domenica 26 giugno 2011
Corpus Domini
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: oggi la Chiesa celebra la solennità del Corpus Domini e voglio rendervi partecipi di una bellissima quanto intensa omelia del Vescovo di Brescia, Luciano Monari, segnalatami dalla nostra cara Enza:
23 Giugno 2011 - Processione del Corpus Domini 2011
Omelia del vescovo Luciano Monari - Brescia - Piazza Paolo VI Viene naturale chiederci: che senso può avere la tradizionale processione del Corpus Domini? Passare in mezzo alle strade di Brescia portando il Santissimo Sacramento e cioè il sacramento più prezioso e intimo della religione cristiana? Non sarebbe preferibile proteggerlo con delicatezza da ogni sguardo indifferente o scettico o ironico? Vogliamo in questo modo rivendicare l'identità cristiana delle nostre terre, della nostra città? Una rivendicazione sentita tanto più urgente per i cambiamenti degli ultimi decenni che rendono diffuso uno stile di vita neopagano e ci mettono a contatto con culture e religioni diverse? O vuole essere quasi una sfida, la testimonianza pubblica della nostra fede di fronte a un mondo che sembra trascurarla e considerarla sorpassata? Certo, possono mescolarsi nel nostro cuore tutte queste motivazioni e altre ancora, ma sono, siamo convinti che ci sia qualcosa di più. Siamo convinti che l'eucaristia, che noi portiamo ogni anno nel cuore della nostra città, abbia qualcosa da dire a tutti i bresciani e soprattutto abbia qualcosa di prezioso da donarci e trasmetterci; che l'eucaristia s'intrecci con la vita della città e che possa rafforzare quei vincoli di solidarietà che la tengono in piedi e le permettono di non essere solo un aggregato di persone, ma una comunità di vita, un progetto di convivenza, una esperienza di fraternità, un modo originale e creativo di dare forma concreta al tesoro di intelligenza e di umanità che sta dentro di noi. In concreto, riteniamo che l'eucaristia sia in grado di immettere nel tessuto sociale una energia grande di amore oblativo, quell'amore di cui la società umana ha immenso bisogno per riuscire a funzionare bene.
Che l'eucaristia sia espressione di un amore oblativo non c'è bisogno di ricordarlo. Gesù l'ha istituita, l'eucaristia, il giorno prima di morire, durante una cena con i suoi discepoli. Era il testamento col quale trasmetteva agli amici, come eredi, il suo tesoro non fatto di case o campi o denaro, ma di amore, di perdono, di benevolenza. Durante la cena, dunque, ha preso del pane, ha pronunciato la benedizione riconoscendo che quel pane era il dono di Dio, lo ha spezzato e poi dato ai suoi discepoli perché ne mangiassero dicendo: "Questo è il mio corpo che viene consegnato per voi." Il corpo, cioè l'uomo, la sua posizione nel mondo, le sue parole col loro timbro e le sue azioni col loro stile, i rapporti che quest'uomo ha stabilito con gli altri, la sua presenza nella società, i suoi sogni e i suoi progetti, le sue sofferenze: tutto questo è quel pane che Gesù spezza e dà ai discepoli perché se ne nutrano. La qualificazione 'per voi' dice esattamente la prospettiva oblativa, cioè di dono secondo cui Gesù interpreta tutta la sua vita. È vissuto non sognando di avere successo nel mondo, ma desiderando di fare vivere, di dare speranza, di liberare dal male, di aprire alla gioia di vivere e di amare; è vissuto non per se stesso ma per gli altri; e adesso accetta liberamente la morte vergognosa di croce per liberare gli altri dal male, dalla vendetta, dall'odio, dalla menzogna, dall'invidia. Egli, scrive san Pietro, "patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti." È questo 'Cristo per noi e per tutti' il pane che noi abbiamo portato in processione e che, ora, adoriamo. Lo adoriamo perché vi riconosciamo la vita realmente donata di Gesù e nella vita donata di Gesù riconosciamo la rivelazione più sconvolgente del mistero di Dio. Dio è amore, amore oblativo, cioè: non amore che cerca di impossessarsi della cosa o della persona amata, ma amore che sacrifica se stesso perché la persona amata possa vivere in pienezza nella libertà e nella gioia. Non quindi amore possessivo ed egocentrico, non passione cieca, non ricerca ossessiva del piacere – ma amore limpido, capace di donarsi, desideroso di donarsi; e che proprio nel farsi dono, trova e realizza se stesso. Questo noi crediamo essere il mistero di Dio; questo riconosciamo essere la vita e la morte di Gesù; questo proclamiamo essere la vocazione di ogni uomo; questo adoriamo nel santo mistero dell'eucaristia che noi facciamo non per un nostro desiderio o assecondando una nostra aspirazione, ma obbedendo al comando di Gesù, nostro Signore.
