e poiché erano delle luci, ardevano dello Spirito di Dio; dovunque si erano recati, comunicavano luce. Allora Saulo, notando che il Vangelo di Cristo si divulgava, fu ripieno di asprissimo zelo: ebbe lettere di presentazione dai sommi sacerdoti e partì, nell'intento di condurre in catene, perché fossero puniti, quanti avesse scoperti testimoni del nome di Cristo; e andava furioso di strage, assetato di sangue. Così, mentre andava, mentre era assetato di sangue cercando quanti poteva catturare e uccidere, proprio così, da persecutore qual era, udì una voce dal cielo. Fratelli miei, che aveva meritato di buono, che non aveva meritato di male? E tuttavia, da una sola voce dal cielo venne atterrato il persecutore e si rialzò il predicatore.

5. Dopo Saulo, eccoti Paolo: ecco, ormai predica, ormai ci fa sapere chi sia stato e chi sia. Io - dice - sono il più piccolo degli Apostoli 18. Se il più piccolo, giustamente Paolo. Rammentate il vocabolo latino: 'poco' vuol dire 'modico'. Certo usiamo dire così: 'Ti vedrò fra poco'. Di conseguenza, quel Paolo si riconosce il più piccolo, quasi la frangia nella veste del Signore, che toccò la donna inferma. Quella che soffriva perdita di sangue era certamente figura della Chiesa delle Genti, alle quali venne inviato Paolo, e il più piccolo e l'ultimo: infatti la frangia è la minima parte della veste e l'ultima. Paolo riconobbe di essere l'uno e l'altro: si disse il più piccolo e l'ultimo. Egli disse: Io sono il più piccolo degli Apostoli, e disse: Io sono l'ultimo degli Apostoli 19. Non è un'offesa la nostra, egli l'ha detto. E che altro ha detto? Lasciamo che sia lui a parlare perché non sembri che intendiamo recare ingiuria; sebbene non vi sia in alcun modo offesa di Paolo dove si fa valere la grazia di Cristo, tuttavia, fratelli, ascoltiamo lui. Io sono - egli dice - il più piccolo degli Apostoli, io sono chi non è degno di essere chiamato apostolo. Ecco chi era: Io sono chi non è degno di essere chiamato apostolo. Perché? Perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. E com'è che sei apostolo? Ma per grazia di Dio sono quello che sono e la sua grazia in me non fu vana, ma ho faticato più di tutti loro 20. Ti prego, san Paolo, uomini non intelligenti ritengono che sia ancora Saulo a parlare: Ho faticato più di tutti loro, dà l'impressione che sia detto con superbia. Eppure è stato proprio detto; ma che viene dopo? Ma quando si accorse di aver detto qualcosa che lo potesse elevare in superiorità - disse infatti: Ho faticato più di tutti loro - ecco subito: Non io, però, ma la grazia di Dio con me 21. L'umiltà si riconobbe, la debolezza trepidò, la perfetta carità confessò il dono di Dio. Quindi adesso parla, come pieno di grazia, come vaso di elezione, come diventato quel che non eri degno; parla, scrivi a Timoteo e annunzia questo giorno. Quanto a me - dice - presto sarò immolato 22. Ora è stato letto dalla Lettera di Paolo, in questo luogo è stato letto quanto sto dicendo adesso: Quanto a me - dice -presto sarò immolato. È prossima la mia immolazione. In effetti, il martirio dei santi è un sacrificio a Dio. Quanto a me presto sarò immolato. È imminente l'ora della mia liberazione. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede; ora mi resta la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi renderà in quel giorno 23. Retribuirà i meriti colui che dona i meriti. È stato eletto apostolo chi non era degno e non sarà coronato chi è degno? Allora infatti non era degno, quando ricevette la grazia non dovuta, ma gratuita: Non sono degno, disse, di essere chiamato apostolo, ma per grazia di Dio sono quello che sono. Ora, invece, esige il dovuto: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede; ora mi resta la corona di giustizia, mi è dovuta la corona di giustizia. Che mi renderà, perché tu comprenda che è dovuta. Non disse 'mi dà', oppure, 'mi dona', ma: Mi renderà il Signore, il giusto giudice, in quel giorno. Perché misericordioso mi ha donato, perché giusto mi renderà. Ho davanti agli occhi, beato Paolo, a quali tuoi meriti è dovuta la corona; ma, guardando indietro, riconosco quel che sei stato; proprio i tuoi meriti sono doni di Dio. Hai detto: ho combattuto la buona battaglia, ma tu pure hai detto: Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo 24. Di conseguenza, hai combattuto la buona battaglia, ma hai riportato vittoria per dono di Cristo. Hai detto: Ho terminato la corsa, ma hai pure detto: Non dipende dalla volontà né dagli sforzi di chi corre, ma da Dio che usa misericordia 25. Hai detto: Ho conservato la fede, ma tu pure hai detto: Ho ottenuto misericordia per meritare fiducia 26. Notiamo allora che sono doni di Dio i tuoi meriti e perciò ci rallegriamo della tua corona. E se sono stato da meno nel fare l'elogio dei beati Apostoli, dei quali celebriamo la solennità, non sono venuto meno, tuttavia, all'attesa della vostra Carità secondo quanto si è degnato concedermi colui che li ha coronati.

martedì 28 giugno 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXXIII

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Tema del giorno è la preghiera familiare: quanto abbiamo bisogno oggi di queste sante parole! Il Beato Giovanni Paolo II ha davvero centrato il cuore pulsante della fede familiare: la preghiera comune: genitori e figli che si rivolgono con cuore unanime al Padre Celeste, in preghiera costante e unitaria. Quale meraviglia sarebbe vedere le famiglie di oggi comportarsi come le prime famiglie cristiane! Quale gioia sarebbe vedere pregare insieme i genitori con i loro figli e quale gioia sarebbe sentir loro parlare di Gesù in maniera normale e quotidiana. Nella moderna società manca proprio questo: manca il contatto tra la famiglia e Dio Padre e i risultati sono sotto gli occhi di tutti; ecco che diviene fondamentale l'educazione dei figli alla preghiera in modo che si avvicinino a Dio sin da piccoli, prima che il mondo venga a corromperli, in modo che si trovino preparati ad affrontare le insidie che il male pone sul loro cammino di vita:

IV. La partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa  

La preghiera familiare

59. La Chiesa prega per la famiglia cristiana e la educa a vivere in generosa coerenza con il dono e il compito sacerdotale, ricevuti da Cristo Sommo Sacerdote. In realtà, il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio-sacramento, costituisce per i coniugi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale, per la quale le loro esistenze quotidiane si trasformano in «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (cfr. 1Pt 2,5): è quanto avviene, non solo con la celebrazione dell'Eucaristia e degli altri sacramenti e con l'offerta di se stessi alla gloria di Dio, ma anche con la vita di preghiera, con il dialogo orante col Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo.

La preghiera familiare ha sue caratteristiche. E' una preghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme. La comunione nella preghiera è, ad un tempo, frutto ed esigenza di quella comunione che viene donata dai sacramenti del battesimo e del matrimonio. Ai membri della famiglia cristiana si possono applicare in modo particolare le parole con le quali il Signore Gesù promette la sua presenza: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19s).

Tale preghiera ha come contenuto originale la stessa vita di famiglia, che in tutte le sue diverse circostanze viene interpretata come vocazione di Dio e attuata come risposta filiale al suo appello: gioie e dolori, speranze e tristezze, nascite e compleanni, anniversari delle nozze dei genitori, partenze, lontananze e ritorni, scelte importanti e decisive, la morte di persone care, ecc. segnano l'intervento dell'amore di Dio nella storia della famiglia, così come devono segnare il momento favorevole per il rendimento di grazie, per l'implorazione, per l'abbandono fiducioso della famiglia al comune Padre che sta nei cieli. La dignità, poi, e la responsabilità della famiglia cristiana come Chiesa domestica possono essere vissute solo con l'aiuto incessante di Dio, che immancabilmente sarà concesso, se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera.

Educatori di preghiera

60. In forza della loro dignità e missione, i genitori cristiani hanno il compito specifico di educare i figli alla preghiera, di introdurli nella progressiva scoperta del mistero di Dio e nel colloquio con lui: «Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e della missione del matrimonio-sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo e ad amare il prossimo secondo la fede che hanno ricevuto nel battesimo» («Gravissimum Educationis», 5; cfr. Giovanni Paolo PP. II «Catechesi Tradendae», 36).

