domenica 3 aprile 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Ventesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Continua a l'approfondimento della seconda parte dell'Enciclica, dedicata al Culto Eucaristico: oggi ci soffermiamo sulla divina Lode e sulle ore canoniche:
  
Parte II.
Il Culto Eucaristico
 
La divina Lode

L'ideale della vita cristiana consiste in ciò che ognuno si unisca intimamente a Dio. Perciò il culto che la Chiesa rende all'Eterno, e che è imperniato nel Sacrificio Eucaristico e nell'uso dei Sacramenti, è ordinato e disposto in modo che, con l'ufficio divino, si estenda a tutte le ore del giorno alle settimane, a tutto il corso dell'anno, a tutti i tempi e a tutte le condizioni della vita umana.

Avendo il Divino Maestro comandato: «È necessario pregare sempre, senza stancarsi», la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo ammonimento, non cessa mai di pregare, e ci esorta con l'Apostolo delle Genti: «Per suo mezzo [di Gesù] offriamo sempre a Dio il sacrificio di lode».

Le Ore canoniche

La preghiera pubblica e collettiva, rivolta a Dio da tutti insieme, nell'antichità aveva luogo soltanto in certi giorni e in certe ore. Tuttavia, si pregava non solo nelle pubbliche riunioni, ma anche nelle case private e talvolta coi vicini e gli amici. Ben presto, però, nelle varie parti della cristianità, invalse l'uso di destinare alla preghiera particolari tempi, per esempio l'ultima ora del giorno, quando il sole tramonta e si accende la lucerna; o la prima, quando termina la notte, dopo, cioè, il canto del gallo e al sorger del sole. Altri momenti del giorno sono indicati come più adatti alla preghiera dalla Sacra Scrittura, dal costume tradizionale ebraico e dagli usi quotidiani. Secondo gli Atti degli Apostoli i discepoli di Gesù Cristo si riunivano per pregare all'ora terza, quando «furono tutti riempiti di Spirito Santo»; il Principe degli Apostoli, poi, prima di prender cibo, «salì sul tetto per pregare circa la sesta ora»; Pietro e Giovanni «salivano al Tempio per la preghiera all'ora nona»; e Paolo e Sila «lodavano Dio a mezzanotte».

Queste varie preghiere, specialmente per iniziativa ed opera dei monaci e degli asceti, si perfezionano ogni giorno più, e a poco a poco sono introdotte nell'uso della sacra Liturgia per autorità della Chiesa.

L'Ufficio Divino è, dunque, la preghiera del Corpo Mistico di Cristo, rivolta a Dio a nome di tutti i cristiani e a loro beneficio, essendo fatta dai sacerdoti, dagli altri ministri della Chiesa e dai religiosi, a questo dalla Chiesa stessa delegati.

Quali debbano essere il carattere e il valore di questa lode divina si ricava dalle parole che la Chiesa suggerisce di dire prima di iniziare le preghiere dell'Ufficio, prescrivendo che siano recitate «degnamente, attentamente e devotamente».

Il Verbo di Dio, assumendo l'umana natura, ha introdotto nell'esilio terreno l'inno che si canta in cielo per tutta l’eternità. Egli unisce a sé tutta la comunità umana e se la associa nel canto di questo inno di lode. Dobbiamo con umiltà riconoscere che noi «non sappiamo quel che dobbiamo convenientemente domandare, ma lo Spirito stesso prega per noi con gemiti inesprimibili». Ed anche Cristo, per mezzo del suo Spirito, prega in noi il Padre. «Dio non potrebbe fare agli uomini un dono più grande . . . Prega [Gesù] per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro Capo; è pregato da noi come nostro Dio . . . Riconosciamo dunque e le nostre voci in Lui e la sua voce in noi . . . Lo si prega come Dio, prega come servo: là il Creatore, qui un essere creato in quanto assume la natura da mutare senza mutarsi, facendo di noi un sol uomo con Lui: Capo e Corpo».

Alla eccelsa dignità di questa preghiera della Chiesa deve corrispondere la intenta devozione dell'anima nostra. E poiché la voce dell'orante ripete i carmi scritti per ispirazione dello Spirito Santo, che proclamano ed esaltano la perfettissima grandezza di Dio, è anche necessario che a questa voce si accompagni il movimento interiore del nostro spirito, per fare nostri quei medesimi sentimenti con i quali ci eleviamo al cielo, adoriamo la Santa Trinità e le rendiamole lodi e i ringraziamenti dovuti: «Dobbiamo salmeggiare in modo che la nostra mente concordi con la nostra voce». Non si tratta, dunque di una recitazione soltanto, o di un canto, che, pur perfettissimo secondo le leggi dell'arte musicale e le norme dei sacri riti, arrivi soltanto all'orecchio, ma soprattutto di una elevazione della nostra mente e della nostra anima a Dio, perché ci consacriamo, noi e tutte le nostre azioni, a Lui, uniti con Gesù Cristo.

