venerdì 29 luglio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi riprendiamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati con un nuovo passo che continuiamo a meditare insieme a Sant'Agostino d'Ippona: 

 Capitolo 5 

1Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 2Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. 3E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la legge. 4Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia. 5Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo. 6Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità.

7Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità? 8Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! 9Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta. 10Io sono fiducioso per voi nel Signore che non penserete diversamente; ma chi vi turba, subirà la sua condanna, chiunque egli sia. 11Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce? 12Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano.

13Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. 14Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. 15Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!

16Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; 17la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. 19Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c'è legge.

24Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. 


COMMENTO 

41. Dicendo: State dunque in piedi, lascia intendere che non erano ancora caduti; se no, più propriamente, avrebbe detto: " Rialzatevi ". E continua: E non assoggettatevi di nuovo al giogo della schiavitù, dove per giogo al quale non vuole che si assoggettino non possiamo intendere altro se non il giogo della circoncisione con le conseguenti pratiche del giudaismo. Infatti prosegue dicendo: Ecco io, Paolo, vi dico: Se vi lasciate circoncidere Cristo non vi gioverà a nulla. Ma come dovremo intendere le parole: Non assoggettatevi di nuovo al giogo della schiavitù, se è vero che egli scrive a persone che mai erano state giudei? In effetti proprio questo egli si propone: che non accettino la circoncisione. Evidentemente qui si esplicita e conferma l’affermazione sulla quale più sopra abbiamo discusso. Non trovo infatti cosa possa ordinare ai gentili in questo passo all’infuori di sentirsi liberati, tramite la fede in Cristo, dalla precedente falsa religiosità che li teneva in schiavitù. Essi pertanto non avrebbero dovuto in alcun modo assoggettarsi al giogo delle osservanze carnali che vincolavano e rendevano schiavo il popolo ebraico, il quale, sebbene posto sotto la legge di Dio, era tuttavia un popolo carnale. Afferma [l’Apostolo] che, se si fossero lasciati circoncidere, Cristo non avrebbe arrecato loro alcun vantaggio: dove evidentemente parla della circoncisione come la intendevano i suoi avversari, i quali riponevano nella circoncisione corporale la speranza della salvezza. Non si può dire infatti che Cristo non abbia giovato in alcun modo a Timoteo, giovane cristiano che Paolo fece circoncidere. L’Apostolo agì in quel modo per [evitare] lo scandalo dei concittadini di lui 110: agì senza ombra di simulazione, ma con quell’indifferenza che lo portò a scrivere: La circoncisione non è nulla, come nulla è l’incirconcisione 111. In realtà, se uno non ritiene che la salvezza deriva dalla circoncisione, questa non reca alcun nocumento. In quest’ordine di idee vanno prese anche le parole successive: Al contrario ad ogni uomo che si circoncida - che cioè sia attaccato alla circoncisione considerandola fonte di salvezza - dichiaro che è obbligato ad osservare la legge tutta intera. Dice questo per spaventarli presentando loro la serie innumerabile di pratiche recensite fra le opere della legge che una volta circoncisi avrebbero dovuto osservare. Se un tal numero di norme non erano riusciti ad osservare né i giudei né i loro antenati, come dice Pietro negli Atti degli Apostoli 112, logicamente anche i cristiani si sarebbero rifiutati dall’accettare quei riti ai quali volevano sottoporli questi zelanti giudei.42. Dice: Voi che volete essere giustificati attraverso la legge vi siete svuotati di Cristo. È questa la proscrizione di cui ha parlato sopra dicendo che Cristo era stato proscritto da loro 113. Svuotati in tal modo di Cristo, cioè essendosi Cristo dovuto allontanare da loro che pur erano un possedimento da lui occupato, in quel possedimento ridotto, per così dire, all’abbandono potevano di conseguenza essere introdotte le opere della legge. E siccome la cosa nuoceva non a Cristo ma ai Galati stessi, aggiunge: Siete decaduti dalla grazia. Per l’azione della grazia di Cristo infatti erano stati liberati dai debiti verso la legge coloro che si trovavano così indebitati; ma costoro, ingrati a tanto beneficio della grazia, preferivano il debito di osservare tutta intera la legge. La cosa non era ancora avvenuta ma, siccome la volontà aveva cominciato a vacillare, per questo in più luoghi l’Apostolo parla come se fosse