mercoledì 6 aprile 2011

Voglia di Paradiso - X appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi l'autore si sofferma sul punto che in Paradiso noi potremo vedere Dio faccia a faccia, cosa che ora non ci è possibile fare. E' molto bello per noi leggere queste pagine meravigliose che ci stanno davvero facendo respirare il profumo del Paradiso, accrescendo in noi la voglia di andarci. Il Paradiso è qualcosa che va al di là dell'immaginazione umana e Mons.Pederzini sa bene questo e ce lo vuole trasmettere con entusiasmo, per ricordarci che le pene di oggi sono nulla in confronto alle gioie dell'eternità dove potremo non solo vedere Dio, ma anche elevarci, raggiungere il nostro vero stadio, il nostro vero essere: infatti, l'uomo è stato creato poco meno degli angeli il che significa che noi siamo esseri superiori che troveranno la loro piena forma solamente nel Regno dei Cieli le cui porte sono state aperte per noi dal Sangue dell'Agnello che toglie i peccati del mondo. Leggiamo dunque cosa vorrà dire poter vedere Dio faccia a faccia: 
7.

IL PARADISO È VEDERE DIO COME È

In Paradiso «videbimus, amabimus, gaudebimus, vacabimus»: vedremo, ameremo, godremo, ci riposeremo. Il vedere è la premessa; l'amare è l'essenza; il godere è la conseguenza; il riposare è un'esigenza. Da S. Agostino

Saremo inebriati d'amore, saremo immersi, sommersi, perduti in questo oceano d'amore che non ha limiti e non ha confini. S. Elisabetta della Trinità

Il Paradiso è vedere Dio com'è

La persona umana, nella sua vita terrena, non può vedere Dio

L'occhio umano non può vedere Dio, perché manca dello strumento adeguato.

La persona non può contemplare il volto del Creatore, perché Egli la trascende infinitamente.

La mente umana non è in grado di conoscere l'intima natura di Dio, ma attraverso le opere da lui compiute può soltanto giungere a scoprirne l'esistenza e a intuirne alcune proprietà.

Quando Mosè chiese a Jahvé di poterlo vedere, si sentì rispondere: «tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo».

E quando Filippo domandò a Gesù di mostrargli il Padre, ebbe questa risposta: «chi ha visto me, ha visto il Padre»: parola consolante, ma non tale da appagare il desiderio dell'Apostolo che avrebbe voluto vedere Dio non attraverso la Persona umana di Gesù, ma in modo diretto e immediato.

L'apostolo Paolo, che era stato "rapito al terzo cielo", afferma che Dio «abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere». E le sue parole sono l'eco dell'insegnamento di Gesù, che invitava i discepoli ad accogliere con umiltà la sua parola, fondando la loro adesione non sull'evidenza delle cose, ma unicamente sulla sua Autorità divina, che confermava con i miracoli.

La Chiesa si è ripetutamente espressa su questo argomento in vari documenti, e principalmente nei Concili Lateranense V (1215) e Vaticano I (1870), i quali sostanzialmente affermano che Dio non può essere:

• né visto,

• né racchiuso,

• né compreso entro alcun concetto o alcuna formulazione,

e che quindi resta per tutti invisibile e irraggiungibile.

Quando e come la persona potrà vedere Dio?

L'uomo può vedere Dio solo se Lui glielo concede, dotandolo di un dono soprannaturale, senza del quale non è possibile alcuna visione superiore.

Ed è incredibile sapere che questo dono all'uomo è già stato concesso, perché Dio, nella sua infinita liberalità, per pura sua grazia, gli è venuto incontro, elevandolo a una condizione di vita e di conoscenza che trascende infinitamente quella creaturale.

È il dono della Grazia, che ha due aspetti diversi e complementari:

• nella vita terrena, è elevazione e partecipazione alla stessa vita di Dio, e si chiama "lumen Gratiae" (luce che nasce dalla grazia);

• nella vita futura, è capacità di vedere Dio come Egli è; di contemplarlo nel suo mistero, nella profondità del suo essere, e si chiama "lumen Gloriae" (luce che proviene dallo stato di gloria). Per quanto riguarda la vita futura, l'apostolo Giovanni dice: «sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli è».

E l'apostolo Paolo: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto».

