VISIONE DI UN UOMO IN FIGURA DI SERAFINO CROCIFISSO
A quell'apparizione il beato servo dell'Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell'acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso.
95. Le sue mani e i piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi, mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell'esterna, e formavano quasi una escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Così pure nei piedi erano impressi i segni dei chiodi sporgenti sul resto della carne. Anche il lato destro era trafitto come da un colpo di lancia, con ampia cicatrice, e spesso sanguinava, bagnando di quel sacro sangue la tonaca e le mutande.
Ben pochi ebbero la fortuna di vedere la sacra ferita del costato del servo del Signore stimmatizzato mentre egli era in vita. Ma fortunato fu frate Elia che, ancor vivente il Santo, meritò di scorgerla almeno; e non meno fortunato frate Rufino che la poté toccare con le proprie mani. Mentre una volta gli praticava una frizione sul petto, la mano gli scivolò come spesso capita, sul lato destro e così toccò quella preziosa cicatrice. Francesco ne senfi grande dolore e allontanò la mano, gridando che Dio lo perdonasse. Infatti con ogni cura teneva nascosto il prodigio agli estranei, agli amici e ai confratelli, tanto che non ne seppero nulla per lungo tempo perfino i suoi seguaci più intimi e devoti. Questo fedelissimo discepolo del Signore, pur vedendosi ornato con tali meravigliosi segni, quasi perle preziosissime del Cielo e coperto di gloria e onore più d'ogni altro uomo, non se ne gonfiò mai in cuor suo, né mai cercò di vantarsene con alcuno per desiderio di gloria vana, al contrario, temendo sempre che la stima degli uomini gli potesse rubare la grazia divina, si industriava il più possibile di tenerla celata agli occhi di tutti.
96. Si era fatto un programma di non manifestare quasi a nessuno il suo straordinario segreto, nel timore che gli amici non resistessero alla tentazione di divulgarlo per amicizia, come suole accadere, e gliene venisse una diminuzione di grazia. Aveva pertanto continuamente sulle labbra il detto del salmista: Nel mio cuore ho riposto tutte le tue parole, per non peccare dinanzi a Te. Si era addirittura accordato con i suoi fratelli e figli di ripetere questo versetto come segno che intendeva troncare la conversazione coi borghesi che venivano da lui; a quel segnale essi dovevano cortesemente licenziare i visitatori. Aveva sperimentato quanto è nocivo all'anima comunicare tutto a tutti, sapeva che non può essere uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni loro parte dagli uomini. Si era infatti imbattuto in persone che esteriormente mostravano d'essere d'accordo con lui, mentre la pensavano diversamente: in sua presenza lo apprezzavano, in sua assenza lo disprezzavano; e questi lo indussero a un giudizio di disapprovazione verso di loro, e qualche volta gli resero un poco sospette anche persone che venivano a lui con sentimenti retti.
Così purtroppo spesso avviene che la malignità cerca di screditare tutto ciò che è puro, e poiché la menzogna è vizio di molti, si finisce per non credere più alla sincerità dei pochi.
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