domenica 31 luglio 2011

Un'umanità che ha fame

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci mostra il meraviglioso segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, attraverso il commento di don Alberto Brignoli:

Il mondo, l'umanità, oggi, ha ancora parecchia fame.
Fame di cibo, di pane, innanzitutto. Al mondo ci sono 854 milioni di persone che soffrono la fame e il numero non è mai calato dal 1990. Nel 1996 oltre 180 capi di Stato e di governo si erano riuniti a Roma per il Vertice mondiale sull'alimentazione e avevano firmato una Dichiarazione con la quale si impegnavano a dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 e portarlo a 412 milioni. Per onorare l'impegno preso al vertice, si dovrebbe ridurre il numero dei sottonutriti di 31 milioni l'anno da oggi sino al 2015, mentre la tendenza attuale è al contrario di un aumento al ritmo di quattro milioni l'anno. Per questo motivo, l'impegno è stato definitivamente dichiarato "archiviato".
E nonostante ciò i Paesi donatori hanno ridotto in modo consistente gli aiuti al settore agricolo e alimentare. Inoltre i Paesi del Nord del mondo adottano tutta una serie di azioni economiche che frenano la produzione agricola dei Paesi sottosviluppati e l'esportazione dei loro prodotti. E' un po' come dire che s'individua l'agricoltura come il motore principale per la ripresa dei Paesi sottosviluppati, ma poi questo motore lo si frena in tutti i modi.
Un altro dato preoccupante è quello della pessima distribuzione della ricchezza: il 10% delle famiglie italiane possiede quasi il 45% del patrimonio totale del paese. Non così lontano dalla disumana situazione mondiale, dove il 2% della popolazione più ricca possiede il 50% delle ricchezze della terra. L'altra metà se la spartisce il 98% delle persone. Questo vuol dire che la fame nel mondo, oggi, è qualcosa che riguarda tutti, anche i paesi più ricchi, e non più solamente il Sud del mondo.
Ma non è l'unica fame del mondo, quella di cibo. C'è pure fame di giustizia. Fame di diritti fondamentali della persona che vengono puntualmente calpestati.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti": nel 2010 in Italia sono morte 127 donne per violenza, 58 delle quali subite da parte dei loro mariti e compagni. Solo a Milano, ogni giorno viene violentata una donna (secondo i dati delle denuncie).
"Nessuno sarà sottomesso a torture, o a pene e trattamenti crudeli, disumani e degradanti": a oggi, la tortura è ancora "legalmente" praticata in 81 paesi.
"Tutti sono uguali di fronte alla legge ed hanno, senza distinzione, diritto a essere ugualmente protetti dalla legge": sono ancora 54 i paesi che celebrano giudizi sommari senza alcuna garanzia giuridica, e laddove si celebrano legalmente (come in Italia) i ritardi sono abissali, e soprattutto c'è la possibilità di convertire una pena in una sanzione amministrativa. Per cui, chi paga è libero, anche se colpevole. Chi non riesce a pagare, rimane in carcere, magari a volte nonostante sia innocente. Questa sarebbe giustizia?
E non c'è sicuramente bisogno di dati per descrivere un'altra fame, forse la meno evidente, quella che fa meno notizia, ma non per questo meno drammatica, ovvero la fame di Dio. Una grandissima parte dell'umanità muore senza riuscire a dare un significato alla propria esistenza, e questo indipendentemente dal professare una religione o un'altra, dall'essere stati o meno battezzati: è un problema di senso della vita, è l'incapacità a cogliere che nella nostra vita ci sono dei semi di Assoluto che vanno piantati, coltivati, irrigati, fatti crescere.
Questa mancanza di senso lascia l'uomo impoverito, come denutrito, affamato, appunto: affamato di un Dio, di un Assoluto che può dare senso al suo affannarsi sulla terra e che, quanto più ricchi si è materialmente, tanto meno si riesce ad avvertire. Si tratta di una fame anomala, proprio perché non si fa sentire eppure poco a poco logora, svuota, impoverisce, uccide. E non si fa sentire semplicemente perché la si zittisce con tutta una serie di comportamenti e di scelte di vita che la soffocano, la narcotizzano, la addormentano. Poi però le grandi domande esistenziali della vita di fronte al senso della malattia, della sofferenza, del dolore, dell'ingiustizia e, in definitiva, della morte, la fanno emergere in maniera drammatica con conseguenze che spesso portano l'individuo a non ritrovare più quel filo che lo può condurre fuori dal labirinto dell'esistenza.
Il Vangelo di oggi ci ricorda l'interesse e la sollecitudine di Dio per la fame nel mondo: la fame di pane materiale, la fame di giustizia e la fame di Lui. Quello che però maggiormente colpisce è che Dio non ci chiede di invitare i nostri fratelli che hanno fame ad andare in cerca di una soluzione: vuole che "noi stessi diamo loro da mangiare". Rimbalza su di noi, che ci diciamo suoi discepoli, la risposta a questo problema, che spesso gli presentiamo come insormontabile e per noi di difficile soluzione. Quante volte anche noi, come i discepoli del Vangelo, diciamo al Signore: "Mandali via, che vadano a comprarsi da mangiare, che vadano a risolversi i loro problemi, che cerchino da soli il modo di dare delle risposte alle loro situazioni di indigenza"? E per di più, giustifichiamo le nostre affermazioni rinfacciando al Signore le nostre incapacità: "Abbiamo solo cinque pani e due pesci! Non siamo in grado, ci vogliono strutture, persone e programmi adeguati!".
Il Signore ci vuole invitare a capire che la risposta alla fame di gran parte dell'umanità sta nell'assunzione delle nostre responsabilità, nonostante la pochezza dei nostri mezzi. Il nulla che abbiamo, se condiviso, può diventare molto, perché ci pensa Lui, il Signore, a farlo diventare tale.
Ecco, allora, la nostra missione di discepoli, oggi come sempre: saziare l'umanità attraverso atteggiamenti di solidarietà e di condivisione.
Pensare di fare qualcosa per sfamare i bisogni alimentari delle persone indigenti con uno stile puramente assistenzialista, oggi non serve se non a generare ulteriore povertà: occorre far prendere coscienza ad ogni uomo che i cinque pani e i due pesci che possiede, ovvero quel poco col quale purtroppo si ritrova a vivere, non devono essere un elemento di disperazione, ma un punto di partenza, sia pur minimo, per costruire il proprio futuro. È relativamente facile, ma certamente inutile, fare un gesto di generosità dando molti soldi in un colpo solo a una persona povera: è più difficile, ma è certamente più proficuo, fare lo sforzo insieme con lei, di accompagnarne il progetto di sviluppo, seguendolo, esortandolo, facendogli sentire che gli siamo vicini nella misura in cui si sforza di costruire il proprio futuro.
Lottare per ricostruire situazioni giuste laddove la giustizia è calpestata serve a poco, se questo avviene solo attraverso denuncie, lotte, battaglie per la difesa dei diritti usurpati, magari attraverso atteggiamenti che spesso generano ulteriore violenza, risentimento, odio. Servono anche le lotte, senza dubbio: ma si creano situazioni di vera giustizia e quindi di vera pace laddove si aiuta un popolo o una persona a prendere coscienza dei propri diritti e insieme anche dei propri doveri, perché sia lui, e non le nostre più o meno positive ideologie, a prendere in mano la propria situazione di ingiustizia e rovesciarla a suo favore.
E infine, la risposta alla fame di Dio che l'umanità continua ad avere, passa attraverso la coscienza che oggi l'annuncio del Vangelo non è più "portare qualcosa che manca a qualcuno", ma creare comunione, reciprocità, scambio arricchente tra le diverse espressioni di fede. Anche solo parlando della fede in Cristo, dobbiamo essere ben coscienti che i paesi di antica tradizione cristiana, come i nostri, sono in netta minoranza rispetto alle Chiese giovani del sud del mondo, sia numericamente che qualitativamente. Ci sono esperienze di Chiesa nei paesi in via di sviluppo che sono di una ricchezza che qui nemmeno riusciamo a immaginare. Ci sono, nel sud del mondo, cristiani che non si preoccupano, come noi, di difendere la loro identità cristiana, ma di essere coerenti con il loro vissuto cristiano, e questo spesso avviene in situazioni di difficoltà, di contrasto, se non addirittura di persecuzione. E questo insegna molto a noi che, pur trovandoci in situazione di relativa serenità e tolleranza nei confronti della fede, facciamo fatica a essere coerenti con ciò in cui diciamo di credere.
Il Signore ci aiuti a prendere coscienza che il poco che abbiamo può essere molto, se questo poco lo sappiamo condividere con i nostri fratelli più poveri.

sabato 30 luglio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Trentaquattresima parte

 Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: oggi guardiamo il momento più duro per tutti coloro che hanno conosciuto il beato Francesco ovvero la sua sepoltura. Scorgiamo la figura di Santa Chiara, molto legata al beato Francesco che l'aveva aiutata nella fondazione del suo ordine monastico. Ma il pianto non può durare per sempre perché bisogna essere gioiosi considerando la sorte a cui è andato incontro il poverello d'Assisi: egli, infatti, ha raggiunto finalmente la meta a cui tanto aspirava ed ora, da lassù, può vegliare su tutti gli uomini: 

CAPITOLO DECIMO

IL PIANTO DELLE POVERE DAME DI SAN DAMIANO E LA GLORIOSA SEPOLTURA DI FRANCESCO 

116. I suoi frati e figli insieme alle folle accorsero dai paesi vicini per avere la gioia di partecipare ai solenni funerali, passarono l'intera notte in cui Francesco morì, pregando e salmodiando; ed era tale la dolcezza dei canti e lo splendore delle luci da far pensare ad una veglia di angeli.

All'indomani all'alba arrivarono i cittadini di Assisi con tutto il clero e, prelevando il sacro corpo, lo trasportarono onorevolmente in città tra inni e canti e squilli di trombe. Celebrando insieme la solennità di quelle esequie, tutti si erano muniti di rami d'ulivo e di altri alberi e procedevano cantando a piena voce preghiere e lodi al Signore nello splendore di innumerevoli ceri. I figli portavano il loro Padre, il gregge seguiva il suo pastore, che li aveva preceduti incontro al Pastore universale.

Quando giunsero al luogo dove egli aveva fondato l'Ordine religioso delle sacre vergini e Donne Povere, deposero il sacro corpo nella chiesa di San Damiano, dove dimoravano quelle sue figlie dilette ch'egli aveva conquistate al Signore, e fu aperta la piccola grata attraverso la quale le ancelle di Cristo sogliono ricevere nei tempi stabiliti l'Eucarestia. Fu aperto anche il feretro, che conteneva quel tesoro di celesti virtù, portato ora da pochi, lui che era solito portare molti durante la sua vita. Ed ecco, donna Chiara, che era veramente chiara per ricchezze di meriti, prima madre di tutte le altre, perché era stata la prima pianticella di quella religiosa famiglia, viene con le figlie a vedere il Padre che più non parla con loro e non ritornerà più tra loro, perché se ne va altrove.

117. E guardandolo, piangendo e gemendo, con voce accorata, espressero così il loro cordoglio trepidante e devoto:

«O Padre, che cosa faremo ora noi, misere? Perché ci abbandoni desolate? A chi ci affidi, così desolate? Perché non ci hai dato la gioia di precederti nel Regno dei beati e invece ci lasci qui nel dolore? Come potremo vivere nel nostro monastero, ora che più non verrai, come un tempo a visitarci? Con te se ne va per noi, sepolte al mondo, ogni nostro conforto! Chi ci soccorrerà in questa povertà di beni spirituali e materiali? O padre dei poveri, amante della povertà, chi ci aiuterà nelle tentazioni? Tu lo potevi, perché ne avevi provate e superate tante! Chi ci sosterrà nel momento delle tribolazioni, o tu che sei stato il nostro aiuto nelle molte tribolazioni che già sperimentammo? O amarissimo distacco, tremenda partenza; o morte inesorabile che uccidi migliaia di figli e di figlie, privandoli del loro santissimo padre, mentre ti affretti a strapparci per sempre colui per merito del quale il nostro buon volere, se pure ne abbiamo, raggiunse la sua migliore fioritura!».

Ma il verginale pudore poneva un freno al pianto, né sembrava conveniente piangere a dirotto su colui, il cui transito aveva richiamato schiere di angeli e allietava tutti gli eletti del cielo! Così, sospese tra l'afflizione e la gioia insie­me, baciavano quelle splendide mani, ornate dalle stimmate raggianti come gemme preziose. E dopo che ebbero rimosso il sacro corpo, fu richiusa quella porta che non s'aprirà mai più a si grande ferita quanto più grande il dolore di tutti alla vista dell'accorato e filiale lamento di quelle vergini! Quanti, soprattutto, i gemiti dei figli in pianto! Tutti,partecipavano al dolore di ognuno di loro, così che non c'era nessuno che riuscisse a trattenere le lacrime, al vedere quegli angeli di pace piangere così desolatamente.

118. Giunti finalmente in città, con gioiosa esultanza tumularono il venerabile corpo in un luogo gia sacro, ma ora più sacro, perché santificato dalla presenza delle spoglie di Francesco. Qui egli, a gloria dell'onnipotente e sommo Iddio, continua a illuminare il mondo con i miracoli, come prima l'aveva illuminato con la sua santa predicazione. Siano rese grazie a Dio. Amen.

