mercoledì 4 maggio 2011

Voglia di Paradiso - XIII appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi guardiamo il Paradiso dal punto di vista dell'attesa: ogni buon cristiano vive la sua vita attendendo che "si compi la beata Speranza e che venga il nostro Salvatore Gesù Cristo." Quando Gesù verrà, verrà come Giudice e sarà Lui ad ammettere le anime all'interno del Regno dei Cieli le cui porte sono state spalancate grazie al Suo Sangue e alla Sua Divina Misericordia. 
Per questo, costantemente, Egli ci esorta nel Vangelo a non ricercare sempre e solo i beni materiali perchè sono beni destinati a morire, a non seguirci: piuttosto, Egli ci esorta ad accumulare tesori nei Cieli. E come si può fare questo? Ascoltando la Divina Parola e mettendo in pratica i Suoi Divina Insegnamenti. Lasciamoci guidare dall'amore, dalla fiducia e viviamo la nostra vita come un pellegrinaggio verso il Regno dei Cieli, luogo dove potremo finalmente stabilirci e vivere eternamente nella Gloria di Dio Padre che ci ha chiamati all'esistenza. In quest'ottica, tutto assume un significato diverso e ogni problema diventa più leggero così come la morte diviene meno traumatica: infatti, vive dentro di noi la Speranza della riconciliazione con tutti i nostri cari che non ci lasceranno mai più. Per cui, alziamoci e camminiamo lungo il sentiero che conduce al Regno dei Cieli, superando gli ostacoli che il nostro nemico, il maligno (egli è colui che non vuole concedere l'uomo l'opportunità di vivere eternamente nella beatitudine del Padre e che quindi ne ostacola il cammino), porrà sul nostro cammino:

10.

LA VITA COME ATTESA DEI BENI FUTURI

Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura. (Lettera agli Ebrei 13, 14)

La vita è come un ponte: lo devi attraversare, ma non pensare di costruirci sopra la tua casa, perché la tua stabile dimora è altrove. (Proverbio Cinese )

La vita come attesa dei beni futuri

Il pensiero del Paradiso ti cambia la vita. La descrizione del Paradiso suscita entusiasmo e stupore. Troppo bello per essere vero! Ma troppo impegnativo per essere accolto! Impegnativo, perché? Perché Gesù ha detto: «I1 mio regno non è di questo mondo»; «non accumulatevi tesori sulla terra ma nel cielo»; e l'apostolo Giovanni ci ha assicurato che «questa è la promessa che egli ci ha fatto: la vita eterna». Queste parole sono sconvolgenti ed esplosive! Se sono vere, tutto cambia, tutto deve cambiare:

• il modo di concepire la vita,

• il modo di valutare le cose,

• il modo di accettare il dolore,

• il modo di giudicare le persone, gli eventi, la storia.

Se sono vere, il Paradiso diviene:

• lo scopo per cui si vive,

• il punto di riferimento finale,

• l'oggetto della "beata speranza", che sorregge i passi e le azioni dell'incerto vagare terreno.

Se esse sono vere, il Paradiso si presenta come l'unico e insostituibile faro che illumina ogni cammino umano, l'unico immutabile valore capace di impreziosire una qualsiasi esistenza, anche la più umile e la più insignificante.

La vita diventa un cammino

Se la Patria vera è il Paradiso, sulla terra siamo solo di passaggio. La vita terrena è un cammino con una sola destinazione: l'eternità beata. Per questo, la virtù della Speranza che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno è detta la virtù 

- dell'esilio,

- della strada,

- della tenda.(L'apostolo Paolo dice: «essere sciolto dal corpo per essere con Cristo... sarebbe assai meglio»; «siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore».

L'atteggiamento di chi vuole comportarsi da saggio, e soprattutto da cristiano, dovrebbe essere quello di inserirsi pienamente nelle realtà terrene, ma tenendo lo sguardo e il cuore rivolti alle realtà celesti nelle quali è riposta la vera gioia. Dovrebbero diventare familiari due verbi-chiave:

• camminare,

• abbandonare.

