venerdì 5 agosto 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantanovesimo appuntamento

 Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi concludiamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati, sempre con la pronta ed oculata meditazione di Sant'Agostino d'Ippona: 

 Capitolo 6 

1Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. 2Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo. 3Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso. 4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto: 5ciascuno infatti porterà il proprio fardello.

6Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce. 7Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. 8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. 10Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.

11Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia mano. 12Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo. 13Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne. 14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. 16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio. 17D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.

18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

COMMENTO 

56. In nessun’altra occasione si palesa che un uomo è diventato spirituale quanto nell’intervenire sul peccato del prossimo, quando cioè si sa mirare più alla sua liberazione che non alle ingiurie, più all’aiuto da arrecargli che non alle insolenze; e a tal fine si prendono tutte le iniziative che ci sono consentite. Ecco le parole dell’Apostolo: Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che siete spirituali, riprendete una tale persona. Non si deve tuttavia pensare che sia buono l’intervento quando lo si fa sgarbatamente sconvolgendo il colpevole e irridendo al suo peccato o quando per superbia lo si aborrisce ritenendolo inguaribile. Per questo aggiunge: In spirito di mansuetudine, badando a te stesso, affinché tu stesso non abbia ad essere tentato. Nulla infatti inclina talmente alla misericordia quanto il pensiero del proprio pericolo. A tal fine, mentre impone loro di non mancare al dovere della correzione fraterna, proibisce la smania delle contese. Non sono in realtà pochi gli uomini che, se scossi dal sonno, si mettono a litigare o, se viene loro imposto di evitare le liti, si mettono di nuovo a dormire. Riflettendo dunque sul comune pericolo, conservino in cuore la pace e la carità. Quanto poi al tono della voce, se cioè si debbano usare parole aspre o dolci, lo si deve regolare come richiede la salvezza di colui che si sta correggendo. È quanto dice l’Apostolo in un altro passo: Il servo del Signore non dev’essere litigioso ma mite con tutti, abile nell’insegnare, paziente 147. E perché nessuno ritenga che per essere tale egli debba omettere di correggere l’errore del prossimo, vedi cosa aggiunge: Riprendendo, dice, con moderazione chi nutre opinioni contrastanti 148. In che senso con moderazione? In che senso riprendendo? Non forse perché nel cuore conserviamo inalterata la dolcezza e con essa condiamo l’amaro della medicina usata nelle parole della correzione? Sono persuaso che non abbiano senso diverso le altre parole della stessa Lettera: Annunzia la parola, insisti opportunamente [e] inopportunamente. Rimprovera, esorta, redarguisci con pazienza e dottrina 149. L’intervento inopportuno si oppone evidentemente a quello opportuno, e non si dà medicina che rechi la guarigione se non usata nel modo opportuno. Esiste un modo diverso di suddividere la frase, e cioè leggere: Insisti opportunamente, e poi proseguire, con senso differente: Inopportunamente rimprovera, collegando poi a questa espressione tutto il resto: Esorta, redarguisci con grande pazienza e dottrina. Ne risulterebbe questo significato: Tu sarai ritenuto opportuno quando insisti per costruire; quando viceversa col rimprovero dovrai demolire, anche se sembrerai importuno non angustiarti se è a tal gente che sei importuno. In questa interpretazione i due termini che seguono si possono riferire separatamente ai due precedenti, e cioè: Esorta quando insisti opportunamente, rimprovera quando redarguisci inopportunamente. Poi vengono gli altri due, che concernono lo stesso tema ma vi si riferiscono con ordine inverso: Con grande pazienza, nel sopportare lo sdegno di coloro dei quali abbatti l’edificio; e con dottrina, quando incrementi l’alacrità di coloro che costruisci. Ci si può comunque attenere alla distinzione usuale, e cioè: Insisti opportunamente e, se in tal modo non ottieni il risultato, anche inopportunamente. In detta accezione il senso sarebbe questo: Tu non devi assolutamente farti sfuggire l’occasione favorevole e, se ti si dice di agire anche inopportunamente, lo devi intendere nel senso che sei importuno a colui che non ascolta di buon grado quanto dici contro di lui. Occorre però che la cosa a te si manifesti opportuna e che tu abbia in vista il motivo dell’amore e con animo mite, umile e fraterno ti proponga di curare la salute del tuo prossimo. Sono molti infatti coloro che, ripensando in un secondo momento alle cose udite e riconoscendo quanto fossero giuste, provano nel loro intimo rimorsi gravi e laceranti e, sebbene quando lasciarono il medico sembravano infuriati, col passare del tempo la parola udita penetra con tutto il suo vigore nel profondo della loro anima e ne sono guariti. Ora questo risultato non si otterrebbe certamente se, di fronte a uno che si trova in pericolo per avere le membra incancrenite, stessimo lì ad aspettare che accetti volentieri d’essere o bruciato o amputato. Un’attesa di questo genere non se la consentono nemmeno i medici del corpo, sebbene intervengano solo in vista di una ricompensa terrena. In effetti dove mai si troverà qualcuno che senza farsi legare riesca a sopportare il bisturi o le scottature praticate dal chirurgo, essendo raro, e molto, il caso di chi consenta soltanto a farsi legare? I più oppongono resistenza e gridano di preferire la morte anziché essere curati in quella maniera, tanto che [i medici] debbono legarli in tutte le membra lasciando libera, sì e no, solo la lingua. Nel fare ciò non seguono né la volontà propria né quella del malato riluttante, ma le esigenze dell’arte medica, e così, per quante siano le grida e le invettive del paziente, né si commuove la sensibilità né si ferma la mano del medico. Quanto invece ai ministri della medicina celeste, a volte mossi dalla trave dell’odio, vogliono scorgere la pagliuzza nell’occhio del fratello 150, ovvero giudicano più tollerabile assistere alla morte di chi pecca che non subire la parola di chi si indigna. Le quali cose non accadrebbero se, nel curare l’anima del fratello, avessimo uno spirito così fermo come lo sono le mani dei medici quando intervengono sulle membra altrui.

