domenica 22 maggio 2011
"Io sono la Via, la Verità e la Vita"
Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo che oggi ci mostra Gesù presentarsi come la Via, la Verità e la Vita. Meditiamo questa pagina odierna attraverso la riflessione di don Daniele Muraro:
"Signore, Mostraci il Padre e ci basta!", dice l'apostolo Filippo a Gesù. Facciamo fatica a capire il senso di queste parole. Filippo non vuole avere una prova dell'esistenza di Dio né con la sua richiesta si fa portavoce in anticipo di quel senso di poca fede o di scetticismo religioso tanto comune alla nostra epoca. Al contrario Filippo crede nel Dio dei suoi padri, il Dio di Israele, e davanti a Gesù dichiara apertamente il desiderio di vedere il volto di questo Dio, cioè di essere ammesso alla sua presenza e così gustare la gioia di stare di fronte al Signore di tutte le cose.
Filippo aveva ascoltato la definizione che Gesù aveva dato di se stesso e aveva capito che le tre qualità che Gesù si attribuisce sono collegate: Gesù è la Via, non un sentiero che si perde nella selva ma proprio la Via che porta alla mèta, perciò può portare ad un traguardo sicuro, vero e questo punto di arrivo altro non è che la sorgente della Vita, cioè Dio stesso.
L'antica fede in Dio Padre da parte di Filippo si unisce con la recente adesione a Gesù Salvatore e Figlio eterno del Padre.
Le parole di Filippo suonano dunque come un accorato invito rivolto a Gesù affinché egli renda rendere partecipi i suoi discepoli, e attraverso di loro tutti gli uomini, della abbondanza di bene Egli rappresenta.
Se Gesù è davvero Via, Verità e Vita, che finalmente Egli come Guida sicura faccia arrivare almeno i suoi amici più stretti, ma anche tutti quanti, al termine della ricerca della Verità e li porti alla sorgente stessa della Vita, cioè a Dio.
Dal momento della cacciata dal paradiso terrestre l'uomo è rimasto privo della familiarità con Dio e della sua amicizia. Perciò gli è rimasto dentro al cuore un senso di nostalgia e di struggimento in attesa di essere riammesso alla presenza del suo Creatore e di essere reintegrato nella dignità perduta.
Molte sono state le strade percorse dagli uomini per tornare a godere della luce e della pace originaria. La sforzo per scoprire la maniera di recuperare lo stato felice della mitica età dell'oro ha affaticato generazioni e generazioni di uomini con esito il più delle volte deludente.
La ricerca di una tale felicità non è solo qualcosa che riguarda il remoto passato. L'età moderna ha messo in piedi il più grande dispendio di energie di sempre pur di ottenere un risultato paragonabile alle attese degli antichi e lo ha chiamato progresso.
Gli esiti di questo tentativo che ormai sta coivolgendo ogni angolo del pianeta sono davanti a noi e forse già adesso noi siamo in grado di tirare le prime somme. Soprattutto negli ultimi anni sono aumentate a dismisura le competenze tecniche e la disponibilità di risorse materiali, ma non si può dire che come umanità presa nel suo insieme abbiamo raggiunto serenità e pace. Siamo più potenti, ma non più felici.
Avendo perso il contatto con la sua dimensione originaria, l'umanità intera rischia di perdere anche il senso della sua spinta verso il futuro. Per questo è importante tornare alle fondamenta sicure della nostra fede.
"Credete a me!" dice Gesù e non ci chiede di dargli fiducia su un'affermazione qualsiasi, ma ci domanda di dare la nostra adesione al mistero della sua persona umana e divina.
La fede che ci chiede Gesù non è diversa dalla fede dell'Antico Testamento in un Dio creatore e salvatore, e in più vi aggiunge la scoperta di un Dio Trinità: il Figlio vive con il Padre e tutti e due con lo Spirito santo sono una cosa sola.
Di questa realtà, cioè del suo legame con il Padre, venendo nel mondo Gesù non si è dimenticato, ma ha fatto continuamente memoria. Il fatto di essere Dio come il Padre ha fatto sì che anche in un mondo lontano da Dio Gesù conservasse forte il suo legame di amore con il Padre.
