domenica 8 maggio 2011
Gli orizzonti si ampliano
Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. La pagina odierna ci ripropone il cammino degli apostoli sulla via di Emmaus, insieme ad un uomo sconosciuto che poi si rivelerà essere proprio il loro Maestro Gesù. Anche noi, come quei discepoli, non ci accorgiamo che durante il cammino della nostra vita siamo sempre accompagnati dal nostro Signore Gesù che, come promesso, resterà con noi sino alla fine dei tempi. Meditiamo questo cammino con la riflessione di mons. Roberto Brunelli:
"Resta con noi, perché si fa sera…": il vangelo di oggi (Luca 24,13-35) è quello dei due discepoli in cammino da Gerusalemme al villaggio di Emmaus. Gesù è risorto, ma essi non lo sanno ancora, e sono tristi al pensiero che la bella avventura vissuta con lui si sia conclusa con la sua deposizione nel sepolcro. Si affianca a loro un altro viandante, il quale, ascoltate le ragioni del loro sconforto, li rimprovera e li illumina: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". Si avvicinano intanto al villaggio, e allo sconosciuto rivolgono l'invito: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli accetta, e "quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi…" Riconoscono il Risorto "nello spezzare il pane", nei gesti che ripetono quelli dell'Ultima Cena: perenne richiamo a tutti i cristiani, che proprio nel Pane eucaristico hanno con sé la presenza del Signore, morto e risorto per la comune salvezza.
Nell'episodio di Emmaus si possono riscontrare gli elementi fondamentali della Messa: come Gesù ha richiamato e spiegato le Scritture, così nella prima parte della Messa si legge e si spiega appunto la Parola di Dio. Gesù poi ha preso il pane, con quel che segue: e nella seconda parte della Messa si fa altrettanto, secondo quanto lui stesso nell'Ultima Cena ha comandato di ripetere: "Fate questo in memoria di me". I cristiani dunque, celebrando l'Eucaristia, si trovano in una situazione simile a quella dei due di Emmaus; come sarebbe bello se anche noi oggi avessimo le loro stesse reazioni: la gioia di essere partecipi di tanto dono ("Non ardeva forse in noi il nostro cuore?") e la premura di comunicarlo ad altri ("Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme", per riferire agli apostoli l'accaduto).
Di queste realtà parla anche l'apostolo Pietro nella sua prima lettera. Il brano che se ne legge oggi (1,17-21) si rivolge a quanti hanno coscienza di vivere in questo mondo come stranieri, di passaggio; come ospiti, che hanno la loro casa altrove, presso Colui che possono chiamare Padre. Padre, quindi affettuoso e premuroso verso i suoi figli, ma giusto: nemmeno verso di loro fa preferenze, perché giudica anche i suoi figli secondo le loro opere; perciò, dice l'apostolo, "comportatevi con timore di Dio". Ricordiamo: il timore di Dio non è la paura; è il rispetto che gli si deve, l'obbedienza alla sua volontà. Alcuni cristiani fanno consistere la religione nell'osservanza dei comandamenti, per paura di finire all'inferno; ma non dovrebbe essere così: si deve mettere in pratica la legge di Dio, come espressione dell'amore per lui. Il nostro amore, peraltro, è la risposta all'amore che Dio per primo ci ha rivolto: Pietro scrive che "non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo". In altre parole, la salvezza non si compera: ci è donata, per i meriti di Colui che proprio per questo è morto e risorto. La sua Pasqua riscatta l'uomo da una vita altrimenti "vuota": magari piena di cose, di beni materiali, di eventi, di effimere soddisfazioni, ma in realtà vuota di valori, priva di quanto ci può risultare vantaggioso oltre i limiti terreni. Il Cristo morto e risorto, incomparabile dono divino all'umanità, apre all'uomo prospettive nuove, impensate; invita a strutturare la nostra vita entro orizzonti più ampi di quelli in cui da soli potremmo spaziare.
"Resta con noi, perché si fa sera…": il vangelo di oggi (Luca 24,13-35) è quello dei due discepoli in cammino da Gerusalemme al villaggio di Emmaus. Gesù è risorto, ma essi non lo sanno ancora, e sono tristi al pensiero che la bella avventura vissuta con lui si sia conclusa con la sua deposizione nel sepolcro. Si affianca a loro un altro viandante, il quale, ascoltate le ragioni del loro sconforto, li rimprovera e li illumina: "Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". Si avvicinano intanto al villaggio, e allo sconosciuto rivolgono l'invito: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto". Egli accetta, e "quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi…" Riconoscono il Risorto "nello spezzare il pane", nei gesti che ripetono quelli dell'Ultima Cena: perenne richiamo a tutti i cristiani, che proprio nel Pane eucaristico hanno con sé la presenza del Signore, morto e risorto per la comune salvezza.
Nell'episodio di Emmaus si possono riscontrare gli elementi fondamentali della Messa: come Gesù ha richiamato e spiegato le Scritture, così nella prima parte della Messa si legge e si spiega appunto la Parola di Dio. Gesù poi ha preso il pane, con quel che segue: e nella seconda parte della Messa si fa altrettanto, secondo quanto lui stesso nell'Ultima Cena ha comandato di ripetere: "Fate questo in memoria di me". I cristiani dunque, celebrando l'Eucaristia, si trovano in una situazione simile a quella dei due di Emmaus; come sarebbe bello se anche noi oggi avessimo le loro stesse reazioni: la gioia di essere partecipi di tanto dono ("Non ardeva forse in noi il nostro cuore?") e la premura di comunicarlo ad altri ("Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme", per riferire agli apostoli l'accaduto).
Di queste realtà parla anche l'apostolo Pietro nella sua prima lettera. Il brano che se ne legge oggi (1,17-21) si rivolge a quanti hanno coscienza di vivere in questo mondo come stranieri, di passaggio; come ospiti, che hanno la loro casa altrove, presso Colui che possono chiamare Padre. Padre, quindi affettuoso e premuroso verso i suoi figli, ma giusto: nemmeno verso di loro fa preferenze, perché giudica anche i suoi figli secondo le loro opere; perciò, dice l'apostolo, "comportatevi con timore di Dio". Ricordiamo: il timore di Dio non è la paura; è il rispetto che gli si deve, l'obbedienza alla sua volontà. Alcuni cristiani fanno consistere la religione nell'osservanza dei comandamenti, per paura di finire all'inferno; ma non dovrebbe essere così: si deve mettere in pratica la legge di Dio, come espressione dell'amore per lui. Il nostro amore, peraltro, è la risposta all'amore che Dio per primo ci ha rivolto: Pietro scrive che "non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo". In altre parole, la salvezza non si compera: ci è donata, per i meriti di Colui che proprio per questo è morto e risorto. La sua Pasqua riscatta l'uomo da una vita altrimenti "vuota": magari piena di cose, di beni materiali, di eventi, di effimere soddisfazioni, ma in realtà vuota di valori, priva di quanto ci può risultare vantaggioso oltre i limiti terreni. Il Cristo morto e risorto, incomparabile dono divino all'umanità, apre all'uomo prospettive nuove, impensate; invita a strutturare la nostra vita entro orizzonti più ampi di quelli in cui da soli potremmo spaziare.
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