Da qui dipende certamente in non piccola parte l'efficacia delle preghiere. Le quali, se non sono rivolte allo stesso Verbo fatto Uomo, si concludono con queste parole: «per il Signor Nostro Gesù Cristo»; che, come mediatore tra noi e Dio, mostra al Padre celeste le sue stimmate gloriose, «sempre vivente per intercedere per noi».

I Salmi, come tutti sanno, costituiscono parte principale dell'Ufficio Divino. Essi abbracciano tutto il corso del giorno e gli danno un contatto e un ornamento di santità. Cassiodoro dice bellamente a proposito dei Salmi distribuiti nell'Ufficio Divino del suo tempo: «Essi . . . col giubilo mattutino ci rendono favorevole il giorno che sta per cominciare, ci santificano la prima ora del giorno, ci consacrano la terza ora, ci allietano la sesta nella frazione del pane, ci segnano, a nona, la fine del digiuno, concludono la fine della giornata, impediscono al nostro spirito di ottenebrarsi all'avvicinarsi della notte».

Essi richiamano le verità da Dio rivelate al popolo eletto, talvolta terribili, talvolta soffuse di soavissima dolcezza; ripetono e accendono la speranza nel Liberatore promesso che un tempo veniva animata col canto intorno al focolare domestico e nella stessa maestà del Tempio; pongono in meravigliosa luce la profetizzata gloria di Gesù Cristo e la somma ed eterna sua potenza, la sua venuta e il suo annientamento in questo terreno esilio, la sua regia dignità e sacerdotale potestà, le sue benefiche fatiche e il suo sangue versato per la nostra redenzione. Esprimono egualmente la gioia delle nostre anime, la tristezza, la speranza, il timore, il ricambio d'amore e l'abbandono in Dio, come la mistica ascesa verso i divini tabernacoli. «Il Salmo . . . è la benedizione del popolo, la lode di Dio, l'elogio del popolo, l'applauso di tutti, il linguaggio generale, la voce della Chiesa, la canora confessione di fede, la piena devozione all'autorità, la gioia della libertà, il grido di giocondità, l'eco della letizia».

Nel tempo antico l'assistenza dei fedeli a queste preghiere dell'Ufficio era maggiore; ma gradatamente diminuì, e, come ora abbiam detto, la loro recita attualmente è riservata al Clero ed ai Religiosi. A rigore di diritto, dunque, nulla è prescritto ai laici in questa materia; ma è sommamente da desiderare che essi prendano parte attiva al canto o alla recita della ufficiatura del Vespro, nei giorni festivi, nella propria parrocchia. Raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, a voi ed ai vostri fedeli, che non cessi questa pia consuetudine e che si richiami possibilmente in vigore ove fosse scomparsa. Ciò avverrà certamente con frutti salutari se il Vespro sarà cantato non solo degnamente e decorosamente, ma anche in maniera da allettare soavemente in vari modi la pietà dei fedeli.

Sia inviolata l'osservanza dei giorni festivi, che devono esser dedicati e consacrati a Dio in modo particolare; e soprattutto della domenica, che gli Apostoli, istruiti dallo Spirito Santo, sostituirono al sabato. Se fu comandato ai Giudei: «Lavorerete durante sei giorni: nel settimo giorno è Sabato, riposo santo al Signore; chiunque lavorerà in questo giorno, sarà condannato a morte»; come non temeranno la morte spirituale quei cristiani che fanno opere servili nei giorni festivi, e per la durata del riposo festivo non si dedicano alla pietà, non alla religione, ma si abbandonano smodatamente alle attrattive di questo secolo?. La domenica e i giorni festivi devono essere consacrati, dunque, al culto divino con il quale si adora Dio e l'anima si nutre del cibo celeste; e sebbene la Chiesa prescriva soltanto che i fedeli si devono astenere dal lavoro servile e devono assistere al Sacrificio Eucaristico, e non dia nessun precetto per il culto vespertino, però, oltre i precetti, ci sono anche le sue insistenti raccomandazioni e desideri; ciò più ancora è richiesto dal bisogno che tutti hanno di rendersi propizio il Signore per impetrarne i benefici.

L'animo Nostro si rattrista profondamente, nel vedere come nei nostri tempi il popolo cristiano trascorre il pomeriggio del giorno festivo: i luoghi dei pubblici spettacoli e dei giochi sono pieni, mentre le chiese sono meno frequentate di quel che converrebbe. Ma è necessario, senza dubbio, che tutti si rechino nei nostri templi, per essere istruiti nella verità della fede cattolica, per cantare le lodi di Dio, per essere arricchiti dal sacerdote con la benedizione Eucaristica e muniti dell'aiuto celeste contro le avversità della vita presente. Procurino tutti di imparare le formule che vengono cantate nei Vespri, e cerchino di penetrarne l'intimo significato; sotto l'influsso di queste preghiere, difatti, sperimenteranno quel che Sant’Agostino affermava di sé: «Quanto piansi tra inni e cantici, vivamente commosso dal soave canto della tua Chiesa. Quelle voci si riversavano nelle mie orecchie, stillavano la verità nel mio cuore, e mi ardevano sentimenti di devozione e le lacrime scorrevano, e mi facevano bene».

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