In mezzo alla confusione e alla ostilità del mondo Gesù conservava un punto di riferimento sicuro, il suo dialogo con il Padre, l'amore verso di Lui e l'obbedienza alla sua volontà.
Anche in noi la fede anzitutto potenza la memoria; essa risveglia in noi la genuina memoria dell'origine e ce la rende chiara: noi veniamo da Dio. La fede in Gesù nostro Salvatore, come l'abbiamo ricevuta tramandata dalla Chiesa, alla giusta rappresentazione della nostra origine aggiunge l'anticipazione effettiva del nostro destino.
Con la morte terrena non finisce la nostra vita, ma la nostra vera patria è nel cielo, là dove è salito Gesù a prepararci un posto.
La salita al cielo di Cristo, quella che celebreremo fra quindici giorni nella solennità dell'Ascensione, ci ricorda che il luogo appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e il punto di vista adeguato per guardare alle vicende della terra è solo quello. In questo senso l'insegnamento della fede cristiana è pienamente positivo, ci insegna a che traguardo è destinato l'uomo e mostrandoci la mèta del nostro viaggio terreno ci restituisce la gioia di essere venuti all'esistenza.
Per entrare in questa mentalità di fede, che resta misteriosa per le capacità della sola intelligenza naturale, abbiamo bisogno di un dono dall'alto, quello dello Spirito santo. Solo Lui può illuminare i nostri sensi e sostenerci nel nostro cammino, e così evitare ci perdiamo d'animo e smettiamo di aspirare alle cose del cielo fermandoci a contemplare solo quelle della terra.
Il rimedio più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella considerazione della sua grandezza, non in quella della sua miseria. Lo Spirito santo alimenta in noi il desiderio del cielo. Sostenuti da questo incoraggiamento, anche noi sapremmo fare cose grandi: "Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio" ci ha detto Gesù alla fine del Vangelo di oggi, ed ha aggiunto: e ne farà di maggiori di queste. Infatti dopo essere Gesù salito al Padre Gesù ci lascia soli, ma pregherà che il Padre mandi nel suo nome lo Spirito santo consolatore. La mèta del nostro cammino ce l'ha anticipata Gesù, lo Spirito santo ci dice che anche noi con il suo aiuto possiamo raggiungerla.
"Signore, Mostraci il Padre e ci basta!", dice l'apostolo Filippo a Gesù. Facciamo fatica a capire il senso di queste parole. Filippo non vuole avere una prova dell'esistenza di Dio né con la sua richiesta si fa portavoce in anticipo di quel senso di poca fede o di scetticismo religioso tanto comune alla nostra epoca. Al contrario Filippo crede nel Dio dei suoi padri, il Dio di Israele, e davanti a Gesù dichiara apertamente il desiderio di vedere il volto di questo Dio, cioè di essere ammesso alla sua presenza e così gustare la gioia di stare di fronte al Signore di tutte le cose.
Filippo aveva ascoltato la definizione che Gesù aveva dato di se stesso e aveva capito che le tre qualità che Gesù si attribuisce sono collegate: Gesù è la Via, non un sentiero che si perde nella selva ma proprio la Via che porta alla mèta, perciò può portare ad un traguardo sicuro, vero e questo punto di arrivo altro non è che la sorgente della Vita, cioè Dio stesso.
L'antica fede in Dio Padre da parte di Filippo si unisce con la recente adesione a Gesù Salvatore e Figlio eterno del Padre.
Le parole di Filippo suonano dunque come un accorato invito rivolto a Gesù affinché egli renda rendere partecipi i suoi discepoli, e attraverso di loro tutti gli uomini, della abbondanza di bene Egli rappresenta.
Se Gesù è davvero Via, Verità e Vita, che finalmente Egli come Guida sicura faccia arrivare almeno i suoi amici più stretti, ma anche tutti quanti, al termine della ricerca della Verità e li porti alla sorgente stessa della Vita, cioè a Dio.
Dal momento della cacciata dal paradiso terrestre l'uomo è rimasto privo della familiarità con Dio e della sua amicizia. Perciò gli è rimasto dentro al cuore un senso di nostalgia e di struggimento in attesa di essere riammesso alla presenza del suo Creatore e di essere reintegrato nella dignità perduta.