Ecco, o padre santissimo e benedetto: ho cercato di accompagnarti, come era doveroso, con lodi che fossero degne dite, benché in una maniera veramente insufficiente, ed ho scritto narrando qualcosa della tua vita.

Ricordati, o pietoso, dei tuoi poveri figli, ai quali non resta quasi più alcun conforto ora che sei scomparso tu, che eri l'unico loro sostegno. Poiché sebbene tu, che di loro sei la parte più nobile e principale, sei ammesso tra i cori angelici e collocato sul trono glorioso degli apostoli, essi invece giacciono ancora nel fango, come chiusi in un carcere oscuro; essi ti supplicano gementi: «Mostra, o padre, al divin Figlio nel sommo Padre le venerande stimmate di Lui che tu hai sul costato; mostra i segni della croce nelle tue mani e nei tuoi piedi, perché egli stesso, a sua volta, si degni misericordiosamente di mostrare le sue ferite al Padre, il Quale certamente a quella vista sarà sempre benigno con noi miseri! Amen! Fiat! Fiat!».

venerdì 29 luglio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi riprendiamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati con un nuovo passo che continuiamo a meditare insieme a Sant'Agostino d'Ippona: 

 Capitolo 5 

1Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 2Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla. 3E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la legge. 4Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia. 5Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo. 6Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità.

7Correvate così bene; chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità? 8Questa persuasione non viene sicuramente da colui che vi chiama! 9Un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta. 10Io sono fiducioso per voi nel Signore che non penserete diversamente; ma chi vi turba, subirà la sua condanna, chiunque egli sia. 11Quanto a me, fratelli, se io predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? È dunque annullato lo scandalo della croce? 12Dovrebbero farsi mutilare coloro che vi turbano.

13Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. 14Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. 15Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!

16Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; 17la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.

18Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. 19Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, 20idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, 21invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. 22Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c'è legge.

24Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. 26Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli altri. 


COMMENTO 

41. Dicendo: State dunque in piedi, lascia intendere che non erano ancora caduti; se no, più propriamente, avrebbe detto: " Rialzatevi ". E continua: E non assoggettatevi di nuovo al giogo della schiavitù, dove per giogo al quale non vuole che si assoggettino non possiamo intendere altro se non il giogo della circoncisione con le conseguenti pratiche del giudaismo. Infatti prosegue dicendo: Ecco io, Paolo, vi dico: Se vi lasciate circoncidere Cristo non vi gioverà a nulla. Ma come dovremo intendere le parole: Non assoggettatevi di nuovo al giogo della schiavitù, se è vero che egli scrive a persone che mai erano state giudei? In effetti proprio questo egli si propone: che non accettino la circoncisione. Evidentemente qui si esplicita e conferma l’affermazione sulla quale più sopra abbiamo discusso. Non trovo infatti cosa possa ordinare ai gentili in questo passo all’infuori di sentirsi liberati, tramite la fede in Cristo, dalla precedente falsa religiosità che li teneva in schiavitù. Essi pertanto non avrebbero dovuto in alcun modo assoggettarsi al giogo delle osservanze carnali che vincolavano e rendevano schiavo il popolo ebraico, il quale, sebbene posto sotto la legge di Dio, era tuttavia un popolo carnale. Afferma [l’Apostolo] che, se si fossero lasciati circoncidere, Cristo non avrebbe arrecato loro alcun vantaggio: dove evidentemente parla della circoncisione come la intendevano i suoi avversari, i quali riponevano nella circoncisione corporale la speranza della salvezza. Non si può dire infatti che Cristo non abbia giovato in alcun modo a Timoteo, giovane cristiano che Paolo fece circoncidere. L’Apostolo agì in quel modo per [evitare] lo scandalo dei concittadini di lui 110: agì senza ombra di simulazione, ma con quell’indifferenza che lo portò a scrivere: La circoncisione non è nulla, come nulla è l’incirconcisione 111. In realtà, se uno non ritiene che la salvezza deriva dalla circoncisione, questa non reca alcun nocumento. In quest’ordine di idee vanno prese anche le parole successive: Al contrario ad ogni uomo che si circoncida - che cioè sia attaccato alla circoncisione considerandola fonte di salvezza - dichiaro che è obbligato ad osservare la legge tutta intera. Dice questo per spaventarli presentando loro la serie innumerabile di pratiche recensite fra le opere della legge che una volta circoncisi avrebbero dovuto osservare. Se un tal numero di norme non erano riusciti ad osservare né i giudei né i loro antenati, come dice Pietro negli Atti degli Apostoli 112, logicamente anche i cristiani si sarebbero rifiutati dall’accettare quei riti ai quali volevano sottoporli questi zelanti giudei.42. Dice: Voi che volete essere giustificati attraverso la legge vi siete svuotati di Cristo. È questa la proscrizione di cui ha parlato sopra dicendo che Cristo era stato proscritto da loro 113. Svuotati in tal modo di Cristo, cioè essendosi Cristo dovuto allontanare da loro che pur erano un possedimento da lui occupato, in quel possedimento ridotto, per così dire, all’abbandono potevano di conseguenza essere introdotte le opere della legge. E siccome la cosa nuoceva non a Cristo ma ai Galati stessi, aggiunge: Siete decaduti dalla grazia. Per l’azione della grazia di Cristo infatti erano stati liberati dai debiti verso la legge coloro che si trovavano così indebitati; ma costoro, ingrati a tanto beneficio della grazia, preferivano il debito di osservare tutta intera la legge. La cosa non era ancora avvenuta ma, siccome la volontà aveva cominciato a vacillare, per questo in più luoghi l’Apostolo parla come se fosse già accaduta. Quanto a noi, al contrario, attendiamo - dice - dallo Spirito mediante la fede la giustizia che speriamo. Con queste parole fa vedere che rientrano nella fede in Cristo i beni che si attendono nell’ordine spirituale, non quelli che vengono desiderati dall’uomo carnale, com’erano le promesse che asservivano l’uomo del Vecchio Testamento. Di queste scrive in un altro passo: Noi non volgiamo lo sguardo alle cose che si vedono ma a quelle che non si vedono. Infatti le cose visibili sono temporanee, mentre quelle invisibili sono eterne 114. Continua la Lettera: In Cristo Gesù né la circoncisone né l’incirconcisione valgono alcunché; e con questo dimostra l’indifferenza dei due stati, e afferma che nulla è dannoso nella circoncisione se non riporre in essa la speranza della salvezza. Precisa che in Cristo non contano nulla né la circoncisione né l’incirconcisione ma soltanto la fede che opera mediante la carità. Ribadisce ancora una volta l’idea che sotto la legge opera la schiavitù con la forza del timore. E continua: Correvate bene. Chi vi ha procurato ostacoli che non obbedite più alla verità? È quanto già prima diceva: Chi vi ha ammaliato? 115 Al che soggiunge: Questa vostra persuasione non viene da colui che vi ha chiamati. Questa persuasione è carnale, mentre colui che vi ha chiamati vuol condurvi a libertà. Chiama loro persuasione la cosa che si tentava di far loro accettare; e siccome i predicatori venuti in Galazia per insinuare fra i Galati tali dottrine erano un esiguo numero rispetto alla moltitudine, li chiama fermento. Tuttavia era possibile che i credenti percepissero un tale fermento: nel qual caso (se cioè avessero accolto favorevolmente quei sobillatori considerandoli giusti e degni di fede), tutta la massa, cioè tutta la loro Chiesa, avrebbe fermentato, per così dire, corrompendosi e divenendo pasta di schiavi carnali. Poi soggiunge: Io nel Signore nutro fiducia che non la pensiate diversamente in nulla. Dalle quali parole si ricava in maniera palese che i Galati non s’erano ancora lasciati accalappiare da loro. Aggiunge poi: Chi vi causa turbamento, ne porterà la condanna, chiunque esso sia, e si riferisce a quel turbamento disordinato per il quale da uomini spirituali volevano farli diventare carnali. È qui sottinteso che certuni, volendo insinuare fra loro una siffatta schiavitù e notando com’essi erano trattenuti dall’autorità di Paolo, andavano dicendo che lo stesso Paolo era del medesimo avviso ma non osava manifestare a cuor leggero come sul serio la pensasse. Molto opportunamente egli reagisce dicendo: Ma, fratelli, se è vero che io continuo a predicare la circoncisione, com’è che sono ancora così perseguitato? In effetti a perseguitarlo c’erano anche di quelli che si agitavano per diffondere tali insinuazioni, sebbene all’apparenza sembrava che avessero accettato il Vangelo. A loro fa riferimento anche nel passo dove parla dei pericoli da parte di falsi fratelli 116 e, in questa stessa Lettera, sul principio là dove scrive: A motivo però di certi falsi fratelli insinuatisi, i quali si erano cacciati di soppiatto per controllare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù e ridurci di nuovo nello stato di schiavitù 117. In realtà se Paolo avesse predicato la circoncisione, avrebbero certo smesso di perseguitarlo. Comunque, da questi falsi predicatori non avevano nulla da temere coloro ai quali veniva annunziata la libertà cristiana; né [questi ultimi] dovevano in alcun modo pensare che l’Apostolo avesse paura di loro. A tal fine, in un testo precedente, per dimostrare che egli era pieno di fiducia nella sua libertà, volle lasciarvi impresso lo stesso suo nome, scrivendo: Ecco, io Paolo vi attesto che, se voi vi farete circoncidere, Cristo non vi arrecherà alcun profitto 118. È come se dicesse: " Eccomi a voi! Imitatemi nel non avere paura o, se per caso questa paura l’avete, scaricatene il motivo sopra di me ". Quanto poi all’affermazione: Ecco dunque che viene vanificato lo scandalo della croce, è una ripetizione di quanto detto sopra: Se la giustizia deriva dalla legge Cristo è morto invano 119. Nel nostro caso però, parlando di scandalo, fa pensare al fatto che i giudei si scandalizzarono di Cristo, soprattutto perché, com’essi ben rimarcavano, egli spesse volte trasgrediva e non calcolava le osservanze carnali della legge, che essi invece ritenevano necessarie alla salvezza. Con queste sue parole dunque è come se dicesse: Cristo, che disprezzava tali cose, fu certamente crocifisso senza alcun risultato dai giudei scandalizzati, se le stesse cose vengono anche adesso accolte con favore da coloro per i quali egli fu crocifisso. Dopo ciò, con un gioco di parole quanto mai raffinato, aggiunge una benedizione che però ovviamente suona come un malaugurio. Dice: Magari si recidessero quelli che mettono scompiglio fra voi! Non solo si circoncidano, dice, ma si recidano! In tal modo diverrebbero eunuchi per il regno dei cieli 120 e smetterebbero di seminare dottrine carnali.

43. Dice: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà; i perturbatori viceversa volevano trascinarli nella schiavitù, staccandoli da ciò che era spirituale per cacciarli in ciò che era materiale. Da questo momento quindi l’Apostolo comincia a trattare delle opere legali di cui sopra ricordavo che ne avrebbe trattato alla fine della Lettera. Di tali opere nessuno dubita che appartengano anche al Nuovo Testamento, ma solo se compiute con altro fine, cioè quello con cui le debbono praticare gli uomini liberi. Ora questo fine è la carità che attraverso la pratica delle opere spera il premio eterno e se lo ripromette con l’ausilio della fede. Non quindi con la mentalità dei giudei, che adempivano tali leggi spinti da timore, e non dal timore casto che permane in eterno 121 ma dal timore che fa temere per la vita presente. Se pertanto riuscivano a praticare alcuni riti di valore figurativo, non riuscivano in alcun modo a mettere in pratica le norme concernenti la buona condotta. Queste le adempie solamente la carità. Così, se uno non commette omicidi per la paura d’essere ucciso lui stesso, non adempie il precetto della giustizia; lo adempie invece se si astiene dall’uccidere, pur potendolo fare impunemente, perché la cosa in se stessa è contraria alla giustizia, non soltanto presso gli uomini ma anche presso Dio. Come fece Davide quando ebbe nelle sue mani il re Saul. Lo avrebbe potuto uccidere impunemente, senza temere la vendetta degli uomini, dai quali era molto amato, né quella di Dio, il quale gli aveva detto che era in suo potere fare contro di lui tutto ciò che avrebbe voluto 122. Ma Davide, amando il prossimo come se stesso, risparmiò la vita a chi l’aveva perseguitato e l’avrebbe perseguitato ancora, preferendo che egli si ravvedesse anziché venisse ucciso. Così un uomo che viveva nel Vecchio Testamento ma non era del Vecchio Testamento. A lui non era stata rivelata e resa per fede la futura eredità di Cristo: dico cioè quella fede che, professata, dona la salvezza e sollecita l’imitazione. Per questo motivo nota ora l’Apostolo: Voi, fratelli, siete stati chiamati alla libertà; badate però a non fare di questa libertà un pretesto per la carne. Udita la parola " libertà " non pensate che vi sia consentito di peccare impunemente. E aggiunge: Ma in forza della carità siate al servizio gli uni degli altri. Chi infatti serve mosso da carità serve liberamente e senza meschinità e, obbedendo a Dio, fa con amore quel che gli viene suggerito, non con timore, quasi che vi fosse costretto.

