sabato 25 giugno 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Trentesima parte

Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: come abbiamo visto nelle settimane scorse, il beato Francesco si trovò ad affrontare numerose malattie che debilitarono notevolmente il suo fisico, ma che non intaccarono il suo spirito. Ancora oggi vediamo il fervore con il quale cercò di seguire il Signore anche nel momento in cui le forze lo stavano abbandonando: grandissimo esempio di umiltà, non si sentì mai arrivato, ma continuò sempre a ricercare la via del Signore, instancabilmente e insaziabilmente. Continuò anche a voler rappresentare un esempio per coloro che si trovavano a governare il popolo cristiano: egli desiderava ardentemente che il sacerdozio fosse inteso nel suo più forte senso spirituale, pensando mai alla propria gloria, ma alla gloria del Signore. 
Carissimi, cos'altro possiamo aggiungere su una simile perfezione? Noi oggi giustifichiamo i peccati più gravi e ci sentiamo meritevoli del Paradiso, solo perché non commettiamo malvagità come gli omicidi o gli abomini; il beato Francesco, invece, non si sentì mai degno né tantomeno perfetto, nonostante le infinite benedizioni con le quali il Signore lo aveva ricolmato. Se dunque San Francesco non è riuscito a tollerare nemmeno la minima macchia od ombra, sentendosi sempre indegno nei riguardi del Signore, come possiamo noi definirci degni e come possiamo anche solo osare giustificare il peccato? Accade che giustifichiamo l'omosessualità e la sessualità distorta solo perché vogliamo pensare che siano naturali: ma in realtà noi non facciamo altro che rendere lecito ciò che la natura stessa presenta come illecito. Seguiamo l'esempio di questo grande uomo colmo di benedizioni, la cui vita è stata guidata dalla mano del Signore: se saremo in grado di seguire tale esempio, nelle sue ovvie varianti, allora potremo dire di aver intrapreso il giusto cammino. Cominciamo con il giustificare il peccato e con il combattere ogni sorta di macchia che adombra la nostra coscienza: 

CAPITOLO SESTO

VIRTÙ DEI FRATI CHE SERVIVANO SAN FRANCESCO. QUAL ERA IL SUO PROGETTO DI VITA

102. Il Santo sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio. Ma per poter attendere con maggior libertà e devozione a Dio, e percorrere le celesti dimore nelle frequenti estasi e potersi finalmente collocare in cielo davanti al dolcissimo e serenissimo Signore dell'universo, ben provvisto di meriti, affidò la cura della sua persona ad alcuni frati, veramente degni della sua predilezione.

Erano uomini assai virtuosi, devoti a Dio, cari ai santi del cielo e amati dagli uomini sulla terra, e su di essi il beato Francesco si appoggiava come casa su quattro colonne 136 Ne ometto i nomi per riguardo alla loro modestia, virtù che, da veri religiosi; amano molto cordialmente. La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di innocenza, indizio d'un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare della coscienza, garanzia della buona riputazione, pregio e coronamento della perfetta rettitudine. Quésta virtù era loro comune e li rendeva graditi e amabili a tutti.

Ciascuno poi aveva una virtù propria: il primo era particolarmente discreto, il secondo mirabilmente paziente, il terzo di encomiabile semplicità, l'ultimo era robusto di corpo e mite di animo. Essi con ogni diligenza, cura e buona volontà difendevano il raccoglimento spirituale del beato padre, curavano la sua malattia senza risparmiarsi pene e fatiche di dedicarsi totalmente al servizio di lui.



103. Francesco, sebbene già fosse arricchito di ogni grazia davanti a Dio e risplendesse per le sue sante opere davanti agli uomini, pensava di intraprendere un cammino di più alta perfezione, e suscitare nuove guerre affrontando direttamente da valorosissimo soldato il nemico. Si proponeva, sotto la guida di Cristo, di compiere opere ancora più grandi, e sperava proprio, mentre le sue energie fisiche andavano esaurendosi rapidamente di giorno in giorno, di riportare nel nuovo attacco un pieno trionfo. Il vero coraggio infatti non conosce limiti di tempo, dal momento che aspetta una ricompensa eterna. Perciò bramava ardentemente ritornare alle umili origini del suo itinerario di vita evangelica e, allietato di nuova speranza per la immensità dell'amore, progettava di ricondurre il suo corpo stremato di forze alla primitiva obbedienza dello spirito. Perciò allontanava da sé tutte le cure e lo strepito delle considerazioni umane che gli potevano essere di ostacolo, e pur dovendo, a causa della malattia, temperare necessariamente l'antico rigore, diceva:

«Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!». Non lo sfiorava neppure il pensiero di aver conquistato il traguardo e, perse­verando instancabile nel proposito di un santo rinnovamento, sperava sempre di poter ricominciare daccapo. Voleva rimettersi al servizio dei lebbrosi ed essere vilipeso, come un tempo; si proponeva di evitare la compagnia degli uomini e rifugiarsi negli eremi più lontani, affinché, spogliato di ogni cura e deposta ogni sollecitudine per gli altri, non ci fosse tra lui e Dio che il solo schermo della carne.

104. Vedeva molti avidi di onori e di cariche, e detestandone la temerità, cercava di ritrarli da questa peste con il suo esempio. Diceva infatti che è cosa buona e accetta a Dio assumersi il governo degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la cura delle anime solo quelli che in quell'ufficio non cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al volere divino; coloro cioè che niente antepongono alla propria salute spirituale e non cercano l'applauso dei sudditi ma il loro profitto, non la stima degli uomini, ma unicamente la gloria di Dio; coloro che non aspirano alla prelatura, ma la temono, e se viene loro data non montano in superbia ma si sentono più umili e, quando viene loro revocata, non si avviliscono ma ne godono. Diceva ancora che soprattutto in un'epoca di malvagità e di iniquità come questa, c'è grave pericolo nella prelatura e maggior vantaggio nell'essere governati. Provava grande amarezza nel vedere che alcuni, abbandonato quello che avevano così bene incominciato, dimenticavano la semplicità antica per seguire nuovi indirizzi. Perciò si lamentava di alcuni, che un tempo erano tutti intenti a mete più elevate ed ora si erano abbassati a cose vili e futili; abbandonati i veri gaudi dell'anima, si affannavano a rincorrere frivolezze e realtà prive d'ogni valore nel campo di una malintesa libertà. Per questo implorava la divina clemenza per la liberazione dei suoi figli e la scongiurava con la devozione più grande perché li conservasse fedeli alla loro vocazione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao angel :) passo x un semplice saluto e x augurarti buona Domenica....un abbraccio Sergio e Famiglia

Riscoprire la fede ha detto...

Abbraccio ricambiato, ciao Sergio!!

Angel

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