domenica 3 luglio 2011
Venite a me, voi tutti affaticati
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi meditiamo con Monsignor Antonio Riboldi:
"Così dice il Signore: 'Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo Re. Egli è giusto e vittorioso; umile, cavalca un asino,
un puledro, figlio di asina.
Farà sparire i carri di Efraim e i cavalli di Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare,
e dal fìume ai confini della terra". (Zaccaria 9,9-10)
Le parole del profeta Zaccaria fanno corona a quelle di Gesù, che oggi la liturgia ci invita ad ascoltare e fare nostre.
Ci sono brani del Vangelo, che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare e anche di vivere, che sembrano davvero uno 'spaccato' di Cielo, che si apre sul capo degli uomini, come a mostrarci una dolcezza, una tenerezza di Dio, che difficilmente possiamo sperimentare tra noi uomini.
Siamo abituati troppo spesso all'esperienza 'delle spalle curve', per il dolore o la croce che ci accompagna tutti, senza distinzioni, nella vita.
Basterebbe pensare alla grande sofferenza del beato Giovanni Paolo II, che, negli ultimi giorni della vita, appariva la domenica alle folle di piazza S, Pietro: era visibile a tutti noi la sua pena di non riuscire a dire una parola. Un quadro agghiacciante e di profondo dolore, non solo suo, ma di tutti noi che, in quei momenti, e fino alla sua morte, abbiamo sofferto con lui, come fosse una croce uguale e comune.
Per alcuni, forse, la sofferenza può apparire come una maledizione, che non ci si riesce a togliere di dosso, tanto da pensare di liberarsene definitivamente con stupefacenti o con la via larga dei divertimenti a tutti i costi, a volte giungendo alla soluzione estrema ed inaccettabile, che è il suicidio o la volontà di eutanasia.
Per altri, invece, la sofferenza è vivere nella verità della fede e dell'amore, che ha il suo fondamento nel dolore donato: la Croce è il segno inconfondibile dell'amore, quando questi è quello che deve essere, per sua stessa natura, cioè dono di sé, fino al sacrificio.
La vita di Gesù che si dona totalmente, fino alla Croce, è l'esempio vivo dell'Amore che si fa dono … meraviglioso Amore!
Gesù, infatti, per tutto il tempo che visse tra noi, attraversando le vie della storia, vedendo la passione degli uomini, suoi contemporanei - simile in tutto alla nostra passione - fissava le folle che incontrava e lo attorniavano. Quelle folle vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità. Davanti a queste folle, in cerca di qualcosa che desse ragione alla loro vita, Gesù esprime la Sua compassione, che non è un superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma è condivisione totale con la passione dell'uomo.
Anzi, Gesù fa della nostra passione la Sua passione, accomunandosi con noi nel portare quella croce quotidiana e multiforme, che tutti portiamo.
E si rimane con lo stupore sul volto e nel cuore, con il fiato trattenuto dalla meraviglia a pensare che le spalle di Dio sono vicine alle nostre spalle, quando si piegano per il forte dolore. E ciò dà al dolore il valore della dolcezza che viene da quell'Amore fattosi compassione - il patire.
Così nasce spontaneo il nostro Grazie. Grazie non per la croce in sé, ma perché la nostra croce, portata insieme, ci fa sperimentare dal vivo, quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Quante volte, incontrando i malati, scopro che sanno fare della loro malattia un modo di amare ed hanno il sorriso che brilla negli occhi, perché sono consapevoli di soffrire con Lui e per Lui.
Anime davvero preziose, che sanno interpretare il Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi.
"In quel tempo, disse Gesù: 'Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e Io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le anime vostre. Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". (Mt. 11,25-30)
Quante perle dentro queste poche parole!
Anzitutto un Dio che invita con amore accorato, come sa fare una madre, che conosce nella vita solo la dolcezza, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre disponibile ad accogliere i figli che tornano affaticati e stanchi.
La tenerezza di un Dio che vuole cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, ed in cambio dona la serenità del proprio stesso Cuore. Il Cuore e le braccia aperte di Dio, che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti... questo solo Egli attende da noi.
"Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed Io vi ristorerò".
Sono tanto grandi le braccia e il Cuore di Dio, che l'immensità dei dolori di miliardi di uomini, là, in quelle braccia e in quel Cuore, diventano poca cosa... Immenso il Cuore di Dio.
Ogni persona si vanta di avere un cuore. Quanti lo dicono e lo esaltano!
Eppure è proprio lì che l'uomo viene a mancare. Non conosce le vie della bontà, che sono il frutto dell'umiltà di cuore. Un'umiltà che genera dolcezza, sa mettersi all'ultimo posto, per fare posto a tutti, che sa essere così grande e, nel silenzio, donarsi a tutti.
