domenica 15 maggio 2011
Pastore nella Chiesa perché Agnello
Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. La pagina evangelica di questa Quarta Domenica di Pasqua ci mostra Gesù Cristo, buon Pastore, il quale si presenta come la porta attraverso cui si trova la salvezza. Noi siamo come pecore smarrite che cercano di ritrovare il proprio ovile: la porta per entrare in quell'ovile è Gesù e ci basta attraversarla per sentirci al sicuro perchè sappiamo che il Buon Pastore vigila su di noi. Oggi quasi tutti gli uomini sono delle pecore smarrite: alcune di esse riescono a sentire la voce del Pastore e tornano all'ovile; altre invece pur ascoltandola non vogliono tornare indietro perchè sedotti dal mondo esterno; infine ci sono quelle che non riescono ad udire la voce e restano smarrite fino a quando non incontrano qualcuno che le rimembra il loro ovile. Meditiamo questa pagina odierna attraverso la riflessione di padre Gian Franco Scarpitta:
Circa tremila persone aderiscono all'annuncio di Pietro che, animato dallo Spirito Santo proclama che quel Gesù che i suoi straniti interlocutori avevano ucciso appendendolo sulla croce Dio lo ha costituito Cristo e Signore. In lui Dio insomma ha rivelato se stesso, mostrandosi agli uomini come Via, Verità e Vita; guardando al Cristo si vede anche il Padre e si ha la via di accesso a Dio. Tutto questo è avvenuto con la Resurrezione, che ha segnato la vittoria di Cristo sulla morte e ha reso questa vana e insignificante. Anzi, proprio la morte, quale tappa Se i Giudei avevano reso Cristo maledizione, egli morendo e risuscitando è diventato benedizione per tutti; se avevano presunto di averlo sconfitto e umilito, risorgendo lui si è mostrato vittorioso nella gloria di Signore universale. La morte di croce non ha impedito quindi che Cristo avesse la meglio sulle tenebre e sul peccato, ma è stata di utilità al Cristo per mostrare la gloria del Padre a tutti gli uomini.
Quel Gesù che i Giudei avevano messo in croce è quindi il Messia, il Signore Unto Figlio di Dio, questi è il dominatore del mondo e l'autore della vita il quale rende tutti partecipi della sua gloria di Risorto e di Signore. Pertanto chi lo ha ucciso non solamente ha fatto un'opera vana e inconcludente, ma ha anche svilito e deprezzato la Signoria divina.
Ecco perché gli ascoltatori si lasciano trasportare dalla commozione e il loro cuore sussulta al punto che comprendono la vanità e l'inettitudine del male commesso; da qui la loro conversione e la loro appartenenza definitiva allo stesso Signore che avevano ucciso. Si convertono a Dio, cambiano dimensione di pensiero e impostazione di vita, insomma si realizza la profezia perentoria del profeta Zaccaria ricordata da Giovanni: "Volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto." (Zac 12, 20). Il loro pentimento diventa occasione per ricevere la grazia dello stesso Cristo nel nome del quale vengono battezzati e anch'essi resi di pari merito nella dignità di Figli di Dio, ricevendo lo Spirito Santo promesso.
Anche se in un'altra circostanza (II Lettura), sempre Pietro applica agli uomini i meriti di Cristo, invitando a non perdersi di coraggio di fronte alle sventure a cui si è costretti quando si opera il bene: "Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme."
Pietro non esalta né raccomanda il masochismo o la sofferenza finalizzata a se stessa, e non si fa neppure promotore di convinzioni filosofiche che comportano il deprezzamento del corpo, quali ad esempio lo Stoicismo, ma invita a sopportare con pazienza ogni ingiustizia mentre si sta operando il bene, a perseverare fino alla fine nella difficoltà e a motivarci nelle scelte e nelle decisioni finalizzate ai nobili propositi. Egli pone come esempio e modello di sopportazione Cristo stesso, che fu trattato da peccato pur non avendo commesso peccato, sottomesso ad oltraggi, insulti e sputi non si oppose al suo destino nefasto, ma lo abbracciò risolutamente e senza retoriche e reticenze. Nella vita esemplare di Cristo troviamo il monito alla fiducia e alla perseveranza nel bene, l'incoraggiamento alla virtù e alla costanza nel dolore e nella sofferenza, il senso della sopportazione delle umiliazioni e delle sconfitte che vengono imposte da altri. Nel Cristo crocifisso, morto e risorto si riscontra la capacità di sopportazione delle ingiustizie subite da parte di altri, la considerazione che soltanto apparentemente i malvagi e i disonesti godono di vantaggi e benefici: le vittorie momentanee di chi è ingiusto e perverso sono destinate a diventare meritate punizioni e autocondanne. Otterranno prima o poi la giusta retribuzione firmando essi stessi la propria condanna, mentre lauta sarà la ricompensa per coloro che avranno lottato nell'umiltà, nella mansuetudine e nella sofferenza.