57. Ne segue che mai dobbiamo intervenire a correggere il peccato altrui senza avere prima esaminato la nostra coscienza, sottoponendola a severo controllo, e senza avere ottenuto dinanzi a Dio la chiara risposta che ciò facciamo mossi dall’amore. Senti invece che il tuo cuore è ferito dagli improperi, dalle minacce o anche dalle persecuzioni di colui che intendi correggere? Sebbene abbia la convinzione di poterlo guarire con il tuo intervento, non devi pronunziare parola finché non sia tu stesso guarito. Non deve succedere che, consentendo ai tuoi moti istintivi, tu finisca col fargli del male e presti la tua lingua al peccato 151 perché diventi arma di iniquità ricambiando il male col male e la maledizione con la maledizione 152. In effetti ogni parola che pronunzi col cuore ferito è scatto rabbioso di chi vuol punire, non benevolenza di chi vuol emendare. Ama e di’ quel che ti pare! Se penserai e intenderai essere uno che mediante la spada della parola di Dio vuol liberare l’uomo dall’assedio dei vizi, non saranno certo di maledizione le tue parole, anche se suonassero come una maledizione. Capita spesso, è vero, e potrebbe capitare anche a te che ti decida ad intervenire mosso da amore e che inizi il tuo intervento sempre con amore. Tuttavia, nel tradurre in atto l’iniziativa, di fronte alla resistenza [dell’altro] ecco che si inocula nel tuo interno qualcosa che ti distoglie dal proposito di colpire solo il vizio rendendoti anche nemico della persona. Dovrai in seguito lavare con le lacrime questa polvere, e il ricordo ti sarà molto più salutare della superbia che ci fa inorgoglire di fronte ai peccati del nostro simile per cui nell’atto stesso di correggerlo cadiamo in peccato. È infatti spontaneo che la stizza di chi ha peccato ci ecciti all’ira più che non la sua miseria alla misericordia.

58. Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo, ovviamente la legge della carità. Chi ama il prossimo infatti adempie la legge. Ora l’amore del prossimo era inculcato come il massimo dei precetti anche nel Vecchio Testamento 153 e di esso dice l’Apostolo, in un altro testo, che è il compimento di tutti i comandamenti della legge 154. Ne segue che anche la Scrittura data all’antico popolo eletto era una legge di Cristo, una legge che, non adempiuta in antico mediante il timore, dopo la venuta di Cristo si adempie mediante la carità 155. Pertanto la stessa Scrittura e lo stesso comandamento si chiamano Vecchio Testamento quando gravano su uomini schiavi, bramosi di beni terreni; si chiamano Nuovo Testamento quando sollevano in alto uomini liberi, ardenti d’amore per i beni eterni.

59. Dice continuando: Se uno crede d’essere qualcosa, mentre è un nulla, inganna se stesso. Non lo seducono coloro che lo elogiano ma è lui che inganna se stesso, perché, pur essendo egli più presente a sé di quanto non lo siano gli altri, preferisce andare a cercare se stesso negli altri anziché dentro di sé. Ma cosa dice l’Apostolo? Ciascuno esamini le sue opere e così troverà la gloria in se stesso e non negli altri. Dentro di sé - dice - cioè nella sua coscienza, e non nell’altro che lo loda. E prosegue: Ciascuno porterà il proprio peso. Ne consegue che i nostri panegiristi non alleggeriscono i pesi che gravano sulla nostra coscienza; e voglia il cielo che non li facciano aumentare! In effetti, per paura che contrariandoli vediamo diminuire le loro lodi, spesso trascuriamo di rimproverarli e con ciò di guarirli; a volte anzi ostentiamo vanitosamente le nostre risorse personali anziché dare esempio di pazienza. Per non parlare delle finzioni e menzogne che si dicono per cattivarsi il plauso della gente. E c’è forse cecità più grave di quella che per conseguire una stupidissima gloria induce l’uomo a correre dietro a menzogne umane, disprezzando Dio testimone dei cuori? Quasi che si possa stabilire un confronto fra l’errore di colui che ti crede buono e l’errore che commetti tu quando cerchi di piacere agli uomini per falsi beni e non ti accorgi che dispiaci a Dio per un vero male!

60. Quanto viene appresso lo ritengo facilissimo a comprendersi. È un precetto ormai invalso nell’uso quello che impone al catechizzato l’obbligo di fornire del necessario il predicatore della parola di Dio. Occorreva peraltro esortare alle opere buone somministrando il necessario al Cristo bisognoso in attesa di stare alla sua destra insieme con gli agnelli. L’amore fatto sbocciare in loro dalla fede doveva produrre più opere buone di quante non ne avesse prodotte il timore della legge. Una cosa di questo genere nessuno poteva comandarla con maggior credibilità che non l’apostolo Paolo, il quale, sostentandosi con il lavoro delle proprie mani, non voleva tali prestazioni 156. In forza d’un tale comportamento egli poteva mostrare a tutti con somma autorità che la sua esortazione mirava più all’utilità di chi faceva l’offerta che non di coloro ai quali essa veniva fatta.