Ma bisogna ritornare umili. Diceva il nostro sempre caro maestro, Paolo VI:
Tante volte vengono allo scoperto due malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese: l'egoismo e l'orgoglio. L'uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: si fa primo, si fa unico.
"La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno, nell'egoismo e nell'orgoglio, il loro bacino di cultura, dove tanti istinti umani e tante capacità di azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l'amore non c'è più. Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso di egoismo ed orgoglio, si deforma e deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L'amore va perduto... Questa parentela tra l'umiltà e l'amore, fra l'umiltà e la fortezza d'animo, fra l'umiltà e l'esercizio dell'autorità, indispensabile alla giustizia e al bene comune e infine tra l'umiltà e la preghiera, dovrebbe essere oggetto di continue riflessioni". (febbraio 1975)
È tanto difficile questo amore all'umiltà e dolcezza di cuore, in un mondo che sembra impazzito nella corsa ad essere 'grande', anche se poi la sua 'grandezza' è un momentaneo fruscio di gloria, che spesso non è assolutamente tale, anzi, poiché crea ancora... tanti poveri!
Il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, scrivendo ai suoi fratelli, raccomandava loro:
"La mia tranquillità personale, che fa tanta impressione nel mondo, è tutta qui.
Stare nell'obbedienza, come ho sempre fatto, e non desiderare o pregare di vivere di più, oltre il tempo in cui l'angelo della morte mi verrà a chiamare e prendere per il Paradiso...
E voi fate bene a tenervi in umiltà, come mi studio di fare anch'io, e a non lasciarvi prendere dalle insinuazioni e dalle ciance del mondo. Il mondo non si interessa che di fare soldi, godere la vita ed imporsi ad ogni costo, anche con prepotenza"
E' davvero l'umiltà che si esprimeva nel meraviglioso sorriso di Giovanni XXIII e dava ali all'intera umanità. Ce lo ricordiamo tutti il suo saluto, quando, dalla finestra del palazzo apostolico, con la semplicità e bontà, che inondarono l'umanità di serenità, rivolgendosi a tutti gli uomini, disse le memorabili parole:
Stasera, tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini: è la carezza del Papa. Credo che tanti di noi vorrebbero possedere questa umiltà e mitezza, per ridare a chi ci è vicino l'ottimismo della vita. E' possibile? Non solo possibile, ma, credo, necessario... con l'aiuto di Dio!
"Così dice il Signore: 'Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo Re. Egli è giusto e vittorioso; umile, cavalca un asino,
un puledro, figlio di asina.
Farà sparire i carri di Efraim e i cavalli di Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare,
e dal fìume ai confini della terra". (Zaccaria 9,9-10)
Le parole del profeta Zaccaria fanno corona a quelle di Gesù, che oggi la liturgia ci invita ad ascoltare e fare nostre.
Ci sono brani del Vangelo, che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare e anche di vivere, che sembrano davvero uno 'spaccato' di Cielo, che si apre sul capo degli uomini, come a mostrarci una dolcezza, una tenerezza di Dio, che difficilmente possiamo sperimentare tra noi uomini.
Siamo abituati troppo spesso all'esperienza 'delle spalle curve', per il dolore o la croce che ci accompagna tutti, senza distinzioni, nella vita.
Basterebbe pensare alla grande sofferenza del beato Giovanni Paolo II, che, negli ultimi giorni della vita, appariva la domenica alle folle di piazza S, Pietro: era visibile a tutti noi la sua pena di non riuscire a dire una parola. Un quadro agghiacciante e di profondo dolore, non solo suo, ma di tutti noi che, in quei momenti, e fino alla sua morte, abbiamo sofferto con lui, come fosse una croce uguale e comune.
Per alcuni, forse, la sofferenza può apparire come una maledizione, che non ci si riesce a togliere di dosso, tanto da pensare di liberarsene definitivamente con stupefacenti o con la via larga dei divertimenti a tutti i costi, a volte giungendo alla soluzione estrema ed inaccettabile, che è il suicidio o la volontà di eutanasia.
Per altri, invece, la sofferenza è vivere nella verità della fede e dell'amore, che ha il suo fondamento nel dolore donato: la Croce è il segno inconfondibile dell'amore, quando questi è quello che deve essere, per sua stessa natura, cioè dono di sé, fino al sacrificio.
La vita di Gesù che si dona totalmente, fino alla Croce, è l'esempio vivo dell'Amore che si fa dono … meraviglioso Amore!