già accaduta. Quanto a noi, al contrario, attendiamo - dice - dallo Spirito mediante la fede la giustizia che speriamo. Con queste parole fa vedere che rientrano nella fede in Cristo i beni che si attendono nell’ordine spirituale, non quelli che vengono desiderati dall’uomo carnale, com’erano le promesse che asservivano l’uomo del Vecchio Testamento. Di queste scrive in un altro passo: Noi non volgiamo lo sguardo alle cose che si vedono ma a quelle che non si vedono. Infatti le cose visibili sono temporanee, mentre quelle invisibili sono eterne 114. Continua la Lettera: In Cristo Gesù né la circoncisone né l’incirconcisione valgono alcunché; e con questo dimostra l’indifferenza dei due stati, e afferma che nulla è dannoso nella circoncisione se non riporre in essa la speranza della salvezza. Precisa che in Cristo non contano nulla né la circoncisione né l’incirconcisione ma soltanto la fede che opera mediante la carità. Ribadisce ancora una volta l’idea che sotto la legge opera la schiavitù con la forza del timore. E continua: Correvate bene. Chi vi ha procurato ostacoli che non obbedite più alla verità? È quanto già prima diceva: Chi vi ha ammaliato? 115 Al che soggiunge: Questa vostra persuasione non viene da colui che vi ha chiamati. Questa persuasione è carnale, mentre colui che vi ha chiamati vuol condurvi a libertà. Chiama loro persuasione la cosa che si tentava di far loro accettare; e siccome i predicatori venuti in Galazia per insinuare fra i Galati tali dottrine erano un esiguo numero rispetto alla moltitudine, li chiama fermento. Tuttavia era possibile che i credenti percepissero un tale fermento: nel qual caso (se cioè avessero accolto favorevolmente quei sobillatori considerandoli giusti e degni di fede), tutta la massa, cioè tutta la loro Chiesa, avrebbe fermentato, per così dire, corrompendosi e divenendo pasta di schiavi carnali. Poi soggiunge: Io nel Signore nutro fiducia che non la pensiate diversamente in nulla. Dalle quali parole si ricava in maniera palese che i Galati non s’erano ancora lasciati accalappiare da loro. Aggiunge poi: Chi vi causa turbamento, ne porterà la condanna, chiunque esso sia, e si riferisce a quel turbamento disordinato per il quale da uomini spirituali volevano farli diventare carnali. È qui sottinteso che certuni, volendo insinuare fra loro una siffatta schiavitù e notando com’essi erano trattenuti dall’autorità di Paolo, andavano dicendo che lo stesso Paolo era del medesimo avviso ma non osava manifestare a cuor leggero come sul serio la pensasse. Molto opportunamente egli reagisce dicendo: Ma, fratelli, se è vero che io continuo a predicare la circoncisione, com’è che sono ancora così perseguitato? In effetti a perseguitarlo c’erano anche di quelli che si agitavano per diffondere tali insinuazioni, sebbene all’apparenza sembrava che avessero accettato il Vangelo. A loro fa riferimento anche nel passo dove parla dei pericoli da parte di falsi fratelli 116 e, in questa stessa Lettera, sul principio là dove scrive: A motivo però di certi falsi fratelli insinuatisi, i quali si erano cacciati di soppiatto per controllare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù e ridurci di nuovo nello stato di schiavitù 117. In realtà se Paolo avesse predicato la circoncisione, avrebbero certo smesso di perseguitarlo. Comunque, da questi falsi predicatori non avevano nulla da temere coloro ai quali veniva annunziata la libertà cristiana; né [questi ultimi] dovevano in alcun modo pensare che l’Apostolo avesse paura di loro. A tal fine, in un testo precedente, per dimostrare che egli era pieno di fiducia nella sua libertà, volle lasciarvi impresso lo stesso suo nome, scrivendo: Ecco, io Paolo vi attesto che, se voi vi farete circoncidere, Cristo non vi arrecherà alcun profitto 118. È come se dicesse: " Eccomi a voi! Imitatemi nel non avere paura o, se per caso questa paura l’avete, scaricatene il motivo sopra di me ". Quanto poi all’affermazione: Ecco dunque che viene vanificato lo scandalo della croce, è una ripetizione di quanto detto sopra: Se la giustizia deriva dalla legge Cristo è morto invano 119. Nel nostro caso però, parlando di scandalo, fa pensare al fatto che i giudei si scandalizzarono di Cristo, soprattutto perché, com’essi ben rimarcavano, egli spesse volte trasgrediva e non calcolava le osservanze carnali della legge, che essi invece ritenevano necessarie alla salvezza. Con queste sue parole dunque è come se dicesse: Cristo, che disprezzava tali cose, fu certamente crocifisso senza alcun risultato dai giudei scandalizzati, se le stesse cose vengono anche adesso accolte con favore da coloro per i quali egli fu crocifisso. Dopo ciò, con un gioco di parole quanto mai raffinato, aggiunge una benedizione che però ovviamente suona come un malaugurio. Dice: Magari si recidessero quelli che mettono scompiglio fra voi! Non solo si circoncidano, dice, ma si recidano! In tal modo diverrebbero eunuchi per il regno dei cieli 120 e smetterebbero di seminare dottrine carnali.