Elemento fondamentale e insostituibile dell'educazione alla preghiera è l'esempio concreto, la testimonianza viva dei genitori: solo pregando insieme con i figli, il padre e la madre, mentre portano a compimento il proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare. Riascoltiamo l'appello che Paolo VI ha rivolto ai genitori: «Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? Li preparate, in consonanza con i sacerdoti, i vostri figli ai sacramenti della prima età: confessione, comunione, cresima? Li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? A invocare l'aiuto della Madonna e dei santi? Lo dite il Rosario in famiglia? E voi, papà, sapete pregare con i vostri figliuoli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L'esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell'azione, suffragato da qualche preghiera comune, vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; portate così la pace nelle pareti domestiche: "Pax huic domui!" Ricordate: così costruite la Chiesa!» (Discorso all'Udienza generale [11 agosto 1976]: «Insegnamenti di Paolo VI», XIV [1976] 640).

lunedì 27 giugno 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Ventunesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo oggi come Gesù stesso parli attraverso il confessore e come guidi passo passo le anime a Lui fedeli. Sono parole di grande speranza per tutti noi, perché ci mostrano come Gesù sia realmente in mezzo a noi, come da Lui promesso ai suoi discepoli:

+ Nonostante Iddio mi attirasse a Sé con tale veemenza che spesso non ero in grado di oppormi alla Sua grazia, sprecavo molte grazie di Dio perché avevo sempre paura delle illusioni. Quando all'improvviso venivo immersa in Lui, in quei momenti Gesù mi riempiva della Sua pace in maniera che, in seguito, anche se avessi voluto allarmarmi, non avrei potuto. Ad un tratto sentii nel mio intimo queste parole: « Perché tu sia tranquilla, che sono Io l'autore di tutte le richieste fatte a te, ti darò una tranquillità così profonda che, se anche volessi inquietarti ed allarmarti, ciò oggi non sarà in tuo potere, ma l'amore inonderà la tua anima fino a farti dimenticare te stessa ». In seguito Gesù mi diede un altro sacerdote, al quale mi ordinò di svelare la mia anima. In un primo momento lo feci con una certa esitazione; ma un severo richiamo da parte di Gesù procurò una profonda umiltà alla mia anima. Sotto la sua direzione la mia anima progredì celermente nell'amore di Dio e molte delle richieste del Signore vennero eseguite in concreto. Talvolta il suo coraggio e la sua profonda umiltà mi hanno fatto riflettere. Oh! quant'è misera la mia anima che ha dissipato tante grazie! Sfuggivo a Dio ed Egli m'inseguiva con le Sue grazie. Il più delle volte le grazie di Dio mi venivano elargite, quando meno me l'aspettavo. Dal momento in cui il Signore mi ha dato un direttore spirituale, sono più fedele alla grazia per merito dello stesso direttore e della sua vigilanza sulla mia anima. Ho conosciuto veramente quello che è una direzione spirituale e come la considera Gesù: per ogni minima mancanza Gesù mi ammoniva e mi faceva presente che le questioni, che io sottoponevo al confessore, le giudicava Lui Stesso. « Ed ogni mancanza contro di lui colpisce Me direttamente ». Quando la mia anima sotto la sua direzione cominciò a gustare profondamente il raccoglimento e la pace, udii spesso nell'anima queste parole, talora ripetute varie volte di seguito: « Fortificati per la lotta! ».

+ Gesù mi fa conoscere spesso quello che non Gli piace nella mia anima e qualche volta mi ha rimproverato per cose che sembravano minuzie, ma che in realtà avevano una grande importanza. Egli mi ha messo in guardia e mi ha esercitato come un Maestro. Per molti anni mi ha educata Lui Stesso, fino al momento in cui mi ha dato un direttore spirituale. In precedenza era Lui che mi faceva conoscere quello che non capivo ed ora mi ordina di chiedere tutto al confessore e spesso mi dice così: « E Io ti risponderò tramite la sua bocca; sta' tranquilla». Non mi è ancora capitato di ricevere una risposta in contrasto con ciò che il Signore mi chiedeva e che io avevo fatto presente al mio direttore spirituale. Anzi qualche volta, ma non spesso, mi è capitato che Gesù mi ha raccomandato determinate cose di cui nessuno potrebbe essere stato al corrente, ma, quando mi sono avvicinata alla grata, il confessore me le ha raccomandate anche lui.

+ Quando l'anima ha ottenuto per lungo tempo molta luce e molte ispirazioni e dopo che i confessori le hanno assicurato sia la tranquillità sia la provenienza delle ispirazioni, se il suo amore è grande, in tal caso Gesù le fa conoscere che è tempo che metta in pratica ciò che ha ricevuto. L'anima viene a conoscere che il Signore conta su di lei e questa conoscenza le dà forza. Essa sa che per restare fedele dovrà talvolta esporsi a varie difficoltà; ma essa confida in Dio e, grazie a tale fiducia, giunge là dove Iddio la chiama. Le difficoltà non la spaventano; sono per lei come il pane quotidiano; non la spaventano affatto, né l'intimoriscono, come i colpi di cannone non spaventano il cavaliere che è continuamente sui campi di battaglia. Essa è ben lungi dallo spaventarsi, però rimane in ascolto per capire da che parte attaccherà il nemico. Per riportare la vittoria non fa nulla alla cieca, ma indaga, riflette profondamente e, non contando su di sé, prega fervorosamente ed attinge consigli da cavalieri esperti e saggi, e comportandosi così, vince quasi sempre. Ci sono degli attacchi nei quali l'anima non ha il tempo né per riflettere, né per chiedere consigli, né per nient'altro. In quei casi bisogna combattere per la vita o per la morte. Qualche volta è bene rifugiarsi nella ferita del Cuore di Gesù, non rispondendo nemmeno una parola: per quell'atto stesso il nemico è già sconfitto. In tempo di pace l'anima si sottopone a sforzi come fa in tempo di battaglia. Deve esercitarsi e molto; diversamente nemmeno parlarne di vittoria. il tempo di pace lo considero come il tempo di preparazione alla vittoria. Deve vigilare continuamente. Vigilanza e ancora una volta vigilanza! L'anima che riflette ottiene molta luce. Un'anima dissipata si mette da sola in pericolo di cadere e non si meravigli se poi cadrà. O Spirito Divino, guida dell'anima: saggio è colui che Tu trasformi. Ma affinché lo Spirito Divino possa agire in un'anima, occorre silenzio e raccoglimento. La preghiera. Con la preghiera l'anima si prepara ad affrontare qualsiasi battaglia. In qualunque condizione si trovi un'anima, deve pregare. Deve pregare l'anima pura e bella, poiché diversamente perderebbe la sua bellezza. Deve pregare l'anima che tende alla purezza, altrimenti non vi giungerà. Deve pregare l'anima che si è appena convertita, diversamente cadrebbe di nuovo. Deve pregare l'anima peccatrice, immersa nei peccati, per poter risorgere. E non c'è anima, che non abbia il dovere di pregare, poiché ogni grazia arriva tramite la preghiera. Ricordo che la luce l'ho ricevuta in massima parte durante l'adorazione di mezz'ora, che facevo ogni giorno durante tutta la Quaresima, stando distesa a forma di croce davanti al SS.mo Sacramento. In quel tempo conobbi più a fondo me stessa e Iddio, anche se per fare quella preghiera incontrai molti ostacoli, nonostante avessi il permesso dei superiori. L'anima deve sapere che, per pregare e perseverare nella preghiera, deve armarsi di pazienza e superare coraggiosamente le difficoltà esteriori ed interiori. Le difficoltà interiori: lo scoraggiamento, l'aridità, l'indolenza, le tentazioni. Quelle esteriori: il rispetto umano e la necessità di rispettare i momenti destinati alla preghiera. Io stessa ho sperimentato che, se non dicevo le preghiere nel tempo stabilito, dopo non le dicevo più, perché i doveri me l'impedivano; e se pure le dicevo, ciò avveniva con gran fatica, perché il pensiero andava ai doveri da compiere. Mi è capitata anche questa difficoltà: se l'anima aveva recitato bene le preghiere e ne era uscita con un profondo raccoglimento interiore, gli altri la contrastavano per tale raccoglimento; perciò ci vuole pazienza per perseverare nella preghiera. Più di una volta mi è capitata una cosa di questo genere: quando la mia anima era più profondamente assorta in Dio ed aveva riportato maggior profitto dalla preghiera e la presenza di Dio l'aveva accompagnata durante il giorno e sul lavoro aveva dimostrato più concentrazione, più esattezza e più impegno, proprio allora ho avuto il maggior numero di rimproveri con l'accusa di essere negligente ed indifferente a tutto e questo perché le anime meno raccolte vogliono che anche le altre siano come loro, perché costituiscono per loro un rimprovero continuo.

