venerdì 8 luglio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantacinquesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi riprendiamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati; meditiamo attraverso il commento della Scuola Biblica di don Franco Govoni: 
  
Capitolo 2  

1Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: 2vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. 4E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. 5Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.

6Da parte dunque delle persone più ragguardevoli - quali fossero allora non m'interessa, perché Dio non bada a persona alcuna - a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi - 8poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani - 9e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

11Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto. 12Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. 13E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. 14Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?

15Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, 16sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno".

17Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile! 18Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore. 19In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. 20Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. 21Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.
COMMENTO

Perché la verità del vangelo rimanesse tra voi non abbiamo ceduto sottomettendoci

Paolo “sale” di nuovo a Gerusalemme dopo quattordici anni (diciassette rispetto alla rivelazione ricevuta da Dio). E vi sale non per un’urgenza qualsiasi, ma per una “rivelazione”. Vale a dire che non è la comunità di Gerusalemme a “richiamarlo” o non è la comunità di Antiochia a mandarlo per sottoporlo a verifica; ma vi sale per ordine di Dio. Porta con sé Barnaba (cristiano, già levita dell’isola di Cipro) e Tito (un pagano convertito). Vuole mostrare alle guide di Gerusalemme il modo concreto col quale egli predica il “suo” vangelo. Paolo ha un “suo” vangelo, ma non vuole creare una “sua” Chiesa (se così facesse “correrebbe invano”): vuole la comunione anche “visibile” con la Chiesa madre. Giunto a Gerusalemme espone ai notabili in privato “il vangelo che predica tra i pagani”: non tanto il contenuto del vangelo (Gesù è il Figlio di Dio), ma le implicazioni “pratiche” che ha il vangelo “per i pagani”. Ebbene “in pratica” Tito, che è un pagano convertito, non è stato costretto alla circoncisione (3). Questo fatto ha sconfessato “i falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci (nuovamente) schiavi” (4).
C’è una libertà in Cristo che nasce dalla fede in lui, e c’è una schiavitù della Legge che nasce dall’appartenerle in modo inadempiente. Paolo, nemmeno per un istante, cede ai falsi fratelli. Vuole che la “verità del vangelo” rimanga salda tra i Galati: la verità è che la salvezza è donata per mezzo della fede in Cristo e non per mezzo delle opere della Legge.

Diedero a me e a Barnaba la destra di comunione

Effetti della visita di Paolo. In negativo: non furono fatte imposizioni per il suo vangelo (3). In positivo: fu suggellata la collaborazione degli apostoli gerosolimitani con Paolo in una sola Chiesa visibile; furono “suddivise” le zone di apostolato; fu assicurato il collegamento delle Chiese di Paolo con la Chiesa madre grazie all’istituzione di una colletta a favore dei poveri (6-10).
Dunque le autorità di Gerusalemme, in quanto autorità, cioè nell’esercizio del loro mandato, non imposero nulla di più al vangelo di Paolo. Le loro qualità umane (rapporto di parentela con Gesù? Opinioni personali? Scelte dovute al luogo e alla situazione?….) non interessano a Paolo. Piuttosto gli apostoli di Gerusalemme, in quanto autorità, vengono a conoscere e ad accogliere il dono che Dio stesso ha fatto a Paolo: il suo ministero tra i pagani (7). Anzi, come Cristo ha agito in Pietro per farne l’apostolo degli ebrei, così “agisce in Paolo verso i pagani” (8). Dalla reciproca conoscenza si passa all’accoglienza, e dall’accoglienza si passa alla comunione operativa: “destra di comunione” (9) che significa unità nell’apostolato. Il campo aperto davanti a Paolo e Barnaba è l’evangelizzazione dei pagani, formalmente detta “vangelo del prepuzio” (7). Non che Paolo non portasse il vangelo anche ai giudei (gli Atti degli Apostoli dicono il contrario) o che Pietro non
portasse il vangelo anche ai pagani (e a Roma allora cosa faceva?). Ma si riconosce che il dono
specifico di Dio a Paolo è andare fino ai confini della terra col “suo” vangelo: il “vangelo della fede” sicché i pagani possano entrare liberamente e gioiosamente nella Chiesa, senza altri pesi. Il richiamo ai poveri (10) non è una generica richiesta di attenzione agli ultimi, ma un farsi carico dei poveri della Chiesa “madre”: è una risposta grata e impegnata al dono della vita. Paolo tiene molto a questo legame (cfr. 2 Cor 8-9).