43. Dice: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà; i perturbatori viceversa volevano trascinarli nella schiavitù, staccandoli da ciò che era spirituale per cacciarli in ciò che era materiale. Da questo momento quindi l’Apostolo comincia a trattare delle opere legali di cui sopra ricordavo che ne avrebbe trattato alla fine della Lettera. Di tali opere nessuno dubita che appartengano anche al Nuovo Testamento, ma solo se compiute con altro fine, cioè quello con cui le debbono praticare gli uomini liberi. Ora questo fine è la carità che attraverso la pratica delle opere spera il premio eterno e se lo ripromette con l’ausilio della fede. Non quindi con la mentalità dei giudei, che adempivano tali leggi spinti da timore, e non dal timore casto che permane in eterno 121 ma dal timore che fa temere per la vita presente. Se pertanto riuscivano a praticare alcuni riti di valore figurativo, non riuscivano in alcun modo a mettere in pratica le norme concernenti la buona condotta. Queste le adempie solamente la carità. Così, se uno non commette omicidi per la paura d’essere ucciso lui stesso, non adempie il precetto della giustizia; lo adempie invece se si astiene dall’uccidere, pur potendolo fare impunemente, perché la cosa in se stessa è contraria alla giustizia, non soltanto presso gli uomini ma anche presso Dio. Come fece Davide quando ebbe nelle sue mani il re Saul. Lo avrebbe potuto uccidere impunemente, senza temere la vendetta degli uomini, dai quali era molto amato, né quella di Dio, il quale gli aveva detto che era in suo potere fare contro di lui tutto ciò che avrebbe voluto 122. Ma Davide, amando il prossimo come se stesso, risparmiò la vita a chi l’aveva perseguitato e l’avrebbe perseguitato ancora, preferendo che egli si ravvedesse anziché venisse ucciso. Così un uomo che viveva nel Vecchio Testamento ma non era del Vecchio Testamento. A lui non era stata rivelata e resa per fede la futura eredità di Cristo: dico cioè quella fede che, professata, dona la salvezza e sollecita l’imitazione. Per questo motivo nota ora l’Apostolo: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà; badate però a non fare di questa libertà un pretesto per la carne. Udita la parola " libertà " non pensate che vi sia consentito di peccare impunemente. E aggiunge: Ma in forza della carità siate al servizio gli uni degli altri. Chi infatti serve mosso da carità serve liberamente e senza meschinità e, obbedendo a Dio, fa con amore quel che gli viene suggerito, non con timore, quasi che vi fosse costretto.