domenica 26 giugno 2011

Corpus Domini

 Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: oggi la Chiesa celebra la solennità del Corpus Domini e voglio rendervi partecipi di una bellissima quanto intensa omelia del Vescovo di Brescia, Luciano Monari, segnalatami dalla nostra cara Enza:

23 Giugno 2011 - Processione del Corpus Domini 2011
Omelia del vescovo Luciano Monari - Brescia - Piazza Paolo VI  

Viene naturale chiederci: che senso può avere la tradizionale processione del Corpus Domini? Passare in mezzo alle strade di Brescia portando il Santissimo Sacramento e cioè il sacramento più prezioso e intimo della religione cristiana? Non sarebbe preferibile proteggerlo con delicatezza da ogni sguardo indifferente o scettico o ironico? Vogliamo in questo modo rivendicare l'identità cristiana delle nostre terre, della nostra città? Una rivendicazione sentita tanto più urgente per i cambiamenti degli ultimi decenni che rendono diffuso uno stile di vita neopagano e ci mettono a contatto con culture e religioni diverse? O vuole essere quasi una sfida, la testimonianza pubblica della nostra fede di fronte a un mondo che sembra trascurarla e considerarla sorpassata? Certo, possono mescolarsi nel nostro cuore tutte queste motivazioni e altre ancora, ma sono, siamo convinti che ci sia qualcosa di più. Siamo convinti che l'eucaristia, che noi portiamo ogni anno nel cuore della nostra città, abbia qualcosa da dire a tutti i bresciani e soprattutto abbia qualcosa di prezioso da donarci e trasmetterci; che l'eucaristia s'intrecci con la vita della città e che possa rafforzare quei vincoli di solidarietà che la tengono in piedi e le permettono di non essere solo un aggregato di persone, ma una comunità di vita, un progetto di convivenza, una esperienza di fraternità, un modo originale e creativo di dare forma concreta al tesoro di intelligenza e di umanità che sta dentro di noi. In concreto, riteniamo che l'eucaristia sia in grado di immettere nel tessuto sociale una energia grande di amore oblativo, quell'amore di cui la società umana ha immenso bisogno per riuscire a funzionare bene.

    Che l'eucaristia sia espressione di un amore oblativo non c'è bisogno di ricordarlo. Gesù l'ha istituita, l'eucaristia, il giorno prima di morire, durante una cena con i suoi discepoli. Era il testamento col quale trasmetteva agli amici, come eredi, il suo tesoro non fatto di case o campi o denaro, ma di amore, di perdono, di benevolenza. Durante la cena, dunque, ha preso del pane, ha pronunciato la benedizione riconoscendo che quel pane era il dono di Dio, lo ha spezzato e poi dato ai suoi discepoli perché ne mangiassero dicendo: "Questo è il mio corpo che viene consegnato per voi." Il corpo, cioè l'uomo, la sua posizione nel mondo, le sue parole col loro timbro e le sue azioni col loro stile, i rapporti che quest'uomo ha stabilito con gli altri, la sua presenza nella società, i suoi sogni e i suoi progetti, le sue sofferenze: tutto questo è quel pane che Gesù spezza e dà ai discepoli perché se ne nutrano. La qualificazione 'per voi' dice esattamente la prospettiva oblativa, cioè di dono secondo cui Gesù interpreta tutta la sua vita. È vissuto non sognando di avere successo nel mondo, ma desiderando di fare vivere, di dare speranza, di liberare dal male, di aprire alla gioia di vivere e di amare; è vissuto non per se stesso ma per gli altri; e adesso accetta liberamente la morte vergognosa di croce per liberare gli altri dal male, dalla vendetta, dall'odio, dalla menzogna, dall'invidia. Egli, scrive san Pietro, "patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti." È questo 'Cristo per noi e per tutti' il pane che noi abbiamo portato in processione e che, ora, adoriamo. Lo adoriamo perché vi riconosciamo la vita realmente donata di Gesù e nella vita donata di Gesù riconosciamo la rivelazione più sconvolgente del mistero di Dio. Dio è amore, amore oblativo, cioè: non amore che cerca di impossessarsi della cosa o della persona amata, ma amore che sacrifica se stesso perché la persona amata possa vivere in pienezza nella libertà e nella gioia. Non quindi amore possessivo ed egocentrico, non passione cieca, non ricerca ossessiva del piacere – ma amore limpido, capace di donarsi, desideroso di donarsi; e che proprio nel farsi dono, trova e realizza se stesso. Questo noi crediamo essere il mistero di Dio; questo riconosciamo essere la vita e la morte di Gesù; questo proclamiamo essere la vocazione di ogni uomo; questo adoriamo nel santo mistero dell'eucaristia che noi facciamo non per un nostro desiderio o assecondando una nostra aspirazione, ma obbedendo al comando di Gesù, nostro Signore.

    Passando dunque per le vie di Brescia con il Sacramento di Cristo, esprimiamo il nostro desiderio e il nostro impegno: che l'amore oblativo trasfiguri il lavoro, la fatica e la sofferenza dell'uomo; che la nostra vita sia plasmata e resa umanamente nobile proprio da questa forma di amore. Nell'ultima cena, per esprimere il dono imminente della sua vita, per comunicare questo dono ai discepoli come nutrimento per la loro vita, Gesù ha scelto un pezzo di pane che è sì frutto della terra, ma anche del lavoro e dell'industria dell'uomo: ci vuole il seminatore per avere il pane; e poi il mietitore, il battitore, il mugnaio, il panettiere, il fornaio. Il pane esce solo alla fine di un lungo processo nel quale l'uomo mette lavoro, fatica, tempo, speranza, arte. È proprio tutto questo complesso di attività che deve accogliere in sé la forza dell'amore oblativo. Certo, l'uomo non può e non potrà mai vivere solo di amore oblativo. L'uomo è una creatura debole e per vivere ha bisogno di appropriarsi di cibo, di bevanda, di esperienze gratificanti. Ma l'uomo non può vivere umanamente senza amore oblativo, senza mettere anche nel suo lavoro, anche nella vita sociale e politica il sapore, il lievito del dono e della benevolenza. L'eucaristia è, per noi, memoria di questo, una sorgente inesauribile di desiderio. Quando pensiamo a Gesù e ci salgono dal cuore le parole stesse di Paolo: "Mi ha amato e ha donato se stesso per me" ci viene il desiderio di essere, a nostra volta, generatori di bene; quando contempliamo la croce, riusciamo a controllare un poco meglio i risentimenti istintivi, i desideri di vendetta; quando ci apriamo alla promessa della vita eterna, riusciamo ad aprire le mani che si erano rattrappite nel gesto avido dell'afferrare.

    L'eucaristia edifica la vita della società. Perché la società ha bisogno di una buona dose di amore oblativo per potere sussistere. L'ordine sociale che abbiamo costruito con secoli di riflessione e di esperienza, che rinnoviamo continuamente con le riforme, le trasformazioni economiche, i processi politici, le creazioni culturali… questo complesso ricco e vario di istituzioni riceve un significato umano dai valori che noi cerchiamo di incarnare: la giustizia, la fraternità, il rispetto dei diritti di ciascuno, la difesa dei più deboli sono alcuni dei tanti valori che danno forma alla nostra società e che la fanno essere 'umana' cioè degna dell'uomo, della sua intelligenza, del suo senso morale. Ma è evidente a tutti che i diversi valori non si armonizzano sempre facilmente. Da sempre l'uomo lotta nel tentativo difficile di unire armoniosamente libertà e giustizia: una libertà senza controllo genera inevitabilmente una società dove il forte schiaccia il debole, il furbo approfitta del semplice; d'altra parte, una società che si proclami solidale eliminando la libertà, sarebbe una società di automi, di macchine, non di uomini. Così è compito sempre nuovo quello di realizzare la visione del salmo che dice: "Amore e verità s'incontreranno. Giustizia e pace si baceranno." Ma anche in questo caso l'armonia non nasce facilmente e spontaneamente. È uscito in questi giorni un saggio che s'interroga su quale peso di ingiustizia gli uomini siano disposti a sopportare per non recare turbamento alla pace. Perché se la pace viene intesa come valore assoluto, bisogna essere disposti a sacrificarle ogni altro valore, anche quello della giustizia; ma è giusto questo? È umano? Ho ricordato solo alcuni esempi per indicare che l'armonia della convivenza umana è tutt'altro che scontata e tutt'altro che facile da raggiungere. I diversi valori che animano la società debbono essere collocati al posto giusto in una scala unica che garantisca il loro equilibrio e in questo modo il rispetto di tutti.