Sono i verbi che connotano la nostra condizione umana nella quale siamo continuamente sospinti a lasciare la tenda passeggera del corpo, per entrare in quella definitiva del cielo. Siamo sempre in cammino; sempre nella condizione di non poterci affezionare definitivamente alle persone, ai luoghi, al tempo in cui viviamo, perché siamo costantemente orientati verso la meta che ci attende.

La vita è attesa

Se il nostro stato definitivo non è quello presente, ma quello futuro, nel quale avremo beni inimmaginabili e superiori a ogni aspettativa, la nostra vita dovrebbe essere:

• una trepidante attesa,

• una gioiosa vigilia,

• una felice aspettativa dell'unica e attesissima festa che è l'Eternità, cioè il Paradiso.

I veri cristiani attendono perciò con ansia e gioia, vigilando e pregando.

Attendono, con fiducia, che si realizzi la «beata speranza».

La fiducia è accompagnata dal timore di non riuscire a raggiungere beni tanto ineffabili e trascendenti. L'apostolo Paolo ci invita a considerare il rischio al quale siamo esposti, e a non scoraggiarci di fronte alle difficoltà che incontriamo, perché «il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne».

È attesa sospirata
Ma c'è di più: non dovremmo solo attendere, ma anche

- desiderare,

- bramare,

- sospirare la dissoluzione del nostro corpo mortale, per potervi costruire sopra la dimora definitiva.

L'Apostolo descrive il cristiano come una persona che geme nelle doglie del parto, e che quindi vive in uno stato di sofferenza e di travaglio. Chi ci fa poi sospirare è lo Spirito Santo che abita in noi, e che per questo è chiamato «caparra della nostra eredità». Egli ci spinge a sospirare la morte come desiderio intenso del vero e definitivo domicilio nel quale ogni nostra brama sarà appagata.

È attesa ansiosa

La Rivelazione aggiunge un ulteriore verbo: correre incontro; e ci dice che dobbiamo correre incontro alla meta con quell'impazienza che caratterizza l'urgenza di arrivare presto. L'apostolo Paolo prende l'esempio del corridore, che corre velocemente, non vedendo l'ora di giungere al traguardo. E l'apostolo Pietro invita il credente a comportarsi in modo conforme alla condizione di chi attende con impazienza la venuta del Signore, che ormai è vicino. Il giorno di questa venuta è detto la "Divina Parusìa", ossia la gloriosa manifestazione del Signore, il quale verrà non solo per incontrarci, ma anche per creare cieli nuovi e terra nuova, nei quali "abiterà la giustizia". I beni promessi sono meravigliosi ed esaltanti: come non sentire un'incontenibile voglia di affrettarsi a raggiungerli?

È l'attesa dell'unico valore che conta

Dal giorno in cui all'orizzonte della nostra esistenza, è apparsa la novità della vita eterna come valore assoluto, tutto ciò che è contingente e relativo passa al secondo posto, perché diventa un fine secondario, o addirittura un non-valore. I beni terreni, pur avendo una loro intrinseca importanza, acquistano pregio nella misura in cui contengono un riferimento al Bene assoluto e alla vita eterna. Il vero bene e il vero male non si definiscono in base alla nostra sensibilità, ma perché incidono in senso positivo o negativo per la vita futura. La disgrazia, per dirla col Manzoni, «non è patire ed essere poveri: la disgrazia è il far del male». Così, tanto per esemplificare, un dissesto familiare, un insuccesso, una malattia non sono più da considerare un vero male: sono un male sì, ma un male "per modo di dire", perché l'unico vero male è la perdita, anche minima, del capitale di vita divina che ogni azione proietta nell'eternità. L'involucro esterno del nostro corpo, al confronto, è da ritenere di così poca importanza che, secondo l'Imitazione di Cristo, deve essere considerato quasi un nulla. È questo, del resto, il pensiero di Gesù che nella celebre parabola del ricco Epulone contrappone la felicità del povero Lazzaro nell'altra vita all'effimera soddisfazione dell'Epulone gaudente che se la spassa sulla terra.

Dice Paolo: «il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero ... quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei vedervi senza preoccupazioni ». Dobbiamo abituarci a vedere le creature e le cose in trasparenza e con i contorni sfocati, perché

- il fissare,

- l'assaporare, e

- l'ascoltare,

sono atteggiamenti che devono essere riservati all'unico vero Bene che è Dio eterno!

