domenica 17 giugno 2012

Da un piccolo seme un grande albero

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

È sempre per me un grande dono di Dio farmi vicino a tanti fratelli nella fede e con loro entrare nella bellezza divina della Sua Parola che è la vera via da percorrere, per dare senso alla nostra esistenza. Si nota un vuoto di senso attorno a noi, per cui a volte molti non riescono a capire la ragione stessa della loro vita, affidandosi così a fatti, sogni e cose che hanno il passo breve.
Ma ci sono anche coloro che nel tempo si accorgono di essere entrati in una famiglia o comunità o accanto ad una persona con cui, insieme, è possibile cercare di gustare e farsi educare dalla Parola. Si ha allora come l'impressione di aprire una finestra nell'animo di chi insieme a noi medita e riflette e da quella finestra entra tanta luce.
È sempre una grande gioia, e per questo spero che anche il nostro dialogo divenga luce in voi. Grazie, carissimi e carissime! Magari potessi offrire, grazie anche al vostro prezioso aiuto, un solo barlume di Luce, di Speranza a tanti altri!
Infatti, se c'è un atteggiamento, presente in tanti, che crea sofferenza, ma è soprattutto stonata sulla bocca di troppi cristiani, è il manifestare insistentemente quasi un senso di impotenza di fronte alla brutalità del male, che il mondo ci prospetta giorno dopo giorno, in una scalata che sembra volersi avvicinare al dominio totale sull'uomo.
Quanta gente, oggi, porta sul volto l'espressione dell'amarezza che ha dentro. A volte si ha come l'impressione che il male stia sommergendoci, negandoci ogni briciola di speranza.
Basta sfogliare i giornali, per leggere nelle prime e... in tutte le notizie, il disagio dell'umanità.
Un disagio che si incarna nei tanti fatti negativi che accadono, privati e pubblici, o nei fatti di reale sofferenza di tanti, che vorrebbero forse vedere un mondo diverso, vivere una vita più serena, essere protagonisti con tutti di cronache che suscitino speranza: speranze che sembrano spesso svanire, lasciando un vuoto ancora più devastante.
Qualche giorno fa', un uomo - molto colto fra l'altro - evidentemente non riuscendo a farsi una ragione del male che è tra noi, mi fece questa domanda: 'Mi dica, Padre, cosa consiglierebbe ad un giovane? Mettersi decisamente sulla strada della verità, della giustizia, dell'amore, ossia sulla strada di Cristo, distinguendosi nettamente dalle regole del mondo, ma rischiando di farsi emarginare proprio per le sue scelte, frutto di grandi ideali o, visto l'andazzo generale accettare qualche compromesso con la propria coscienza, che la società offre in ogni settore, sporcandosi senza troppi scrupoli mani e cuore, perdendo forse la dignità, ma assicurandosi favori e una strada percorribile?'. A me pare che la risposta sia già nella domanda stessa, ma penso sia opportuno esplicitarla con chiarezza e, per questo, ci viene incontro oggi l'apostolo Paolo, grande testimone della totale aderenza al Vangelo e, di conseguenza, proprio per le sue scelte radicali, vittima di incredibili persecuzioni, al punto da metterne a rischio la stessa vita, e più volte. Ma a Paolo poco importava il bene della sola vita temporale! Troppo profonda ormai la sua 'assimilazioné a Cristo.
Il Vangelo certamente fa giustizia di tanti che voltano le spalle a Cristo per non avere fastidi nella vita. Facile cedere al vuoto del mondo, sembra non si corrano rischi... ma spesso, già quaggiù, i frutti dell'agire secondo il mondo sono solitudine e non senso, mentre stupendo è il 'premio' garantito alla coerenza di chi fa del Vangelo il solo Libro della sua vita: è pace e gioia nello spirito. E, grazie a Dio, ci sono ancora tanti cristiani che non si lasciano intontire dall'ambizione alle cariche o dalla superficialità delle mode senza senso.
Le critiche sono per loro la conferma davanti a Dio e agli uomini che la coerenza nella fede è un bene che va oltre tutti i vantaggi momentanei, spesso definiti 'bené, ma che tali non sono.