Il caso di una simulazione 


Cefa (Pietro) viene ad Antiochia dove convivono, mangiano assieme (pasto che precede l’eucaristia o l’eucaristia stessa) pagani convertiti ed ebrei convertiti. Prima che giungessero “alcuni da parte di Giacomo” (12) egli viveva una comunione totale coi pagani convertiti; ma dopo la loro venuta
“cominciò a tenersi in disparte per timore dei circoncisi” (12). Altri e anche Barnaba caddero in questa “ipocrisia” (13). L’effetto, certamente non voluto da Pietro, quale fu? E’ vero cristiano chi si circoncide, mentre gli altri lo sono parzialmente. Con questa scelta si viene a “costringere i pagani a giudaizzare” (14). Se non lo fanno, debbono ammettere di essere un’altra chiesa e mangiare il pasto che precede l’eucaristia (o l’eucaristia stessa) separatamente dai giudei. Non è questo “il retto modo di vivere conforme alla verità del vangelo” (14). La situazione si fa ancora più difficile perché una scelta personale di Cefa sembra trascinare altri e soprattutto Barnaba in una scelta “di chiesa”. Paolo sembra rimanere solo. Di qui la sua fermezza! [A ridimensionare “il caso” basta leggere quanto ha fatto e insegnato Paolo (At 16,1-3 e 21,20-26; 1 Cor 8,9; Rm 14,1.21-22.25)]. Il ragionamento di Paolo è veramente stringente. Noi (Paolo, Pietro e tutti i giudei) abbiamo vissuto come Giudei, i quali cercano giustificazione nella legge. Convinti (anche dalla Scrittura) della sua impossibilità (16), abbiamo cercato salvezza per mezzo di Cristo. L’antica strada noi l’abbiamo lasciata credendo al vangelo di Cristo. Tornando a cambiare strada, mostriamo che ci consideriamo ancora peccatori. Cristo allora si è fatto ministro del peccato (17), perché: o ci ha condotto lui stesso al peccato, o non ci ha affatto liberato da esso. Impossibile! Se io, poi, torno a vivere secondo la legge che ho lasciato, finisco per dichiararmi peccatore, almeno per il tempo in cui mi sono distaccato.

Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me

Paolo “è morto alla Legge mediante la legge” (19). Cosa significa? Come la legge ha dato la morte o è stata causa di morte per Gesù, così anche per Paolo (in senso inverso però). Stando dentro alla legge, ma non osservandola, Paolo “muore mediante la legge”. Ma, credendo in Gesù, “vive per Dio” (19). Le tappe della vita sono queste. - Unione alla croce di Cristo (con-crocifisso): quindi “io” sono morto! (il mio “egoismo” è morto). - Non più “io” vivo (infatti sono morto!). Chi vive allora? Vive Cristo in me (20). E’ lui il nuovo
fondamento della mia vita (cfr Fil 1,21): “essere in Cristo”. - Certo rimango debole (carne). Per vivere, ho bisogno della fede nel Figlio di Dio.
- Egli “ha amato me e ha consegnato se stesso per me”: per questo la sua vita è in me. Mai annuncio cristiano fu più personalizzato! La salvezza non è un accadimento fuori di me. Piuttosto, mi cambia!
- Non accogliere Cristo cercando “una giustizia che viene dalla legge” sarebbe disprezzare “la grazia di Dio”. In altre parole, se la salvezza viene dalla legge “Cristo è morto invano” (21).

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