Passando dunque per le vie di Brescia con il Sacramento di Cristo, esprimiamo il nostro desiderio e il nostro impegno: che l'amore oblativo trasfiguri il lavoro, la fatica e la sofferenza dell'uomo; che la nostra vita sia plasmata e resa umanamente nobile proprio da questa forma di amore. Nell'ultima cena, per esprimere il dono imminente della sua vita, per comunicare questo dono ai discepoli come nutrimento per la loro vita, Gesù ha scelto un pezzo di pane che è sì frutto della terra, ma anche del lavoro e dell'industria dell'uomo: ci vuole il seminatore per avere il pane; e poi il mietitore, il battitore, il mugnaio, il panettiere, il fornaio. Il pane esce solo alla fine di un lungo processo nel quale l'uomo mette lavoro, fatica, tempo, speranza, arte. È proprio tutto questo complesso di attività che deve accogliere in sé la forza dell'amore oblativo. Certo, l'uomo non può e non potrà mai vivere solo di amore oblativo. L'uomo è una creatura debole e per vivere ha bisogno di appropriarsi di cibo, di bevanda, di esperienze gratificanti. Ma l'uomo non può vivere umanamente senza amore oblativo, senza mettere anche nel suo lavoro, anche nella vita sociale e politica il sapore, il lievito del dono e della benevolenza. L'eucaristia è, per noi, memoria di questo, una sorgente inesauribile di desiderio. Quando pensiamo a Gesù e ci salgono dal cuore le parole stesse di Paolo: "Mi ha amato e ha donato se stesso per me" ci viene il desiderio di essere, a nostra volta, generatori di bene; quando contempliamo la croce, riusciamo a controllare un poco meglio i risentimenti istintivi, i desideri di vendetta; quando ci apriamo alla promessa della vita eterna, riusciamo ad aprire le mani che si erano rattrappite nel gesto avido dell'afferrare.
L'eucaristia edifica la vita della società. Perché la società ha bisogno di una buona dose di amore oblativo per potere sussistere. L'ordine sociale che abbiamo costruito con secoli di riflessione e di esperienza, che rinnoviamo continuamente con le riforme, le trasformazioni economiche, i processi politici, le creazioni culturali… questo complesso ricco e vario di istituzioni riceve un significato umano dai valori che noi cerchiamo di incarnare: la giustizia, la fraternità, il rispetto dei diritti di ciascuno, la difesa dei più deboli sono alcuni dei tanti valori che danno forma alla nostra società e che la fanno essere 'umana' cioè degna dell'uomo, della sua intelligenza, del suo senso morale. Ma è evidente a tutti che i diversi valori non si armonizzano sempre facilmente. Da sempre l'uomo lotta nel tentativo difficile di unire armoniosamente libertà e giustizia: una libertà senza controllo genera inevitabilmente una società dove il forte schiaccia il debole, il furbo approfitta del semplice; d'altra parte, una società che si proclami solidale eliminando la libertà, sarebbe una società di automi, di macchine, non di uomini. Così è compito sempre nuovo quello di realizzare la visione del salmo che dice: "Amore e verità s'incontreranno. Giustizia e pace si baceranno." Ma anche in questo caso l'armonia non nasce facilmente e spontaneamente. È uscito in questi giorni un saggio che s'interroga su quale peso di ingiustizia gli uomini siano disposti a sopportare per non recare turbamento alla pace. Perché se la pace viene intesa come valore assoluto, bisogna essere disposti a sacrificarle ogni altro valore, anche quello della giustizia; ma è giusto questo? È umano? Ho ricordato solo alcuni esempi per indicare che l'armonia della convivenza umana è tutt'altro che scontata e tutt'altro che facile da raggiungere. I diversi valori che animano la società debbono essere collocati al posto giusto in una scala unica che garantisca il loro equilibrio e in questo modo il rispetto di tutti.
