domenica 16 ottobre 2011

Convivere chiede solidarietà

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci ricorda di dare a Dio ciò che è di Dio e all'uomo ciò che è dell'uomo, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Il Vangelo di oggi mette in risalto una delle condizioni essenziali, che riguardano il bene comune. Parlare di bene comune in una società significa avere strutture organizzative, che esigono una spesa non indifferente. Proviamo a pensare al nostro Paese.
Ogni città o paesino ha il suo Consiglio comunale, come ogni Provincia, ogni Regione... ed infine un Parlamento, con due Camere: ministri, sottosegretari, deputati, senatori, ecc. Sono molte migliaia di persone in strutture che dovrebbero assicurare l'ordinamento della giustizia e del bene comune.
È di questi tempi il pensiero che, forse, sono troppe, ed occorrerebbe alleggerire il peso della spesa, accorpando Comuni di mille abitanti, abrogando le Province e diminuendo deputati e senatori.
Se questo dovesse accadere forse davvero diminuirebbero le spese e, quindi, il carico delle tasse.... Con i mezzi di comunicazione che si hanno oggi è sicuramente possibile sostituire le persone con la tecnologia in vari ambiti, ma non è facile tagliare queste spese, senza incontrare l'opposizione - in alcuni casi davvero comprensibile, di migliaia di persone interessate in questi ambiti dell'amministrazione pubblica.
Eppure una buona economia assomiglia a quella di una famiglia, che sa misurare le proprie entrate, vivendo al livello delle proprie possibilità.
C'è stato un tempo - non lontano - in cui il benessere diffuso aveva dato l'illusione di poter vivere da ricchi. Basta vedere quanto abbiamo nelle nostre case di superfluo o di inutile e quanto consideriamo rifiuti e gettiamo. È la mentalità dell'usa e getta...
Per molti poi è difficile accettare le regole dell'economia e allora vi è quel fenomeno, davvero simile ad un 'furto', per cui si nascondono o mandano all'estero i propri capitali, per non dover essere soggetti alla tassazione.
Ma si impone una norma di giustizia, se davvero abbiamo a cuore il bene della nostra società, e non mettiamo al primo posto solo il nostro benessere. È chiaro che partecipare alla vita di una società ha un prezzo, ma in compenso si possono avere quei servizi, dall'ordine pubblico alla salute, alla casa e al lavoro, che possono assicurare serenità - anche se in questo momento particolare di crisi, sembra un po' utopico parlare in questi termini!!!
Del resto, tanto più fa male, in questa congiuntura generale, scoprire ogni giorno che chi dovrebbe essere zelante nel difendere il bene comune e la vita, non sa dare esempio neppure di onestà.
Il Vangelo di oggi aiuta a riflettere anche su questo.

"In quel tempo i farisei, avendo sentito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
Mandarono dunque a lui i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: 'Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dicci dunque il tuo parere: 'E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?'.
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: 'Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo'. Ed essi gli presentarono un denaro. Gesù domandò loro: 'Di chi è questa immagine e l'iscrizione?'. Gli risposero: 'Di Cesare'. Allora disse loro: 'Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio
" (Mt. 22, 15-21)

In altre parole: Gesù invita a pagare il tributo richiesto.
 Commenta Paolo VI, nell'Enciclica 'Chiesa e mondo': "Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità coniugale, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi grazie ai quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di una comunità di amore ed il rispetto della vita: sussidi che sono aiuto a coniugi e genitori nella loro preminente missione... Però non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla della identica chiarezza."