Affidarsi a Cristo è garanzia ultima di soddisfazione e di gloria, poiché egli stesso ci configura con la sua croce, ma ci rende anche partecipi della sua resurrezione e della sua gloria. Guardare a colui che hanno trafitto vuol dire assumere tutte le aspettative che egli stesso ha incarnato manifestando in se stesso la misericordia e la volontà del Padre.
A Cristo occorre affidarsi, ponendosi fiduciosamente alla sua sequela, con la sensibilità e la docilità delle pecore che seguono il loro pastore continuamente, senza porre resistenza né obiettare alcunché mentre lui le dirige e le conduce al pascolo: il pastore ottiene sempre che il suo bestiame lo segua senza tentennamenti, per cui si cura che tutto il gregge resti unito e si consolidi nel pascolare come nel produrre alimenti caseari. Nostro pastore zelante e sollecito verso la via, la verità e la vita nella comunione con Dio Padre è Cristo Risorto, che chiede null'altro che fiducia e sequela, per il fatto che egli stesso è stato vittima sacrificale, agnello immolato e mansueto votato al macello. Siamo pecore perché lui è stato agnello.
Il vangelo di oggi motiva ulteriormente questa convinzione ragguagliandoci di come Cristo sia anche la porta che ci conduce alla verità, poiché attraverso di Lui siamo condotti al Padre e in nessuno si può conoscere Dio se non nel Figlio medesimo nel quale egli si è rivelato. Cristo è il pastore in quanto agnello e al contempo in quanto porta del gregge.
Il cristiano certamente non si dispone ad un'obbedienza sterile e acritica. Si mostra sempre convinto di quanto gli viene proposto e radicalmente fondato e impegnato su tutto ciò che gli si chiede. Si deve sempre essere partecipi, costruttivi, attivi e capaci di giudizio e di intraprendenza nell'obbedire, riconoscendo la validità oggettiva di quanto ci viene chiesto, a meno che essa esuli dai giusti principi.
Ciò tuttavia non pregiudica la necessità della fiducia incondizionata a Dio e al suo Cristo: occorre mostrare la docilità e la mansuetudine delle pecore di fronte al pastore che è Cristo, riconoscendo per l'appunto che il suo essere stato Servo Sofferente e Vittima immolata per la salvezza lo legittima come nostra guida. L'obbedienza a lui non può trovare motivo e sprone se non sul fatto che lui stesso si è fatto obbediente a nostro vantaggio, sottomettendosi in tutto alla volontà del Padre e imparando l'obbedienza dalle cose che patì (Eb 5,8). Di conseguenza essa va esercitata con estrema disponibilità nell'ottica della fede, dell'abbandono e nella disposizione del cuore, soprattutto quando ci si chiede di riconoscere Cristo nel ministero visibile dell'autorità visibile da Egli stesso istituita per la salvezza: la Chiesa.
Non sono rari i casi in cui si ostenta indifferenza e sfiducia nella guida magisteriale del pontefice e non di rado si ritiene superfluo l'insegnamento della Chiesa o lo si contrasta in materia di dottrina e di morale. Non sono infrequenti, all'interno dello stesso mondo cattolico, le avversioni nei confronti dei pronunciamenti del papa o delle Conferenze episcopali e non di rado ci si dispone nell'ottica del disappunto e della feroce riprovazione nei confronti di coloro che Cristo ha istituito pastori del gregge e dispensatori della grazvaia, molte volte solo per ragioni di comodo puramente umane e per vili interessi personali.
Non sarà mai abbastanza ricordare a noi stessi che nella Chiesa, intesa come Istituzione divina, Cristo ci si mostra quale pastore sollecito latore della misericordia del Padre, e disattendere il ministero del papa e dei vescovi equivale a disattendere lo stesso Cristo, per il quale essi svolgono funzione vicaria. Se è vero che l'attenzione ai moniti e alla direttive del Magistero comporta rinunce difficoltà e sacrifici, proprio questo ci configura più di ogni altra cosa alla croce del Cristo, che è sempre necessaria per il conseguimento della gloria. Proprio nella Chiesa troviamo tutte le risorse di penitenza e di umiltà che ci incoraggiano a prendere tutti i giorni la croce del Signore per poi risorgere con lui, resi partecipi della sua vittoria e della sua gloria indicibile. Ma soprattutto è in essa che si sperimentano le condizioni per le quali siamo indotti a sperimentare l'amore e la sollecitudine del nostro Pastore, che ci guida sempre verso itinerari di salvezza.
