mercoledì 9 febbraio 2011
Voglia di Paradiso - III appuntamento
Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Nell'appuntamento odierno leggiamo alcune importanti considerazioni che riguardano il desiderio innato del Paradiso, presente all'interno di ogni uomo! Infatti, persino Platone sembra aver compreso quest'aspetto, semplicemente sottolineando come la vera felicità umana si possa concretizzare solo nel faccia a faccia con la divinità!
Questo ci deve far riflettere su come, in ogni tempo, l'uomo ha sempre avuto sete di Dio, al punto da ricercarlo praticamente dappertutto. Ancora oggi, per quanto molti si allontanino da Dio, c'è sempre quel momento particolare della nostra vita che ci conduce alla riflessione, che ci conduce a pensare che, per forza di cose, Dio deve esistere e che noi abbiamo un tremendo bisogno di Lui così come riconosciamo che la vera felicità non è raggiungibile in questo mondo. Guardiamo al mondo dei giovani: essi per primi sanno che la felicità non è raggiungibile e per questo si gettano letteralmente nell'alcool e nelle droghe; sanno che la realtà della vita è dura e quindi preferiscono annebbiarsi il cervello per ricercare la felicità nel sogno. Purtroppo, manca chi guidi quei giovani verso la verità: la verità che la felicità vera non appartiene a questo mondo, ma che appartiene all'eternità e che Gesù ci ha dato la possibilità di raggiungerla. Anzi, Gesù ha fatto di più: Egli ci ha dato la possibilità di assaporare questa felicità semplicemente avvicinandoci a Lui e compiendo il bene verso il prossimo.
Ma continuiamo ora a leggere il pensiero di Mons.Pederzini:
«Oggi sarai con me in Paradiso!»
È interessante quanto scrive uno dei massimi filosofi dell'antichità: Platone.
Nel Convito fa dire a Socrate: «o mio caro amico: ciò che rende preziosa la vita è lo splendore dell'eterna Bellezza: come sarebbe bello il destino di un mortale se gli fosse dato di contemplare il Bello nella sua purezza e semplicità; di vedere la forma divina, faccia a faccia, nella sua unica splendente bellezza».
È incredibile come un filosofo sia giunto a questa intuizione con la sola sua intelligenza e senza uno speciale intervento soprannaturale! È riuscito a intuire che la sola felicità completa per l'uomo è quella di poter contemplare Dio con i propri occhi.
Ciò che Platone è riuscito a immaginare si è attuato per la prima volta non in un filosofo, né in un teologo, ma in un comune mortale, anzi in un malvivente pentito, che, dopo tanti errori, ha avuto la fortuna (o meglio: la grazia) di essere crocifisso con Gesù: il così detto "buon ladrone".
Sulla croce, tra gli spasimi dell'agonia, egli fu folgorato da una luce sovrumana, e, sentendosi pentito, ebbe la forza di rivolgere a Gesù queste parole: «ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
E Gesù immediatamente gli rispose: «oggi sarai con me in Paradiso».
Egli non sapeva, e non poteva sapere, che il Paradiso è "contemplare Dio faccia a faccia", ma aveva capito che il sacrificio di quell'illustre Innocente non poteva che aprire le porte a un regno di felicità sovrumana.
E così, quella che per Platone poteva sembrare un'ipotesi irreale, anche se allettante, Gesù, il Figlio incarnato di Dio, l'ha resa possibile per tutti: basta credere in Lui!
Egli ci ha detto: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».
Quale annuncio più importante, più nobilitante, più affascinante di questo?
Quale dono più prestigioso di un Figlio divino offerto all'uomo per assicurargli, oltre la morte, una vita eternamente felice?
È la fede a introdurci in Paradiso
Quando siamo stati battezzati, il Sacerdote ci ha accolto con questa domanda: - che cosa chiedi alla Chiesa di Dio? E i genitori e i padrini risposero:
- la fede!