Ma occorre davvero vivere una fede che riveli la pienezza della Presenza di Dio, l'Unico capace di sostenerci fino al martirio.
Scrive, dunque, oggi, S. Paolo ai Corinti:
"Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione - siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, CI SFORZIAMO DI ESSERE A LUI GRADITI. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male". (II Cor. 5,6-10)
Impressiona oggi, diciamocelo con quella sincerità che è la sola luce che ci aiuta a trovare la giustizia, quella dannata leggerezza che serpeggia nell'accettare le tante offerte del mondo, simili a fuochi artificiali nella notte, che offrono luce e calore per la durata di pochi secondi!
Una volta spentisi, si torna al buio e alla realtà evanescente a cui ci siamo affidati.
È 'coraggio' l'affidarsi al nulla delle cose o non è piuttosto essere degli sprovveduti, incapaci di guardare oltre l'immediato, il subito ed adesso?
Occorre davvero tanto coraggio per essere cristiani veri, che si nutrono di fede e danno alla vita il significato che Dio stesso le ha donato?
Racconta l'evangelista Marco ciò che Gesù disse alla folla:
"Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura". (Mc. 4, 26-34)
Ed è davvero così. I cristiani, che con serietà vivono di fede, di fatto da essa si fanno condurre e... neanche si accorgono della loro bontà, della loro stessa fedeltà: la fede è in loro un seme che cresce, ma essi sono solo tesi ad essere fedeli nella ricerca di Dio: una ricerca che matura come il seme che diventa spiga.
Sono tanti i fratelli nella fede che la coltivano nella vita, forse conoscono anche la fatica di mettere alle spalle il mondo, ma soprattutto vivono dell'interiore gioia che Dio dona in pienezza a chi vive di fede in Lui: chi ama non pensa a ciò che rinuncia, ma all'amore di cui vive.
Ogni volta visito qualche monastero o incontro cristiani di fede profonda, mi stupisce la loro serenità, a volte nonostante difficoltà o sofferenze.
Hanno lo sguardo di chi vede oltre il tempo, oltre le apparenze. Cercano di dare alla vita, in ogni atto o gesto quotidiano, anche il più semplice, la stessa cura che Dio ha per il seme che ha posto in loro. Sono un vero spettacolo che sparge speranza nel mondo, come una sfida da accettare.
D'altra parte tutti sappiamo che la vita non è uno scherzo: la vita non concede a nessuno leggerezza e superficialità, perché comunque, per la sua stessa finitezza, mette a dura prova ciò che davvero siamo e crediamo.
Quello che ogni volta dico a me stesso: il sorriso di un cristiano di grande e sincera fede - e ne incontro tanti - testimonia la bellezza dell'uomo che, ogni giorno, si lascia plasmare da Dio.
Ma sappiamo dare a Dio la nostra totale ed incondizionata fiducia, abbandonandoci alla Sua azione, mettendo la nostra vita nelle Sue mani e nel Suo Cuore, affidandoci a Lui, credendo che Lui e solo Lui conosce il cammino che dobbiamo percorrere per essere davvero felici?
Dio non voglia, carissimi, che viviamo senza una ragione o senza uno sguardo al Cielo. Ricordiamocelo sempre: non siamo cose, siamo figli del Padre, tutti, e quindi chiamati alla sola Bellezza che è propria dei figli di Dio, quella che si riflette nelle persone buone.
Affermava Paolo VI, nostro grande amico ora dal Cielo:
"La vita cristiana è come un sole che splende sull'insieme dei nostri giorni. Figlioli miei, se questo sole finisce per spegnersi, che cosa si perderebbe?
Alcuni dicono niente e invece si perderebbe proprio il senso della vita: perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, perché soffrire, perché vivere, perché morire se non c'è una speranza al di sopra di questa nostra povera vita sulla terra?
La gioia cristiana - giova ripeterlo - è dare il senso, il valore, la dignità al nostro passaggio sulla terra. Per questo il nostro grido è: Siate veri cristiani: cristiani nelle opere e non a parole".