    Ebbene, l'eucaristia inserisce nel complesso dei valori della società anche quel misterioso valore che si chiama 'amore oblativo'. Lo dico misterioso perché alcuni negano addirittura che possa esistere e sospettano – anzi vorrebbero proclamare con sicurezza – che dietro ogni apparente gesto di amore si può scoprire un egoismo camuffato. Noi crediamo che no; crediamo che Dio è amore oblativo; e che l'amore oblativo con cui Dio ci ama entra realmente nel circolo della vita umana, solleva e arricchisce il nostro stesso amore e gli conferisce lineamenti sorprendenti di bellezza e di generosità. Dicevamo che non è possibile una società motivata solo dall'amore oblativo. L'uomo porta iscritta indelebilmente nella sua carne la condizione di bisognoso e da questa condizione né deve né può liberarsi. L'amore oblativo puro non ci appartiene; e tuttavia non è possibile vivere umanamente se l'amore oblativo non entra realmente a fare lievitare i nostri desideri e a modificare i nostri comportamenti. Nessuna famiglia riesce a costruirsi e a conservarsi se non ci sono in essa numerosi atti di generosità, di servizio, di disinteresse e di perdono; nessun rapporto umano può diventare fedele se non assume seriamente anche la dimensione del sacrificio. Lo stesso discorso vale a livello della società – della città, ad esempio. È la giustizia che deve regolare i rapporti tra i cittadini e le istituzioni; ma è impossibile una stretta e perfetta giustizia in questo mondo; e gli elementi di scarto, le inevitabili dimensioni di insufficienza possono essere sanate solo da una forza più grande di dono e di perdono. C'è una sapienza grande in quella leggenda ebraica che dice essere il mondo tenuto in piedi dalla bontà di trantasei giusti che, pur subendo ogni sorta di ingiurie, non rispondono altro che generando bene e perdono e riconciliazione.

    La società umana ha bisogno in ogni momento di un alto potenziale di amore oblativo: per riuscire a rimanere e diventare sempre più umana; per riuscire a sanare i guasti che l'egoismo dei singoli o dei gruppi sociali inevitabilmente produce; per ricuperare ogni persona umana nonostante i suoi errori passati. Abbiamo portato l'eucaristia per le strade con questo desiderio: che il segno sacramentale dell'amore infinito di Dio, dell'amore concreto di Gesù possa incontrare i mille volti dell'uomo, le mille situazioni di disagio, di sofferenza, di paura che gelano i cuori umani; che ogni uomo si senta cercato e amato come creatura preziosa e che desideri di diventare a sua volta sorgente creativa di amore e di riconciliazione. Nella sua prima lettera san Giovanni scrive: "Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui. In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli." Sappiamo che queste esigenze sono più alte di noi; per questo torniamo a guardare il nostro Signore, il sacramento del suo amore. Desideriamo imparare ad amare e a mettere nel nostro amore anche la dimensione dell'oblatività. L'eucaristia ci salva per questo.

sabato 25 giugno 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Trentesima parte

Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: come abbiamo visto nelle settimane scorse, il beato Francesco si trovò ad affrontare numerose malattie che debilitarono notevolmente il suo fisico, ma che non intaccarono il suo spirito. Ancora oggi vediamo il fervore con il quale cercò di seguire il Signore anche nel momento in cui le forze lo stavano abbandonando: grandissimo esempio di umiltà, non si sentì mai arrivato, ma continuò sempre a ricercare la via del Signore, instancabilmente e insaziabilmente. Continuò anche a voler rappresentare un esempio per coloro che si trovavano a governare il popolo cristiano: egli desiderava ardentemente che il sacerdozio fosse inteso nel suo più forte senso spirituale, pensando mai alla propria gloria, ma alla gloria del Signore. 
Carissimi, cos'altro possiamo aggiungere su una simile perfezione? Noi oggi giustifichiamo i peccati più gravi e ci sentiamo meritevoli del Paradiso, solo perché non commettiamo malvagità come gli omicidi o gli abomini; il beato Francesco, invece, non si sentì mai degno né tantomeno perfetto, nonostante le infinite benedizioni con le quali il Signore lo aveva ricolmato. Se dunque San Francesco non è riuscito a tollerare nemmeno la minima macchia od ombra, sentendosi sempre indegno nei riguardi del Signore, come possiamo noi definirci degni e come possiamo anche solo osare giustificare il peccato? Accade che giustifichiamo l'omosessualità e la sessualità distorta solo perché vogliamo pensare che siano naturali: ma in realtà noi non facciamo altro che rendere lecito ciò che la natura stessa presenta come illecito. Seguiamo l'esempio di questo grande uomo colmo di benedizioni, la cui vita è stata guidata dalla mano del Signore: se saremo in grado di seguire tale esempio, nelle sue ovvie varianti, allora potremo dire di aver intrapreso il giusto cammino. Cominciamo con il giustificare il peccato e con il combattere ogni sorta di macchia che adombra la nostra coscienza: 

CAPITOLO SESTO

VIRTÙ DEI FRATI CHE SERVIVANO SAN FRANCESCO. QUAL ERA IL SUO PROGETTO DI VITA

102. Il Santo sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma per poter attendere con maggior libertà e devozione a Dio, e percorrere le celesti dimore nelle frequenti estasi e potersi finalmente collocare in cielo davanti al dolcissimo e serenissimo Signore dell'universo, ben provvisto di meriti, affidò la cura della sua persona ad alcuni frati, veramente degni della sua predilezione.

Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari ai santi del cielo e amati dagli uomini sulla terra, e su di essi il beato Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne 136 Ne ometto i nomi per riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri religiosi; amano molto cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di innocenza, indizio d'un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare della coscienza, garanzia della buona riputazione, pregio e coronamento della perfetta rettitudine. Quésta virtù era loro comune e li rendeva graditi e amabili a tutti.

Ciascuno poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il secondo mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l'ultimo era robusto di corpo e mite di animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua malattia senza risparmiarsi pene e fatiche di dedicarsi totalmente al servizio di lui.



103. Francesco, sebbene già fosse arricchito di ogni grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere davanti agli uomini, pensava di intraprendere un cammino di più alta perfezione, e suscitare nuove guerre affrontando direttamente da valorosissimo soldato il nemico. Si proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere opere ancora più grandi, e sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano esaurendosi rapidamente di giorno in giorno, di riportare nel nuovo attacco un pieno trionfo. Il vero coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che aspetta una ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la immensità dell'amore, progettava di ricondurre il suo corpo stremato di forze alla primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l'antico rigore, diceva:

«Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e, perse­verando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.

104. Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell'ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l'applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono. Diceva ancora che soprattutto in un'epoca di malvagità e di iniquità come questa, c'è grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell'essere governati. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava di alcuni, che un tempo erano tutti intenti a mete più elevate ed ora si erano abbassati a cose vili e futili; abbandonati i veri gaudi dell'anima, si affannavano a rincorrere frivolezze e realtà prive d'ogni valore nel campo di una malintesa libertà. Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro vocazione.

venerdì 24 giugno 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantaquattresimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi cominciamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati; eccezionalmente meditiamo attraverso il commento della Scuola Biblica di don Franco Govoni:

1Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti, 2e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia. 3Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo, 4che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro, 5al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

6Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo. 7In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. 8Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! 9L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! 10Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!

11Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo; 12infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. 13Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, 14superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri. 15Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque 16di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, 17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.

18In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. 20In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. 21Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. 22Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; 23soltanto avevano sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere". 24E glorificavano Dio a causa mia.

