domenica 23 ottobre 2011

Maestro, qual è il grande comandamento?

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci mostra i due comandamenti dai quali "dipendono tutta la Legge e i Profeti", attraverso il commento di mons. Gianfranco Poma:

Il Vangelo di Matteo che abbiamo letto nelle domeniche del tempo ordinario di quest'anno liturgico che si avvia alla conclusione, è l'annuncio di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, inviato dal Padre per condurre a compimento l'Alleanza stretta da Dio con l'antico popolo ebraico: Matteo mostra in ogni sua pagina che Gesù non rinnega nulla della prima Alleanza, ma in modo nuovo ed imprevedibile, la porta a compimento, e nello stesso tempo guida la comunità cristiana a trovare con sempre maggiore chiarezza la propria identità. E sta in questo l'importanza e l'interesse con cui noi oggi leggiamo il Vangelo di Matteo: la novità e la pienezza di Gesù, è inesauribile e quindi va continuamente ricompresa e di conseguenza l'identità della comunità, della Chiesa, che vive di Lui, va continuamente riscoperta.

Le pagine del Vangelo che la Liturgia ci propone in queste domeniche ci invitano a ripercorrere questo itinerario di riscoperta della affascinante novità di Gesù e dell'identità cristiana che ne consegue.
Gesù è ormai a Gerusalemme, nel cuore dell'ebraismo. Il confronto con i capi religiosi e politici si fa sempre più serrato. I farisei, i sadducei, i dottori della Legge, tutti i rappresentanti delle categorie più significative esprimono il loro sconcerto di fronte a Gesù, cercano di prenderlo in fallo, cercano dei motivi per farlo condannare, per eliminarlo: è davvero grande dunque, e sconcertante in rapporto alle loro concezioni religiose e di vita, la novità che essi percepiscono in Gesù.

Se pensiamo che quando Matteo scrive, il contesto è ormai decisamente cambiato, significa che la novità di Gesù continua ad incontrare difficoltà e a suscitare scandalo pure all'interno della comunità cristiana alla quale egli si rivolge: il rischio di riportare Gesù a livello di un normale dottore della Legge, se pure magari di una Legge rivisitata, è costante nella vita della sua comunità. La sfida a cui Gesù provoca è la novità che i suoi interlocutori hanno percepito ed hanno rifiutato: chi crede in Lui la comprende, ne coglie la bellezza e la accoglie. La novità sta nel fatto che non si tratta di una teoria, di una dottrina, ma della sua persona da incontrare, in cui credere per entrare in una esperienza che chiede di essere sempre nuova.
Il brano che la Liturgia della domenica XXX del tempo ordinario ci propone (Matt.22,34-40), ci interpella in modo particolarmente forte: siamo coscienti della novità cristiana a cui siamo chiamati? Siamo coscienti della "differenza cristiana" che qualifica l'identità della comunità, della Chiesa, nella quale troviamo la vita?
Matteo ci parla dei dottori della Legge che vogliono mettere alla prova Gesù: vogliono verificare la sua competenza giuridica e di conseguenza la sua autorevolezza nell'illuminare le persone che si rivolgono a Lui. Essi sanno che i rabbini hanno contato fino a 613 precetti presenti nella Torah, divisi in "positivi" (248) e "negativi" (365), considerati come la rivelazione della volontà di Dio per Israele. I dottori della Legge disputano poi tra loro, discutono sul modo di intendere, di mettere in relazione gerarchica i precetti.Vogliono provocare Gesù perché si dichiari, si schieri con una scuola: ancora una volta vogliono catturarlo dentro i loro schemi oppure vogliono screditarlo di fronte a tutti.
Uno dei dottori parla per tutti: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?" E' una domanda posta con precisione tecnica all'interno dei circoli e dei partiti che si confrontano per il primo posto sulla scena del tempo.

La risposta di Gesù, apparentemente non dice niente di diverso da quello che i Farisei già sanno. Essi conoscono bene i due precetti presenti nella Legge: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente", è la citazione della professione di fede ebraica, lo "Shema Israel" (Deut.6,4); "Amerai il tuo prossimo come te stesso" è la citazione del libro del Levitico 19,18.

Il dottore della Legge ha interrogato Gesù sulla Legge: egli risponde con due frasi della Legge. La sua fedeltà alla Legge è indiscussa: Gesù non ne rinnega nulla, anzi, la valorizza, sottolineando l'importanza dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo.
Oltre la Legge, Gesù e i Farisei conoscono altrettanto bene come anche i Profeti leghino tra loro i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo. Per la Legge, basta pensare al decalogo: i comandamenti che riguardano il comportamento verso Dio, sono immediatamente seguiti da quelli che riguardano il rapporto con il prossimo.
Quanto ai Profeti, non fanno che richiamare il legame tra i due precetti per denunciare l'incoerenza di chi si ritiene fedele a Dio trasgredendo la giustizia verso il prossimo più debole.
Dunque, Gesù e i Farisei concordano nel ritenere che sia la Legge che i Profeti non fanno che richiamare il popolo alla fedeltà verso il Dio che lo ha liberato diventando a sua volta liberatore dei poveri.
Dunque Gesù è pienamente ebreo. Dove sta dunque la sua novità, quella per la quale i suoi interlocutore lo vogliono condannare?

Alla domanda del dottore della Legge: "Maestro, qual è il grande comandamento?", Gesù risponde, come è il suo solito, trasportando la questione su un altro piano e rifiutando di stabilire una scala di priorità di precetti. "Amerai il Signore tuo Dio.": questo è il grande e primo comandamento. E Gesù aggiunge immediatamente: "Ma il secondo è simile al primo: Amerai il tuo prossimo come te stesso". E il commento è: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".

Gesù invita i suoi interlocutori ad uscire da una concezione legalista: nei conflitti di doveri, i Farisei sono impegnati a discutere e a gerarchizzare i comandamenti. Gesù li invita ad una conversione radicale: con Dio non è questione di calcolare ciò che occorre fare per essere in regola. Ci sono modi si applicare le leggi che in realtà la tradiscono: la Legge che è stata data per la libertà e per la vita, può diventare schiavitù e morte. S. Paolo, l'antico fariseo scrupoloso che ha fatto l'esperienza della conversione, dice: "Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia" (Rom.6,14). La novità allora è Gesù stesso, il Figlio che fa l'esperienza dell'amore del Padre. "Amare Dio" per Gesù non si riduce all'osservanza della Legge, ma è l'esperienza intima della comunione con Dio. L'umanità di Gesù trova tutto il suo significato, il gusto della vita, la bellezza, la giustizia, la verità, nell'essere assunta nell'intimità divina. La conversione che Paolo ha sperimentato e che è offerta a noi, oggi, è l'incontro con Cristo e attraverso Lui è l'intimità con Dio, la pienezza dell'amore, la risposta del nostro amore all'amore che Dio ha per noi: è il superamento della Legge per un dinamismo nuovo di vita. Chi entra nella logica nuova dell'Amore, comprende la Parola di Gesù: i due comandamenti dell'amore sono simili perché l'amore con il quale il Figlio risponde all'amore del Padre è lo stesso amore che lega i fratelli: l'amore per i fratelli è il farsi concreto dell'amore per il Padre.Non si tratta quindi di fare una scala dei precetti o dei valori: si tratta di convertirci alla novità di Cristo, all'amore che è la "differenza cristiana" e l' "identità" profonda della Chiesa. L'amore libera e dà il giusto valore anche alle cose più piccole.

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