E ancora il sacerdote:
- e la fede che cosa ti dona? E i genitori e i padrini:
- la vita eterna!
La fede, come vedremo, è adesione a Dio che si rivela in Cristo. È un riporre la propria fiducia e la propria speranza in Lui che ci promette un'eternità felice.
La nostra patria è il cielo
Scrive l'apostolo Paolo: «la nostra patria invece è nei cieli, e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose».
Se la nostra patria è il cielo, la vita terrena è dunque un cammino e un'attesa di ciò che sarà e di Colui che verrà.
Colui che deve venire è il Signore Gesù, che verrà due volte:
• al momento della morte, per condurre con sé l'anima nostra, come fece col ladrone pentito;
• alla fine dei tempi, quando il divino Progetto sarà definitivamente completato, ed Egli interverrà per ridare vita al corpo e per ricomporre ciascuno nel suo essere completo.
Alla sua seconda venuta, la storia finirà e noi passeremo a una condizione eterna, che sarà di felicità per chi ha scelto la salvezza, e di infelicità per chi l'avrà rifiutata.
Siamo stranieri e pellegrini
Dice Gesù: Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo.
E S. Paolo ai Corinzi: «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione... preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore».
E ai Filippesi parla del: «... desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo».?
Siamo dunque stranieri e pellegrini.
• stranieri sono coloro che si sentono estranei ovunque e con chiunque, e quindi non si sentono a loro agio, anche se abitano in luoghi comunemente chiamati "paradisi".
• pellegrini sono coloro che non sono mai "in pianta stabile"; che, nel loro cammino, non si arrestano mai per dire: qui mi fermo perché mi trovo in casa mia.
Noi, essendo stranieri e pellegrini, siamo insoddisfatti e infelici, e quindi in perenne agitazione. Avvertiamo che la felicità definitiva e completa alla quale aspiriamo non è raggiungibile sulla terra, anche se ci illudiamo di poterla raggiungere. Avvertiamo così un forte desiderio di raggiungere qualcosa e qualcuno che ci possano realmente e definitivamente saziare.
Sentiamo un'innata e irresistibile VOGLIA di Paradiso!
Questo ci deve far riflettere su come, in ogni tempo, l'uomo ha sempre avuto sete di Dio, al punto da ricercarlo praticamente dappertutto. Ancora oggi, per quanto molti si allontanino da Dio, c'è sempre quel momento particolare della nostra vita che ci conduce alla riflessione, che ci conduce a pensare che, per forza di cose, Dio deve esistere e che noi abbiamo un tremendo bisogno di Lui così come riconosciamo che la vera felicità non è raggiungibile in questo mondo. Guardiamo al mondo dei giovani: essi per primi sanno che la felicità non è raggiungibile e per questo si gettano letteralmente nell'alcool e nelle droghe; sanno che la realtà della vita è dura e quindi preferiscono annebbiarsi il cervello per ricercare la felicità nel sogno. Purtroppo, manca chi guidi quei giovani verso la verità: la verità che la felicità vera non appartiene a questo mondo, ma che appartiene all'eternità e che Gesù ci ha dato la possibilità di raggiungerla. Anzi, Gesù ha fatto di più: Egli ci ha dato la possibilità di assaporare questa felicità semplicemente avvicinandoci a Lui e compiendo il bene verso il prossimo.
Ma continuiamo ora a leggere il pensiero di Mons.Pederzini:
«Oggi sarai con me in Paradiso!»
È interessante quanto scrive uno dei massimi filosofi dell'antichità: Platone.
Nel Convito fa dire a Socrate: «o mio caro amico: ciò che rende preziosa la vita è lo splendore dell'eterna Bellezza: come sarebbe bello il destino di un mortale se gli fosse dato di contemplare il Bello nella sua purezza e semplicità; di vedere la forma divina, faccia a faccia, nella sua unica splendente bellezza».