COMMENTO ( Scuola biblica di Bazzano )

Paolo, apostolo non da parte di uomini 

Già nella presentazione si avverte la concitazione dell’autore per la minaccia che grava sulla sua autorità apostolica e sul suo vangelo. L’autopresentazione è una vera autodefinizione. Apostolo “non da uomini o permezzo di uomo” (1), ma “(apostolo) per mezzo di Gesù Cristo e (apostolo) di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti”. Apostolo vuol dire “mandato”: una persona cioè che ha un’autorità non sua, poiché a lui è stato to affidato qualcosa, un incarico, un compito.
Già dall’avvio si capisce bene che bisogna orientarsi a Gesù Cristo e a Dio Padre che lo ha risuscitato daimorti. In definitiva a Cristo risorto.
“Con Paolo” sono tutti i fratelli! La sua parola è quella della Chiesa e non di un singolo (2).
La lettera è rivolta “alle Chiese della Galazia”: doveva dunque circolare tra le Chiese fondate da Paolo (At
18,23) per creare unità nell’unico vangelo ricevuto.
Il saluto (“grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo”) definisce la situazione nuova creata dal vangelo: i Galati sono dentro alla grazia (favore d’amore) e alla pace (effetto dell’amore). Tutto ciò viene
da Dio Padre e da Gesù Cristo. Per quale via? La via del “dono di sé” da parte di Gesù, poiché noi eravamo
nei peccati. Tale dono/sacrificio ha strappato noi dal “cattivo mondo presente secondo la volontà di Dio e
Padre nostro” (4). La morte di Gesù è sua libera donazione e nello stesso tempo volontà del Padre. L’atto
amorevole di Gesù ci ha strappati da quel “mondo” che vuol trovare la salvezza in se stesso e per questo è
“cattivo”.[Non è soltanto una questione morale].

Chi vi porta un vangelo in sostituzione di quello che avete ricevuto, sia maledetto

Normalmente l’apostolo inizia le sue lettere con un ringraziamento o benedizione (1 Cor 1,4; 2 Cor 1,3). In
Galati prevale l’ammonizione che nasce da “meraviglia” (6) amara nel costatare la repentina “conversione” che è… l’ abbandono del vangelo! Cos’è successo? I Galati stanno abbandonando “Colui che vi ha chiamati
con la grazia (di Cristo)”. Quando viene predicato il vangelo, non viene soltanto comunicato un messaggio o
un programma, ma viene messo in movimento l’amore di Dio, la sua grazia, il suo perdono in Cristo e
tramite Cristo. Per questo parliamo di “vangelo”, cioè di “bella notizia”. E questo è il vangelo che predica
Paolo. Ci sono persone però che predicano un vangelo “altro” da quello di Paolo. Esso consiste nel dire che
uno può salvarsi per mezzo delle opere della Legge mosaica (questo pensiero sarà sviluppato in seguito). Ma
se è così, non si tratta più di “vangelo”. Giustamente l’apostolo dice: “Altro vangelo non c’è” (6). Dire che ci
si salva con le opere della Legge non è “vangelo”, non è “bella notizia!”.
Dunque, “sia destinato allo steriminio (anàtema) ” chiunque (fossi anch’io o fosse un angelo del Cielo) vi
portasse un vangelo che pretende di sostituire quello da me già annunziato (8). Ogni annuncio deve trovare la
radice nel “primo annuncio apostolico” (tradizione della Chiesa). Con questo “vangelo” dell’amore e della
grazia Paolo vuole forse farsi bello (“piacere agli uomini”)? Se facesse così dimostrerebbe di non essere
“servo di Cristo” (10).

Il vangelo da me annunziato l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo

Il vangelo da Paolo annunziato non sottosta alla “misura/dimensione di uomo”: non è un prodotto di uomo.
La verifica di questo sta nel fatto che Paolo, concretamente, non ha ricevuto il vangelo da uomo
(comunicazione diretta di un uomo) e nemmeno da insegnamento di un uomo. [Con questo, Paolo ribadisce
semplicemente di essere “apostolo” cfr v. 1]. Il vangelo, invece, egli l’ha ricevuto “per rivelazione di Gesù
Cristo” (12). Significa che Dio stesso (non un uomo) ha rivelato a Paolo che Gesù è “Figlio” (vedi v. 16).

Avete sentito della mia vita…

Paolo descrive la sua vita prima dell’incontro con Cristo. E’ interessato ad escludere ogni contatto col
vangelo anche per il tempo precedente la sua chiamata. Non si deve immaginare che la rivelazione del Figlio
risorto abbia portato a compimento un’inquietudine precedente. Questi versetti mettono in luce la sua totale
estraneità alle comunità cristiane e al loro annuncio, per il tempo in cui egli era ancora “nel giudaismo” (13).
Prima della rivelazione Paolo non ha avuto a che fare con il vangelo; ne fu anzi il più accanito avversario.
I toni del suo racconto sono molto accesi: “Ho perseguitato la chiesa di Dio” (13). Merita attenzione la
locuzione “Chiesa di Dio”: si tratta del popolo messianico, dell’assemblea (chiesa) convocata da Dio(Dt23,2ss), della chiesa cattolica espressa nelle chiese locali storiche, ma non da esse assorbita. Continua
l’apostolo: “Ho tentato di devastarla” (13). Non per motivi torbidi, ma per una coerenza interna alle
“tradizioni dei padri”, continuazione concreta della Legge (14). In questa coerenza (zelo religioso), in questa
assoluta fedeltà a Dio egli “batteva tutti”: era un “giusto”! (Cfr anche Fil 3,4-7).

Ma quando Colui che mi scelse e mi chiamò per sua grazia…

Dio ha scelto Paolo fin dal grembo materno (Ger 1,5; Is 49,1-5). Ma l’atto di grazia/amore che lo qualifica in
modo totalmente nuovo è la “rivelazione del suo Figlio” (15). Dio svela a Paolo (o meglio “in” Paolo) una
cosa prima nascosta, cioè che Gesù è “suo Figlio”. La rivelazione non è soltanto una “notificazione a”, bensì
uno “svelarsi in”: la rivelazione penetra nell’apostolo e ne investe tutta la vita. La rivelazione, poi, è
destinata ad una missione ai popoli (16).

Senza consultare nessuno

Il racconto raggiunge qui la sua punta argomentativa. Tutto il ragionamento vuol arrivare a dire che “il
vangelo”(Gesù è il Figlio) Paolo l’ha ricevuto direttamente da Dio. Prova ne è che egli, dopo la rivelazione,
non si è consigliato con uomini (carne e sangue) e nemmeno con gli “apostoli prima di lui”, ma “subito” si è
dato all’annuncio della buona notizia: prima in Arabia e poi di nuovo a Damasco (17), senza passare da
Gerusalemme!
Dopo tre anni “salì a Gerusalemme per visitare Cefa/Roccia” (18). Rimase a Gerusalemme soltanto quindici
giorni (pochissimo … rispetto ai tre anni di predicazione!). Non vide altri apostoli oltre a Pietro. Vide però
Giacomo, fratello del Signore (19), colui che occupava un posto direttivo nella comunità delle origini.
“Quanto a quello che scrivo (lo giuro): non mento” (20). L’insistenza è volta a salvaguardare l’originalità
della rivelazione ricevuta. Ha portato poi il vangelo nella Siria e nella Cilicia. Quanto alle Chiese della
Giudea, invece, era sconosciuto (22). E pertanto non potevano avere influsso su di lui!
C’è però una comunione nuova, ad un livello che va oltre la conoscenza diretta. Sentendo che Paolo portava
la buona notizia nata della fede “glorificavano Dio in lui” (21). Paolo cioè, pur non essendo conosciuto dalla
Chiesa madre, è accolto in quanto “predica la fede che prima distruggeva”.
Paolo dunque è un apostolo il cui mandato e il cui vangelo vengono direttamente da Dio.

giovedì 23 giugno 2011

Sessualità umana - XIX appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". La scorsa settimana abbiamo cominciato ad analizzare, nel particolare, le diverse fasi della vita del fanciullo; oggi ci troviamo ad analizzare l'età sicuramente più difficile, sia per il fanciullo e sia per i genitori, e cioè l'età della pubertà E' proprio in questo periodo che, sessualmente parlando, escono i primi pruriti, le prime curiosità e queste sensazioni devono essere incanalate nella giusta direzione, pena ritrovarsi dei figli in totale confusione. Infatti, oggi c'è un avversario duro da sconfiggere: l'educazione mediatica. Attraverso la televisione e Internet, i giovani fanciulli si ritrovano ad essere quotidianamente bombardati con riferimento espliciti sulla sessualità. Basti vedere che nessun telefilm, o quasi, evita di parlare di sesso: anzi, non solo si parla di sesso in maniera ossessiva, ma ne si parla in maniera scorretta, amorale, diseducativa e quasi animalesca. Ecco poi che ci ritroviamo una generazione con figli alle prese con gravidanze indesiderate (aggettivo bruttissimo se posto in riferimento ad un evento come la gravidanza che dovrebbe essere sempre un momento di gioia ed emozione), con disturbi della sessualità e a volta anche con tendenze perverse (statisticamente provato dall'aumento vertiginoso di violenze sessuali e di atti libidinosi in ambienti pubblici, come la scuola). Ecco perché ciò che ci accingiamo a leggere è molto importante per tutti coloro che si trovano nella posizione di dover educare un fanciullo ormai in età puberale, perché solo mettendo in pratica questi preziosi suggerimenti si può tentare di evitare uno sviluppo sessuale, ma anche caratteriale e comportamentale, errato:  