44. Dice: Tutta la legge si compendia nell’unico precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Parla di tutta la legge, in relazione alle opere riguardanti la buona condotta, poiché anche le altre, cioè quelle che rientrano nel campo della simbologia, comprese rettamente da uomini liberi e non in maniera carnale da persone schiave, si riferiscono necessariamente ai due grandi precetti dell’amore di Dio e del prossimo. Buona dunque l’interpretazione di chi fa rientrare nello stesso ambito anche le parole del Signore: Non sono venuto ad abolire la legge ma a darle compimento 123. Egli infatti avrebbe tolto il timore carnale, non solo ma avrebbe anche dato la carità, frutto dello Spirito, con cui soltanto può adempiersi la legge. Pienezza della legge è infatti la carità; e siccome è per la fede che si impetra lo Spirito Santo, ad opera del quale la carità si effonde nel cuore del giusto 124, nessuno mai potrà gloriarsi delle opere buone compiute antecedentemente alla grazia della fede. Per questa ragione l’Apostolo confuta quei tali che si vantavano dell’osservanza della legge, e mostra come le opere del Vecchio Testamento, che erano solo figura dei misteri avvenire, dopo la venuta del Signore non sono più necessarie - lo ha già dimostrato prima - a chi è libero ed erede. Quanto poi alle opere che concernono i buoni costumi, non possono compiersi dove manca la carità, nella quale la fede si rende operosa 125. Pertanto delle opere legali alcune, venuta la fede, sono superflue, mentre altre prima che venga la fede sono impossibili. Sia quindi consentito al giusto di conseguire la vita mediante la fede 126 e, rinvigorito dal lieve giogo di Cristo 127, butti pur via il giogo gravoso della schiavitù. Sottoposto al giogo soave della carità, badi solo a non uscire fuori dai confini della giustizia.

45. Si può ricercare il motivo per cui l’Apostolo nella presente Lettera faccia menzione del solo amore verso il prossimo, dicendo che con esso si adempie la legge, e come mai nella Lettera ai Romani, trattando lo stesso problema, possa affermare: Chi ama il prossimo adempie la legge. Infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare malamente e ogni altro precetto si riassume in questa parola: Ama il prossimo tuo come te stesso. L’amore al prossimo esclude ogni cattiveria; quindi pieno adempimento della legge è l’amore 128. Se pertanto l’amore non raggiunge la perfezione se non nel duplice precetto dell’amore di Dio e del prossimo, come fa l’Apostolo a menzionare, e nella nostra Lettera e in quest’altra, soltanto l’amore del prossimo? Non sarà forse perché gli uomini possono dire il falso riguardo all’amore di Dio, essendo più rare le prove da cui lo si dimostra, mentre riguardo all’amore del prossimo è più facile convincerli che ne sono privi ogniqualvolta si comportano da iniqui con il proprio simile? È pertanto nella logica delle cose che per amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente occorre amare anche il prossimo come se stessi, poiché tale è il precetto di colui che si vuol amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Inoltre, chi potrebbe amare come se stesso il prossimo, cioè tutti gli uomini, se non chi ama Dio, il quale insieme col precetto d’amare il prossimo ci dà anche il dono di attuarlo? Se dunque il rapporto fra i due comandamenti è tale che non si può realizzare l’uno senza l’altro, quando si tratta delle opere di giustizia è sufficiente, almeno in via ordinaria, dei due menzionarne uno solo e più opportunamente quello da cui con più facilità si ricava una prova convincente. Per questo motivo anche Giovanni dice: Chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede? 129 C’erano infatti alcuni che bugiardamente asserivano di avere l’amore di Dio, mentre di fatto non l’avevano, come risultava dall’odio che nutrivano verso i fratelli: quell’odio che, capitando nella vita e nei comportamenti di ogni giorno, è un criterio facile per formarsi un giudizio. E prosegue: Se vi mordete e sbranate a vicenda, badate a non consumarvi a vicenda. Per il vizio della litigiosità e dell’invidia si sviluppavano, più che per altri motivi, delle dispute perniciose in seno alla comunità. Parlavano male gli uni degli altri e ciascuno voleva affermare il suo prestigio e riportare insulse vittorie, non ricordando che con simili atteggiamenti ogni società umana, scissa in fazioni, si logora e finisce. Ora, come potranno evitare questi vizi se non camminando secondo lo Spirito e non attuando i desideri della carne? In realtà il dono primario e grande dello Spirito è l’umiltà e la mitezza del cuore. Ne fa fede l’esclamazione del Signore, che ho già riportata: Imparate da me, poiché io sono mite ed umile di cuore 130, e così pure quanto dice il profeta: Su chi si poserà il mio Spirito se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? 131

46. Continua: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito e lo spirito desideri contrari a quelli della carne. Sono infatti due princìpi in contrasto fra loro, sicché voi non fate quel che vorreste. Ritengono alcuni che in questo versetto l’Apostolo insegni che l’uomo non abbia il libero arbitrio della volontà. Non sanno capire come in queste parole egli tratti, invece, di coloro che rigettano la grazia della fede ricevuta, per la quale soltanto si riesce a camminare secondo lo spirito e a non attuare i desideri carnali. In effetti, se si ricusa di conservare una tale grazia, non è possibile praticare ciò che pur si vorrebbe. L’uomo vorrebbe, sì, compiere le opere della giustizia prescritte dalla legge, ma è vinto dalla concupiscenza della carne, seguendo la quale si allontana dalla grazia della fede. È quanto dice nella Lettera ai Romani: La sapienza della carne è nemica verso Dio: non è soggetta alla legge di Dio, anzi nemmeno lo potrebbe 132. Perfezione della legge è infatti la carità e a questa carità, che è spirituale, si oppone la sapienza della carne, che va alla ricerca dei vantaggi temporali. Come potrebbe dunque una tal sapienza essere soggetta alla legge di Dio? Come potrebbe, dico, praticare volonterosamente e docilmente la giustizia senza provare resistenze? Quand’anche facesse dei tentativi, viene necessariamente sopraffatta quando si accorge di poter con l’iniquità ricavare vantaggi temporali più grandi che non con la pratica della giustizia. C’è infatti una prima vita dell’uomo ed è quella che precede la legge. In essa non ci sono proibizioni per alcuna malvagità o azione cattiva, e l’uomo non oppone in alcun modo resistenza alle proprie voglie disordinate in quanto non c’è chi glielo proibisca. C’è poi una seconda vita dell’uomo, ed è quella sotto la legge e prima della grazia. In essa ci sono le proibizioni, e l’uomo tenta di astenersi dal peccato ma è vinto perché non ama ancora la giustizia per amore di Dio e della stessa giustizia ma, se la vuole, è per raggiungere beni terreni. Se pertanto da un lato vede la giustizia e dall’altro un qualche vantaggio temporale, viene attirato dal prepotere del desiderio terreno e abbandona la giustizia, che cercava di rispettare in vista di quel vantaggio che invece ora vede di dover perdere se vuol restare nella giustizia. C’è infine una terza condizione di vita, ed è quella sotto la grazia: nella quale nessun tornaconto materiale si antepone alla giustizia. Ciò non può ottenersi senza la carità spirituale, insegnata dal Signore col suo esempio e donata per sua grazia. In questo stato di vita, sebbene rimangano i desideri della carne derivanti dalla mortalità del corpo, essi tuttavia non riescono ad assoggettare l’anima perché consenta al peccato. In tal modo nel nostro corpo mortale non regna il peccato 133, anche se in esso, per il fatto di essere mortale, il peccato continua ancora ad abitare. C’è dunque per l’uomo in grazia un primo momento, in cui il peccato non regna in noi, ed è quando con l’anima siamo sotto la legge di Dio, sebbene con la carne siamo ancora sotto la legge del peccato 134; siamo cioè ancora schiavi di quella condizione penale da cui insorgono i desideri cattivi, che però noi non assecondiamo. Verrà poi un secondo momento quando ogni desiderio cattivo sarà estinto completamente. In realtà, se abita in noi lo Spirito di Gesù, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali mediante lo Spirito che abita in noi 135. Al presente dunque è necessario che realizziamo la condizione di chi è sotto la grazia: che cioè attuiamo quel che vogliamo con lo spirito, anche se la cosa ci rimane impossibile a livello carnale. Non dobbiamo pertanto obbedire ai desideri del peccato prestandogli le nostre membra perché ne faccia armi di iniquità 136. Non possiamo, è vero, far sì che tali desideri non esistano, non essendo ancora in quella pace eterna dove tutto l’uomo raggiungerà la completa perfezione; cessiamo tuttavia di essere sotto la legge, dove l’anima è colpevolmente in potere della prevaricazione. Qui l’anima è resa schiava dalla concupiscenza carnale che la costringe a consentire al peccato, mentre noi siamo sotto la grazia, dove non c’è più alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù 137. La condanna infatti non è per chi combatte ma per chi si lascia vincere.

47. Procedendo dunque con perfetta logica può aggiungere: Se siete condotti dallo spirito, non siete più sotto la legge. Da ciò è dato comprendere che sono sotto la legge coloro il cui spirito ha, sì, desideri contrari alla carne ma non così forti da impedir loro di fare quel che non vorrebbero. Costoro non sono invincibilmente stabili nell’amore per la giustizia ma sono vinti dalla carne ribelle 138: carne che non soltanto contrasta con la legge dello spirito ma rende l’uomo schiavo della legge del peccato, che risiede nelle sue membra mortali 139. Chi infatti non è guidato dallo spirito è, conseguentemente, guidato dalla carne. Ora chi si lascia guidare dalla carne merita condanna, non chi involontariamente subisce la resistenza della carne. Dice pertanto: Se al contrario siete guidati dallo spirito, non siete più sotto la legge, nel senso che anche sopra non aveva detto: " Camminate nello spirito e siate esenti dalle concupiscenze della carne ", ma: Non sarete portati a soddisfare 140. Infatti, l’essere del tutto esenti da tali brame non è più un combattere ma godere il premio della lotta sostenuta: premio che si consegue perseverando nella grazia fino alla vittoria. Allora soltanto infatti il corpo non dovrà più lottare contro le concupiscenze della carne quando, trasformato, avrà raggiunto la condizione dell’immortalità.

48. Incomincia ora ad elencare le opere della carne, per far comprendere che, se si consente ai desideri carnali e si compiono opere come queste, si è guidati non dallo spirito ma dalla carne. Dice: Le opere della carne sono note. Esse sono la fornicazione, l’impurità, l’idolatria, la magia, le inimicizie, le contese, le risse, le gelosie, le discordie, le eresie, le invidie, le ubriachezze, i bagordi e altre simili. Riguardo a queste opere vi ammonisco, come del resto vi ho già ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio. Compiono tali opere coloro che consentendo alle voglie della natura, fermamente risolvono di compierle, anche se di fatto a compierle non riescono. Viceversa è di coloro che, pur esperimentando tali moti istintivi, rimangono fermi nella carità, in essi preponderante, e non solo non abbandonano all’istinto le membra del corpo per compiere l’azione cattiva ma non gli prestano neppure il minimo consenso. Costoro non compiono le opere della carne, e pertanto potranno possedere il regno di Dio. Nel loro corpo mortale infatti non regna il peccato, che li assoggetta alle sue voglie, anche se esso vi abita in quanto il corpo è appunto mortale. In un corpo così fatto non è estinto l’impulso derivante dalla condizione naturale per cui nasciamo soggetti alla morte e nemmeno quello che ci deriva dal nostro stesso esistere, in quanto col peccare abbiamo noi stessi accresciuto il male derivante dalla nostra origine di peccato e di dannazione. Una cosa infatti è non peccare e un’altra non avere il peccato: non pecca colui sul quale il peccato non regna, cioè colui che non obbedisce ai desideri del peccato, mentre chi è totalmente esente da tali desideri non solo non pecca ma non ha più in sé il peccato. Questa mèta può essere raggiunta sotto molti aspetti anche in questa vita; nella sua completezza tuttavia dobbiamo attendercela con la speranza per dopo la resurrezione e la trasfigurazione della carne. Possono sconcertare le parole: Riguardo a tali opere vi ammonisco, come del resto vi ho ammoniti, che chi le compie non possederà il regno di Dio. Se infatti si va a cercare dove si trovi un tale ammonimento, ci si accorge che in questa Lettera non c’è. Può darsi quindi che ciò avesse detto quand’era fra loro di persona o, forse, aveva risaputo che anche ai Galati era giunta la Lettera da lui inviata ai Corinzi. In questa Lettera scrive: Non ingannatevi! Né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati né i sodomiti né i ladri né gli avari né gli ubriaconi né i maldicenti né i rapinatori possederanno il regno di Dio 141.