Molte sono state le strade percorse dagli uomini per tornare a godere della luce e della pace originaria. La sforzo per scoprire la maniera di recuperare lo stato felice della mitica età dell'oro ha affaticato generazioni e generazioni di uomini con esito il più delle volte deludente.
La ricerca di una tale felicità non è solo qualcosa che riguarda il remoto passato. L'età moderna ha messo in piedi il più grande dispendio di energie di sempre pur di ottenere un risultato paragonabile alle attese degli antichi e lo ha chiamato progresso.
Gli esiti di questo tentativo che ormai sta coivolgendo ogni angolo del pianeta sono davanti a noi e forse già adesso noi siamo in grado di tirare le prime somme. Soprattutto negli ultimi anni sono aumentate a dismisura le competenze tecniche e la disponibilità di risorse materiali, ma non si può dire che come umanità presa nel suo insieme abbiamo raggiunto serenità e pace. Siamo più potenti, ma non più felici.
Avendo perso il contatto con la sua dimensione originaria, l'umanità intera rischia di perdere anche il senso della sua spinta verso il futuro. Per questo è importante tornare alle fondamenta sicure della nostra fede.
"Credete a me!" dice Gesù e non ci chiede di dargli fiducia su un'affermazione qualsiasi, ma ci domanda di dare la nostra adesione al mistero della sua persona umana e divina.
La fede che ci chiede Gesù non è diversa dalla fede dell'Antico Testamento in un Dio creatore e salvatore, e in più vi aggiunge la scoperta di un Dio Trinità: il Figlio vive con il Padre e tutti e due con lo Spirito santo sono una cosa sola.
Di questa realtà, cioè del suo legame con il Padre, venendo nel mondo Gesù non si è dimenticato, ma ha fatto continuamente memoria. Il fatto di essere Dio come il Padre ha fatto sì che anche in un mondo lontano da Dio Gesù conservasse forte il suo legame di amore con il Padre.
In mezzo alla confusione e alla ostilità del mondo Gesù conservava un punto di riferimento sicuro, il suo dialogo con il Padre, l'amore verso di Lui e l'obbedienza alla sua volontà.
Anche in noi la fede anzitutto potenza la memoria; essa risveglia in noi la genuina memoria dell'origine e ce la rende chiara: noi veniamo da Dio. La fede in Gesù nostro Salvatore, come l'abbiamo ricevuta tramandata dalla Chiesa, alla giusta rappresentazione della nostra origine aggiunge l'anticipazione effettiva del nostro destino.
Con la morte terrena non finisce la nostra vita, ma la nostra vera patria è nel cielo, là dove è salito Gesù a prepararci un posto.
La salita al cielo di Cristo, quella che celebreremo fra quindici giorni nella solennità dell'Ascensione, ci ricorda che il luogo appropriato della nostra esistenza è Dio stesso e il punto di vista adeguato per guardare alle vicende della terra è solo quello. In questo senso l'insegnamento della fede cristiana è pienamente positivo, ci insegna a che traguardo è destinato l'uomo e mostrandoci la mèta del nostro viaggio terreno ci restituisce la gioia di essere venuti all'esistenza.
Per entrare in questa mentalità di fede, che resta misteriosa per le capacità della sola intelligenza naturale, abbiamo bisogno di un dono dall'alto, quello dello Spirito santo. Solo Lui può illuminare i nostri sensi e sostenerci nel nostro cammino, e così evitare ci perdiamo d'animo e smettiamo di aspirare alle cose del cielo fermandoci a contemplare solo quelle della terra.
Il rimedio più efficace contro la rovina dell'uomo risiede nella considerazione della sua grandezza, non in quella della sua miseria. Lo Spirito santo alimenta in noi il desiderio del cielo. Sostenuti da questo incoraggiamento, anche noi sapremmo fare cose grandi: "Chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio" ci ha detto Gesù alla fine del Vangelo di oggi, ed ha aggiunto: e ne farà di maggiori di queste. Infatti dopo essere Gesù salito al Padre Gesù ci lascia soli, ma pregherà che il Padre mandi nel suo nome lo Spirito santo consolatore. La mèta del nostro cammino ce l'ha anticipata Gesù, lo Spirito santo ci dice che anche noi con il suo aiuto possiamo raggiungerla.
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