44. Dice: Tutta la legge si compendia nell’unico precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Parla di tutta la legge, in relazione alle opere riguardanti la buona condotta, poiché anche le altre, cioè quelle che rientrano nel campo della simbologia, comprese rettamente da uomini liberi e non in maniera carnale da persone schiave, si riferiscono necessariamente ai due grandi precetti dell’amore di Dio e del prossimo. Buona dunque l’interpretazione di chi fa rientrare nello stesso ambito anche le parole del Signore: Non sono venuto ad abolire la legge ma a darle compimento 123. Egli infatti avrebbe tolto il timore carnale, non solo ma avrebbe anche dato la carità, frutto dello Spirito, con cui soltanto può adempiersi la legge. Pienezza della legge è infatti la carità; e siccome è per la fede che si impetra lo Spirito Santo, ad opera del quale la carità si effonde nel cuore del giusto 124, nessuno mai potrà gloriarsi delle opere buone compiute antecedentemente alla grazia della fede. Per questa ragione l’Apostolo confuta quei tali che si vantavano dell’osservanza della legge, e mostra come le opere del Vecchio Testamento, che erano solo figura dei misteri avvenire, dopo la venuta del Signore non sono più necessarie - lo ha già dimostrato prima - a chi è libero ed erede. Quanto poi alle opere che concernono i buoni costumi, non possono compiersi dove manca la carità, nella quale la fede si rende operosa 125. Pertanto delle opere legali alcune, venuta la fede, sono superflue, mentre altre prima che venga la fede sono impossibili. Sia quindi consentito al giusto di conseguire la vita mediante la fede 126 e, rinvigorito dal lieve giogo di Cristo 127, butti pur via il giogo gravoso della schiavitù. Sottoposto al giogo soave della carità, badi solo a non uscire fuori dai confini della giustizia.

45. Si può ricercare il motivo per cui l’Apostolo nella presente Lettera faccia menzione del solo amore verso il prossimo, dicendo che con esso si adempie la legge, e come mai nella Lettera ai Romani, trattando lo stesso problema, possa affermare: Chi ama il prossimo adempie la legge. Infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare malamente e ogni altro precetto si riassume in questa parola: Ama il prossimo tuo come te stesso. L’amore al prossimo esclude ogni cattiveria; quindi pieno adempimento della legge è l’amore 128. Se pertanto l’amore non raggiunge la perfezione se non nel duplice precetto dell’amore di Dio e del prossimo, come fa l’Apostolo a menzionare, e nella nostra Lettera e in quest’altra, soltanto l’amore del prossimo? Non sarà forse perché gli uomini possono dire il falso riguardo all’amore di Dio, essendo più rare le prove da cui lo si dimostra, mentre riguardo all’amore del prossimo è più facile convincerli che ne sono privi ogniqualvolta si comportano da iniqui con il proprio simile? È pertanto nella logica delle cose che per amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente occorre amare anche il prossimo come se stessi, poiché tale è il precetto di colui che si vuol amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Inoltre, chi potrebbe amare come se stesso il prossimo, cioè tutti gli uomini, se non chi ama Dio, il quale insieme col precetto d’amare il prossimo ci dà anche il dono di attuarlo? Se dunque il rapporto fra i due comandamenti è tale che non si può realizzare l’uno senza l’altro, quando si tratta delle opere di giustizia è sufficiente, almeno in via ordinaria, dei due menzionarne uno solo e più opportunamente quello da cui con più facilità si ricava una prova convincente. Per questo motivo anche Giovanni dice: Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede? 129 C’erano infatti alcuni che bugiardamente asserivano di avere l’amore di Dio, mentre di fatto non l’avevano, come risultava dall’odio che nutrivano verso i fratelli: quell’odio che, capitando nella vita e nei comportamenti di ogni giorno, è un criterio facile per formarsi un giudizio. E prosegue: Se vi mordete e sbranate a vicenda, badate a non consumarvi a vicenda. Per il vizio della litigiosità e dell’invidia si sviluppavano, più che per altri motivi, delle dispute perniciose in seno alla comunità. Parlavano male gli uni degli altri e ciascuno voleva affermare il suo prestigio e riportare insulse vittorie, non ricordando che con simili atteggiamenti ogni società umana, scissa in fazioni, si logora e finisce. Ora, come potranno evitare questi vizi se non camminando secondo lo Spirito e non attuando i desideri della carne? In realtà il dono primario e grande dello Spirito è l’umiltà e la mitezza del cuore. Ne fa fede l’esclamazione del Signore, che ho già riportata: Imparate da me, poiché io sono mite ed umile di cuore 130, e così pure quanto dice il profeta: Su chi si poserà il mio Spirito se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? 131