49. Dopo aver enumerato le opere della carne, per le quali ci si chiude il regno di Dio, nella nostra Lettera Paolo aggiunge l’elenco delle opere dello Spirito, che egli chiama " frutti " dello Spirito. Dice: Frutto invece dello Spirito è la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la temperanza; e aggiunge: Riguardo ad opere di questo genere non esiste legge. Ci fa capire, con ciò, che sono sottoposti alla legge coloro nei quali non regnano queste virtù a differenza di coloro nei quali esse regnano e che usano della legge in modo rispondente alla legge stessa. Costoro non sentono la legge come un’imposizione coercitiva, in quanto la giustizia esercita in loro un’attrattiva più forte e preponderante. Così viene detto anche nella Lettera a Timoteo: Noi sappiamo che la legge è buona purché se ne faccia un uso legittimo. Devi dunque sapere che essa non è stata data per chi è giusto ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e per i peccatori, per gli scellerati e i profanatori, per i patricidi e i matricidi, per gli omicidi, i fornicatori, i sodomiti, i sequestratori, i mentitori, gli spergiuri e i rei d’ogni delitto contrastante con la sana dottrina 142. È sottinteso che per tutti costoro è data la legge. Quanto dunque ai frutti dello Spirito, essi regnano nell’uomo in cui non regna il peccato. Essendo buoni, essi regnano quando attirano talmente l’anima da sorreggerla nelle tentazioni impedendole di consentire rovinosamente al peccato. Se infatti un qualcosa ci attrae, in tale direzione necessariamente noi agiamo. Ecco, per esempio, presentarcisi una donna di seducente bellezza. Essa eccita in noi l’attrattiva a fornicare; ma, se ci attrae di più la bellezza interiore e l’incanto trasparente della castità, che è in noi per la grazia derivante dalla fede in Cristo, noi viviamo in castità e agiamo castamente. Non regnando in noi il peccato, che ci fa obbedire alle sue voglie, ma la giustizia, mediante la carità facciamo con profondo diletto le opere di giustizia che sappiamo essere accette a Dio. E quanto detto della castità e della lussuria intendo applicarlo a tutto il resto.

giovedì 28 luglio 2011

Sessualità umana - XXIII appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Continuano le raccomandazioni finali rivolte soprattutto ai genitori che si trovano a dover educare i propri figli all'amore e alla sessualità. Molto caldeggiato è il metodo del dialogo: i genitori, infatti, sono chiamati a parlare con i figli, in modo che questi ultimi sappiano di poter confidare in loro e non solo su estranei (che poi li portano fuori strada...). Importante è anche affidarsi a persone competenti, valutando ovviamente il proprio caso personale, senza sottovalutare la tematica, come molti spesso fanno, danneggiando così il percorso formativo e lasciando che i figli crescano nella maniera sbagliata:

VII

ORIENTAMENTI PRATICI 

I metodi particolari

128. Questi principi e queste norme possono accompagnare i genitori, e tutti coloro che li aiutano, quando adoperano i diversi metodi che sembrano essere idonei alla luce dell'esperienza dei genitori e degli esperti. Si passerà ora a segnalare questi metodi raccomandati e, inoltre, si indicheranno anche i principali metodi da evitare, insieme alle ideologie che li promuovono o ispirano.

a) Metodi raccomandati

129. Il metodo normale e fondamentale, già proposto in questa guida, è il dialogo personale fra i genitori e i figli, cioè la formazione individuale nell'ambito della famiglia. Non è, infatti, sostituibile il dialogo fiducioso e aperto con i propri figli, che rispetta non soltanto le tappe dello sviluppo, ma anche la giovane persona stessa come individuo. Quando, però, i genitori chiedono aiuto agli altri, ci sono diversi metodi utili che potranno essere raccomandati alla luce della esperienza dei genitori e secondo la conformità alla prudenza cristiana.

130. 1. Come coppia, o come individui, i genitori possono incontrarsi con altri che sono preparati nell'educazione all'amore per trarre beneficio dalla loro esperienza e competenza. Questi, inoltre, possono spiegare e fornire loro libri ed altre risorse approvate dalle autorità ecclesiastiche.

131. 2. I genitori, non sempre preparati ad affrontare problematiche legate all'educazione all'amore, possono partecipare con i propri figli a riunioni guidate da persone esperte e degne di fiducia come, per esempio, medici, sacerdoti, educatori. Per motivi di maggiore libertà di espressione, in alcuni casi, sembrano preferibili riunioni con sole figlie e con soli figli.

132. 3. In certe situazioni, i genitori possono affidare una parte dell'educazione all'amore ad un'altra persona di fiducia, se ci sono questioni che richiedono una specifica competenza o una cura pastorale in casi particolari.

133. 4. La catechesi sulla morale può essere fornita da altre persone di fiducia, con particolare attenzione all'etica sessuale durante la pubertà e l'adolescenza. I genitori devono interessarsi alla catechesi morale che si dà ai propri figli fuori casa ed utilizzarla come sostegno per il loro lavoro educativo; tale catechesi non deve comprendere gli aspetti più intimi, biologici o affettivi, dell'informazione sessuale, che appartengono alla formazione individuale in famiglia.18

134. 5. La formazione religiosa dei genitori stessi, in particolare la solida preparazione catechetica degli adulti nella verità dell'amore, costruisce le fondamenta di una fede matura che può guidarli nella formazione dei propri figli.19 Tale catechesi per gli adulti permette non solo di approfondire la comprensione della comunità di vita e di amore del matrimonio, ma anche di imparare a comunicare meglio con i propri figli. Inoltre, durante il processo di formazione dei figli all'amore, i genitori troveranno in questo compito molto beneficio, perché scopriranno che questo ministero di amore li aiuta a mantenere « viva la coscienza del "dono", che continuamente ricevono dai figli ».20 Per rendere i genitori idonei a svolgere la loro opera educativa, si possono promuovere corsi di formazione speciale con la collaborazione di esperti.

mercoledì 27 luglio 2011

Alle sorgenti della Pietà - VII parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana. Il tema odierno concerne "le cose visibili e invisibili" e vediamo l'autore soffermarsi principalmente sulla cosa invisibile per eccellenza e cioè l'anima umana! Sono davvero delle bellissime pillole riflessive che ci fanno riflettere sul significato e sulla "consistenza" dell'animo umano (interessante è anche il richiamo contro le pratiche contro la vita, tra le quali spicca l'aborto): 

- Capitolo 5 -

"...DI TUTTE LE COSE VISIBILI ED INVISIBILI"

 I DUE MONDI 

 
Quando professiamo la nostra fede in Dio Creatore aggiungiamo: "di tutte le cose visibili ed invisibili". Le cose visibili sono quelle che costituiscono questo universo materiale.

Le cose invisibili sono quelle che riguardano il mondo spirituale e cioè il mondo delle anime, degli angeli, dei demoni. Un mondo quanto mai misterioso, spesso ridicolizzato o negato, ma sempre affascinante.

 Secondo la fede cristiana Dio non ha creato solo quello che c'è di materiale e di visibile ma anche i puri spiriti, come crea continuamente le anime degli uomini che nascono. Cominciamo proprio da queste: dalle anime.

L'ANIMA UMANA

Alcuni pseudo cristiani ci accusano di essere in contrasto con la Bibbia perché affermiamo che l'anima dell'uomo è spirituale ed immortale. Si tratta di uno dei tanti equivoci che, più o meno in malafede, vanno propagando alla gente sprovveduta, ben sapendo che la realtà è diversa.

Noi infatti usiamo la parola anima per indicare lo spirito che c'è nell'uomo, quello spirito che la Bibbia descrive come "soffio di Dio".

Ecco come ne parla la Bibbia: "Il Signore Iddio prese del terreno e ne plasmò un corpo umano. Poi gli soffiò nelle narici l'alito della vita e l'uomo divenne un'anima vivente" (Gen 2,7).

Si tratta di una descrizione in forma popolare, come è del resto di tutti gli altri racconti della Genesi. Non è un trattato di teologia o di filosofia. L'alito che dilata le narici è il segno che c'è vita: un uomo che respira è ritenuto vivente. II Libro Sacro vuol dirci che la vita dell'uomo viene direttamente da Dio: è come la partecipazione al respiro, alla vita di Dio. Può anche darsi che la scienza riesca a dimostrare in maniera indiscutibile che l'uomo deriva, per evoluzione, da un altro essere che noi usiamo chiamare primate. Non lo ha ancora fatto in modo tale da cancellare ogni dubbio e, forse, non lo potrà fare mai. Comunque ciò non toglierebbe nulla al messaggio biblico sull'origine dell'uomo. La Bibbia infatti non è un libro scientifico, ma religioso. Trasmette un messaggio di fede servendosi non di parole e neppure di dati scientifici moderni, ma del linguaggio popolare del tempo in cui fu scritta. Quale che sia l'origine dell'essere umano una cosa è sicura, perché rivelata dalla Parola di Dio: e cioè che nell'uomo c'è qualcosa che deriva direttamente dal Creatore, qualcosa per cui questo essere vivente è uomo e non animale. Questo qualcosa noi usiamo chiamarlo in vari modi: spirito, anima, principio vitale e via dicendo. Non bisogna giocare sulle parole, come fanno alcuni, ma badare al significato che ad esse noi diamo.

E' vero: la Bibbia chiama spesso anima anche il principio vitale degli animali e la stessa vita fisica dell'uomo per cui quest'anima viene presentata come materiale, mortale. Ma la Bibbia parla anche dello spirito che Dio ha messo nell'uomo, quello spirito che costituisce l'essenza fondamentale della persona umana, l'io incomunicabile ed irripetibile. Questa essenza, questo spirito - dice la Bibbia - è immortale, cioè non muore quando l'uomo muore e non morirà mai, in eterno. Già nell'Antico Testamento più e più volte la Bibbia afferma questa verità, ma è soprattutto nel Nuovo Testamento che essa viene presentata in tutta la sua realtà e pienezza. Al buon ladrone, crocifisso accanto a Lui, Gesù proclama: "Oggi tu sarai con me nel paradiso!" (Lc 23,43). Ora noi sappiamo che quell'uomo morì sulla croce accanto al Signore. Come avrebbe potuto essere con Gesù in Paradiso in quello stesso giorno se qualcosa di lui non fosse stato immortale?

Nell'Apocalisse si dice che 1e anime dei martiri in cielo reclamano giustizia da Dio" (Ap 6,9-11; Ap 20,4). Come potrebbero reclamare giustizia i martiri se le loro anime non fossero immortali e non vivessero in Cielo?

Ma restiamo pure nel Vangelo: Gesù parlando contro i Saducei che negavano la risurrezione, afferma che Abramo, Isacco e Giacobbe siedono a mensa nel Regno di Dio e così sono vivi: Dio, infatti, non è il Dio dei morti, ma dei viventi! Ora Abramo, Isacco e Giacobbe erano morti già da oltre mille e più anni e i loro corpi erano sepolti in luoghi ben conosciuti dove sono venerati ancor oggi. Come potevano essere vivi se non mediante le loro anime immortali o, se più vi piace, i loro spiriti immortali? (cfr Lc 20,27-40).

Appare evidente l'insegnamento della Scrittura: nell'uomo Dio infonde un qualche cosa (chiamatelo come volete!) che è spirituale e immortale; un qualche cosa che non muore quando l'essere umano muore, ma vive per sempre! In questo qualche cosa (che noi chiamiamo anima) sta l'essenza immortale della persona umana. Di fronte a questa realtà che la Bibbia ci rivela con tutta la sua autorità di Parola di Dio, ma che la stessa ragione umana ci fa conoscere in tanti modi (pensiamo al culto dei morti presso tutti i popoli, pensiamo ai moderni spiritisti, pensiamo alle varie filosofie antiche e recenti) di fronte a queste realtà dico ecco stagliarsene un'altra che noi esamineremo più avanti; la realtà dell'aldilà, del Paradiso e dell'Inferno.

 Non possiamo però tralasciare due richiami:
 
1) Il primo riguarda la riconoscenza che dobbiamo a Dio Creatore. Quando io sono stato concepito non c'erano soltanto mio padre e mia madre, ma c'era anche Lui a benedire quell'amore e a creare questo mio spirito umano che mi fa essere simile a Lui: intelligente, cosciente, libero, capace di amare e di essere felice. Devo essere riconoscente a Dio perché mi ha creato. Ecco perché, mattino e sera, dico: Mio Dio ti adoro e ti ringrazio di avermi creato.

2) Il secondo richiamo riguarda la preziosità di questo spirito immortale. Il mio corpo ritornerà alla polvere dalla quale fu tratto, ma la mia anima resterà per sempre. Allora che importa guadagnare il mondo intero se poi perdo la mia anima nella dannazione? Questo pensiero evangelico ha fatto nascere una moltitudine di santi. Luigi Gonzaga, ad esempio teneva sempre sul suo tavolo di studio un piccolo biglietto con questa frase: Quid hoc ad aeternitatem? Quello che sto facendo giova alla salvezza eterna della mia anima? E S. Bernardo amava ripetere: Quod aeternum non est, nihil est! Quel che non ha valore per l'eternità, non conta niente! Sembrano esagerazioni e tali sono se vengono prese fuori dal loro contesto. Esse però esprimono la sapienza dei santi, se assunte nella loro visione di vita cristiana piena e coerente. Di qui un richiamo per noi che così facilmente dimentichiamo le dimensioni ed i valori dello spirito per dare il primo posto alle cose materiali, agli affari terreni, alla vita di quaggiù. Un richiamo all'importanza che ha l'anima e alla sua preziosità, un'importanza e una preziosità tale che Dio stesso ha ritenuto di doverla salvare con la morte di suo Figlio Gesù. Certo, la salvezza del Signore è rivolta a tutto l'uomo e non solo alla sua anima. Tant'è vero che il corpo risorgerà. Ma è l'io umano, lo spirito immortale, il soggetto essenziale dell'opera salvifica del Signore!

 A questo punto permettetemi, cari amici, di farvi una domanda: qual è il posto che voi riservate alla vita spirituale nella vostra esistenza quotidiana? o, se volete, la cura per il bene della vostra anima è continua, viene prima di ogni altra cosa, è seria e profonda?

