sabato 18 giugno 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Ventinovesima parte

Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: stiamo sempre nell'ultimo periodo di vita del beato Francesco che si trova a dover fronteggiare numerose malattie, tra cui una malattia agli occhi. Egli è riluttante nel farsi curare, ma in virtù dell'obbedienza decide di sottoporsi, seppur in ritardo, alle varie cure molto dolorose. Intanto scopriamo la figura di colui che sarà designato Vicario di Cristo, il Vescovo Ugolino la cui ascesa al Pontificato viene profetizzata proprio dal poverello d'Assisi:  

CAPITOLO QUARTO


FERVORE DI SAN FRANCESCO E SUA MALATTIA DI OCCHI

97. In quello stesso periodo, il suo corpo cominciò ad essere tormentato da mali fisici diversi e più violenti. Soffriva infatti parecchie malattie in conseguenza delle aspre penitenze cui già da anni sottoponeva il suo corpo. Esattamente per diciott'anni, quanti erano passati da quando aveva cominciato le sue peregrinazioni per varie e vaste regioni, impegnato a diffondere la parola evangelica, animato da costante e ardente spirito di fede, quasi mai si era preoccupato di dare un po' di riposo alle sue membra affrante. Aveva riempito la terra del Vangelo di Cristo. Era capace di passare per quattro o cinque città in un sol giorno, annunciando a tutti il Regno di Dio. Edificava gli uditori non meno con l'esempio che con la parola, si potrebbe dire divenuto tutto lingua.

L'accordo tra lo spirito e la carne appariva in lui così perfetto, che quest'ultima, invece di costituire un ostacolo al primo, lo precedeva nella corsa verso la santità, come dice la Scrittura: Di Te ha sete la mia anima, e quanto anche la mia carne. L'obbedienza assidua aveva finito per rendere volontaria questa sottomissione, e questa docilità di ogni giorno l'aveva reso luogo proprio di una grande virtù; infatti spesso la consuetudine si tramuta in natura.

98. Ma poiché è legge di natura ineluttabile che il corpo si consumi ogni giorno, mentre lo spirito si può ringiovanire, avvenne che quell'involucro preziosissimo che racchiudeva quel celeste tesoro, cominciò a cedere da tutte le parti e a indebolirsi notevolmente. Siccome però, come dice la Scrittura: Quando un uomo ha finito, allora comincia e quando sarà consumato opererà, si vede il suo spirito farsi più pronto nella carne inferma. Tanto vivo era il suo amore per la salvezza delle anime, che per conquistarle a Dio, non avendo più la forza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa ad un asinello. Spesso i confratelli con dolce insistenza lo invitavano a ristorare un poco il suo corpo infermo e troppo debole, con cure mediche, ma egli, che aveva lo spirito continuamente rivolto al cielo, declinava ogni volta l'invito, poiché desiderava soltanto sciogliersi dal corpo per essere con Cristo. Anzi, poiché non aveva ancora completato nella sua carne quanto mancava alla Passione di Cristo, sebbene ne portasse nel corpo le stimmate, incorse in una gravissima malattia d'occhi, come se Iddio mandasse a lui un nuovo segno della sua misericordia. E siccome quella malattia si aggravava di giorno in giorno e sembrava peggiore per la mancanza di ogni cura, frate Elia, che Francesco aveva scelto come madre per sé e costituito padre per gli altri frati, lo costrinse a non rifiutare i rimedi della medicina in nome del Figlio di Dio, che la creò, secondo la testimonianza della Scrittura: L'Altissimo ha creato in terra la medicina e il savio non la respingerà. A quelle parole Francesco obbedì.

CAPITOLO QUINTO

AL CARDINALE UGOLINO, VESCOVO DI OSTIA, CHE LO RICEVE BENEVOLMENTE A RIETI, IL SANTO PREDICE LA NOMINA A SOMMO PONTEFICE

99. Si provarono diversi medici con rimedi diversi, ma non se ne fece nulla; allora Francesco si recò a Rieti, dove si diceva dimorasse uno specialista molto esperto per la cura di quel male. Al suo arrivo fu accolto benevolmente e con amore da tutta la curia romana, che in quel periodo risiedeva in quella città; ma in modo tutto particolare lo ricevette con tanta devozione il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, famoso allora per rettitudine e santità di vita.