VI

 I PASSI NELLA CONOSCENZA  

2. La pubertà
 87. La pubertà, che costituisce la fase iniziale dell'adolescenza, è un momento in cui i genitori sono chiamati a essere particolarmente attenti all'educazione cristiana dei figli: è il momento della scoperta di se stessi « e del proprio universo interiore, momento di progetti generosi, momento in cui zampillano il sentimento dell'amore, gli impulsi biologici della sessualità e il desiderio di stare insieme, momento di una gioia particolarmente intensa, connessa con la scoperta inebriante della vita. Spesso, però, è anche l'età degli interrogativi più profondi, delle ricerche ansiose e perfino frustranti, di una certa diffidenza verso gli altri con dannosi ripiegamenti su se stessi, l'età talvolta delle prime sconfitte e delle prime amarezze ».14

88. I genitori devono essere particolarmente attenti all'evoluzione dei propri figli e alle loro trasformazioni fisiche e psichiche, decisive nella maturazione della personalità. Pur senza rivelare ansia, paura e ossessiva preoccupazione, tuttavia non consentiranno che la codardia e la comodità blocchino il loro intervento. Logicamente è un momento importante nell'educazione al valore della castità, il che si tradurrà anche nel modo d'informare sulla sessualità. In questa fase, la domanda educativa riguarda anche l'aspetto della genitalità e ne richiede perciò la presentazione, sia sul piano dei valori sia su quello della realtà globalmente intesa; ciò implica, inoltre, la comprensione del contesto relativo alla procreazione, al matrimonio e alla famiglia, contesto che deve essere tenuto presente in un'autentica opera di educazione sessuale.15

89. I genitori, prendendo spunto dalle trasformazioni che le figlie e i figli sperimentano nel proprio corpo, sono allora tenuti a dare spiegazioni più dettagliate sulla sessualità, ogni qualvolta che — vigente un rapporto di fiducia e di amicizia — le ragazze si confidino con la propria madre e i ragazzi con il proprio padre. Tale rapporto di fiducia e di amicizia va instaurato già nei primi anni di vita.

90. Compito importante dei genitori è accompagnare l'evoluzione fisiologica delle figlie aiutandole ad accogliere con gioia lo sviluppo della femminilità nel senso corporeo, psicologico e spirituale.16 Normalmente si potrà parlare, perciò, anche dei cicli di fertilità e del loro significato; non sarà però ancora necessario, a meno che non venga esplicitamente richiesto, dare spiegazioni in dettaglio circa l'unione sessuale.

91. E molto importante che anche gli adolescenti di sesso maschile siano aiutati a comprendere le tappe dello sviluppo fisico e fisiologico degli organi genitali, prima che debbano attingere queste notizie dai compagni di gioco o da persone non bene ispirate. La presentazione dei fatti fisiologici della pubertà maschile va fatta in una luce di serenità, di positività e di riserbo, nel contesto della prospettiva matrimonio-famiglia-paternità. L'istruzione sia delle adolescenti che degli adolescenti dovrà pertanto comprendere anche una circostanziata e sufficiente informazione sulle caratteristiche somatiche e psicologiche dell'altro sesso, verso il quale si dirige maggiormente la curiosità.

In questo ambito, può essere di aiuto ai genitori il supporto informativo del medico coscienzioso e così pure dello psicologo, senza disgiungere tali informazioni dal riferimento alla fede e all'opera educativa del sacerdote.

92. Attraverso un dialogo fiducioso e aperto, i genitori potranno non solo guidare le figlie ad affrontare ogni perplessità emotiva, ma anche sostenere il valore della castità cristiana nella considerazione dell'altro sesso. L'istruzione sia delle ragazze che dei ragazzi deve mirare ad evidenziare la bellezza della maternità e la meravigliosa realtà della procreazione, come pure il profondo significato della verginità. In questo modo, verranno aiutati ad opporsi alla mentalità edonista oggi largamente presente e, in particolare, a prevenire, in un periodo così decisivo, quella « mentalità contraccettiva » disgraziatamente molto diffusa e con la quale le figlie dovranno fronteggiarsi più tardi, nel matrimonio.

93. Durante la pubertà, lo sviluppo psichico ed emotivo del ragazzo può renderlo vulnerabile alle fantasie erotiche e porgli la tentazione di fare esperienze sessuali. I genitori dovranno essere vicini ai figli, correggendo la tendenza a utilizzare la sessualità in modo edonista e materialistico. Essi, perciò, richiameranno loro il dono di Dio, ricevuto per cooperare con Lui a « realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l'immagine divina da uomo a uomo »; e li rafforzeranno così nella consapevolezza che la « fecondità è il frutto e il segno dell'amore coniugale, la testimonianza viva della piena donazione reciproca degli sposi ».17 In questo modo i figli impareranno anche il rispetto dovuto alla donna. L'opera di informazione e di istruzione dei genitori è necessaria, infatti, non perché altrimenti i figli non potrebbero conoscere le realtà sessuali, ma perché le conoscano nella giusta luce.

94. In maniera positiva e prudente i genitori realizzeranno quanto chiesero i Padri del Concilio Vaticano II: « I giovani devono essere adeguatamente e tempestivamente istruiti, soprattutto in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione, sulle sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze ».18

Questa informazione positiva sulla sessualità sarà sempre inserita in un progetto formativo, tale da creare quel contesto cristiano in cui devono essere date tutte le informazioni sulla vita e sull'attività sessuale, sull'anatomia e sull'igiene. Perciò le dimensioni spirituali e morali dovranno essere sempre prevalenti ed avere due finalità speciali: la presentazione dei comandamenti di Dio come cammino di vita e la formazione di una retta coscienza.

Gesù, al giovane che lo interroga su ciò che deve fare per ottenere la vita eterna risponde: « Se tu vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti » (Mt 19,17); e dopo aver elencato quelli che riguardano l'amore per il prossimo, li riassume nella formulazione positiva: « Ama il prossimo tuo come te stesso » (Mt 19,19). Presentare i comandamenti come dono di Dio (scritti dal dito di Dio, cf Es 31,18) ed espressione dell'Alleanza con Lui, confermati da Gesù con il Suo stesso esempio, è molto importante perché l'adolescente non li disgiunga dal loro rapporto con una vita interiormente ricca e liberata dagli egoismi.19

95. La formazione della coscienza richiede, come punto di partenza, che si venga illuminati sul progetto di amore che Dio ha per ogni singola persona, sul valore positivo e liberante della legge morale e sulla consapevolezza tanto della fragilità indotta dal peccato quanto anche dei mezzi della grazia che corroborano l'uomo nel suo cammino verso il bene e la salvezza.

« Presente nell'intimo della persona, la coscienza morale » — che è il « nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo » come afferma il Concilio Vaticano II20 — « le ingiunge, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male. Essa giudica anche le scelte concrete, approvando quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. Attesta l'autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l'attrattiva ed accoglie i comandi ».21

Infatti « la coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto ».22 Pertanto la formazione della coscienza richiede l'illuminazione circa la verità e il piano di Dio e non va confusa con un vago sentimento soggettivo o con l'opinione personale.

96. Nel rispondere alle domande dei figli, i genitori dovranno offrire argomenti ben ragionati sul grande valore della castità e mostrare la debolezza intellettuale e umana delle teorie che ispirano condotte permissive ed edonistiche; risponderanno con chiarezza, senza dare eccessiva importanza alle problematiche patologiche sessuali né alla falsa impressione che la sessualità sia una realtà vergognosa o sporca, dal momento che è un grande dono di Dio, il quale ha posto nel corpo umano la capacità di generare, partecipandoci così il suo potere creatore. Anzi, sia nella Scrittura (cf Ct 1-8; Os 2; Ger 3,1-3; Ez 23, ecc.) che nella tradizione mistica cristiana23 si è sempre guardato l'amore coniugale come un simbolo e un'immagine dell'amore di Dio per gli uomini.