Ebbene, l'eucaristia inserisce nel complesso dei valori della società anche quel misterioso valore che si chiama 'amore oblativo'. Lo dico misterioso perché alcuni negano addirittura che possa esistere e sospettano – anzi vorrebbero proclamare con sicurezza – che dietro ogni apparente gesto di amore si può scoprire un egoismo camuffato. Noi crediamo che no; crediamo che Dio è amore oblativo; e che l'amore oblativo con cui Dio ci ama entra realmente nel circolo della vita umana, solleva e arricchisce il nostro stesso amore e gli conferisce lineamenti sorprendenti di bellezza e di generosità. Dicevamo che non è possibile una società motivata solo dall'amore oblativo. L'uomo porta iscritta indelebilmente nella sua carne la condizione di bisognoso e da questa condizione né deve né può liberarsi. L'amore oblativo puro non ci appartiene; e tuttavia non è possibile vivere umanamente se l'amore oblativo non entra realmente a fare lievitare i nostri desideri e a modificare i nostri comportamenti. Nessuna famiglia riesce a costruirsi e a conservarsi se non ci sono in essa numerosi atti di generosità, di servizio, di disinteresse e di perdono; nessun rapporto umano può diventare fedele se non assume seriamente anche la dimensione del sacrificio. Lo stesso discorso vale a livello della società – della città, ad esempio. È la giustizia che deve regolare i rapporti tra i cittadini e le istituzioni; ma è impossibile una stretta e perfetta giustizia in questo mondo; e gli elementi di scarto, le inevitabili dimensioni di insufficienza possono essere sanate solo da una forza più grande di dono e di perdono. C'è una sapienza grande in quella leggenda ebraica che dice essere il mondo tenuto in piedi dalla bontà di trantasei giusti che, pur subendo ogni sorta di ingiurie, non rispondono altro che generando bene e perdono e riconciliazione.
La società umana ha bisogno in ogni momento di un alto potenziale di amore oblativo: per riuscire a rimanere e diventare sempre più umana; per riuscire a sanare i guasti che l'egoismo dei singoli o dei gruppi sociali inevitabilmente produce; per ricuperare ogni persona umana nonostante i suoi errori passati. Abbiamo portato l'eucaristia per le strade con questo desiderio: che il segno sacramentale dell'amore infinito di Dio, dell'amore concreto di Gesù possa incontrare i mille volti dell'uomo, le mille situazioni di disagio, di sofferenza, di paura che gelano i cuori umani; che ogni uomo si senta cercato e amato come creatura preziosa e che desideri di diventare a sua volta sorgente creativa di amore e di riconciliazione. Nella sua prima lettera san Giovanni scrive: "Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui. In questo abbiamo conosciuto l'amore, nel fatto che egli ha dato la vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli." Sappiamo che queste esigenze sono più alte di noi; per questo torniamo a guardare il nostro Signore, il sacramento del suo amore. Desideriamo imparare ad amare e a mettere nel nostro amore anche la dimensione dell'oblatività. L'eucaristia ci salva per questo.
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