Nell'Apocalisse leggiamo: «i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte».

Dunque:

- conosceremo Dio come Lui si conosce;

- lo ameremo come Lui si ama;

- godremo di Lui come Egli gode della sua felicità.

Questa elevazione e partecipazione alla stessa vita divina sono ciò che di più alto e affascinante si possa immaginare.

Ciò che è stato definito

La persona umana dunque, elevata e arricchita del dono soprannaturale della Grazia, potrà vedere Dio e contemplarlo in eterno "così come egli è".

Ma in quale modo e con quali limiti?

La Chiesa si è espressa con vari interventi, rivolti a confutare errori e false interpretazioni.

Il Papa Benedetto XII precisa: «i beati... contemplano l'essenza divina con una visione intuitiva, senza che alcuna creatura si interponga come mezzo e oggetto direttamente contemplato.

L'essenza divina si mostra loro

- senza veli,

- senza oscurità,

- senza ostacoli.

E così le anime dei trapassati, per tale contemplazione e godimento, sono veramente beate, e hanno una vita eterna e un eterno riposo».

Il Concilio di Firenze aggiunge: «i beati vedono lo stesso Dio, uno e trino, quale Egli è».

Il Concilio Vaticano II: «i beati godono della gloria celeste, contemplando chiaramente Dio, uno e trino, quale Egli è».

E Papa Paolo VI: «noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite attorno a Gesù e a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse, nella beatitudine eterna, vedono Dio come Egli è».

La Chiesa dunque «gelosamente custodisce e apertamente proclama» la chiamata degli uomini e delle donne a partecipare alla vita di Dio e a entrare nel suo gaudio eterno.

In questa fede troviamo:

• il segno più eloquente dell'amore infinito di Dio, e

• il fondamento insostituibile della dignità umana e del ruolo prestigioso della creatura umana nel Progetto divino della creazione.

Chi e che cosa vedono i Beati?

I Concili di Firenze e Vaticano II precisano che «i beati vedranno Dio Uno e Trino, quale Egli è». Scrive S. Francesco di Sales: «il nostro intelletto vedrà Dio "faccia a faccia", contemplando con uno sguardo di presenza vera e reale la sua essenza divina, e, in essa, tutte le sue infinite bellezze, e quindi

- l'onnipotenza,

- la somma bontà,

- la infinita sapienza,

- la somma giustizia,

- e tutto il rimanente abisso delle perfezioni».

Non sarà la visione di un Dio solitario e muto, ma di un Dio eternamente dinamico, che genera il Figlio, e con il Figlio "spira" lo Spirito Santo, che è l'Amore fatto Persona divina.

Scrive ancora S. Francesco di Sales: «il nostro cuore si inabisserà nell'amore, ammirando la bellezza e la dolcezza dell'Amore che l'Eterno Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, al di sopra di ogni umana comprensione, praticano fra di loro divinamente ed eternamente». Scrive Pio del Corona: «le nostre anime in Paradiso saranno "tante piccole Trinità", perché anche noi conosceremo Dio come Dio conosce se stesso e ameremo Dio come Dio ama se stesso. Non saremo semplici spettatori, ma partecipi della vita trinitaria: col Padre pronunceremo il Verbo; con il Padre e con il Figlio spireremo lo Spirito Santo. Vita beata sarà per noi l'equivalente di vita trinitaria».

Con quale strumento?

Ma con quale strumento o mezzo umano potremo vedere Dio?

Evidentemente, con lo strumento creato e donato da lui: il così detto "lumen gloriae".

Esso è l'elevazione soprannaturale dell'intelletto, per il quale le persone diventano capaci di cogliere intuitivamente l'essenza divina. Attraverso questa luce superiore, esse potranno vedere quello che naturalmente non potrebbero mai vedere.

Dice il Salmo 36: «alla tua luce vediamo la luce». Con il "lumen gloriae" Dio si impossessa delle facoltà umane, dando loro la capacità di vedere e di amare con quella conoscenza e con quell'amore con cui Egli conosce e ama se stesso.

Naturalmente questo lumen viene comunicato in maniera proporzionata alle possibilità del beato, perché se Dio irrompesse su di lui con tutto il suo calore e con tutta la sua luce, egli ne rimarrebbe fulminato e accecato.