61. Aggiunge: Non ingannatevi! Dio non si lascia prendere in giro. L’uomo mieterà quello che avrà seminato. Lo dice consapevole delle ingiurie in mezzo alle quali hanno da soffrire, da parte di uomini perversi, coloro che sono diventati saldi nella fede delle cose invisibili: ai quali, se è dato vedere la semina delle loro opere, non è dato vederne il raccolto. A loro infatti non è promesso come raccolto quello che si miete quaggiù, poiché chi è giusto per la fede ottiene la vita 157. E continua: Chi semina nella carne, dalla carne miete la corruzione, riferendosi a chi ama i piaceri più che non Dio. Semina infatti nella carne colui che in tutte le cose che fa, comprese le opere che potrebbero sembrare buone, agisce per ottenere un bene materiale. Al contrario, colui che semina nello spirito dallo spirito raccoglie la vita eterna. La semina nello spirito si ha quando, mossi dalla fede, serviamo la giustizia mediante la carità e non obbediamo ai desideri peccaminosi che insorgono dalla carne mortale. Il raccolto della vita eterna poi l’avremo quando, ultima nemica, sarà distrutta la morte e la nostra mortalità sarà assorbita dalla vita e il nostro corpo corruttibile sarà rivestito d’incorruttibilità. Al presente quindi siamo nel terzo stadio, cioè sotto la grazia. Esperimentando brame che provengono dal corpo animale, noi seminiamo nelle lacrime ma, siccome a tali brame noi resistiamo e non consentiamo, mieteremo nella gioia quando, trasformato anche il nostro corpo, da nessuna parte del nostro essere dovremo subire molestie o pericoli di tentazione. Nel seme infatti dobbiamo vedere incluso anche il nostro corpo animale, di cui dice l’Apostolo in un altro testo: Viene seminato un corpo animale e, in riferimento alla raccolta aggiunge: Risorgerà un corpo spirituale 158. A questa affermazione s’accorda quanto detto dal profeta: Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia 159. Al riguardo teniamo ben presente che seminare, cioè compiere un’opera buona, è più facile che perseverare in essa. Quando si lavora, ci consola il raccolto, ma a noi esso è promesso solo per la fine, e quindi occorre la perseveranza, come è detto: Chi persevererà sino alla fine sarà salvo 160, e come grida il profeta: Attendi il Signore e agisci da uomo forte; si rafforzi il tuo cuore e attendi il Signore 161. È quello che dice ora l’Apostolo: Non stanchiamoci di fare il bene e, se non ci saremo stancati, a suo tempo mieteremo. Finché dunque abbiamo tempo, facciamo del bene a tutti, specialmente ai congiunti per la fede. Chi pensiamo voglia indicare se non i cristiani? A tutti gli uomini infatti e con lo stesso amore si deve augurare la vita eterna ma non a tutti si possono prestare le stesse attenzioni e i servizi derivanti dall’amore.

62. L’Apostolo ha insegnato che le opere della legge, anche quelle necessarie per la salvezza e concernenti il retto vivere, possono praticarsi soltanto con la forza dell’amore, che deriva dalla fede, e non mediante il timore servile. Ora torna al punto di partenza di tutta la questione. Dice: Vedete con che sorta di lettere vi scrivo di proprio pugno. Li premunisce affinché nessuno, facendo passare come di Paolo qualche altra lettera, li inganni trovandoli sprovveduti. E continua: Coloro che amano vantarsi della carne vi costringono a praticarvi la circoncisione, ma questo è solo per non subire persecuzioni a motivo della croce di Cristo. In effetti, i giudei perseguitavano aspramente coloro che sembrava volessero abbandonare le pratiche tradizionali come la circoncisione. L’Apostolo però non li teme. Lo dimostra con chiarezza sottoscrivendo [la Lettera] di proprio pugno e a caratteri ben marcati. Se ne deduce che quanti costringevano i pagani a farsi circoncidere agivano ancora sotto la spinta del timore, come gente inclusa nel regime della legge. Infatti, pur facendosi circoncidere, costoro non osservano la legge. Egli chiama " osservanza della legge " il non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza e tutti gli altri precetti riguardanti la buona condotta. I quali precetti - ha affermato antecedentemente - non possono adempiersi se non mediante la carità e la speranza dei beni eterni, che si ottengono attraverso la fede. Qui dice: Vogliono farvi circoncidere per vantarsi della vostra carne. Essi non solo non vogliono essere perseguitati dai giudei, che in nessuna maniera tolleravano che la legge fosse aperta anche ai pagani, ma intendono farsi belli dinanzi a loro conquistando numerosi proseliti. I giudei infatti, per conquistare un solo proselita, percorrono la terra e il mare, come aveva detto il Signore 162. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale il mondo è a me crocifisso e io lo sono per il mondo. Dice: Il mondo è a me crocifisso, cioè: Non mi tiene impegolato; e: Io lo sono per il mondo, cioè: Non consento che mi accalappi. In questa maniera il mondo non può nuocermi e io dal mondo non ho nulla da desiderare. Gloriandosi della croce di Cristo, il cristiano non intende piacere per motivi umani; né teme le persecuzioni dell’uomo carnale avendole affrontate per primo colui che si lasciò crocifiggere per dare l’esempio a quanti avrebbero calcato le sue orme.

