lunedì 19 luglio 2010

In ricordo di Paolo Borsellino

Oggi, 19 Luglio, si celebra il ricordo di un uomo che ha sacrificato la sua
vita per non cedere al puzzo del compromesso morale: Paolo Borsellino. Egli è stato un'icona nella lotta alla mafia e ad ogni forma di criminalità organizzata e di prepotenza: ha risvegliato le coscienze addormentate di molti e soprattutto ha generato un valore che è stato recepito da molti esponenti della nuova generazione. Mi piace vedere che quando ci sono manifestazioni come quella delle "Agende rosse", ci siano sempre dei ragazzi in prima fila, a testimoniare che vi è speranza per il futuro. Oggi, il nostro Paese, è attanagliato dalla morsa delle mafie: in ogni settore, soprattutto politico. E' questa è la cosa più grave e devastante: il fatto che ci siano collusioni tra ambiente politico ed ambiente mafioso. Lo stesso Borsellino si soffermava spesso su questo e rimaneva sconcertato nell'apprendere di questo tipi di legami e nell'apprendere che lo stesso Stato che egli fieramente serviva, potesse essere complice di coloro che combatteva a costo della sua vita.
Oggi, in ricordo di Paolo Borsellino, ho deciso di pubblicare nel mio angolo una parte del racconto del suo figlio Manfredi, di quel terribile quanto mai dimenticato giorno del 19 Luglio 1992.

di Manfredi Borsellino:

La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all'orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per "fottere" il mondo con due ore di anticipo.
In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d'altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore "Pippo" Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell'Università di Palermo e storico esponente dell'Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.

Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia "loffia" domenicale tradendo un certo desiderio di "fare strada" insieme, ma non ci riuscì. L'avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.

Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell'85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati "deportati" all'Asinara, o quella dell'anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese.
Ma quella era un'estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all'apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.

Così quell'estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo "esposta" per la sua adiacenza all'autostrada per rendere possibile un'adeguata protezione di chi vi dimorava.
Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l'ultimo bagno nel "suo" mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D'Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.

Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti.
Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel "tenere comizio" come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l'eccidio) e l'agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull'uscio della villa del professore Tricoli, io l'accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l'appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.

Ho realizzato che mio padre non c'era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell'attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d'infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D'Amelio.

Non vidi mio padre, o meglio i suoi "resti", perché quando giunsi in via D'Amelio fui riconosciuto dall'allora presidente della Corte d'Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna.
Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all'interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell'esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell'ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un'ultima volta.

La mia vita, come d'altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza "se" e senza "ma" a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in "familiari superstiti di una vittima della mafia", che noi vivessimo come figli o moglie di ....., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva "Paolino" sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.

Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza "farci largo" con il nostro cognome, divenuto "pesante" in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo "montati la testa", rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l'onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra.
E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l'avrebbe fatta.

Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ovverosia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall'evento drammatico che mi sono trovato a vivere.

D'altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, ovverosia una persona che in un modo o nell'altro avrebbe "sfruttato" questo rapporto di sangue, avrebbe "cavalcato" l'evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di .... o perché di cognome fa Borsellino. (...)
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.

(Il testo di Manfredi Borsellino è tratto dal volume "Era d'estate" a cura di Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi edito da Pietro Vittorietti)

 

2 commenti:

Mikhael ha detto...

La morte di un uomo giusto produce sempre grandi frutti. Borsellino è un martire della Giustizia perché ha saputo andare avanti anche conoscendo il destino che lo aspettava. Quel morire con il sorriso, o "ghigno" come lo definisce il figlio, deve diventare il simbolo della vittoria sulla morte e sul male, sull'ingiustizia e su quel cancro della mafia. Quasi come se Paolo avesse detto con quel sorriso: Ora uccidete me, ma voi cesserete di esistere per sempre, io me ne vado di là perché me lo sono meritato il posto". Falcone e Borsellino sono sicuramente entrati nella storia e i loro nomi continuano a tormentare i sostenitori del male i quali prima o poi saranno percorsi potentemente dalla destra di Dio.

Riscoprire la fede ha detto...

Giusto Mikhael: la Giustizia vincerà sempre, se non ora, nel Giorno stabilito! Un caro saluto!

Posta un commento