Sarebbe come accade ai nostri occhi quando sono in contatto diretto con il sole.

Esclama S. Francesco di Sales: «quale dolcezza, mio Dio, per l'intelletto umano, essere unito per sempre al suo Oggetto sovrano, e non per riceverne solo la rappresentazione, ma la stessa Presenza; non alcuna immagine o specie, ma l'Essenza stessa della divina Verità e Maestà».

«Totum sed non totaliter»

Il "lumen gloriae" dà la possibilità di conoscere l'essenza divina come essa è, senza alcun intermediario. Dio ci introduce nei misteri della sua vita profonda, mostrandoci Se stesso.

Eppure, nonostante ciò, Egli non può essere penetrato pienamente e totalmente da nessun intelletto umano.

Egli resta sempre incomprensibile, perché è infinito nella sua perfezione, sconfinato nel suo oceano dell'essere.

I beati, per dare un esempio, sono come coloro che ascoltano un pezzo di musica: tutti ascoltano il brano prescelto, ma ognuno lo comprende e lo gode più o meno a seconda del suo orecchio e della sua preparazione musicale.

Nella penetrazione dell'infinito e insondabile oceano divino, i diversi gradi di gloria saranno così proporzionati ai diversi gradi di grazia dei singoli beati.

Il "lumen gloriae" sarà quindi proporzionato al "lumen gratiae".

Il grado di beatitudine eterna dipenderà solo dal grado dell'amore: quell'amore che veramente conta e che non verrà mai meno; quell'amore che fonda il grado di maggiore o minore appartenenza a Dio.

Nel cielo vi sarà una sola nobiltà e una sola grandezza: quella dell'amore!

Ed è per questo che Maria, in Paradiso, è al di sopra degli Angeli, anche se il suo intelletto, in quanto essere umano, è inferiore a quello angelico!

Saremo tanto più grandi e felici quanto più saremo ricchi di grazia e di amore!

Una felicità perfetta, ma non uguale per tutti

Sembra che ci sia contrasto tra una felicità perfetta per tutti, ma non uguale per tutti; ma ciò è solo apparente. La contraddizione è risolta in modo originale e simpatico da Paolina, sorella di S. Teresa di Gesù Bambino. Scrive la Santa in Storia di un'anima: «Una volta, quand'ero bambina, mi stupivo che in Cielo il buon Dio non desse uguale gloria a tutti gli eletti, e temevo che non tutti fossero felici.

Allora Paolina, la mia sorella maggiore, mi disse di andare a prendere il grande bicchiere di papà e di metterlo a fianco del mio piccolo ditale; poi mi disse di riempirli d'acqua e infine mi chiese quale dei due fosse più pieno. Le risposi che erano pieni sia l'uno che l'altro e che era impossibile mettere più acqua di quanto ciascuno ne potesse contenere.

Mia sorella mi fece allora capire che in Cielo il buon Dio avrebbe dato agli eletti tanta gloria quanta ne potevano contenere e che in questa maniera l'ultimo di essi non avrebbe avuto nulla da invidiare al primo».

La visione beatifica sarà monotona e passiva?

C'è chi si chiede: la vita del Paradiso, che è pura contemplazione, diverrà monotona e quindi noiosa? Risposta: il contemplare il Paradiso non è come assistere a uno spettacolo con occhio e cuore distaccato, ma un partecipare con tutta l'anima a un'infinita realtà vivente a noi intimamente legata.

La SS. Trinità ha una vita sommamente dinamica, e i Beati, entrando in contatto con essa, diventano partecipi di questa attività, sempre nuova e sempre sorprendente.

Il Paradiso non è un luogo di riposo e di stasi, una un continuo evolversi

- nella conoscenza,

- nell'amore, e, quindi,

- nel godimento.

D'altra parte, proprio perché Dio è infinito e noi siamo finiti, non ci basterà un'eternità per esaurire la sua infinita potenza, scienza, bontà e perfezione. Il Paradiso è

- l'incontro,

- l'abbraccio,

- il colloquio,

- il banchetto familiare,

- la contemplazione senza fine,

- la perfetta comunione con Dio nostro Padre, che non cesserà di stupirci e di dilettarci della sua bellezza «sempre antica e sempre nuova» (S. Agostino).

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