domenica 2 ottobre 2011
Il regno di Dio sarà dato a un popolo che produca frutti
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci fa capire come il regno di Dio sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare, attraverso il commento di padre Ermes Ronchi:
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?
È bella questa immagine di Isaia di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai; un Dio contadino che, come fa ogni contadino, dedica alla vigna più cuore e più cure che ad ogni altro campo. Dio ha per me una passione che nessuna delusione spegne, che non è mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo ogni mio rifiuto ad assediare il cuore. Per prima cosa, prima di qualsiasi azione, io voglio sostare dentro questa esperienza: sentire di essere vigna amata, lasciarmi amare da Dio. Non sono altro che una vite piccolina, ma a me, proprio a me Dio non vuole rinunciare.
Il frutto che Dio attende è come quello della vite: se ogni albero si preoccupasse solo di se stesso, solo di riprodursi, basterebbero pochi semi ogni molti anni, un frutto solo. E invece, ad ogni autunno, è un'abbondanza di frutti, una generosità magnifica offerta a tutti, all'uomo, al piccolo insetto, alla terra nutrice: la generosità della natura è un modello per il cuore dell'uomo.
La parabola però avanza in un clima di amarezza e di violenza. Mi pare di intuirne l'origine nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: «Costui è l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l'eredità!» Ascoltano quella voce primordiale e brutale che dice: prendi il posto dell'altro, eliminalo e avrai tu il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Sii il più forte, il più crudele, il più furbo e sarai tu il capo.
Questa è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
«Che cosa farà il padrone della vigna dopo l'uccisione del figlio?» La soluzione proposta dai giudei è logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo indietro, a prima del delitto, mantenendo intatto il ciclo immutabile del dare e dell'avere.
Gesù non è d'accordo: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Il sogno di Dio non è il tributo finalmente pagato, non è la pena scontata, i conti in pareggio, ma una vigna che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, bensì grappoli caldi di sole e gonfi di luce. Al di fuori della metafora, Dio sogna una storia che non sia guerra di possessi, battaglia di potere, ma sia vendemmia di generosità e di pace, grappoli di giustizia e di onestà. E forse perfino acini di Dio fra noi.
La visione di Gesù è positiva: la storia perenne dell'amore di Dio e del mio tradimento non si risolve in una sconfitta, il mio peccato non blocca il piano di Dio. L'esito della storia sarà buono, la vigna generosa di frutti, il Padrone non sprecherà i giorni dell'eternità in vendette.
Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?
È bella questa immagine di Isaia di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai; un Dio contadino che, come fa ogni contadino, dedica alla vigna più cuore e più cure che ad ogni altro campo. Dio ha per me una passione che nessuna delusione spegne, che non è mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo ogni mio rifiuto ad assediare il cuore. Per prima cosa, prima di qualsiasi azione, io voglio sostare dentro questa esperienza: sentire di essere vigna amata, lasciarmi amare da Dio. Non sono altro che una vite piccolina, ma a me, proprio a me Dio non vuole rinunciare.
Il frutto che Dio attende è come quello della vite: se ogni albero si preoccupasse solo di se stesso, solo di riprodursi, basterebbero pochi semi ogni molti anni, un frutto solo. E invece, ad ogni autunno, è un'abbondanza di frutti, una generosità magnifica offerta a tutti, all'uomo, al piccolo insetto, alla terra nutrice: la generosità della natura è un modello per il cuore dell'uomo.
La parabola però avanza in un clima di amarezza e di violenza. Mi pare di intuirne l'origine nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: «Costui è l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l'eredità!» Ascoltano quella voce primordiale e brutale che dice: prendi il posto dell'altro, eliminalo e avrai tu il suo campo, la sua casa, la sua donna, i suoi soldi. Sii il più forte, il più crudele, il più furbo e sarai tu il capo.
Questa è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
«Che cosa farà il padrone della vigna dopo l'uccisione del figlio?» La soluzione proposta dai giudei è logica: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo indietro, a prima del delitto, mantenendo intatto il ciclo immutabile del dare e dell'avere.
Gesù non è d'accordo: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Il sogno di Dio non è il tributo finalmente pagato, non è la pena scontata, i conti in pareggio, ma una vigna che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, bensì grappoli caldi di sole e gonfi di luce. Al di fuori della metafora, Dio sogna una storia che non sia guerra di possessi, battaglia di potere, ma sia vendemmia di generosità e di pace, grappoli di giustizia e di onestà. E forse perfino acini di Dio fra noi.
La visione di Gesù è positiva: la storia perenne dell'amore di Dio e del mio tradimento non si risolve in una sconfitta, il mio peccato non blocca il piano di Dio. L'esito della storia sarà buono, la vigna generosa di frutti, il Padrone non sprecherà i giorni dell'eternità in vendette.
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