venerdì 28 gennaio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ventottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi giunge al celebre inno alla carità:

Tredicesima parte della Prima Lettera ai Corinzi 

1Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
2E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
3E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
4La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
13Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

COMMENTO 

Carissimi, eccoci giunti al punto principale della Lettera di San Paolo ai Corinzi, forse il punto più importante di tutte le Lettere di San Paolo: l'inno alla carità. San Paolo ci mostra tre cose importantissime per raggiungere la perfezione spirituale: la fede, la speranza e la carità. Ma dice di più: egli dice che più grande di tutte è la carità! Con questa semplice espressione semantica, San Paolo mostra la gerarchia delel virtù e mette al primo posto assoluto la carità. E non a torto. La carità è l'elemento che contraddistingue il cristiano e il figlio di Dio sin dagli albori del mondo. Difatti, la carità ha attraversato tutti gli uomini giusti che hanno camminato sulla terra: ed in Gesù Cristo, essa ha raggiunto una dimensione ancora più piena, maggiormente pregnante. Lo stesso atto di Gesù rappresenta espressione di carità, tutta la Sua vita è espressione di carità. E dopo di Lui, gli apostoli i quali la prima cosa che fecero fu quella di istituire una cassa comune per aiutare i deboli della comunità. Le prime comunità apostoliche sono state impregnate di carità e così lo sono stati tutti i Santi che Dio ha chiamato nei due millenni successivi alla Venuta del Messia. Questo ci dice molto sul valore della carità e ci fa capire in maniera netta, quest'inno paolino che inneggia alla carità, esaltandola in tutte le sue componenti. Sant'Ambrogio tradusse in concretezza questo pensiero: Tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
Anche Madre Teresa diede una dimensione concreta alla carità, con queste parole: La Carità comincia oggi. Qualcuno sta soffrendo oggi, è per strada oggi, ha fame oggi. Il nostro lavoro è per oggi...una donna venne da me con suo figlio e disse:'Madre, sono andata in due o tre posti ad elemosinare un pò di cibo perché non mangiamo da tre giorni...', andai a prendere qualcosa da mangiare e quando tornai il bambino che aveva in braccio era morto di fame. Non saranno con noi domani se non li sfamiamo oggi. Perciò preoccupatevi di ciò che potete fare oggi. 

E' dunque una grande virtù la carità: ma non una virtù astratta, bensì una virtù che necessita concretezza. Siamo tutti bravi a parlare del Buon Samaritano, ma dobbiamo pensare a cosa avessimo fatto noi al posto di quel Samaritano sceso da Gerico. Dobbiamo cominciare a tradurre il pensiero in concretezza: in sostanza dobbiamo sempre interrogarci su cosa noi possiamo fare per il prossimo in difficoltà: non aprendo il portafoglio, almeno non solo, ma aprendo il proprio cuore dinanzi alla difficoltà altrui. Non a caso Gesù, nel delineare il Giudizio universale disse questo:

 31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

Scriviamo dunque nel cuore quest'inno di carità per comprendere che noi saremo misurati, in larga parte, proprio dalla carità che avremo mostrato. Vi saluto ora con le parole di Papa Benedetto XVI il quale si è soffermato su quest'inno, durante l'Angelus dello scorso 31 Gennaio 2010:

Nella sua Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver spiegato, con l'immagine del corpo, che i diversi doni dello Spirito Santo concorrono al bene dell'unica Chiesa, Paolo mostra la “via” della perfezione. Questa - dice - non consiste nel possedere qualità eccezionali: parlare lingue nuove, conoscere tutti i misteri, avere una fede prodigiosa o compiere gesti eroici. Consiste invece nella carità - agape - cioè nell'amore autentico, quello che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo. La carità è il dono “più grande”, che dà valore a tutti gli altri, eppure “non si vanta, non si gonfia d'orgoglio”, anzi, “si rallegra della verità” e del bene altrui. Chi ama veramente “non cerca il proprio interesse”, “non tiene conto del male ricevuto”, “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (cfr 1 Cor 13,4-7). Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l'unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore e noi saremo simili a Lui, in comunione perfetta con Lui.

Per ora, mentre siamo in questo mondo, la carità è il distintivo del cristiano. E' la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa. Per questo, all'inizio del mio pontificato, ho voluto dedicare la mia prima Enciclica proprio al tema dell'amore: Deus caritas est. Come ricorderete, questa Enciclica si compone di due parti, che corrispondono ai due aspetti della carità: il suo significato, e quindi la sua attuazione pratica. L'amore è l'essenza di Dio stesso, è il senso della creazione e della storia, è la luce che dà bontà e bellezza all'esistenza di ogni uomo. Al tempo stesso, l'amore è, per così dire, lo “stile” di Dio e dell'uomo credente, è il comportamento di chi, rispondendo all'amore di Dio, imposta la propria vita come dono di sé a Dio e al prossimo. In Gesù Cristo questi due aspetti formano una perfetta unità: Egli è l'Amore incarnato. Questo Amore ci è rivelato pienamente nel Cristo crocifisso. Fissando lo sguardo su di Lui, possiamo confessare con l'apostolo Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” (cfr 1 Gv 4,16; Enc. Deus caritas est, 1).

Cari amici, se pensiamo ai Santi, riconosciamo la varietà dei loro doni spirituali, e anche dei loro caratteri umani. Ma la vita di ognuno di essi è un inno alla carità, un cantico vivente all'amore di Dio!


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