97. Poiché durante la pubertà un ragazzo o una ragazza sono particolarmente vulnerabili ad influenze emotive, i genitori hanno il compito, attraverso il dialogo e il loro stile di vita, di aiutare i figli a resistere agli influssi negativi che arrivano dall'esterno e potrebbero portarli a sottovalutare la formazione cristiana sull'amore e sulla castità. A volte, particolarmente nelle società travolte dalle spinte consumistiche, i genitori dovranno — senza farlo troppo notare — aver cura dei rapporti dei loro figli con ragazzi dell'altro sesso. Anche se accettate socialmente, ci sono abitudini nel parlare e nel costume che sono moralmente scorrette e rappresentano un modo di banalizzare la sessualità, riducendola a un oggetto di consumo. I genitori devono allora insegnare ai loro figli il valore della modestia cristiana, della sobrietà nel vestire, della necessaria autonomia verso le mode, caratteristica di un uomo o di una donna con personalità matura.24

mercoledì 22 giugno 2011

Alle sorgenti della Pietà - IV parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana. Oggi don Fusina medita sul contenuto della fede la quale non è un qualcosa di statico, ma un vero cammino verso le tre Persona della Santissima Trinità. Attraverso la fede, noi ci incamminiamo verso Dio, verso Gesù Cristo, verso lo Spirito Santo con intelligenza, cuore e vita: infatti, sono proprio questi tre elementi che vengono coinvolti nel cammino della nostra fede:

- Capitolo 2 -

"IO CREDO IN... "

 LA FEDE E' UN CAMMINO 
 
Abbiamo visto il significato dell'espressione iniziale: "io credo!" e in che cosa consiste la fede che professiamo: è un aprire il cuore a Gesù per accoglierlo come Salvatore e Signore, per farlo sedere sul trono della nostra vita affinché ne sia il sovrano assoluto. Questa fede ci ha trasformati in figli di Dio, ci ha fatti nascere di nuovo, non più dalla nostra mamma, ma dallo Spirito di Dio. Ora in noi vive ed opera Gesù stesso! Il cristiano, cioè il credente, è un altro Cristo!

Facciamo ora un passo avanti. L'espressione iniziale aggiunge una particella grammaticale molto importante. In italiano diciamo "in" così come in latino. In greco si dice "eis o `ev": "Credo in...".

L'espressione è presa dal Vangelo di Giovanni. Giovanni non usa la parola fede, ma usa molte volte il verbo "credere in"... che vuol dire: "cammino verso qualcuno o qualcosa".

Tutto ciò è molto importante perché manifesta la fede come un cammino e non come una realtà ferma, statica. Nell'atto di fede è tutto il mio essere che si muove incontro a qualcuno nel duale ho fiducia. La fede ha come meta un incontro di persone, non un manifesto di verità astratte. Infatti diciamo: Credo in Dio Padre..., Credo in Gesù Cristo..., Credo nello Spirito Santo. Sarebbe come dire: cammino incontro a Dio Padre, a Gesù Cristo, allo Spirito Santo...

 Lo scopo della nostra fede è l'incontro con le tre Persone della Ss.ma Trinità. Non è però solo l'incontro del mio intelletto, ma è l'incontro di tutto il mio essere: intelletto, cuore, vita.

L'INTELLIGENZA

Mediante la fede io vado incontro a Dio con la mia intelligenza.

In che modo? Accogliendo come sicuramente vere quelle realtà che Egli mi rivela nella predicazione apostolica e nella Sacra Scrittura e che la Chiesa mi propone di credere. Eccovi un esempio.

L'oggetto del mio occhio è tutto ciò che è corporeo: un uomo, una pianta, una montagna, un bicchiere, un libro, ecc.

Per vedere queste cose però mi è necessaria la luce: senza di essa queste cose ci sono ugualmente, ma io non le vedo. E' come se non ci fossero. La luce invece le illumina così che i miei occhi le possono vedere e, in un certo senso, farle proprie, portarle dentro di me nella loro immagine.

L'oggetto della mia intelligenza è la verità e la realtà: tutto ciò che è vero e reale può essere capito dal mio intelletto. Ma qui ci troviamo di fronte a due tipi di realtà e a due tipi di luce: a) ci sono le realtà terrene e le verità terrene, quelle cioè che la mia intelligenza può capire alla luce dell'esperienza, dell'evidenza e del ragionamento;

b) ma ci sono delle realtà e delle verità che sono divine ed eterne che superano la capacità della mia intelligenza e non sono percepibili alla luce naturale. Occorre una facoltà nuova e una luce nuova, soprannaturale.

La facoltà nuova è la fede, la luce soprannaturale è la Parola di Dio.

Con questa facoltà e con questa luce mi è possibile accogliere dentro di me realtà e verità divine altrimenti invisibili.

Es.: la Ss.m Trinità è una realtà ed una verità divina che supera ogni esperienza ed ogni ragionamento. Eppure io la conosco perché l'ho accolta in me mediante la fede ed alla luce della Parola di Dio.

La Fede dunque è. prima di tutto. un incontro dell'intelligenza umana con le verità rivelate da Dio, alla luce della divina Parola.

Queste verità, però, non sono astratte: corrispondono a realtà concrete. Anzi esse sono tutte riassunte in una persona: Gesù! "Io sono la Verità" Egli ha detto! (Gv 14,6). Ma Egli è pure la luce del mondo: "Io sono la luce del mondo: chi segue me non vivrà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Gv 12,46).

Infatti Gesù è la Parola stessa di Dio, l'immagine umana del Dio invisibile. Chi vede Gesù, vede il Padre! (cfr Gv 14,9). Quando noi diciamo `Yo credo in..." affermiamo il cammino della nostra intelligenza verso Colui che è la Verità e la Luce. Questo cammino dura tutta la vita e continuerà, sia pure in maniera molto diversa, anche nell'aldilà, per sempre. La nostra intelligenza, infatti, non arriverà mai ad esaurire la vastità infinita di verità che è Dio! Ci sono così due grandi caratteristiche della fede cristiana:

- la prima: è che essa è in continua crescita e perciò nessuno può mai tenersi pago di quello che conosce o, peggio, pretendere di conoscere tutto lui solo;

- la seconda: essa è certa e sicura nelle sue acquisizioni perché ha come fondamento la veracità e l'onestà di Dio stesso.

Quante cose noi accettiamo come vere solo perché ce le dice qualcuno che noi reputiamo verace ed onesto. Pensiamo un po' ai racconti della storia, alle descrizioni della geografia, dell'astronomia, ecc. Del resto tutta la nostra vita quotidiana è fondata sulla fiducia reciproca. Altrimenti come si potrebbe salire in treno, comprare il cibo, farsi curare dal medico, chiedere consiglio all'avvocato e via dicendo. "Ma se noi accettiamo la testimonianza degli uomini saggi ed onesti - scrive San Giovanni Apostolo - quanto più dovremo accettare la testimonianza di Dio!" (Gv 5,9).

Dio è autorevole perché Egli è verace (cioè dice sempre e solo la verità) ed è onesto (cioè non vuole e non può ingannare nessuno). Perciò quando Dio parla noi siamo certi di quel che dice e ci sentiamo sicuri delle verità che ci rivela: esse sono garantite dalla sua autorità.

Quindi l'effetto della fede intellettuale in Dio e nelle verità che Egli ci rivela è la nostra certezza (riguarda (intelletto) e la nostra sicurezza (riguarda il cuore).

 Il vero credente è un uomo certo e sicuro non perché si fonda sulla propria intelligenza, ma perché ha il suo fondamento in Dio e nella sua Parola: "Il Signore è con me: non potrò vacillare. Egli mi fa camminare sulle alture. Egli è la mia roccia, il mio rifugio, la mia sicurezza" (dai Salmi).

IL CUORE

Mediante la fede io vado incontro a Dio con il mio cuore. Dio non è soltanto Verità. Egli è anche Amore. San Giovanni scrive: "Dio è Amore, chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio in lui" (Gv 4,16).

Quando io dico credo in... esprimo non solo il cammino del mio intelletto verso la Verità, ma anche il cammino del mio cuore verso l'Amore. Infatti Dio mi si rivela all'intelletto come Padre buono e misericordioso, un padre che mi ha pensato e scelto da tutta l'eternità e che mi ha creato al momento opportuno. Un Padre che mi vuole dare sè stesso come eredità eterna. Egli mi rivela che il suo amore per me è eterno, da sempre, prima ancora che io esistessi. Egli mi ama non perché io lo meriti, ma perché Egli è buono. Credere in questo Amore significa lasciarmi amare e, di conseguenza, amarlo a mia volta.

Dio non si rivela come un Dio astratto, ma come un Dio concreto che ama. La fede perciò non può restare nel campo puramente intellettuale, ma deve scendere nel cuore e diventare risposta d'amore all'amore di Dio.