 In un'altra Enciclica, parlando del lavoro, così si esprime: "Necessaria all'incremento e al progresso umano, l'introduzione dell'industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l'applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l'uomo strappa poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo il miglior uso delle sue ricchezze...
Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motivo essenziale dell'economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura. Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l'economia è al servizio di tutti. Ma se è vero che un certo capitalismo è stato fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire all'industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, per debito di giustizia, riconoscere l'apporto dell'organizzazione del lavoro (Populorum Progressio n. 22-24)
È sotto gli occhi di tutti la gravità del momento: se da una parte assistiamo ad un arricchimento incredibile di pochi (e c'è da chiedersi se questo è lecito), abbiamo una massa sempre più considerevole di lavoratori che vedono la loro fatica ripagata con uno stipendio che, tante volte, non riesce a soddisfare le necessità della famiglia: uno stipendio che ha tutta l'aria di una 'elemosina" ben lontana dalla giustizia.
La Chiesa si sente tanto vicina e non si stanca di alzare la voce, perché al lavoro svolto venga ridata quella dignità che gli spetta e, con la dignità, uno stipendio che abbia davvero il sapore della riconoscenza e della giustizia, per la collaborazione del lavoratore al bene sociale.
Non si possono calpestare i diritti della persona che lavora, senza calpestare la persona stessa, che ha reso il servizio.
Che dire di quanti vivono ai margini del diritto al lavoro, con qualche sussidio che mortifica la giustizia?
Sua Santità Giovanni XXIII, il Papa buono, ebbe parole di fuoco al riguardo.
"Rileviamo con tristezza - affermava - per usare le parole della nostra 'Mater et Magistrà, che, mentre da una parte si mettono in accentuato rilievo le situazioni di disagio e si fa balenare lo spettro della miseria e della fame, dall'altra si utilizzano le risorse economiche per creare terribili strumenti di rovina e di morte.
È un invito a chi detiene l'arte di formare l'opinione pubblica e, in parte, ne ha il monopolio, a temere il severo giudizio di Dio e anche quello della storia e a procedere cautamente con rispetto e senso di misura. Non poche volte nei tempi moderni - e lo diciamo con pena e con franchezza - la stampa ha cooperato a preparare un clima di avversione e animosità, di rottura.
Uomini coperti di responsabilità, fragili e mortali, a voi guardiamo con ansia i vostri simili, prima fratelli e poi sudditi. Con l'autorità che ci viene da Gesù Cristo, vi diciamo: allontanate le suggestioni di forza; tremate all'idea di determinare una catena imponderabile di fatti, di giudizi, di risentimenti. Potere grande vi è stato dato, non per distruggere, ma per edificare; non per dividere, ma per unire; non per far scorrere fiumi di lacrime, ma per dare a tutti lavoro e sicurezza.
Ecco le varie applicazioni di una bontà che si deve estendere in tutti i campi dell'umana convivenza. Questa 'bontà' è forza e dominio di se stessi, pazienza per gli altri, carità che non si estingue, che non si perde d'animo, perché vuole solamente il bene attorno a sé".
Mentre scrivo passa davanti ai miei occhi la folla di chi disperato cerca un 'qualsiasi lavorò, il più delle volte perché deve mantenere una famiglia. Sa che è un suo diritto, prova a bussare a tutte le porte, ma la risposta è sempre la stessa: 'Siamo in crisi; ora non c'è posto!'.
È duro non sapere che fare di fronte a tali problemi, anche perché ricordo le lacrime di papà, quando venne colpito alla gamba da una barra di acciaio infuocata... e fu licenziato!
Passarono mesi per poter ritrovare la possibilità di un lavoro, anche perché era ridotto ad essere zoppicante. Ma la volontà di dare alla famiglia - che era di sette figli piccoli, più mamma - era più forte del dolore.
E lo guardavo con tristezza e orgoglio, ogni mattina partire in bicicletta, per trovare un qualsiasi lavoro, pur di portare a casa qualcosa che ci sostenesse. E questo per anni.
E quanti, come papà, oggi si trovano nelle stesse condizioni?
Non resta che operare e pregare, perché per tutti ci sia posto per la giustizia, per la semplice ragione che il lavoro è, per ogni uomo, giustizia e una società ben organizzata dovrebbe essere capace di attuare questo diritto, tanto più se la sua Costituzione proclama nello articolo: 'L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro....",
L'uomo, ogni uomo o donna, ricordiamolo sempre, non ha così tante capacità, dono di Dio, per custodirle nel cassetto, ma per partecipare, tutti, senza eccezioni, allo sviluppo dell'umanità, oltre che per fare spazio alle proprie doti, dono di Dio.
Che si avveri quello che Gesù disse: 'Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio " cioè date all'uomo quello che è dell'uomo, così che possa sentire e vivere la gioia di dare a Dio quel che è di Dio.

0 commenti:

Posta un commento