venerdì 12 novembre 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Diciannovesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a riflettere sul vero ruolo e sulla vera funzione dei predicatori:


Quarta parte della Prima Lettera ai Corinzi 

1 Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2 Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele. 3 A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, 4 perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 5 Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. 6 Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto perché impariate nelle nostre persone a stare a ciò che è scritto e non vi gonfiate d'orgoglio a favore di uno contro un altro. 7 Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto? 8 Gia siete sazi, gia siete diventati ricchi; senza di noi gia siete diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. 9 Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all'ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. 10 Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 11 Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, 12 ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13 calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi.
 14 Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 15 Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. 16 Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori! 17 Per questo appunto vi ho mandato Timòteo, mio figlio diletto e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria le vie che vi ho indicato in Cristo, come insegno dappertutto in ogni Chiesa. 18 Come se io non dovessi più venire da voi, alcuni hanno preso a gonfiarsi d'orgoglio. 19 Ma verrò presto, se piacerà al Signore, e mi renderò conto allora non gia delle parole di quelli, gonfi di orgoglio, ma di ciò che veramente sanno fare, 20 perché il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza. 21 Che volete? Debbo venire a voi con il bastone, o con amore e con spirito di dolcezza?

COMMENTO

Vediamo oggi come l'orgoglio stia già seminando il male all'interno della comunità dei corinzi. Infatti, San Paolo sembra volersi riferire a tutti coloro che cominciano ad auto-proclamarsi pedagoghi in Cristo: solo perchè parlano bene, pensano di essere già i primi discepoli di Gesù Cristo. San Paolo, invece, mostra qual è la vera condizione dell'apostolo, che non è quella di vantarsi del dono dell'oratoria, ma che è quella di essere rifiuto  di tutti, spazzatura del mondo. Sono parole molto forti che però rivelano la vera e cruda realtà, quella realtà che rappresenta il destino di chi davvero decide di caricarsi dell'onore e dell'onere dell'apostolato perchè l'apostolato non è solo parole, ma fatti concreti: l'apostolo viaggia per terre sconosciute, soffre la fame, la sete, la nudità; ma soprattutto, l'apostolo ricambia l'odio con l'amore, la calunnia con la comprensione, la maledizione con la benedizione. Ecco che si rivela la figura del vero apostolo annunciata da Gesù: poiché parlare di Lui significa mettere in pratica su di sé quelle stesse parole che si rivolgono agli altri. Ciò che San Paolo contesta a Corinzi è proprio questo: troppe chiacchiere che sono figlie della superbia: in poche parole, la fede, o meglio l'evangelizzazione si è trasformata in una sorta di supremazia morale che mette in risalto soprattutto le doti oratorie di chi parla.

Quest'esortazione è dunque rivolta a tutti coloro che oggi parlano del Signore: non parliamo del Signore per orgoglio personale, ma ricordiamoci che il nostro vanto, il nostro unico vanto è nel Signore e tutto ciò che possediamo è un Suo dono. Parliamo di Cristo con gioia, con lo spirito di libertà, ma senza orgoglio personale perchè nessuno può pensare di esser migliore, o di esser buono poiché nessuno è in grado di giudicare sé stesso. Lo stesso San Paolo declina questa possibilità, sostenendo l'impossibilità di giudicare sé stesso poiché unico vero Giudice è sempre e solo il Signore. Questo sta a significare che tutti noi, battezzati nel nome della Santissima Trinità, siamo chiamati a servirci gli uni gli altri e a non prevaricare l'altro con le nostre parole, quasi per mostrare di avere maggior conoscenza delle cose del Signore. Prima di far questo, bisogna ben pulire la trave che c'è nel nostro occhio, allora potremmo aiutare a togliere la pagliuzza nell'occhio altrui!

L'ultima frase è molto bella nella sua semplicità perchè denota un richiamo di San Paolo del tutto pieno di amore: infatti, un pastore che ama la sua pecora, minaccia l'uso del bastone, ma non per arrecare dolore, ma per correggere ciò che non va. Allo stesso modo, San Paolo indica ai Corinzi i propri errori, minacciando la venuta con il bastone solo per spingerli alla correzione. Ecco l'amore nella sua forma più semplice e allo stesso tempo, ricca di sentimento!

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