63. Né la circoncisione conta alcunché né l’incirconcisione. Ribadisce sino alla fine la ben nota indifferenza delle cose, per cui nessuno avrebbe dovuto ritenere che egli aveva agito con simulazione nel far circoncidere Timoteo, né lo sarebbe stato il circoncidere qualsiasi altro, se gli si fosse presentata analoga motivazione. In effetti non la circoncisione in se stessa reca danno ai credenti ma il riporre in simili pratiche la speranza della salvezza. Risulta anche dagli Atti degli Apostoli che i giudaizzanti volevano inculcare la circoncisione proprio nel senso che i pagani passati alla fede, senza le pratiche legali non si sarebbero potuti salvare 163. Ora l’Apostolo rigetta come perniciosa non l’opera in sé ma la falsità di questa dottrina, e dice: Né la circoncisione conta alcunché né l’incirconcisione ma la nuova creatura. Chiama nuova creatura la vita nuova ottenuta per la fede in Gesù Cristo. Nota la parola creatura e come difficilmente si trovino chiamati con tal nome quelli stessi che credendo avevano ottenuto l’adozione a figli. Tuttavia in un altro passo dice [l’Apostolo]: Se c’è dunque una nuova creatura in Cristo, le cose di prima sono passate. Ecco, tutte le cose sono state rinnovate. E tutto questo proviene da Dio 164. In un testo precedente aveva detto: La stessa creatura sarà liberata dalla schiavitù della morte, e un po’ dopo: Né soltanto lei ma anche noi stessi, che possediamo le primizie dello Spirito 165. Qui non pone i credenti sotto il nome di " creatura ". Alla stessa maniera talvolta li chiama " uomini ", talaltra " non uomini ". In un passo della Lettera ai Corinzi li rimprovera perché sono ancora uomini dicendo: Non siete forse ancora uomini e non vi comportate forse alla maniera umana? 166 Allo stesso modo parla del Signore risorto. In qualche testo, come all’inizio di questa Lettera, lo chiama " non uomo ", dicendo: Non dagli uomini né ad opera dell’uomo, ma da Gesù Cristo 167, mentre altrove lo definisce " uomo ", come nel passo: Infatti uno è Dio e uno il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù 168. Quanti poi - continua - avranno rispettato questa norma, saranno su di loro la pace e la misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. Saranno, cioè, su tutti coloro che nella verità si preparano alla visione di Dio, non su coloro che, pur chiamandosi Israeliti, gravati da cecità carnale rifiutano di vedere Dio e, respingendo la sua grazia, si contentano di restare asserviti alle realtà temporali.

64. Continuando dice: D’ora in poi nessuno mi infastidisca! Non vuole che alcuno con turbolenze e contese venga a infastidirlo ancora su un problema trattato diffusamente nella Lettera ai Romani e in questa Lettera stessa. Io porto nel mio corpo le stigmate del Signore Gesù Cristo. Vuol dire: Io ho nella mia carne altre lotte e ostilità, che si accaniscono contro di me nelle varie persecuzioni che subisco. Si chiamano stigmate le impronte che rimangono sul servo che ha subito castighi, come quando, ad esempio, un servo per una mancanza o colpa è stato messo in ceppi o è stato sottoposto a qualche altra punizione simile. Di lui si dice che ha le stigmate, e nel diritto alla manomissione è valutato di meno. L’Apostolo ama dire stigmate quasi fossero segni di pene a lui derivate dalle persecuzioni che subiva. Egli era ben convinto che tali sofferenze gli erano mandate per riparare la colpa della sua persecuzione, per avere cioè perseguitato la Chiesa di Cristo. Questo infatti aveva detto il Signore in persona ad Anania, che temeva Saulo persecutore dei cristiani. Io gli mostrerò - disse - tutte le cose che dovrà patire per il mio nome 169. In realtà avendo egli conseguito la remissione dei peccati per la quale era stato battezzato, tutte quelle sofferenze non miravano alla sua perdizione ma gli giovavano accrescendo la corona della vittoria.

65. La conclusione della Lettera è come una firma ben nota a tutti. Egli la usa anche in altre lettere. La grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia col vostro spirito, fratelli. Amen!

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