QUANDO VIENE CREATA L'ANIMA UMANA?

A proposito della creazione dell'anima umana da parte di Dio ci sono state delle discussioni in passato, nell'ambito dei teologi, sul quando e sul come Dio compirebbe questo creativo gesto d'amore. Oggi non ci sono più dubbi, anche perché la stessa scienza biologica ne facilita la risposta. La scienza evidentemente non può verificare la creazione dell'anima, come non può verificare la creazione del mondo: l'atto creativo di Dio non è oggetto d'indagine scientifica. Ma la scienza biologica o genetica può affermare con fermezza che sin dal momento del concepimento esiste nella cellula germinale una nuova individualità umana, con il suo codice genetico completo, cosicché quanto accade da quel momento sarà la realizzazione di quel codice, agendo non dal di fuori, ma dal di dentro, per virtù propria. La cellula umana germinale si divide e si moltiplica in virtù di una forza propria, non in virtù di forze esterne. Possiede già una sua vitalità, distinta, anche se non separata dalla vitalità della madre.

Ne son controprova i discussi e discutibili esperimenti di fecondazione così detta in vitro, cioè in provetta. Se è vero che oggi esistono dei bambini così detti figli della provetta, cioè sviluppati in laboratorio e non nel seno materno, ciò significa che nella cellula germinale c'è già tutto quello che occorre perché nasca un vero uomo. Ebbene la fede ritiene -che fin da quel momento sia presente anche l'anima creata direttamente da Dio, quindi che quell'essere sia una vera persona, anche se ancora fisicamente imperfetta.

 Ne viene di conseguenza che nessuna Legge umana può cambiare questa realtà! Quindi ogni attentato volontario contro la vita dell'embrione umano è un attentato contro la vita dell'uomo.

L'aborto procurato perciò è un vero e proprio omicidio, checché ne dicano le leggi degli uomini. Esso cade sotto l'imperativo del quinto comandamento che dice: Non uccidere!

Oggi il problema è di gravissima attualità, ma non è questo il luogo per trattarlo in tutti i suoi aspetti; a me basta questo richiamo fondato sui dati della scienza e sulla Parola del Signore. Quali che siano i motivi portati dagli abortisti, quali che siano le sentenze della Corte Costituzionale, quali che siano le leggi dello Stato, c'è una realtà che nessuno può negare né con dati scientifici né con dati di fede ed è che fin dal concepimento l'uomo è uomo e quindi deve avere la pienezza dei suoi diritti, primo fra tutti quello di vivere! Di conseguenza la soppressione dell'embrione è soppressione di un uomo vero e proprio e perciò un omicidio, una violenza indegna e malvagia esercitata su di una creatura innocente. I giochetti di parole possono ingannare gli sprovveduti, ma basta un minimo di riflessione per capire la verità. Uccidere un uomo piccolo o grande, perfetto o non perfetto, in stato embrionale o nella più tarda vecchiaia è e rimane, nonostante tutte le varie elucubrazioni politiche e giuridiche, un omicidio e quindi un gravissimo peccato contro la vita e contro Dio!

La nostra fede nella spiritualità e nell'immortalità dell'anima, si deve dunque tradurre concretamente nel rispetto per la vita dell'uomo. Non solo per la vita nascente (di cui abbiamo parlato ora), ma anche per tutta la vita e non solo per la vita terrena, ma anche e soprattutto per la vita eterna. Infatti se l'anima dell'uomo è spirituale e immortale, egli non ha bisogno soltanto di cibo, di cure mediche, di lavoro, ma ha pure bisogno di coltivare la sua spiritualità nella libertà, ha bisogno di essere rispettato in tutta la sua personalità e aiutato a salvarsi per l'eternità.

Perciò si mettono contro il Creatore tutti coloro che in un modo o nell'altro attentano alla vita corporale dell'uomo: gli omicidi, i violenti, i terroristi, i rapitori di uomini, gli oppressori di qualsiasi genere, gli stessi governi che, attraverso leggi ingiuste ed inique, attentano alla libertà e ai diritti dell'uomo. Ma anche quanti attentano alla vita spirituale e religiosa quali: gli scandalosi, i seminatori di odio contro Dio e la sua Chiesa, quelli che mediante la pornografia e la propaganda più schifosa plagiano ed opprimono lo spirito specialmente dei bambini e dei giovani, quelli che spacciano la droga e via dicendo. La Bibbia contiene moltissime maledizioni contro costoro perché offendono Dio uccidendo, corporalmente o spiritualmente, l'uomo. Mi basta citare quanto scrive l'apostolo Paolo nella Prima Lettera a Timoteo: `Ea. legge è contro coloro che agiscono male e cioè: per i ribelli e i delinquenti, per i malvagi e i peccatori, per quelli che non rispettano Dio e quel che è scritto, per gli assassini e per quelli che uccidono il padre o la madre; per le persone immorali e i maniaci sessuali, per i rapitori di uomini, per i bugiardi e gli spergiuri..." (1Tim 1,9-10).

Al contrario la Bibbia è piena di lodi e di benedizioni per quanti si dedicano all'uomo e alla sua salvezza, sia che si tratti di quella corporale (con le opere di misericordia corporale) sia che si tratti di quella spirituale (con le opere di misericordia spirituale). Salvare l'anima di un fratello - dice la Bibbia - equivale a salvare la propria anima, così come aiutare un fratello in una necessità corporale, significa dare al Signore.

 La fede nel Creatore dell'uomo si vive nella carità verso l'uomo, perché una fede senza opere è una fede morta!

LA MADONNA E LE ANIME

A volte ci si chiede, anche da parte di persone credenti e praticanti, il perché di tanti interventi di Maria (alcuni veri altri presunti altri infine certamente falsi) in questi nostri tempi. Se noi, con umiltà e fede, ascoltiamo i messaggi della Madonna vi scopriamo sempre un'ansia materna per la salvezza e la santificazione delle anime. Maria viene soprattutto per aiutarci a salvare le anime, la nostra e quella dei nostri fratelli. Le sue parole non portano nuove rivelazioni, ma indirizzano a Gesù, unico nostro Salvatore e c'invitano a prenderci cura delle anime mediante la conversione, la preghiera e la penitenza. Certo, quale buona madre, Ella si occupa anche di altre realtà che ci toccano da vicino mentre siamo pellegrini su questa terra (come la malattia, la guerra, le divisioni fraterne e via dicendo), ma è preminente il suo interesse per la salvezza eterna e la vita spirituale delle anime. E a questo proposito chiede la nostra collaborazione: "Pregate per i peccatori!" chiede a Lourdes. "Pregate e fate penitenza per le anime dei poveri peccatori: Molti di essi vanno all'inferno perché non c'è nessuno che preghi e faccia penitenza per loro!" dice ai pastorelli di Fatima.

 La Madonna sa quanto siano preziose le nostre anime. Per questo, spinta dal suo amore materno e mandata dall'Amore Infinito di Dio, viene sulla terra per richiamarci questa preziosità e per aiutarci a santificare e a salvare quello spirito immortale che Dio ci ha donato nel giorno del nostro concepimento in vista della vita eterna.

CONTEMPLAZIONE

Oggi la tua contemplazione è affidata ad un Salmo nel quale si esprime la fiducia in Dio. L'anima si innalza fino a Lui e gli si abbandona nelle mani, come un bambino tra le braccia della mamma.

A Te, Signore, elevo l'anima mia.

Dio mio, in te confido: non sia confuso! Non trionfino su di me i miei nemici!

Chiunque spera in te non resti deluso, sia confuso chi tradisce per un nulla.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato.

Ricordati, Signore, del tuo amore, della. tua fedeltà che è da sempre.

Non ricordare i peccati della mia giovinezza: ricordati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore, la via. giusta addita ai peccatori; guida gli umili secondo giustizia, insegna ai poveri le sue vie. Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.

Per il tuo nome, Signore, perdona il mio peccato anche se grande.

Chi è l'uomo che teme Dio? Gli indica il cammino da seguire. Egli vivrà nella ricchezza, la sua discendenza possederà la terra.

Il Signore si rivela a chi lo teme, gli fa conoscere la sua alleanza.

Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede.

Volgiti a me e abbi misericordia, perché sono solo ed infelice. Allevia le angosce del mio cuore, liberami dagli affanni.

Vedi la mia miseria e la mia pena e perdona tutti i miei peccati.

Guarda i miei nemici: sono molti e mi detestano con odio violento.

Proteggimi, dammi salvezza: al tuo riparo io non sia deluso. Mi proteggano integrità e rettitudine, perché in te ho sperato. 0 Dio, libera Israele da tutte le sue angosce.

martedì 26 luglio 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XXXVI

 Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. L'appuntamento odierno ci inoltra nell'ultima parte dell'esortazione apostolica, dedicata all'intervento della Chiesa a sostegno della famiglia. In particolare, oggi leggiamo la regola generale che deve guidare l'azione della Chiesa nei confronti della famiglia: quest'ultima deve essere seguita soprattutto nei momenti iniziali per poi snodarsi lungo il cammino successivo che sarà ovviamente costellato da periodi belli, ma anche da periodi difficili. Ciò che conta è mostrare la dimensione spirituale dell'unione coniugale e mostrare la presenza di Cristo all'interno della chiesa domestica: solo in questo modo la famiglia potrà svilupparsi sui binari della fede, riuscendo anche a porsi come primo strumento di evangelizzazione: 

PARTE QUARTA

LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI 

I. I tempi della pastorale familiare

La Chiesa accompagna la famiglia cristiana nel suo cammino

65. Come ogni realtà vivente, anche la famiglia è chiamata a svilupparsi e a crescere. Dopo la preparazione del fidanzamento e la celebrazione sacramentale del matrimonio, la coppia inizia il cammino quotidiano verso la progressiva attuazione dei valori e dei doveri del matrimonio stesso.

Alla luce della fede e in virtù della speranza, anche la famiglia cristiana partecipa, in comunione con la Chiesa, all'esperienza del pellegrinaggio terreno verso la piena rivelazione e realizzazione del Regno di Dio.

Perciò è da sottolineare una volta di più l'urgenza dell'intervento pastorale della Chiesa a sostegno della famiglia. Bisogna fare ogni sforzo perché la pastorale della famiglia si affermi e si sviluppi, dedicandosi a un settore veramente prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione, in futuro, dipende in gran parte dalla Chiesa domestica (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso alla III Assemblea Generale dei Vescovi dell'America Latina, IV, a [28 Gennaio 1979]: AAS 71 [1979] 204).

La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l'insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal «principio» e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice.

L'azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo a passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo.

lunedì 25 luglio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Venticinquesimo appuntamento

 Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Oggi vediamo come il rapporto intimo tra Gesù e Suor Faustina si rinsaldi con quest'ultima che acquisisce nuova consapevolezza e forza nell'affrontare le difficoltà del suo cammino: 

+ VIGILIA DI NATALE.

Oggi mi sono unita strettamente alla Madonna; ho vissuto i Suoi momenti intimi. Verso sera, prima che fosse spezzato l'« oplatek », sono entrata in cappella per scambiarlo spiritualmente con le persone care ed ho pregato la Madonna perché conceda loro le grazie. Il mio spirito era immerso totalmente in Dio. Durante la S. Messa di mezzanotte nell'Ostia ho visto Gesù Bambino; il mio spirito si è immerso in Lui. Benché fosse un bambinetto, la Sua maestà è penetrata nella mia anima. Mi ha colpita profondamente questo mistero: questo grande umiliarsi di Dio; questo Suo inconcepibile annientamento. Per tutta la durata delle festività questo mi è rimasto vivamente impresso nell'anima. Oh! noi non riusciremo mai a comprendere questo grande abbassarsi di Dio! Quanto più medito su questo... [Qui la frase è rimasta interrotta]. Una mattina, dopo la S. Comunione, udii questa voce: « Voglio che tu Mi faccia compagnia, quando vado dalle ammalate ». Risposi che ero d'accordo, ma dopo aver riflettuto un momento, dissi fra di me: « Come posso farlo, dato che le suore del secondo coro non vanno mai a far compagnia al Santissimo Sacramento, ma ci vanno sempre le suore Direttrici? ». Pensai però che Gesù avrebbe provveduto. Dopo pochi minuti venne a cercarmi Madre Raffaella e mi disse: « Lei, Sorella, andrà ad accompagnare Gesù, quando il Sacerdote va dalle ammalate ». E per tutto il tempo della probazione andai sempre, con la candela, a far compagnia al Signore e, in qualità di cavaliere di Gesù, procurai di cingermi sempre con una piccola cintura di ferro, dato che non sarebbe stato indicato andare vestita come al solito a fianco del Re. E quella mortificazione l'offrii per gli ammalati.

+ L'Ora Santa. Durante quest'ora cercai di meditare la Passione del Signore. Tuttavia la mia anima era colma di gioia ed all'improvviso vidi Gesù Bambino. Ma la Sua maestà penetrò in me e dissi: « Gesù, Tu sei così piccolo, ma io so che Tu sei il mio Creatore e Signore ». E Gesù mi rispose: « Lo sono, e perciò ho rapporti d'intimità con te come un Bambino, per insegnarti l'umiltà e la semplicità ». Tutte le sofferenze e le difficoltà le offrivo a Gesù come un omaggio floreale per il nostro giorno dello sposalizio perpetuo. Nulla mi era difficile, quando pensavo che lo facevo per il mio Sposo, come dimostrazione d'amore per Lui.