Circa tremila persone aderiscono all'annuncio di Pietro che, animato dallo Spirito Santo proclama che quel Gesù che i suoi straniti interlocutori avevano ucciso appendendolo sulla croce Dio lo ha costituito Cristo e Signore. In lui Dio insomma ha rivelato se stesso, mostrandosi agli uomini come Via, Verità e Vita; guardando al Cristo si vede anche il Padre e si ha la via di accesso a Dio. Tutto questo è avvenuto con la Resurrezione, che ha segnato la vittoria di Cristo sulla morte e ha reso questa vana e insignificante. Anzi, proprio la morte, quale tappa Se i Giudei avevano reso Cristo maledizione, egli morendo e risuscitando è diventato benedizione per tutti; se avevano presunto di averlo sconfitto e umilito, risorgendo lui si è mostrato vittorioso nella gloria di Signore universale. La morte di croce non ha impedito quindi che Cristo avesse la meglio sulle tenebre e sul peccato, ma è stata di utilità al Cristo per mostrare la gloria del Padre a tutti gli uomini.
Quel Gesù che i Giudei avevano messo in croce è quindi il Messia, il Signore Unto Figlio di Dio, questi è il dominatore del mondo e l'autore della vita il quale rende tutti partecipi della sua gloria di Risorto e di Signore. Pertanto chi lo ha ucciso non solamente ha fatto un'opera vana e inconcludente, ma ha anche svilito e deprezzato la Signoria divina.
Ecco perché gli ascoltatori si lasciano trasportare dalla commozione e il loro cuore sussulta al punto che comprendono la vanità e l'inettitudine del male commesso; da qui la loro conversione e la loro appartenenza definitiva allo stesso Signore che avevano ucciso. Si convertono a Dio, cambiano dimensione di pensiero e impostazione di vita, insomma si realizza la profezia perentoria del profeta Zaccaria ricordata da Giovanni: "Volgeranno lo sguardo su colui che hanno trafitto." (Zac 12, 20). Il loro pentimento diventa occasione per ricevere la grazia dello stesso Cristo nel nome del quale vengono battezzati e anch'essi resi di pari merito nella dignità di Figli di Dio, ricevendo lo Spirito Santo promesso.
Anche se in un'altra circostanza (II Lettura), sempre Pietro applica agli uomini i meriti di Cristo, invitando a non perdersi di coraggio di fronte alle sventure a cui si è costretti quando si opera il bene: "Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme."
Pietro non esalta né raccomanda il masochismo o la sofferenza finalizzata a se stessa, e non si fa neppure promotore di convinzioni filosofiche che comportano il deprezzamento del corpo, quali ad esempio lo Stoicismo, ma invita a sopportare con pazienza ogni ingiustizia mentre si sta operando il bene, a perseverare fino alla fine nella difficoltà e a motivarci nelle scelte e nelle decisioni finalizzate ai nobili propositi. Egli pone come esempio e modello di sopportazione Cristo stesso, che fu trattato da peccato pur non avendo commesso peccato, sottomesso ad oltraggi, insulti e sputi non si oppose al suo destino nefasto, ma lo abbracciò risolutamente e senza retoriche e reticenze. Nella vita esemplare di Cristo troviamo il monito alla fiducia e alla perseveranza nel bene, l'incoraggiamento alla virtù e alla costanza nel dolore e nella sofferenza, il senso della sopportazione delle umiliazioni e delle sconfitte che vengono imposte da altri. Nel Cristo crocifisso, morto e risorto si riscontra la capacità di sopportazione delle ingiustizie subite da parte di altri, la considerazione che soltanto apparentemente i malvagi e i disonesti godono di vantaggi e benefici: le vittorie momentanee di chi è ingiusto e perverso sono destinate a diventare meritate punizioni e autocondanne. Otterranno prima o poi la giusta retribuzione firmando essi stessi la propria condanna, mentre lauta sarà la ricompensa per coloro che avranno lottato nell'umiltà, nella mansuetudine e nella sofferenza.