Il beato Francesco lo aveva scelto col consenso e beneplacito del papa Onorio III, come signore e protettore del suo Ordine, proprio perché gli era cara la beata povertà e onorava assai la santa semplicità. Questo prelato imitava la vita dei frati e, desideroso di raggiungere la santità, era semplice con i semplici, umile con gli umili, povero con i poveri. Era un frate tra i frati, tra i minori il più piccolo e, per quanto gli era consentito, si ingegnava a diportarsi sempre come uno di loro nella sua vita e nei suoi costumi. Era sollecito di dilatare ovunque l'Ordine minoritico e, d'altra parte, la fama della sua vita santa contribuiva a diffonderlo maggiormente anche nelle regioni più lontane. Il Signore gli aveva donato sapienza ed eloquenza, ed egli se ne serviva per confutare e confondere i nemici della verità e della Croce di Cristo, ricondurre gli erranti sulla retta via, ricomporre le liti e rinsaldare il vincolo della carità tra i fratelli. Era nella Chiesa di Dio lampada che arde e illumina, saetta scelta, tenuta in serbo per il momento opportuno. Quante volte, deposte le ricche vesti e indossatene altre rozze, lo si vedeva andarsene a piedi scalzi come un frate minore, per portare la pace. Ogni volta che gli si presentava l'occasione, si adoperava con ardore, a ristabilire questa pace tra l'uomo e il prossimo e tra l'uomo e Dio. Per questo il Signore lo scelse poco tempo dopo come Pastore di tutta la sua santa Chiesa, conferendogli autorità e potenza su tutti i popoli.

100. Perché si riconoscesse che questo avvenne per divina ispirazione e volontà di Cristo, il beato padre Francesco lo profetizzò con le parole e lo significò con i fatti molto tempo prima. Quando infatti l'Ordine e religione dei frati incominciava, sostenuto dalla grazia di Dio, a dilatarsi, a innalzare nel cielo, come cedro del Signore, la cima dei suoi meriti, e ad estendere, come vigna eletta, i suoi santi tralci su tutta la terra, il beato Francesco si recò da papa Onorio Il, capo della Chiesa romana in quegli anni, supplicandolo umilmente di concedere a lui e ai suoi frati in qualità di padre e signore, Ugolino, vescovo di Ostia. Il Pontefice esaudì la richiesta del Santo, e ben volentieri delegò la sua giurisdizione sull'Ordine a Ugolino. Questi la ricevette con umile riverenza e, come il servo fedele e prudente costituito sopra la casa del Signore, si impegnò in tutti i modi ad assicurare il cibo della vita a tutti coloro che erano stati affidati alle sue cure. Perciò il beato padre, da parte sua, si studiava di essergli sempre docile e lo venerava con amore e devozione. Poiché si lasciava condurre dallo Spirito di Dio, di cui era ricolmo, il beato Francesco intuiva molto tempo prima ciò che poi si sarebbe realizzato agli occhi di tutti. Ecco perché quando gli scriveva per cose relative all'Ordine di cui condividevano la responsabilità, spesso per l'amore che gli portava in Cristo, nelle sue lettere non si limitava mai a chiamarlo Vescovo di Ostia e di Velletri, come usavano gli altri nei saluti di convenienza, ma, senza ragione, lo salutava: «Ugolino, vescovo di tutto il mondo!». Spesso poi lo salutava con le benedizioni mai udite prima e, benché gli fosse sottomesso come figlio deferente, talvolta, per ispirazione celeste, lo consolava con fare paterno, quasi a rafforzare su di lui le benediziàni dei padri; fino alla venuta di colui che è il desiderio dei colli eterni.

101. Il cardinale Ugolino, a sua volta, nutriva profondo affetto per il Santo; gradiva quindi ogni sua parola e atto, anzi spesso si rasserenava tutto al solo vederlo. Egli stesso afferma di non aver mai avuto turbamenti d'animo, per quanto grandi, che la vista e le parole di Francesco non bastassero ad eliminare, disperdendo le nubi dello Spirito ed ogni tristezza, e riportandovi la serenità e la gioia. Si diportava con Francesco come il servo rispetto al suo padrone; lo ossequiava come un apostolo di Cristo, e sovente, inchinandosi, lo riveriva, baciandogli le mani.

Con devozione e sollecitudine Si preoccupava di trovare un rimedio per far ricuperare al beato padre la sanità degli occhi, perché lo riteneva un uomo santo e giusto e necessario e molto utile alla Chiesa di Dio. Condivideva il timore e la preoccupazione di tutta la famiglia dei frati per lui, e nella persona del Padre aveva pietà dei figli. Perciò esortava il beato padre, a prendersi cura di sé e a non ricusare i mezzi necessari, ricordandogli che questa trascuratezza gli poteva essere imputata a peccato piuttosto che a merito.

In spirito di umile obbedienza a questi autorevoli ammonimenti, san Francesco decise di avere con meno scrupolo un po' di riguardo per il suo male. Ma era ormai troppo tardi. Il male si era tanto aggravato, che per ricavarne anche solo un piccolo beneficio si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti, gli si bruciarono con ferri roventi le parti del capo credute lese, si incisero delle vene, si applicarono impiastri, si iniettarono collirii, ma senza alcun miglioramento; anzi, l'infermità parve peggiorare sempre più.


 

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