+ il mio raccoglimento con Gesù. Cercavo di mantenere un profondo raccoglimento per amore di Gesù. In mezzo al più grande frastuono, Gesù mi trovava sempre raccolta nel mio cuore, sebbene ciò talvolta mi costasse molto. Ma per Gesù cosa mai può essere troppo grande, per Colui che amo con tutte le forze della mia anima?

+ Oggi Gesù mi ha detto: « Desidero che tu conosca più a fondo l'amore di cui arde il Mio Cuore verso le anime e lo comprenderai quando mediterai la Mia Passione. Invoca la Mia Misericordia per i peccatori; desidero la loro salvezza. Quando reciterai questa preghiera con cuore pentito e con fede per qualche peccatore, gli concederò la grazia della conversione ». La breve preghiera è la seguente: « O Sangue e Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù come sorgente di Misericordia per noi, confido in Te ».

Negli ultimi giorni di carnevale, quando facevo l'ora santa, vidi Gesù mentre veniva flagellato. Che supplizio inimmaginabile! Come soffrì tremendamente Gesù per la flagellazione! O poveri peccatori, come v'incontrerete nel giorno del giudizio con quel Gesù, che ora torturate a quel modo? Il Suo Sangue colava per terra e in alcuni punti cominciava a staccarsi anche la carne. Sulla schiena ho visto alcune Sue ossa scarnificate. Gesù mite emetteva flebili lamenti e sospiri. Una volta Gesù mi fece conoscere quanto Gli è cara l'anima che osserva fedelmente la regola. L'anima ottiene maggior ricompensa per l'osservanza della regola che per le penitenze e le grandi mortificazioni. Se esse sono state intraprese al di fuori dell'ambito della regola, ricevono anch'esse la loro ricompensa, ma non superiore a quella della regola. Durante un'adorazione il Signore mi chiese di offrirmi come vittima per una sofferenza, che doveva servire di riparazione nella causa di Dio, non solo in generale per i peccati del mondo, ma in particolare per le mancanze commesse in questa casa. Dissi subito che andava bene, che ero pronta. Gesù però mi fece conoscere quello che dovevo soffrire e in un momento mi si presentarono e passarono man mano davanti agli occhi dell'anima tutti i patimenti. Prima di tutto le mie intenzioni non sarebbero state riconosciute, poi sospetti vari e diffidenze, umiliazioni e contrarietà di vario genere; ma non sto ad elencare tutto. Davanti agli occhi della mia anima si presentarono tutte, come una cupa tempesta, dalla quale da un momento all'altro debbono cominciare a sprigionarsi i fulmini. Attendono solo il mio consenso. Per un momento la mia natura rimase spaventata. Ad un tratto suonò la campanella per il pranzo. Uscii dalla cappella tremante ed indecisa. Ma quel sacrificio mi stava continuamente davanti agli occhi, dato che non mi ero decisa né ad accettano, né avevo detto di no al Signore. Volevo rimettermi alla Sua volontà. Se il Signore stesso me lo assegnava, ero pronta ad accettarlo. Ma il Signore fece capire che ero io a dover essere spontaneamente d'accordo ed accettano pienamente consapevole, poiché diversamente in questo caso non avrebbe avuto alcun significato. Tutto il suo valore consisteva nel mio atto volontario di fronte a Lui. Ma nello stesso tempo il Signore mi fece conoscere che dipendeva da me: potevo farlo, ma potevo anche non farlo. Ed allora risposi: « Gesù, accetto tutto, qualunque cosa Tu voglia mandarmi; confido nella Tua bontà ». In un attimo mi resi conto che con quell'atto avevo reso un grande onore a Dio. Però mi armai di pazienza. Appena uscii dalla cappella mi imbattei subito nella realtà. Non intendo scendere nei particolari; basta dire che ce ne fu quanto ne potei sopportare. Una goccia di più e non ce l'avrei fatta.

domenica 24 luglio 2011

Perché viviamo e per chi?

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci mostra il Regno dei Cieli mediante una serie di congrue metafore, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Se c'è una cosa insopportabile nella vita, almeno per chi senta la necessità e l'amore per la verità, è il non riuscire a capire perché si vive o, se vogliamo, per chi si vive.
Guardando tante persone, che vivono accanto a noi o che incontriamo, scorgiamo come dipinto sul loro volto - se si ha un buon senso di osservazione - un certo smarrimento, che viene appunto dal non capire il senso della loro vita e quindi la pista da seguire.
Fanno pietà quanti cercano di soffocare questo disagio, questa domanda del perché e del per chi si vive, abbandonandosi alle creature, che sono quelle che valgono.
Se sul momento può affascinarci la bellezza del corpo, sappiamo che inesorabilmente viene la decadenza. Se ci affidiamo a creature-oggetto, come il denaro, o ancora peggio la ricerca del protagonismo, la celebrità, sappiamo, o dovremmo sapere, che tutto questo svanisce, non solo, ma tante volte, quando siamo soli con noi stessi, sorge una smorfia, di fronte all'evidente finzione della vita, che tutto ciò è, svanendo come la luce delle lucciole.
L'uomo - se siamo onesti, e dovremmo esserlo, per il dono della saggezza che Dio ci ha donato trova la sua definizione nell'osservare e riconoscere la sua origine.
Torna alla mente il giorno in cui il Padre ci trasse dal nulla e - come esprime la Bibbia simbolicamente, ma in modo tanto efficace - 'con un poco di fango' ci donò non solo la dignità di uomini, quali siamo, ma è andato oltre, facendoci 'simili a Sé', destinandoci alla vita felice con Lui, per l'eternità.
A volte ci pare impossibile che Dio, nella Sua infinita grandezza, ci abbia amato così tanto, da giungere poi a sacrificare Suo Figlio per riaverci in cielo, come aveva pensato fin dalla creazione. Davvero a volte viene da chiedersi: ma chi sono io, che a volte mi apprezzo fuori luogo ed altre mi disprezzo, eppure sono tanto amato da Dio? Ma chi siamo? Possibile che Dio si abbassi tanto per comunicarci amore? E come non commuoverci sapendo che, anche se per ignoranza o cattiveria a volte preferiamo altro, Lui non smette di amarci, fino al punto che se, dopo aver sbagliato, ci pentiamo, è pronto a gettarci le braccia al collo?
Viene in soccorso a tante nostre domande quanto si chiede il Salmista:
"O Signore, quanto è grande il tuo Nome su tutta la terra!
Se guardo il cielo,. opera delle tue dita, la luna e le stelle che vi hai posto,
chi è mai l'uomo, o Dio, perché ti ricordi di lui? Chi è mai perché tu ne abbia cura? L'hai fatto di poco inferiore a un Dio, coronato di forza ed onore,
signore dell'opera delle tue mani. Tutto hai messo sotto il suo dominio.
O Signore, nostro Dio, grande è il tuo Nome su tutta la terra". (Salmo 8)
Dio certamente non fissa il suo sguardo sulle apparenze momentanee, di cui ci fregiamo, ma va oltre, guarda il cuore, per cui il Padre sa riempire di amore tutti, anche e soprattutto quelli che hanno poco, ma Gli fanno spazio: coloro che sanno rendersi conto che senza di Lui la vita è vuota.
Una domanda che si fa soprattutto ai piccoli e agli adolescenti è: 'Cosa credi che sia il bello della vita? In che modo ti impegneresti per averlo e che cosa vale la pena di 'sacrificare' per averlo?'. Sappiamo tutti che tante volte l'educazione dei piccoli e degli adolescenti mira a tutto ciò che è futile nel mondo e nella vita: dal successo, alla notorietà, alla ricchezza. Basta vedere l'assurdo interesse per attrici o attori, che si mostrano in video, con scene di incredibile adulazione, voglia di essere come loro, anche se dovremmo sapere quanto vuoto, spesso vi è dietro a tanto luccichio, e quanto possa durare poco: basta nulla e tutto svanisce...
Dovremmo tutti tornare a scoprire il grande valore della vita, di chi siamo, pensando appunto che, essendo 'fatti ad immagine di Dio', siamo chiamati a vivere con Lui e per Lui, e che ciò che vale in questa breve parentesi della vita quaggiù è spenderla per essere degni di poterlo incontrare.
C'è una bella lettura oggi, nel libro dei Re, molto istruttiva al riguardo:
"Il Signore apparve a Salomone in sogno, durante la notte e gli disse: 'Chiedimi ciò che io devo concederti. E Salomone disse: 'Signore Dio, che hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo, non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare o contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?"
Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare.
Dio gli disse: 'Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, io faccio come tu hai detto. Ecco ti concedo un cuore saggio e intelligente. Come te non ci fu alcuno prima di te, né sorgerà dopo di te" (1 Re 3,5-7-12)
Una testimonianza, quella di Salomone, che resta una grande lezione di vita per tutti.
Se esaminiamo quello che noi, a volte, chiediamo a Dio, forse possiamo trovare grandi differenze dalla richiesta di Salomone!
Gesù, nel Vangelo, come a ricalcare le parole di Salomone, torna sulla necessità di dare il primo posto alla ricerca quotidiana del Regno, che è poi il solo grande Bene, immenso Bene, che dà il vero senso alla vita, davanti a cui, tante volte, ciò che cerchiamo si rivela per quello che è: dannose sciocchezze.
Gesù torna ad invitarci a guardare al vero tesoro della vita: la santità.
"Gesù disse alla folla: 'Il Regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Il Regno dei cieli è simile anche ad una rete gettata in mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?'. Gli risposero: 'Sì'. (Mt. 13,44-52)
E verrebbe la voglia di chiederci: e noi lo abbiamo capito? Sono queste le linee guida della nostra vita?
Non dovremmo mai dimenticare quello che siamo: uomini e donne usciti dal Cuore del Padre, che ci ama e desidera una cosa sola: che viviamo a Sua immagine!
Difficile, forse, oggi, in un mondo che rincorre altri idoli, ma necessario, se davvero vogliamo dare alla nostra vita la giusta direzione.
Cerchiamo di seguire le sagge parole di quel grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, che a proposito di santità diceva:
"Basta un semplice pensiero di amor proprio a mandare in rovina per sempre un'infinità di spiriti nobilissimi. Una debolezza di Eva, nel lasciarsi incantare dal serpente, fu l'occasione di tutti i mali dell'umanità. Quale lezione!
Se è vero che, se ad ogni piccolo atto virtuoso corrisponde un cumulo di grazie, deve essere vero altresì che il trascurare anche per un poco questi atti, può essere il principio della mancanza di tante grazie, senza di cui io non posso fare nulla. Non è questione di maggiore o minore degnazione o benevolenza da parte di Dio, ma è questione di corrispondenza da parte dell'uomo.
Le grazie sono sempre pronte, sono le nostre mancanze che ne impediscono l'applicazione. Ricordiamoci: la santità dei santi non è fondata sopra fatti strepitosi, ma sopra piccole cose che forse all'occhio del mondo sembrano inezie".
Quanta saggezza e semplicità in queste parole. Le stesse virtù che abbiamo potuto tutti ammirare nel Suo pontificato.
Non resta che chiedere a Maria SS.ma quello che chiedeva S. Francesco di Sales:
"Per l'amore e per la gloria del Tuo Figlio divino, accettami come tuo figlio, senza considerare i miei peccati e le mie miserie.
Libera l'anima mia e il mio corpo da ogni male, donami tutte le virtù.
Infine arricchiscimi di tutti i beni e di tutte le grazie, che fanno lieta la SS.ma Trinità".

sabato 23 luglio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Trentatreesima parte

 Continuiamo la lettura della storia di San Francesco d'Assisi: leggiamo le testimonianze successive al momento in cui gli occhi del beato Francesco si chiusero e vediamo come vi erano sentimenti contrastanti nel popolo: da un lato il dolore per la perdita di un sì caro padre e dall'altra la gioia perché vedevano i segni dell'Altissimo che comprovano non solo il calvario patito da quel piccolo servo di Dio, ma anche la gloria che cominciava ad intravedersi sul suo viso: 

CAPITOLO NONO

PIANTO E GAUDIO DEI FRATI, CHE AMMIRANO IN LUI I SEGNI DELLA CROCIFISSIONE.

LE ALI DEL SERAFINO

112. Ed ecco, la gente accorre in massa, e glorifica Dio, dicendo: «Lodato e benedetto sii tu, Signore, nostro Dio, che a noi indegni hai affidato questo prezioso deposito. Lode e gloria a Te, Trinità ineffabile!». A frotte accorre tutto il popolo d'Assisi e dei dintorni, per vedere i prodigi divini, che il Signore di maestà aveva manifestato nel santo suo servo. Ciascuno innalzava un inno di giubilo, come il cuore gli dettava, tutti poi benedicevano l'onnipotenza del Salvatore, che aveva esaudito il loro desiderio ~ Ma i figli si dolevano d'essere stati privati di un tale padre e sfogavano il loro dolore con lacrime e sospiri.