domenica 10 giugno 2012

Solennità del Corpus Domini

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Dobbiamo prendere atto che la Solennità del Corpus Domini, un tempo celebrata anche con uno splendido apparato esterno, oggi, per varie ragioni, è vissuta in tono minore, almeno in molte comunità. Si adducono motivi di ordine pubblico, come il traffico da limitare, o altri più o meno validi, ma di fatto si mette in secondo piano la bellezza di vedere ed onorare Gesù che 'passa' per le nostre strade, e viene annullata la possibilità di manifestare pienamente il nostro grande Grazie al nostro Dio, rimasto tra di noi.
Era commovente - per chi crede, naturalmente - e lo è ancora oggi nei pochi luoghi dove accade, vedere passare Gesù nelle vie delle nostre città o paesi, quasi a voler visitare di persona i luoghi dove scorre la nostra vita quotidiana. Era ed è un modo - che ci colma di pace - per mostrare all'Amico Gesù dove viviamo, soffriamo o gioiamo. Di fronte ad alcune resistenze, mi diceva un giorno un vigile, quasi a scusarsi e scusare: 'Che vuole? La gente sopporta malvolentieri quello che viene percepito come un disturbo. Abbiamo tutti sempre tanta fretta e vorremmo che le nostre strade fossero sempre libere!'
Salvo poi bloccare il traffico - risposi - per aprire lo spazio al passaggio di una qualche celebrità, che così può esibire la sua importanza, suscitando ammirazione o invidia, e niente altro. Ben diverso dal passaggio per le nostre strade di Gesù-Eucaristia, che davvero dà la percezione viva, per chi crede, di Dio che passa per le nostre strade e respira le nostre ansie.
E' una fotografia del nostro tempo che non meriterebbe alcuna attenzione se sotto non contenesse una tremenda verità: il popolo cristiano ha scordato o appannato il meraviglioso, sublime dono che Dio fa di Sé a ciascuno di noi, con il sacramento dell' Eucarestia, facendosi non solo Amico della nostra vita, ma accompagnandoci 'concretamente' in ogni nostro passo, se solo Lo accogliamo.
Dio poteva mai farci dono più grande del Dono di Sé, nell'Eucarestia?
Ogni volta che nella celebrazione della Santa Messa, noi sacerdoti, con l'autorità donataci, proclamiamo le parole della Consacrazione, realizziamo il più grande miracolo, che solo la mente di un Dio Amore poteva pensare: Dio che ci dona il Suo Corpo e il Suo Sangue come nutrimento. Difficile esprimere quello che si prova, almeno per noi sacerdoti, quando pronunciamo, come fossimo Lui stesso: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Prendete e bevete questo è il calice del mio sangue. Ogni volta farete questo, fatelo in memoria di Me".
Stupore, meraviglia, confusione, a volte viene spontanea la preghiera: "Signore. aumenta la mia fede!" tanto è grande il Mistero.
Sentimenti ed emozioni che proviamo anche quando doniamo Gesù-Eucarestia ai fedeli.
Ho visto sacerdoti, consci dell'immensità del dono, che al momento della Consacrazione elevavano al Cielo l'Ostia o il Calice, quasi fermandosi stupiti davanti a tale miracoloso Mistero, e fedeli, davvero santi, che al momento della Consacrazione o nel ricevere l'Eucarestia, assumevano un aspetto estatico, di una tale gioia da non poterla descrivere: credenti che vivono l'Eucarestia come momento di Paradiso, consapevoli che è immenso il Dono che Dio ci fa.
E vengono in mente le parole di Gesù: "Io sono il pane della vita. chi mangia di Me vivrà di Me". Una verità non sempre compresa, come avvenne il giorno in cui per la prima volta Gesù parlò dell'Eucarestia. Narra il Vangelo che tanta gente, non riuscendo a capire, forse credendola una follia, perse la fiducia in Gesù e se ne andò. Non lo seguirono più. Gesù provò una grande amarezza, al punto che disse ai Suoi: "Ve ne volete andare anche voi?".
Fu una manifestazione di fede e fiducia quella di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna".
Come spiegare allora il comportamento di tanti fratelli e sorelle che vedono la Santa Messa come un 'obbligo' e la Santa Comunione come qualcosa 'di cui si può fare a meno"; non importante?