Gesù, infatti, per tutto il tempo che visse tra noi, attraversando le vie della storia, vedendo la passione degli uomini, suoi contemporanei - simile in tutto alla nostra passione - fissava le folle che incontrava e lo attorniavano. Quelle folle vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità. Davanti a queste folle, in cerca di qualcosa che desse ragione alla loro vita, Gesù esprime la Sua compassione, che non è un superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma è condivisione totale con la passione dell'uomo.
Anzi, Gesù fa della nostra passione la Sua passione, accomunandosi con noi nel portare quella croce quotidiana e multiforme, che tutti portiamo.
E si rimane con lo stupore sul volto e nel cuore, con il fiato trattenuto dalla meraviglia a pensare che le spalle di Dio sono vicine alle nostre spalle, quando si piegano per il forte dolore. E ciò dà al dolore il valore della dolcezza che viene da quell'Amore fattosi compassione - il patire.
Così nasce spontaneo il nostro Grazie. Grazie non per la croce in sé, ma perché la nostra croce, portata insieme, ci fa sperimentare dal vivo, quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Quante volte, incontrando i malati, scopro che sanno fare della loro malattia un modo di amare ed hanno il sorriso che brilla negli occhi, perché sono consapevoli di soffrire con Lui e per Lui.
Anime davvero preziose, che sanno interpretare il Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi.
"In quel tempo, disse Gesù: 'Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e Io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le anime vostre. Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero". (Mt. 11,25-30)
Quante perle dentro queste poche parole!
Anzitutto un Dio che invita con amore accorato, come sa fare una madre, che conosce nella vita solo la dolcezza, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre disponibile ad accogliere i figli che tornano affaticati e stanchi.
La tenerezza di un Dio che vuole cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, ed in cambio dona la serenità del proprio stesso Cuore. Il Cuore e le braccia aperte di Dio, che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti... questo solo Egli attende da noi.
"Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed Io vi ristorerò".
Sono tanto grandi le braccia e il Cuore di Dio, che l'immensità dei dolori di miliardi di uomini, là, in quelle braccia e in quel Cuore, diventano poca cosa... Immenso il Cuore di Dio.
Ogni persona si vanta di avere un cuore. Quanti lo dicono e lo esaltano!
Eppure è proprio lì che l'uomo viene a mancare. Non conosce le vie della bontà, che sono il frutto dell'umiltà di cuore. Un'umiltà che genera dolcezza, sa mettersi all'ultimo posto, per fare posto a tutti, che sa essere così grande e, nel silenzio, donarsi a tutti.
Ma bisogna ritornare umili. Diceva il nostro sempre caro maestro, Paolo VI:
Tante volte vengono allo scoperto due malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese: l'egoismo e l'orgoglio. L'uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: si fa primo, si fa unico.
"La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno, nell'egoismo e nell'orgoglio, il loro bacino di cultura, dove tanti istinti umani e tante capacità di azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l'amore non c'è più. Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso di egoismo ed orgoglio, si deforma e deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L'amore va perduto... Questa parentela tra l'umiltà e l'amore, fra l'umiltà e la fortezza d'animo, fra l'umiltà e l'esercizio dell'autorità, indispensabile alla giustizia e al bene comune e infine tra l'umiltà e la preghiera, dovrebbe essere oggetto di continue riflessioni". (febbraio 1975)
È tanto difficile questo amore all'umiltà e dolcezza di cuore, in un mondo che sembra impazzito nella corsa ad essere 'grande', anche se poi la sua 'grandezza' è un momentaneo fruscio di gloria, che spesso non è assolutamente tale, anzi, poiché crea ancora... tanti poveri!
Il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, scrivendo ai suoi fratelli, raccomandava loro:
"La mia tranquillità personale, che fa tanta impressione nel mondo, è tutta qui.
Stare nell'obbedienza, come ho sempre fatto, e non desiderare o pregare di vivere di più, oltre il tempo in cui l'angelo della morte mi verrà a chiamare e prendere per il Paradiso...
E voi fate bene a tenervi in umiltà, come mi studio di fare anch'io, e a non lasciarvi prendere dalle insinuazioni e dalle ciance del mondo. Il mondo non si interessa che di fare soldi, godere la vita ed imporsi ad ogni costo, anche con prepotenza"
E' davvero l'umiltà che si esprimeva nel meraviglioso sorriso di Giovanni XXIII e dava ali all'intera umanità. Ce lo ricordiamo tutti il suo saluto, quando, dalla finestra del palazzo apostolico, con la semplicità e bontà, che inondarono l'umanità di serenità, rivolgendosi a tutti gli uomini, disse le memorabili parole:
Stasera, tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini: è la carezza del Papa. Credo che tanti di noi vorrebbero possedere questa umiltà e mitezza, per ridare a chi ci è vicino l'ottimismo della vita. E' possibile? Non solo possibile, ma, credo, necessario... con l'aiuto di Dio!
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