 Una fede puramente intellettuale è incapace di salvarci. Solo una fede animata dall'amore può salvarci!

LA VITA

Mediante la fede io vado incontro a Dio con tutto il mio essere.

Un giorno i Giudei chiesero a Gesù: "Quali sono le opere che dobbiamo fare per piacere a Dio?" e Gesù rispose: "Un'opera sola vuole dà voi il Padre Celeste: che crediate in Colui che egli ha mandato" (Gv 6,19).

Di fronte a questa dichiarazione qualcuno potrebbe essere tentato di pensare che la salvezza dipenda esclusivamente da una fede intellettuale. Ma quando Gesù parla di fede in Colui che Dio ha mandato, intende parlare di sequela, cioè di una fede che porta a seguirlo.

Altrettanto quando parla di amore: Gesù non si riferisce mai ad un amore puramente sentimentale, ma parla sempre di un amore che porta a seguirlo. "Vieni e seguimi": ecco l'invito di Gesù a tutti gli uomini. "Vieni" mediante la tua fede in me, accettandomi come tuo salvatore e come tuo signore. "Seguimi" mediante il tuo amore operoso pronto a compiere le opere sante alle quali Dio ti ha abilitato con il dono del suo Spirito. La fede salvifica è quella che porta a seguire Gesù fino alla Croce e alla Risurrezione. Del resto accade così anche nella nostra vita quotidiana. Quando noi diamo fiducia ad una persona, immediatamente gliela dimostriamo con l'atteggiamento e con le opere. Per esempio se io ho veramente fiducia in un operatore finanziario, gli do i miei soldi da amministrare. Se ho piena fiducia in un chirurgo, gli affido la mia vita e mi lascio operare da lui. Se ho fiducia in un insegnante, lo ascolto e mi sforzo di mettere in pratica le sue lezioni. Se ho fede in un avvocato, seguo i suoi consigli, ecc. Non si può pensare di aver fede in Dio ed in Gesù senza poi passare immediatamente alla sequela, all'attuazione del Vangelo, al compimento della divina volontà! Una fede che si fermasse unicamente all'intelletto o al sentimento, sarebbe una fede morta, come afferma la Bibbia: "La. fede senza le opere è morta!" (ciac 2,20).

Dunque credere in Dio significa andare incontro a Lui non solo con la mente e con il cuore, ma anche con tutta la nostra vita. Significa, in altre parole, aprire la porta del cuore, vuol dire che tutto in noi è al suo servizio: mente, cuore, corpo, forze, ecc.

Stiamo bene attenti però a non prendere un abbaglio che, purtroppo, inganna molti cristiani. La Bibbia ci dichiara apertamente che non è in virtù delle nostre opere che siamo salvi, ma in virtù del Signore mediante la fede in Lui (cfr Efes 2,9). Cosa vuol dire? Vuol dire che la salvezza è già stata compiuta da Dio nella Persona di Gesù. Noi possiamo far nostra la salvezza che è in Cristo. Come? Mediante la fede, cioè accettandoLe come nostro Salvatore e Signore. Allora Gesù verrà in noi e ci salverà.

Ma la fede che apre la porta della vita a Gesù, come abbiamo detto, comprende tutto il nostro essere: mente, cuore, corpo: tutto!

Vi faccio un esempio. Il perdono dei peccati Dio ce lo concede come un dono per i meriti infiniti del Signore Gesù. Tu potresti fare tutte le più grandi penitenze del mondo, ma non arriveresti mai a pagare uno solo dei tuoi peccati. Gesù, con il suo Sangue, ha pagato ogni nostro peccato una volta per sempre. Ora se tu vuoi il perdono non hai che una cosa da fare: credere in Gesù Salvatore e nel suo Sangue Prezioso. Ma con quale fede? Solo con la fede della mente? No! con la fede completa, quella che è resa viva ed operosa dalla carità, cioè dall'amore. Ecco perché confessi il tuo peccato, chiedi il perdono, fai penitenza. Non basta che tu dica: io credo che Gesù è il mio salvatore, ma è necessario che tu lo accolga

 come tale nel tuo cuore e nella tua vita rigettando il tuo peccato e convertendoti a Dio. Vedi, dunque, che è Gesù il tuo salvatore: ma è altrettanto vero il fatto che tu lo accogli con una fede autentica, viva e operante.

LA FEDE E' UN CAMMINO

Ecco, amici, il profondo significato delle prime parole del Simbolo: "Io credo in...". Esse indicano un cammino di tutto il nostro essere verso Dio Uno e Trino, cioè non verso verità astratte, ma verso realtà concrete, verso le tre Persone della Ss.ma Trinità con tutte le meravigliose realtà che Esse portano in sè.

La fede è. dunque, un cammino. Ora dire cammino, significa dire movimento da un punto fino ad un altro punto. Significa pure dire crescita.

Il punto di partenza della fede è Dio che si rivela a noi: la fede nasce dall'ascolto della Parola di Dio. E' nella Parola di Dio che sta la sorgente della fede. Chi non ascolta la Parola di Dio non può aver la fede! La Parola di Dio poi ci è offerta dalla predicazione, come insegna l'apostolo Paolo nella lettera ai Romani (Rom 10,9-15). La predicazione, infine, è affidata alla Chiesa cui Gesù ha detto: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mt 28,19).

Se vuoi crescere nella fede fino alla sua perfezione, che si avrà nella visione beata in Cielo, è necessario che tu ti metta in religioso ascolto della Parola di Dio, come giustamente insegna il Concilio Vaticano II (Cost. Dei Verbum n. 5). Non coi tuoi sforzi intellettuali, né con la moltitudine dei libri e neppure con i ragionamenti sofisticati potrai crescere e maturare nella fede, ma unicamente accogliendo in te la divina parola e obbedendo ad essa. Infatti: "A Dio, che rivela, è dovuta l'obbedienza della fede con la quale l'uomo si abbandona a Dio tutt'intero liberamente, prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui" (Conc. Vat. Il, Dei Verbum n. 5).

"Per questo - continua il Concilio - sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla. verità". "Infine - dice il Concilio - affinchè l'intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni".

Ecco, dunque, la strada per crescere nella fede: mettersi nelle mani di Dio, affidarsi alla sua grazia, chiedere il suo aiuto con preghiera umile e perseverante, ascoltare la sua Parola lasciandoci penetrare dalla dolcezza e dalla luce dello Spirito Santo.

 Così ha fatto la Madonna che Gesù ci ha presentato come modello di fede e che lo Spirito ha proclamato beata per la sua fede. "Maria - dice il Vangelo - conservava e meditava tutte queste cose nel suo cuore" (Le 2,19). Non solo essa si è abbandonata a Dio senza riserve, aprendo la porta del suo cuore a Gesù e facendolo Signore di tutto il suo essere, ma era in continuo e religioso ascolto della sua Parola, tanto che Gesù, correggendo l'espressione entusiasta di una donna che proclamava la grandezza di Maria ponendola tutta nella sua divina maternità, La presentò modello dei discepoli "che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica" ( Lc 11, 2728). Impariamo, dunque, dall'esempio di Maria a credere e a crescere nella fede.

CONTEMPLAZIONE

 Ora mettiti davanti al Signore Gesù, possibilmente in ginocchio davanti al Ss.mo Sacramento o ad una sua immagine nel segreto della tua cameretta. Riconosci umilmente i tuoi peccati e chiedine il perdono confidando nella misericordia di Dio. Poi apri la tua mente, il tuo cuore, la tua vita a Gesù che sta bussando alla tua porta e accoglilo in te quale tuo Salvatore e Signore pregandolo di prendere possesso di tutto il tuo essere senza eccezione alcuna. Fa questa preghiera con la Madonna, come un bambino ripete la preghierina che la mamma gli suggerisce.

PREGHIERA

 Signore Gesù, sono infinitamente riconoscente al Padre perché mi ha concesso il dono della fede e mediante il Battesimo mi ha fatto rinascere come suo figlio adottivo. Però mi accorgo che non Ti ho mai accolto con un atto coscientemente responsabile quale mio Salvatore e Signore personale. Oggi, ancora una volta, Tu bussi alla porta del mio cuore chiedendomi di entrare e di essere accolto come amico. Ebbene, con la tua santa grazia e con il materno aiuto di Maria, ecco che io, in questo momento Ti apro il cuore. Vieni, Gesù, a cenare con me perché anch'io voglio cenare con Te, mio Signore e mio Salvatore. Prendi possesso di tutto me stesso: io mi dono a Te per sempre e pongo in Te tutta la mia fede. Amen.