Pure, una gioia misteriosa temperava la loro mestizia e la novità del miracolo riempiva le loro menti di straordinario stupore. Così il lutto si cambiò in cantico e il pianto in giubilo. Infatti mai avevano udito né letto quello che ora vedevano con i loro occhi, e a stento ci avrebbero creduto se non ne avessero avuto davanti una prova così evidente. Veramente in Francesco appariva l'immagine della croce e della Passione dell'Agnello immacolato che lavò i peccati del mondo: sembrava appena deposto dal patibolo, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il lato destro ferito dalla lancia. Vedevano ancora la sua carne, che prima era bruna, risplendere ora di un bel candore, una bellezza sovrumana, che comprovava in lui il premio della beata resurrezione. Ammiravano infine il suo volto simile a quello di un angelo, quasi fosse vivo e non morto, e_le altre sue membra divenute morbide e flessibili come quelle di un bimbo. Niente contrazione dei nervi, indurimento della pelle, irrigidimento del corpo, come suole accadere per chi è morto, ma la stessa mobilità di movimenti degli esseri viventi!

113. Mentre risplendeva davanti a tutti per si meravigliosa bellezza e la sua carne si faceva più diafana, era meraviglioso scorgere al centro delle mani e dei piedi, non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro e il costato imporporato di sangue. E quelle stimmate di martirio non incutevano timore a nessuno, bensì conferivano decoro e ornamento, come pietruzze nere in un pavimento candido.

I suoi frati e figli accorrevano solleciti e piangendo baciavano le mani e i piedi del padre amoroso che li aveva lasciati, ed anche quel lato destro sanguinante, ricordo di Colui che versando sangue e acqua dal suo petto aveva riconciliato il mondo con il Padre. Ognuno dei fedeli stimava grandissimo privilegio se riusciva, non dico a baciare ma anche solo a vedere le sacre stimmate di Cristo che Francesco portava impresse nel suo corpo. Chi a tal vista non avrebbe gioito più che pianto, versato lacrime di gaudio piuttosto che di tristezza? Qual cuore di ferro o di pietra avrebbe resistito all'emozione, non si sarebbe aperto all'amore di Dio, non si sarebbe munito di buona volontà? Chi poteva essere così insensibile o cieco da non comprendere in maniera lampante che quel Santo, che era insignito sulla terra di così eccezionale grazia divina, doveva essere pure in cielo contrassegnato da indicibile gloria?

114. O dono davvero speciale e testimonianza di predilezione, che il soldato sia onorato con quelle stesse armi gloriose che si addicono al solo re! O prodigio degno di memoria eterna, o sacramento meraviglioso, degno di perenne e devoto rispetto, poiché esso rappresenta in maniera visibile alla nostra fede l'ineffabile mistero per il quale il sangue dell'Agnello immacolato, sgorgando a fiumi da cinque ferite, lavò i peccati del mondo! O eccelso splendore di quella croce che è fonte di vita e dà la vita ai morti e il suo peso preme così soavemente e punge con tale dolcezza che in essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! Quanto ti ha amato Francesco, se tu l'hai così mirabilmente decorato!

Sia benedetto e glorificato Dio, unico e sapiente, che rinnova i suoi miracoli per confortare i deboli e mediante le meraviglie visibili conquistare gli animi all'amore di quelle invisibili! O meravigliosa e amorosa disposizione divina, che per fugare ogni dubbio sulla novità del prodigio, ha compiuto prima con infinita misericordia in Colui che venne dal cielo quello che poi avrebbe realizzato nell'uomo della terra! E veramente il padre della misericordia ha voluto mostrare di qual premio sia degno colui che si sarà impegnato ad amarlo con tutto il cuore: essere cioè accolto tra le schiere più elette e vicine a Dio, quelle degli angeli. Quel premio anche noi, senza alcun dubbio, potremo raggiungerlo se, come il Serafino, terremo due ali diritte sopra il capo, se cioè, sull'esempio del beato Francesco, conserveremo in ogni opera buona purezza d'intenzione e rettitudine d'azione, così di rivolgerle a Dio, impegnandoci senza stanchezza a seguire in tutto il suo volere. E necessario che queste ali siano congiunte, coprendo il capo, poiché il Padre dei lumi non gradirebbe l'opera buona, se non fosse unita alla purezza d'intenzione. Ha detto infatti il Signore: Se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è torbido, il tuo corpo sarà nelle tenebre. Occhio semplice poi non è quello che non vede ciò che va visto, per mancanza di conoscenza della virtù, e neppure quello che vede ciò che non va veduto, perché non ha intenzione pura. E chiaro infatti che nel primo caso non sarebbe semplice, ma cieco, e nel secondo è malvagio. E le penne di queste ali indicano l'amore di Dio Padre misericordioso che salva e il timore di Cristo, giusto giudice; due disposizioni queste che devono staccare le anime degli eletti dalle cose terrene, reprimendo le cattive tendenze e suscitando casti sentimenti. Il secondo paio di ali simboleggia il duplice precetto della carità verso il prossimo: confortare l'anima con la parola di Dio e aiutare il corpo con i mezzi materiali. Difficilmente esse si congiungono, perché assai di rado un'unica persona puo attendere ai due compiti; le loro penne rappresentano le diverse opere per svolgere la funzione di consiglio e soccorso al prossimo. le ultime due ali devono coprire il corpo ogni volta che questo, denudato a causa del peccato, viene di nuovo rivestito dell'innocenza mediante il pentimento e la confessione. Le loro penne raffigurano tutti i buoni affetti e desideri suscitati nell'anima dalla detestazione delle colpe e dal desiderio di giustizia.

115. Tutto questo realizzò a perfezione il beato padre Francesco, che ebbe figura e forma di Serafino e, perseverando a vivere crocifisso, meritò di volare all'altezza degli spiriti celesti. E veramente non si staccò mai dalla croce, perché non si sottrasse mai a nessuna fatica e sofferenza, pur di realizzare in sé e di sé la volontà del Signore.

I frati che vissero con lui, inoltre, sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. La bocca per l'abbondanza dei santi effetti del cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva a pranzo, sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale e, come si legge di un santo152, «guardando, non vedeva e ascoltando non udiva». C'è di più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù. Proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo crocifisso, perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che egli aveva la grazia di contemplare, durante l'estasi, nella gloria indicibile e incomprensibile, seduto alla «destra del Padre», con il quale l'egualmente altissimo Figlio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!

venerdì 22 luglio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quarantasettesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Oggi riprendiamo il cammino di meditazione della Lettera ai Galati con un nuovo passo che continuiamo a meditare insieme a Sant'Agostino d'Ippona: 

 Capitolo 4

 1Ecco, io faccio un altro esempio: per tutto il tempo che l'erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; 2ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. 3Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. 4Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, 5per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. 6E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! 7Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

8Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; 9ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? 10Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni! 11Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo.

12Siate come me, ve ne prego, poiché anch'io sono stato come voi, fratelli. Non mi avete offeso in nulla.13Sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo; 14e quella che nella mia carne era per voi una prova non l'avete disprezzata né respinta, ma al contrario mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.

15Dove sono dunque le vostre felicitazioni? Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli. 16Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità? 17Costoro si danno premura per voi, ma non onestamente; vogliono mettervi fuori, perché mostriate zelo per loro. 18È bello invece essere circondati di premure nel bene sempre e non solo quando io mi trovo presso di voi, 19figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi! 20Vorrei essere vicino a voi in questo momento e poter cambiare il tono della mia voce, perché non so cosa fare a vostro riguardo.

21Ditemi, voi che volete essere sotto la legge: non sentite forse cosa dice la legge? 22Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. 23Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. 24Ora, tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar 25- il Sinai è un monte dell'Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. 26Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre. 27Sta scritto infatti:

Rallègrati, sterile, che non partorisci,
grida nell'allegria tu che non conosci i dolori del parto,
perché molti sono i figli dell'abbandonata,
più di quelli della donna che ha marito.

28Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. 29E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. 30Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. 31Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera.

COMMENTO 

Ora io dico: L’erede finché è bambino non si differenzia in nulla dal servo, sebbene sia padrone di tutto, ma è sotto i tutori e gli amministratori fino al tempo stabilito dal padre. Così anche noi, finché siamo stati bambini, eravamo asserviti agli elementi del mondo. Si può indagare in che senso, stando alle parole di questa similitudine, siano stati sotto gli elementi del mondo i giudei, che avevano ricevuto la legge, la quale prescriveva loro di adorare l’unico Dio creatore del cielo e della terra. Il significato del presente brano potrebbe tuttavia essere un altro. E mi spiego. Antecedentemente l’Apostolo ha presentato la legge come un pedagogo 78 sotto il quale si trovava il popolo giudaico, ora parla di elementi del mondo come di tutori e amministratori, ai quali erano asserviti i pagani. In tal modo quel figlio ancora bambino, cioè il popolo che per l’unità della fede faceva parte dell’unica discendenza di Abramo, essendo adunato e di fra i giudei e di frammezzo alle genti, al tempo della sua infanzia era stato in parte sotto il pedagogo che è la legge (e questo per quella parte che era stata adunata dal giudaismo) e in parte sotto gli elementi del mondo ai quali aveva servito come a tutori e amministratori: cosa accaduta a quella parte che era stata adunata dal paganesimo. A questi ultimi l’Apostolo vede congiunta anche la sua persona, poiché non dice: Quando eravate bambini eravate sottoposti agli elementi del mondo, ma: Quando eravamo bambini eravamo asserviti agli elementi del mondo. Ed effettivamente l’espressione non vuol riferirsi ai giudei, dai quali Paolo traeva origine, ma, almeno in questo passo, ai pagani. Anche fra questi ultimi infatti egli poteva a buon diritto collocarsi in quanto era stato inviato ad evangelizzarli.

30. Dopo queste affermazioni precisa che, giunta la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio per liberare quell’erede che, quando era bambino era asservito in alcuni alla legge come a suo pedagogo, in altri invece agli elementi di questo mondo, che fungevano da tutori e amministratori. Dice: Dio mandò il suo Figlio fatto da donna. Scrivendo donna intende persona di sesso femminile, secondo il modo di esprimersi degli Ebrei. Così, quando a proposito di Eva si dice: La creò donna 79, non si intende " moglie ", cioè una che aveva avuto rapporti col marito. Stando infatti al libro, questi rapporti Eva li ebbe soltanto dopo che furono scacciati dal paradiso. Riguardo poi all’espressione: fu fatto, l’Apostolo la usa per indicare il Verbo che assunse la natura creata. In effetti quanti nascono da donna non allora nascono da Dio, ma è allora che Dio li crea in quanto li fa nascere, come avviene per tutte le creature. Aggiunge che fu fatto sotto la legge perché egli fu circonciso e venne presentata per lui l’offerta prescritta dalla legge 80. Né deve sorprendere che egli si sia sottoposto alle pratiche legali da cui avrebbe liberato coloro che dalle stesse erano tenuti in schiavitù. Non altrimenti egli volle accettare anche la morte per liberare quanti erano sottoposti alla mortalità. E continua: Affinché conseguiamo l’adozione a figli. Se parla di adozione è per farci capire la netta distinzione per la quale unico è il Figlio di Dio. Noi infatti siamo figli di Dio per un suo dono e una condiscendenza della sua misericordia; Cristo invece è Figlio per natura, essendo ciò che è il Padre. Dicendo poi: Conseguiamo di nuovo e non semplicemente " conseguiamo ", vuol indicare che tale privilegio noi l’avevamo perduto in Adamo, a causa del quale siamo diventati mortali. Quando dunque scrive: Per redimere coloro che erano sotto la legge, si riferisce alla liberazione di quel popolo che quand’era bambino era come uno schiavo affidato al pedagogo; e la frase è in connessione con l’altra ove si dice: Fatto sotto la legge. La successiva espressione invece: Affinché conseguiamo di nuovo l’adozione a figli, è in connessione con le parole: Fatto da donna. Otteniamo infatti l’adozione perché colui che era [Figlio] unico non disdegnò di rendersi partecipe della nostra natura nascendo da una donna. In tal modo egli non è solo l’Unigenito, condizione in cui non ha fratelli, ma anche il Primogenito tra molti fratelli 81. Due infatti sono le cose che aveva asserito: Fatto da donna, e: Fatto sotto la legge. Solo che nella risposta segue l’ordine inverso.