È incredibile come un filosofo sia giunto a questa intuizione con la sola sua intelligenza e senza uno speciale intervento soprannaturale! È riuscito a intuire che la sola felicità completa per l'uomo è quella di poter contemplare Dio con i propri occhi.
Ciò che Platone è riuscito a immaginare si è attuato per la prima volta non in un filosofo, né in un teologo, ma in un comune mortale, anzi in un malvivente pentito, che, dopo tanti errori, ha avuto la fortuna (o meglio: la grazia) di essere crocifisso con Gesù: il così detto "buon ladrone".
Sulla croce, tra gli spasimi dell'agonia, egli fu folgorato da una luce sovrumana, e, sentendosi pentito, ebbe la forza di rivolgere a Gesù queste parole: «ricordati di me quando sarai nel tuo regno».
E Gesù immediatamente gli rispose: «oggi sarai con me in Paradiso».
Egli non sapeva, e non poteva sapere, che il Paradiso è "contemplare Dio faccia a faccia", ma aveva capito che il sacrificio di quell'illustre Innocente non poteva che aprire le porte a un regno di felicità sovrumana.
E così, quella che per Platone poteva sembrare un'ipotesi irreale, anche se allettante, Gesù, il Figlio incarnato di Dio, l'ha resa possibile per tutti: basta credere in Lui!
Egli ci ha detto: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».
Quale annuncio più importante, più nobilitante, più affascinante di questo?
Quale dono più prestigioso di un Figlio divino offerto all'uomo per assicurargli, oltre la morte, una vita eternamente felice?
È la fede a introdurci in Paradiso
Quando siamo stati battezzati, il Sacerdote ci ha accolto con questa domanda: - che cosa chiedi alla Chiesa di Dio? E i genitori e i padrini risposero:
- la fede!
E ancora il sacerdote:
- e la fede che cosa ti dona? E i genitori e i padrini:
- la vita eterna!
La fede, come vedremo, è adesione a Dio che si rivela in Cristo. È un riporre la propria fiducia e la propria speranza in Lui che ci promette un'eternità felice.
La nostra patria è il cielo
Scrive l'apostolo Paolo: «la nostra patria invece è nei cieli, e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose».
Se la nostra patria è il cielo, la vita terrena è dunque un cammino e un'attesa di ciò che sarà e di Colui che verrà.
Colui che deve venire è il Signore Gesù, che verrà due volte:
• al momento della morte, per condurre con sé l'anima nostra, come fece col ladrone pentito;
• alla fine dei tempi, quando il divino Progetto sarà definitivamente completato, ed Egli interverrà per ridare vita al corpo e per ricomporre ciascuno nel suo essere completo.
Alla sua seconda venuta, la storia finirà e noi passeremo a una condizione eterna, che sarà di felicità per chi ha scelto la salvezza, e di infelicità per chi l'avrà rifiutata.
Siamo stranieri e pellegrini
Dice Gesù: Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo.
E S. Paolo ai Corinzi: «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontani dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione... preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore».
E ai Filippesi parla del: «... desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo».?
Siamo dunque stranieri e pellegrini.
• stranieri sono coloro che si sentono estranei ovunque e con chiunque, e quindi non si sentono a loro agio, anche se abitano in luoghi comunemente chiamati "paradisi".
• pellegrini sono coloro che non sono mai "in pianta stabile"; che, nel loro cammino, non si arrestano mai per dire: qui mi fermo perché mi trovo in casa mia.
Noi, essendo stranieri e pellegrini, siamo insoddisfatti e infelici, e quindi in perenne agitazione. Avvertiamo che la felicità definitiva e completa alla quale aspiriamo non è raggiungibile sulla terra, anche se ci illudiamo di poterla raggiungere. Avvertiamo così un forte desiderio di raggiungere qualcosa e qualcuno che ci possano realmente e definitivamente saziare.
Sentiamo un'innata e irresistibile VOGLIA di Paradiso!
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