Affidarsi a Cristo è garanzia ultima di soddisfazione e di gloria, poiché egli stesso ci configura con la sua croce, ma ci rende anche partecipi della sua resurrezione e della sua gloria. Guardare a colui che hanno trafitto vuol dire assumere tutte le aspettative che egli stesso ha incarnato manifestando in se stesso la misericordia e la volontà del Padre.
A Cristo occorre affidarsi, ponendosi fiduciosamente alla sua sequela, con la sensibilità e la docilità delle pecore che seguono il loro pastore continuamente, senza porre resistenza né obiettare alcunché mentre lui le dirige e le conduce al pascolo: il pastore ottiene sempre che il suo bestiame lo segua senza tentennamenti, per cui si cura che tutto il gregge resti unito e si consolidi nel pascolare come nel produrre alimenti caseari. Nostro pastore zelante e sollecito verso la via, la verità e la vita nella comunione con Dio Padre è Cristo Risorto, che chiede null'altro che fiducia e sequela, per il fatto che egli stesso è stato vittima sacrificale, agnello immolato e mansueto votato al macello. Siamo pecore perché lui è stato agnello.
Il vangelo di oggi motiva ulteriormente questa convinzione ragguagliandoci di come Cristo sia anche la porta che ci conduce alla verità, poiché attraverso di Lui siamo condotti al Padre e in nessuno si può conoscere Dio se non nel Figlio medesimo nel quale egli si è rivelato. Cristo è il pastore in quanto agnello e al contempo in quanto porta del gregge.
Il cristiano certamente non si dispone ad un'obbedienza sterile e acritica. Si mostra sempre convinto di quanto gli viene proposto e radicalmente fondato e impegnato su tutto ciò che gli si chiede. Si deve sempre essere partecipi, costruttivi, attivi e capaci di giudizio e di intraprendenza nell'obbedire, riconoscendo la validità oggettiva di quanto ci viene chiesto, a meno che essa esuli dai giusti principi.
Ciò tuttavia non pregiudica la necessità della fiducia incondizionata a Dio e al suo Cristo: occorre mostrare la docilità e la mansuetudine delle pecore di fronte al pastore che è Cristo, riconoscendo per l'appunto che il suo essere stato Servo Sofferente e Vittima immolata per la salvezza lo legittima come nostra guida. L'obbedienza a lui non può trovare motivo e sprone se non sul fatto che lui stesso si è fatto obbediente a nostro vantaggio, sottomettendosi in tutto alla volontà del Padre e imparando l'obbedienza dalle cose che patì (Eb 5,8). Di conseguenza essa va esercitata con estrema disponibilità nell'ottica della fede, dell'abbandono e nella disposizione del cuore, soprattutto quando ci si chiede di riconoscere Cristo nel ministero visibile dell'autorità visibile da Egli stesso istituita per la salvezza: la Chiesa.
Non sono rari i casi in cui si ostenta indifferenza e sfiducia nella guida magisteriale del pontefice e non di rado si ritiene superfluo l'insegnamento della Chiesa o lo si contrasta in materia di dottrina e di morale. Non sono infrequenti, all'interno dello stesso mondo cattolico, le avversioni nei confronti dei pronunciamenti del papa o delle Conferenze episcopali e non di rado ci si dispone nell'ottica del disappunto e della feroce riprovazione nei confronti di coloro che Cristo ha istituito pastori del gregge e dispensatori della grazvaia, molte volte solo per ragioni di comodo puramente umane e per vili interessi personali.
Non sarà mai abbastanza ricordare a noi stessi che nella Chiesa, intesa come Istituzione divina, Cristo ci si mostra quale pastore sollecito latore della misericordia del Padre, e disattendere il ministero del papa e dei vescovi equivale a disattendere lo stesso Cristo, per il quale essi svolgono funzione vicaria. Se è vero che l'attenzione ai moniti e alla direttive del Magistero comporta rinunce difficoltà e sacrifici, proprio questo ci configura più di ogni altra cosa alla croce del Cristo, che è sempre necessaria per il conseguimento della gloria. Proprio nella Chiesa troviamo tutte le risorse di penitenza e di umiltà che ci incoraggiano a prendere tutti i giorni la croce del Signore per poi risorgere con lui, resi partecipi della sua vittoria e della sua gloria indicibile. Ma soprattutto è in essa che si sperimentano le condizioni per le quali siamo indotti a sperimentare l'amore e la sollecitudine del nostro Pastore, che ci guida sempre verso itinerari di salvezza.
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