È necessario innanzi tutto adoperarsi a che tutti obbediscano con la dovuta riverenza e fede ai decreti pubblicati dal Concilio di Trento, dai Romani Pontefici, dalla Congregazione dei Riti, e a tutte le disposizioni dei libri liturgici in ciò che riguarda l'azione esterna del culto pubblico.
In tutte le cose della Liturgia devono splendere soprattutto questi tre ornamenti, dei quali parla il Nostro Predecessore Pio X: la santità, cioè, che aborre da ogni influenza profana; la nobiltà delle immagini e delle forme alla quale serve ogni arte genuina e migliore; l'universalità, infine, la quale - conservando legittimi costumi e le legittime consuetudini regionali - esprime la cattolica unità della Chiesa.
Desideriamo e raccomandiamo caldamente ancora una volta il decoro dei sacri edifici e dei sacri altari. Ognuno si senta animato dalla parola divina: «Lo zelo della tua casa mi ha divorato»; e si adoperi secondo le sue forze, perché ogni cosa, sia nei sacri edifici, sia nelle vesti e nella suppellettile liturgica, anche se non brilli per eccessiva ricchezza e splendore, sia, tuttavia, proprio e mondo, essendo tutto consacrato alla Divina Maestà. Che se già più sopra abbiamo riprovato il non retto modo di agire di coloro i quali, con la scusa di ripristinare l'antico, vogliono espellere dai templi le immagini sacre, riteniamo qui esser Nostro dovere riprendere la pietà non bene educata di coloro i quali, nelle chiese e sugli stessi altari propongono alla venerazione, senza giusto motivo, molteplici simulacri ed effigi, coloro quali espongono reliquie non riconosciute dalla legittima autorità, coloro infine, i quali insistono su cose particolari e di poca importanza, mentre trascurano le principali e necessarie, e così rendono ridicola la religione, e avviliscono la gravità del culto.
Richiamiamo anche il decreto «sulle nuove forme di culto e di devozione da non introdurre»; la cui religiosa osservanza raccomandiamo alla vostra vigilanza.
Quanto alla musica, si osservino scrupolosamente le determinate e chiare norme emanate da questa Sede Apostolica. Il canto gregoriano, che la Chiesa Romana considera cosa sua, perché ricevuto da antica tradizione e custodito nel corso dei secoli sotto la sua premurosa tutela, e che essa propone ai fedeli come cosa anche loro propria, e che prescrive in senso assoluto in alcune parti della Liturgia, non soltanto aggiunge decoro e solennità alla celebrazione dei divini Misteri, ma contribuisce massimamente anche ad accrescere la fede e la pietà degli astanti. Al qual proposito i Nostri Predecessori di immortale memoria Pio X e Pio XI stabilirono - e Noi confermiamo volentieri con la Nostra autorità le disposizioni da essi date - che nei Seminati e negli istituti religiosi sia coltivato con studio e diligenza il canto Gregoriano, e che, almeno presso le chiese più importanti, siano restaurate le antiche Scholæ cantorum, come già è stato fatto con felice risultato in non pochi luoghi.
Inoltre, «perché i fedeli partecipino più attivamente al culto divino, sia ripristinato il canto Gregoriano anche nell'uso del popolo, per la parte che ad esso popolo spetta. Ed urge veramente che i fedeli assistano alle sacre cerimonie non come spettatori muti ed estranei, ma toccati nel profondo dalla bellezza della Liturgia […] che alternino secondo le norme prescritte la loro voce alle voci del sacerdote e della cantoria; se ciò, grazie a Dio, si verificherà, allora non accadrà più che il popolo risponda appena con un lieve e sommesso mormorio alle preghiere comuni dette in latino e in lingua volgare». La moltitudine che assiste attentamente al Sacrificio dell'altare, nel quale il nostro Salvatore, insieme con i suoi figli redenti dal suo Sangue, canta l'epitalamio della sua immensa carità, certamente non potrà tacere, poiché «cantare è proprio di chi ama», e come già in antico diceva il proverbio: «Chi bene canta, prega due volte». Così che la Chiesa militante, Clero e popolo insieme, unisce la sua voce ai cantici della Chiesa trionfante ed ai cori angelici, e tutti insieme cantano un magnifico ed eterno inno di lode alla Santissima Trinità, come è scritto: «Con i quali Ti preghiamo che vengano ascoltate anche le nostre voci».
Non si può, tuttavia, asserire che la musica e il canto moderno debbano essere esclusi del tutto dal culto cattolico. Anzi, se nulla hanno di profano o di sconveniente alla santità del luogo e dell'azione sacra, né derivano da una vana ricerca di effetti straordinari ed insoliti, allora è necessario certamente aprire ad essi le porte delle nostre chiese, potendo ambedue contribuire non poco allo splendore dei sacri riti, alla elevazione delle menti e, insieme, alla vera devozione.
Vi esortiamo anche, Venerabili Fratelli, ad aver cura di promuovere il canto religioso popolare e la sua accurata esecuzione fatta con la conveniente dignità, potendo esso stimolare ed accrescere la fede e la pietà delle folle cristiane. Ascenda al cielo il canto unisono e possente del popolo nostro come il fragore dei flutti del mare, espressione canora e vibrante di un sol cuore e di un'anima sola, come conviene a fratelli e figli di uno stesso Padre.
Quello che abbiamo detto della musica, va detto all'incirca delle altre arti, e specialmente dell'architettura, della scultura e della pittura. Non si devono disprezzare e ripudiare genericamente e per partito preso le forme ed immagini recenti, più adatte ai nuovi materiali con quali esse vengono oggi confezionate: ma evitando con saggio equilibrio l'eccessivo realismo da una parte e l'esagerato simbolismo dall'altra, e tenendo conto delle esigenze della comunità cristiana, piuttosto che del giudizio e del gusto personale degli artisti, è assolutamente necessario dar libero campo anche all'arte moderna, se serve con la dovuta riverenza e il dovuto onore, ai sacri edifici ed ai riti sacri; in modo che anch'essa possa unire la sua voce al mirabile cantico di gloria che geni hanno cantato nei secoli passati alla fede cattolica. Non possiamo fare a meno, però, per Nostro dovere di coscienza, di deplorare e riprovare quelle immagini e forme da alcuni recentemente introdotte, che sembrano essere depravazione e deformazione della vera arte, e che talvolta ripugnano apertamente al decoro, alla modestia ed alla pietà cristiana, e offendono miserevolmente il genuino sentimento religioso; esse si devono assolutamente tener lontane e metter fuori dalle nostre chiese come «in generale, tutto ciò che non è in armonia con la santità del luogo».
Attenendovi alle norme e ai decreti dei Pontefici, curate diligentemente, Venerabili Fratelli, di illuminare e dirigere la mente e l'anima degli artisti, ai quali sarà affidato oggi il compito di restaurare e ricostruire tante chiese rovinate o distrutte dalla violenza della guerra; possano e vogliano essi ispirandosi alla religione trovare i motivi più degni ed adatti alle esigenze del culto; così, difatti, felicemente accadrà che le arti umane, quasi venute dal cielo, splendano di luce serena, promuovano sommamente l'umana civiltà, e contribuiscano alla gloria di Dio e alla santificazione delle anime. Poiché le arti allora davvero sono conformi alla religione, quando servono «come nobilissime ancelle al culto divino».
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