Un'attesa di breve durata

Tutto ciò che passa e finisce, anche se dura molti anni, rapportato a ciò che non passerà e non finirà mai è da considerarsi breve. Dice Giovanni Capolutti: «tutto è breve, ma nulla è più breve della vita». Tutto scorre velocemente, ininterrottamente, silenziosamente. Per questo la divina Rivelazione considera la vita:

• un breve momento,

• una tribolazione momentanea,

• un vapore che appare un istante e che poi scompare.

Sul portale d'ingresso del Duomo di Milano è scritto: «tutto quello che piace, è solo per un momento; tutto quello che turba, è solo per un momento; importa solo ciò che è divino ed eterno». «La vita presente» dice S. Teresa d'Avila, «è una notte cattiva passata in un cattivo albergo». Se la notte passa in fretta e l'albergo non è definitivo, perché preoccuparci eccessivamente dell'abitazione terrena che è provvisoria, della quale non abbiamo la proprietà, e che non possiamo cambiare? Ciò che conta è terminare il viaggio e giungere alla casa sospirata.

Un'attesa piena di gioia

Paolo dice che noi, pur essendo già stati salvati, siamo ancora nella speranza, in quella speranza che, per fortuna, non ci potrà deludere. Nel concetto di speranza è racchiuso anche quello di gioia, perché chi spera, già incomincia a godere di ciò che spera. Dio, con un atto di infinita bontà, per garantirci che ci darà il Paradiso, ce ne ha dato un pegno, o meglio, una caparra, che è lo Spirito Santo che è in noi e in noi rimane.

Dice S. Pietro: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po' afflitti da varie prove... esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime». Tutto dunque deve essere permeato di gioia, perché tutto è sorretto e illuminato dalla presenza dello Spirito Santo e del Signore risorto. Tutto: anche il dolore, anche la croce!
Dovremmo vivere nell'atteggiamento di George Cortois, che, dalla carrozzella sulla quale vive da anni, senza prospettive di guarigione, non esita a scrivere: «ho costantemente

- la mente rivolta al Paradiso,

- il cuore racchiuso nel Tabernacolo,

- il corpo confitto sulla Croce, ed è per questo che mi sento incredibilmente felice».

Tutti o solo pochi, in Paradiso?

Nessuno può saperlo, perché è un segreto conosciuto solo dal Padre. Sappiamo però, con certezza, che:

• Gesù, con la sua morte e risurrezione, ha riaperto per tutti le porte del Paradiso, chiuse a causa del peccato originale. La sua morte fu una grande festa per i giusti che attendevano con impazienza la sospirata liberazione. Dopo quella "discesa agli inferi", si aprirono le porte del cielo.

• Il Paradiso è ora offerto a tutte le persone che, direttamente o indirettamente, anelano alla felicità eterna; ed è assicurato anche a quelle che seguono in buona fede le indicazioni essenziali della legge naturale e della Religione a cui appartengono.

• Tutte le persone sono invitate, attese, sollecitate, ma nessuna vi può essere introdotta con la forza o con la violenza. Vi sono persone che non vogliono entrarvi e che quindi fanno scelte completamente diverse: Dio rispetta il loro rifiuto, anche se conosce le devastanti conseguenza di certe scelte negative.

• Il Paradiso è dato a coloro che, non solo liberamente lo scelgono, ma orientano la loro vita ad attenderlo e a prepararlo.

• Nessuno può entrarvi senza saperlo e gratuitamente: il Paradiso è dono, ma anche conquista personale sofferta e sudata.

• Il Paradiso non potrà essere dato a coloro che conducono una vita lontana e distaccata, orientata ai soli beni terreni, perché il Paradiso non nascerà dal nulla, ma continuerà e svilupperà le cose belle e buone che abbiamo voluto, amato e fatto in questa vita.

Dice S. Cipriano: «Come possiamo pretendere di avere onori e premi da Dio, se lo incontriamo tanto di mala voglia?». Dio accoglierà e premierà ogni sua creatura che lo avrà cercato e amato in vita, e lo avrà desiderato in morte.

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