sabato 19 marzo 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Diciasettesima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi non ci son parole per descrivere quanto stiamo per leggere perchè è semplicemente straordinario l'esempio che scaturisce dalla persona del Beato Francesco. Leggere tutto questo ci fa davvero capire come grande sia il peccato in mezzo a noi e come siamo lontani da quella perfezione spirituale rappresentata dal poverello d'Assisi. Oggi noi siamo tolleranti con il peccato e con noi stessi mentre il Beato Francesco ci mostra che non bisogna assolutamente tollerare il peccato né tantomeno giustificarlo: speriamo che il suo esempio possa colpire anche noi, in quest'epoca così difficile e lontana da Dio:


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

LA VIGILANZA SUI SUOI FRATI. IL DISPREZZO DI SE STESSO. LA VERA UMILTÀ 

51. Il beatissimo uomo Francesco, ritornò corporalmente tra i suoi frati, dai quali, come si disse, non era mai stato assente con lo spirito. Santamente curioso di conoscere lo spirito dei suoi figli, sottoponeva a diligente esame la condotta di ognuno, non lasciando impunita nessuna colpa, se vi scopriva qualcosa, anche minima, di meno che retto. Badava prima ai difetti dell'animo, poi a quelli esterni, infine rimuoveva tutte le occasioni che di solito conducono al peccato.
Alla santa povertà riservava una cura tutta particolare e voleva che dominasse sempre da signora, tanto da non tollerare neppure il più piccolo utensile, appena s'accorgeva che si poteva farne a meno, temendo che vi si introducesse l'abitudine di confondere il necessario col superfluo. Era solito dire che è impossibile sovvenire alla necessità senza servire alla comodità. Raramente si cibava di vivande cotte, oppure le rendeva insipide con acqua fredda, o le cospargeva di cenere! Quante volte, mentre era pellegrino nel mondo a predicare il Vangelo, invitato a pranzo da grandi signori che lo veneravano con grande affetto, mangiava appena un po' di carne in ossequio alla parola evangelica di Cristo, fingendo di mangiare, faceva scivolare il resto nel grembo, mettendosi una mano alla bocca perchè nessuno s'accorgesse di quello che faceva! Ci s'immagini poi se prendeva del vino, dato che rifiutava persino l'acqua, quand'era assetato!
52. Ovunque fosse ospitato di notte, non voleva materassi o coperte sul suo giaciglio, ma la nuda terra raccoglieva il suo nudo corpo avvolto solo nella tonaca. Quando poi concedeva un po' di riposo al suo corpo fragile, spesso stava seduto e non disteso servendosi per guanciale di un legno odi una pietra. E quando lo prendeva desiderio di mangiare qualche cosa, come suole accadere a tutti, a stento si concedeva poi di mangiarla. Avendo un giorno mangiato un po' di pollo, perché infermo, riacquistate le energie per camminare, si recò ad Assisi. Giunto alla porta della città, pregò un confratello che era con lui di legargli una fune attorno al collo e di trascinarlo per tutte le vie della città come un ladro, gridando: «Guardate questo ghiottone, che a vostra insaputa si è rimpinzato da gaudente di carne di gallina!». A tale spettacolo molti, tra lacrime e sospiri, esclamavano: «Guai a noi miserabili che abbiamo vissuto tutta la vita solo per la carne, nutrendo il cuore e il corpo di lussuria e di crapule! ». E tutti compunti, erano guidati a miglior condotta da quell'esempio straordinario.

53. E tante altre cose simili a queste egli compiva per praticare l'umiltà nel modo più perfetto possibile, che insieme gli attiravano però amore imperituro presso gli altri. Era libero da ogni sollecitudine per il corpo, trattandolo come un vaso derelitto ed esponendolo alle ingiurie, sempre preoccupato di non lasciarsi vincere dal desiderio di alcuna cosa materiale per amore di lui. Vero spregiatore di se stesso, egli con parole e con fatti ammaestrava utilmente gli altri al disprezzo di sé. Ma tutti lo magnificavano e ne cantavano giustamente le lodi; solo lui si riteneva vilissimo e si disprezzava cordialmente.
Spesso, quand'era da tutti esaltato, sentendosi ferito come da troppo acerbo dolore, controbilanciava e scacciava l'onore degli uomini, incaricando qualcuno di maltrattarlo. Chiamava per lo più qualche confratello e gli diceva: «Ti scongiuro per obbedienza di coprirmi di ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la falsità di costoro che, mi elogiano». E quando quel fratello,' ci si immagini quanto volentieri, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, lui sorrideva e applaudendo diceva: «Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime e, quali convengono al figlio di Pietro di Bernardone». Con queste parole intendeva rammentare l'umiltà delle sue origini.

54. Per farsi credere veramente degno di disprezzo e per dare agli altri esempio di una confessione sincera, se per caso commetteva qualche mancanza, non esitava a confessarla pubblicamente e sinceramente, mentre predicava a tutto il popolo. Anzi, se gli capitava di pensar male, sia pur minimamente, di qualcuno, o gli sfuggiva qualche parola troppo forte, subito manifestava con tutta umiltà il suo peccato a colui che aveva osato giudicare, chiedendogli perdono. Pur non potendogli rimproverare proprio nulla, data la vigilanza che esercitava su di sé, la sua coscienza non gli dava pace, finché non avesse sanato con rimedio appropriato la ferita dell'anima. Bramava far progressi in qualsiasi specie di virtù, ma non voleva esser notato, per fuggire l'ammirazione e non cadere nella vanagloria.
Miseri noi, che ti abbiamo perduto, padre santo, esemplare di ogni bene e di umiltà! Per giusta condanna ti abbiamo perduto, perché trascurammo di conoscerti quando ti avevamo tra noi!

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