46. Continua: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne. Sono infatti due princìpi in contrasto fra loro, sicché voi non fate quel che vorreste. Ritengono alcuni che in questo versetto l’Apostolo insegni che l’uomo non abbia il libero arbitrio della volontà. Non sanno capire come in queste parole egli tratti, invece, di coloro che rigettano la grazia della fede ricevuta, per la quale soltanto si riesce a camminare secondo lo spirito e a non attuare i desideri carnali. In effetti, se si ricusa di conservare una tale grazia, non è possibile praticare ciò che pur si vorrebbe. L’uomo vorrebbe, sì, compiere le opere della giustizia prescritte dalla legge, ma è vinto dalla concupiscenza della carne, seguendo la quale si allontana dalla grazia della fede. È quanto dice nella Lettera ai Romani: La sapienza della carne è nemica verso Dio: non è soggetta alla legge di Dio, anzi nemmeno lo potrebbe 132. Perfezione della legge è infatti la carità e a questa carità, che è spirituale, si oppone la sapienza della carne, che va alla ricerca dei vantaggi temporali. Come potrebbe dunque una tal sapienza essere soggetta alla legge di Dio? Come potrebbe, dico, praticare volonterosamente e docilmente la giustizia senza provare resistenze? Quand’anche facesse dei tentativi, viene necessariamente sopraffatta quando si accorge di poter con l’iniquità ricavare vantaggi temporali più grandi che non con la pratica della giustizia. C’è infatti una prima vita dell’uomo ed è quella che precede la legge. In essa non ci sono proibizioni per alcuna malvagità o azione cattiva, e l’uomo non oppone in alcun modo resistenza alle proprie voglie disordinate in quanto non c’è chi glielo proibisca. C’è poi una seconda vita dell’uomo, ed è quella sotto la legge e prima della grazia. In essa ci sono le proibizioni, e l’uomo tenta di astenersi dal peccato ma è vinto perché non ama ancora la giustizia per amore di Dio e della stessa giustizia ma, se la vuole, è per raggiungere beni terreni. Se pertanto da un lato vede la giustizia e dall’altro un qualche vantaggio temporale, viene attirato dal prepotere del desiderio terreno e abbandona la giustizia, che cercava di rispettare in vista di quel vantaggio che invece ora vede di dover perdere se vuol restare nella giustizia. C’è infine una terza condizione di vita, ed è quella sotto la grazia: nella quale nessun tornaconto materiale si antepone alla giustizia. Ciò non può ottenersi senza la carità spirituale, insegnata dal Signore col suo esempio e donata per sua grazia. In questo stato di vita, sebbene rimangano i desideri della carne derivanti dalla mortalità del corpo, essi tuttavia non riescono ad assoggettare l’anima perché consenta al peccato. In tal modo nel nostro corpo mortale non regna il peccato 133, anche se in esso, per il fatto di essere mortale, il peccato continua ancora ad abitare. C’è dunque per l’uomo in grazia un primo momento, in cui il peccato non regna in noi, ed è quando con l’anima siamo sotto la legge di Dio, sebbene con la carne siamo ancora sotto la legge del peccato 134; siamo cioè ancora schiavi di quella condizione penale da cui insorgono i desideri cattivi, che però noi non assecondiamo. Verrà poi un secondo momento quando ogni desiderio cattivo sarà estinto completamente. In realtà, se abita in noi lo Spirito di Gesù, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali mediante lo Spirito che abita in noi 135. Al presente dunque è necessario che realizziamo la condizione di chi è sotto la grazia: che cioè attuiamo quel che vogliamo con lo spirito, anche se la cosa ci rimane impossibile a livello carnale. Non dobbiamo pertanto obbedire ai desideri del peccato prestandogli le nostre membra perché ne faccia armi di iniquità 136. Non possiamo, è vero, far sì che tali desideri non esistano, non essendo ancora in quella pace eterna dove tutto l’uomo raggiungerà la completa perfezione; cessiamo tuttavia di essere sotto la legge, dove l’anima è colpevolmente in potere della prevaricazione. Qui l’anima è resa schiava dalla concupiscenza carnale che la costringe a consentire al peccato, mentre noi siamo sotto la grazia, dove non c’è più alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù 137. La condanna infatti non è per chi combatte ma per chi si lascia vincere.