31. Al popolo ebraico congiunge adesso quel popolo che da bambino era stato schiavo sotto la cura di tutori e amministratori, era stato cioè servo degli elementi di questo mondo. Ora perché i pagani non pensassero di non essere figli non essendo stati sotto il pedagogo, dice: Poiché dunque siete figli, Dio ha immesso nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà, Padre! Pone due nomi affinché dal secondo sia interpretato il primo: infatti dicono la stessa cosa Abbà e Padre. Non è inutile, anzi è stilisticamente elegante, l’aver usato parole di due lingue diverse che significano la stessa cosa. Si allude con ciò alla universalità di quel popolo chiamato all’unica fede dal giudaismo e dalla gentilità; e pertanto la parola ebraica si riferisce ai giudei, quella greca ai pagani, mentre l’identico significato dei due termini denota l’unità nella stessa fede e nello stesso Spirito. Analogamente, nella Lettera ai Romani, là dove viene affrontato il problema affine della pace in Cristo fra giudei e pagani, scrive: Non avete ricevuto lo spirito della schiavitù per [ricadere] di nuovo nel timore, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione a figli, nel quale gridiamo: Abbà, Padre! 82 A buon diritto parte dalla presenza e dal dono dello Spirito Santo quando si propone di dimostrare ai pagani che appartengono all’eredità promessa. L’evangelizzazione dei gentili non ebbe luogo infatti se non dopo l’ascensione del Signore e la discesa dello Spirito Santo, mentre i giudei cominciarono ad abbracciare la fede quando il Figlio di Dio era ancora uomo mortale, come descrive il Vangelo. A quello stesso tempo risale, è vero, l’episodio della cananea, di cui il Signore loda la fede 83, e quello del centurione, del quale Cristo disse che non aveva trovato in Israele una fede pari alla sua 84; tuttavia, a parlare con proprietà è da dirsi che l’evangelizzazione dei giudei avvenne già in quel tempo, come si ricava con chiarezza dalle parole dello stesso nostro Signore quando, replicando alle suppliche della cananea, disse di non essere stato inviato se non alle pecore perdute della casa di Israele 85. Allo stesso modo, nell’inviare i discepoli, disse: Non allontanatevi per andare sulle strade dei gentili e non entrate nelle città dei Samaritani. In primo luogo andate dalle pecore perdute della casa d’Israele 86. Dei gentili viceversa parla il Signore come di " un altro ovile ", quando afferma: Ho altre pecore che non sono di questo ovile, aggiungendo però che anche quelle avrebbe radunate perché uno fosse il gregge e uno il pastore 87. Questo però quando sarebbe accaduto se non dopo la sua glorificazione? E in effetti dopo la sua resurrezione mandò i discepoli anche nel mondo pagano, obbligandoli peraltro a restare per un certo tempo a Gerusalemme, finché non avessero ricevuto lo Spirito Santo da lui promesso 88. Similmente l’Apostolo. Prima aveva scritto: Dio mandò il suo Figlio, fatto da donna, nato sotto la legge, per redimere coloro che erano sotto la legge, e così noi ricevessimo l’adozione a figli 89. Gli restava da provare che la stessa adozione a figli si sarebbe estesa anche ai pagani, che non erano sotto la legge; e proprio questo insegna ora sottolineando che il dono dello Spirito Santo è stato concesso a tutti. Non diversamente si comportò Pietro con i giudei che avevano accettato la fede quando dinanzi a loro dovette difendersi per aver battezzato il centurione Cornelio senza averlo fatto circoncidere. Disse che non aveva potuto negare il battesimo di acqua a persone che davano segni evidenti d’aver ricevuto lo Spirito Santo 90. Allo stesso irrefutabile argomento è ricorso antecedentemente anche Paolo, quando ha detto: Questo solo voglio sapere da voi: Lo Spirito Santo l’avete ricevuto praticando le opere della legge ovvero prestando ascolto alla [predicazione della] fede? 91 E poco dopo: Colui che vi dona lo Spirito e opera segni miracolosi in mezzo a voi, lo fa per le opere della legge o per l’ascolto prestato alla fede? 92 Non diversamente nel testo che stiamo trattando dice: Poiché siete figli di Dio, Dio ha riversato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo, e questo Spirito grida: Abbà, Padre!

32. Andando avanti mostra in maniera chiarissima che tutto questo vale anche per coloro che erano passati alla fede provenendo dal paganesimo; a loro infatti è indirizzata la Lettera. Egli scrive: Pertanto non esiste più il servo ma il figlio, richiamandosi alla mente quanto detto sopra, e cioè: L’erede, finché è bambino, non differisce in nulla dal servo. E prosegue: Se poi è figlio, è anche erede per Dio; per un dono cioè della misericordia di Dio, non per le promesse fatte ai Patriarchi, dai quali il pagano non traeva origine secondo la carne come i giudei. Era tuttavia anch’egli figlio di Abramo, di cui imitava la fede, meritandone il dono dalla misericordia del Signore. Dice ancora: Ma allora non conoscevate Dio e adoravate quegli dèi che per natura non sono Dio. Appare con certezza che non sta scrivendo ai giudei ma ai pagani, ed è per questo che non dice: " Abbiamo adorato ", ma: Adoravate. Se ne deduce con tutta probabilità che anche prima parlava dei gentili, quando affermava che erano sottoposti agli elementi del mondo e li servivano come tutori e amministratori 93. In effetti questi elementi per loro natura non sono certo delle divinità, né in cielo né in terra, dove [il pagano colloca] molti dèi e molti dominatori. Per noi al contrario non c’è che un unico Dio Padre, da cui derivano tutte le cose e noi siamo in lui, e unico è il Signore Gesù Cristo, ad opera del quale esistono tutte le cose e noi parimenti siamo per opera sua 94. Affermando che voi adoravate dèi che per natura non sono Dio mostra con efficacia che Dio per natura è il solo, vero Dio, e con questo nome si intende la Trinità da chiunque ha nel grembo del cuore integra e completamente sana la fede cattolica. Quanto agli altri che non sono dèi, antecedentemente li ha chiamati tutori e amministratori, perché non esiste nessuna creatura - e sono creature tanto gli esseri che rimasero nella verità, dando gloria a Dio, quanto quelli che non sono rimasti nella verità avendo cercato la gloria propria -, voglio dire che non c’è creatura la quale, volendo o nolendo, non sia al servizio della provvidenza divina; ma quanti con la volontà concordano con la provvidenza, compiono il bene; quanti invece non vogliono accordarsi con lei, in loro si compiono i decreti della giustizia. Se infatti gli angeli disertori insieme con il loro principe, il diavolo, non meritassero veramente il nome di tutori e amministratori incaricati dalla provvidenza divina, il Signore non avrebbe chiamato il diavolo " principe di questo mondo ", né l’Apostolo, usando della sua autorità si sarebbe servito di lui per ottenere l’emendamento di certi individui. Dice infatti in un altro testo: Li ho consegnati a satana perché imparino a non bestemmiare 95; e altrove aggiunge: Per la loro salvezza. Scrive testualmente: Io di persona, assente col corpo ma presente nello spirito, ho giudicato come se fossi presente colui che ha agito in questo modo. Riuniti e voi e il mio spirito nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, con la potestà del Signore nostro Gesù Cristo, [ho decretato] di consegnare quel tale in potere di satana per la rovina del corpo e così lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù 96. Viene da pensare a un magistrato agli ordini del legittimo imperatore: egli non può fare se non quello che è a lui permesso. Ugualmente i tutori e gli amministratori di questo mondo non possono fare se non quello che consente loro il Signore. A lui infatti nulla è nascosto, come invece succede all’uomo; né c’è qualcosa dov’egli sia meno potente, per cui i tutori e gli amministratori, che stanno sotto la sua giurisdizione, possano compiere, nelle cose a loro sottoposte, secondo il potere di ciascuno, alcunché senza il permesso di Dio e a sua insaputa. Non s’imputa comunque a loro ciò che viene compiuto per loro mezzo secondo un piano di giustizia, ma l’intenzione con cui essi lo compiono. Dio infatti non ha tolto alla creatura ragionevole la libera volontà, pur avendo riservato a se stesso il potere di ordinare con giustizia anche gli ingiusti. È questo un argomento che in altri libri abbiamo trattato spesso 97, con più ampiezza e in maniera più esauriente. I pagani possono dunque aver adorato il sole, la luna, le stelle, il cielo, la terra e altre creature simili o magari gli stessi demoni. È certo però che in ogni caso essi si trovavano sotto il potere di tutori e di amministratori.

33. Le espressioni che seguono vengono purtroppo a complicare la questione, che ormai consideravamo più o meno risolta. In tutta la Lettera infatti l’Apostolo fa vedere che la fede dei Galati non era messa in pericolo da altri se non da alcuni provenienti dalla circoncisione, i quali volevano ricondurli all’osservanza delle pratiche carnali della legge, quasi che in esse stesse la salvezza. In questo passo invece, unico in tutta la Lettera, sembra rivolgersi a persone che volevano tornare alle superstizioni del paganesimo. Scrive infatti: Ora invece che conoscete Dio, anzi siete da Dio conosciuti, come fate a tornare agli elementi deboli e miseri, cui volete assoggettarvi di nuovo come facevate in passato? Siccome egli non si rivolge ai circoncisi ma ai pagani, come appare da tutta la Lettera, dicendo: Voi tornate non intende certo affermare che volevano tornare alla circoncisione, che mai si erano praticata, ma agli elementi deboli e miseri cui - dice - volete assoggettarvi di nuovo come in passato. L’espressione bisogna per forza intenderla come riferita ai pagani, ai quali prima aveva detto: Ma allora, non conoscendo Dio, adoravate dèi che per natura non sono dèi 98. Qual è dunque la servitù sotto la quale essi vogliono tornare? A quale servitù si riferiscono le parole: Come fate a ritornare agli elementi deboli e miseri, cui volete assoggettarvi di nuovo come in passato?

34. Potrebbe sembrare che simile interpretazione sia maggiormente rafforzata dal seguito del discorso, dove si dice: Osservate i giorni, i mesi, gli anni e le stagioni. Temo di aver faticato inutilmente in mezzo a voi. È questo un errore molto diffuso tra i pagani, i quali nell’intraprendere delle attività o nel pronosticare gli eventi della vita o degli affari si attengono ai giorni, ai mesi, agli anni e alle stagioni segnati dagli astrologi e dai caldei. Tuttavia potrebbe anche non essere necessario prendere il testo come riferito ad errori del mondo pagano. Eviteremmo così la stranezza che Paolo si allontani improvvisamente e con leggerezza dal proseguire l’argomento che si era proposto e che sta sviluppando dall’inizio alla fine. Egli potrebbe continuare ancora la trattazione di quelle cose che in tutta la Lettera dimostra all’evidenza doversi evitare. In realtà anche i giudei osservavano servilmente i giorni, i mesi, gli anni e le stagioni quando si attenevano in maniera carnale all’osservanza del sabato, dei noviluni, del mese dei nuovi frutti e di ogni settimo anno, che chiamano " sabato dei sabati ". Tutte queste osservanze erano figura di realtà avvenire e, se rimasero anche dopo la venuta di Cristo, divennero come una superstizione per chi, ignorandone il senso che rivestivano, le osservava ritenendole apportatrici di salvezza. L’Apostolo insomma direbbe ai pagani: Cosa vi giova l’esservi liberati dalla schiavitù sotto la quale vi trovavate quando adoravate gli elementi del mondo se ad essi ora ritornate sedotti dai giudei? Costoro, non rendendosi conto del tempo della libertà che hanno conseguita, oltre alle opere della legge che valutano in maniera carnale sono per di più asserviti a prescrizioni d’ordine temporale come in passato lo eravate voi. Ma voi perché volete tornare all’antica schiavitù e osservare come loro i giorni, i mesi, gli anni e le stagioni, di cui foste schiavi prima di credere in Cristo? È noto infatti che l’andare del tempo è regolato dagli elementi di questo mondo, cioè dal cielo, dalla terra, dal moto e dall’ordine degli astri. Questi " elementi del mondo " li definisce " deboli " perché variano secondo un’apparenza inconsistente e instabile, " miseri " perché hanno bisogno della forma suprema e stabile impressa in loro dal Creatore, affinché siano così come sono.

35. Scelga il lettore l’interpretazione che preferisce, purché però si renda conto che osservare superstiziosamente questi elementi temporali comporta un così grave pericolo per l’anima che l’Apostolo si sente in dovere di aggiungere al nostro testo: Nei vostri riguardi ho come un timore di aver lavorato inutilmente in mezzo a voi. Sono parole che si leggono assai di frequente e alle quali si annette la massima autorità presso le Chiese del mondo intero; eppure le nostre assemblee sono piene di gente che si fa suggerire dagli astrologi i tempi per fare o non fare determinate cose. Questi tali non di rado arrivano al punto di venire da noi per darci suggerimenti affinché non iniziamo una costruzione o altre cose simili nei giorni che essi chiamano " egizi ". In realtà non sanno, poverini, nemmeno dove posano i piedi, come si suol dire. Ma ammettiamo pure che il nostro testo si debba intendere delle osservanze a cui superstiziosamente si attengono i giudei. Quale speranza possono mai avere quei meschini che, volendo fregiarsi del nome di cristiani, regolano la loro vita disordinata sulla base dei " lunari "? Come non ricordare che anche a voler computare dai Libri divini, dati da Dio al popolo ebraico ancora carnale, le fasi del tempo, leggendo il testo alla maniera dei giudei l’Apostolo concluderebbe: Ho timore, riguardo a voi, d’aver lavorato inutilmente in mezzo a voi. Eppure se si scopre che uno, magari catecumeno, osserva il sabato secondo il rituale giudaico, si fa baccano nella comunità. Ecco invece che tantissimi fra i battezzati, con estrema audacia vengono a dirci in faccia: È il due del mese, quindi non mi metto in viaggio. A stento e solo a poco a poco riusciamo a proibire pratiche come queste, e lo facciamo sorridendo per non farli arrabbiare, ma anche pieni di timore che restino sorpresi quasi che si trattasse di novità. Guai a noi, peccatori, che ci spaventiamo solo delle cose inattese e inaspettate, e non del male a cui siamo abituati, sebbene proprio per lavarci da tali peccati il Figlio di Dio abbia versato il suo sangue! Anche se si tratta di colpe gravi che chiudono inesorabilmente contro chi le commette il regno di Dio, a forza di vederle frequentemente siamo spinti a lasciar correre e a forza di lasciar correre oggi e domani si crea, almeno per alcune di esse, come una necessità di commetterle. E magari non succeda, Signore, che le commettiamo tutte, quelle colpe che non siamo riusciti ad impedire!