Basta constatare la frequenza molto bassa alla Messa festiva e che dire di quelli che considerano 'una esagerazione comunicarsi ogni giorno'?
Ho avuto la grazia di nascere in una famiglia in cui l'Eucarestia era il punto di forza; mamma, nonostante i tanti figli, la povertà, fin da giovane, ogni mattina, si recava a cibarsi dell'Eucarestia.
A volte con grande sacrificio, ma 'che senso avrebbe la mia vita, l'essere vostra mamma affermava spesso - se non avessi cura di nutrirmi di Gesù ogni giorno. Lui e solo Lui è la ragione della mia vita e il sostegno al mio amore per voi'. Morì a 99 anni, ma fino alla fine chiese di poter ricevere l'Eucarestia. Direi che è passata a Dio con Gesù nel cuore e in bocca.
Quanti fratelli ho conosciuto che non lasciavano passare un giorno senza Lui, il Pane della Vita, che li confermava nell'unico vero significato della vita, sostenendo li nel cammino, a volte davvero difficile, dell'esistenza.
Ricordiamo sempre il grande Dono che Gesù ci ha fatto nell'Ultima Cena, per rassicurare gli Apostoli - e noi - che Lui non ci abbandona mai, è 'con noi fìno alla fìne dei tempi' nell'Eucarestia. Racconta l'evangelista Marco:
"Gesù, mentre mangiavano, prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò, lo diede loro dicendo: 'Prendete questo è il mio corpo'. Poi prese il calice, rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti, e disse: 'Questo è il calice del mio sangue, della nuova alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vita fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio". (Mc. 14,22-26)
Tante volte mi chiedo la ragione della scarsa devozione all'Eucarestia. Nella notte del 1968, un terribile terremoto, a Santa Ninfa', nel Belice, distrusse tutto, compresa la Chiesa Madre. Guardavo all'altare rovinato e come sbriciolato sotto le macerie. Il mio pensiero era che fine avesse fatto il tabernacolo e la pisside, che conteneva Gesù, nelle Ostie consacrate. Con i miei confratelli, nonostante il pericolo, cercammo di individuare il luogo dove era sepolta la pisside. Facendoci coraggio, nel buio, con una torcia, passando sulle macerie, finalmente la trovammo. Era finita sotto una grande pietra. Con fatica ed attenzione riuscimmo ad estrarla. Era stata schiacciata dal peso ed estraendo le Ostie, notammo che anch'esse si erano come sbriciolate. Lo percepii come un messaggio di Gesù, che ci diceva che Lui non ci aveva lasciati soli, ma partecipava alla nostra sofferenza: incredibile Amore!
Quello stesso anno, il giorno della Solennità del Corpus Domini, nel 1968, Paolo VI affermava:
"Che cosa vuol dire il rito insolito e solenne che stiamo vivendo nella processione del Corpus Domini? Noi togliamo dal segreto silenzio dei nostri tabernacoli Dio, per dire anche ai fedeli credenti, che possono accedere al grande Sacramento dell'Eucarestia, di scuotere certa nostra abituale consuetudine davanti al fatto dell'Eucarestia. Misterioso fin che si vuole, ma reale, vicino, presente, urgente, per un nostro più cordiale incontro con quel Gesù che mediante questo sacramento si dona, diventa in noi vita nuova."
Per uno che veramente crede a questo immenso Amore, che vuole partecipare realmente alla nostra vita, l'Eucarestia è il grande fulcro della sua vita interiore.
Ma saremo ancora capaci, davanti a tanta indifferenza da cui siamo circondati, di abbattere il muro che ci tiene lontani dal Dono che Dio ci fa nell'Eucarestia?
Facciamo nostro il canto della Chiesa, oggi:
"Ecco il Pane degli Angeli, Pane dei pellegrini, vero Pane dei figli!
Non deve essere gettato. Buon Pastore, Pane vero, o Gesù, pietà di noi! Nutrici e difendici. Portaci ai beni eterni nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi, che ci unisci sulla terra,
conduci i tuoi fratelli alla tavola del Cielo, nella gioia dei tuoi Santi".