47. Procedendo dunque con perfetta logica può aggiungere: Se siete condotti dallo spirito, non siete più sotto la legge. Da ciò è dato comprendere che sono sotto la legge coloro il cui spirito ha, sì, desideri contrari alla carne ma non così forti da impedir loro di fare quel che non vorrebbero. Costoro non sono invincibilmente stabili nell’amore per la giustizia ma sono vinti dalla carne ribelle 138: carne che non soltanto contrasta con la legge dello spirito ma rende l’uomo schiavo della legge del peccato, che risiede nelle sue membra mortali 139. Chi infatti non è guidato dallo spirito è, conseguentemente, guidato dalla carne. Ora chi si lascia guidare dalla carne merita condanna, non chi involontariamente subisce la resistenza della carne. Dice pertanto: Se al contrario siete guidati dallo spirito, non siete più sotto la legge, nel senso che anche sopra non aveva detto: " Camminate nello spirito e siate esenti dalle concupiscenze della carne ", ma: Non sarete portati a soddisfare 140. Infatti, l’essere del tutto esenti da tali brame non è più un combattere ma godere il premio della lotta sostenuta: premio che si consegue perseverando nella grazia fino alla vittoria. Allora soltanto infatti il corpo non dovrà più lottare contro le concupiscenze della carne quando, trasformato, avrà raggiunto la condizione dell’immortalità.

48. Incomincia ora ad elencare le opere della carne, per far comprendere che, se si consente ai desideri carnali e si compiono opere come queste, si è guidati non dallo spirito ma dalla carne. Dice: Le opere della carne sono note. Esse sono la fornicazione, l’impurità, l’idolatria, la magia, le inimicizie, le contese, le risse, le gelosie, le discordie, le eresie, le invidie, le ubriachezze, i bagordi e altre simili. Riguardo a queste opere vi ammonisco, come del resto vi ho già ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio. Compiono tali opere coloro che consentendo alle voglie della natura, fermamente risolvono di compierle, anche se di fatto a compierle non riescono. Viceversa è di coloro che, pur esperimentando tali moti istintivi, rimangono fermi nella carità, in essi preponderante, e non solo non abbandonano all’istinto le membra del corpo per compiere l’azione cattiva ma non gli prestano neppure il minimo consenso. Costoro non compiono le opere della carne, e pertanto potranno possedere il regno di Dio. Nel loro corpo mortale infatti non regna il peccato, che li assoggetta alle sue voglie, anche se esso vi abita in quanto il corpo è appunto mortale. In un corpo così fatto non è estinto l’impulso derivante dalla condizione naturale per cui nasciamo soggetti alla morte e nemmeno quello che ci deriva dal nostro stesso esistere, in quanto col peccare abbiamo noi stessi accresciuto il male derivante dalla nostra origine di peccato e di dannazione. Una cosa infatti è non peccare e un’altra non avere il peccato: non pecca colui sul quale il peccato non regna, cioè colui che non obbedisce ai desideri del peccato, mentre chi è totalmente esente da tali desideri non solo non pecca ma non ha più in sé il peccato. Questa mèta può essere raggiunta sotto molti aspetti anche in questa vita; nella sua completezza tuttavia dobbiamo attendercela con la speranza per dopo la resurrezione e la trasfigurazione della carne. Possono sconcertare le parole: Riguardo a tali opere vi ammonisco, come del resto vi ho ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio. Se infatti si va a cercare dove si trovi un tale ammonimento, ci si accorge che in questa Lettera non c’è. Può darsi quindi che ciò avesse detto quand’era fra loro di persona o, forse, aveva risaputo che anche ai Galati era giunta la Lettera da lui inviata ai Corinzi. In questa Lettera scrive: Non ingannatevi! Né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati né i sodomiti né i ladri né gli avari né gli ubriaconi né i maldicenti né i rapinatori possederanno il regno di Dio 141.

49. Dopo aver enumerato le opere della carne, per le quali ci si chiude il regno di Dio, nella nostra Lettera Paolo aggiunge l’elenco delle opere dello Spirito, che egli chiama " frutti " dello Spirito. Dice: Frutto invece dello Spirito è la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la temperanza; e aggiunge: Riguardo ad opere di questo genere non esiste legge. Ci fa capire, con ciò, che sono sottoposti alla legge coloro nei quali non regnano queste virtù a differenza di coloro nei quali esse regnano e che usano della legge in modo rispondente alla legge stessa. Costoro non sentono la legge come un’imposizione coercitiva, in quanto la giustizia esercita in loro un’attrattiva più forte e preponderante. Così viene detto anche nella Lettera a Timoteo: Noi sappiamo che la legge è buona purché se ne faccia un uso legittimo. Devi dunque sapere che essa non è stata data per chi è giusto ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e per i peccatori, per gli scellerati e i profanatori, per i patricidi e i matricidi, per gli omicidi, i fornicatori, i sodomiti, i sequestratori, i mentitori, gli spergiuri e i rei d’ogni delitto contrastante con la sana dottrina 142. È sottinteso che per tutti costoro è data la legge. Quanto dunque ai frutti dello Spirito, essi regnano nell’uomo in cui non regna il peccato. Essendo buoni, essi regnano quando attirano talmente l’anima da sorreggerla nelle tentazioni impedendole di consentire rovinosamente al peccato. Se infatti un qualcosa ci attrae, in tale direzione necessariamente noi agiamo. Ecco, per esempio, presentarcisi una donna di seducente bellezza. Essa eccita in noi l’attrattiva a fornicare; ma, se ci attrae di più la bellezza interiore e l’incanto trasparente della castità, che è in noi per la grazia derivante dalla fede in Cristo, noi viviamo in castità e agiamo castamente. Non regnando in noi il peccato, che ci fa obbedire alle sue voglie, ma la giustizia, mediante la carità facciamo con profondo diletto le opere di giustizia che sappiamo essere accette a Dio. E quanto detto della castità e della lussuria intendo applicarlo a tutto il resto.

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