lunedì 31 ottobre 2011
Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Trentaseiesimo appuntamento
Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:
22.XI.1934.
+ Una volta il padre spirituale mi ordinò di riflettere attentamente su di me e di indagare per vedere se avevo qualche attaccamento a qualche oggetto o creatura od a me stessa o se vi era in me una propensione a chiacchierare inutilmente. « Poiché tutto ciò, mi disse, impedisce al Signore Gesù di amministrare a suo gradimento la tua anima. Dio è geloso del nostro cuore e vuole che amiamo Lui solo ». Quando cominciai a riflettere profondamente su me stessa, non notai di essere attaccata a qualche cosa. Tuttavia, come in tutte le mie cose, così anche in questa avevo paura di me stessa e non credevo a me stessa. Stanca per questa indagine minuziosa, andai davanti al SS.mo Sacramento e pregai Gesù con tutta la forza della mia anima: «Gesù, mio Sposo, Tesoro del mio cuore, Tu sai che conosco soltanto Te e non conosco altro amore tranne Te, ma Gesù, se dovessi affezionarmi a qualunque cosa all'infuori di Te, Ti prego e Ti scongiuro, Gesù, per la potenza della Tua Misericordia, fammi morire immediatamente, poiché preferisco mille volte morire, piuttosto che ingannarTi una sola volta nella più piccola cosa ». In quel momento Gesù si presentò all'improvviso davanti a me, non so da dove, splendente di una bellezza indicibile, in una veste bianca, con le braccia alzate e mi disse queste parole: « Figlia Mia, il tuo cuore è il Mio riposo ed il Mio compiacimento. In esso trovo tutto quello che un gran numero di anime Mi rifiuta. Dillo al Mio sostituto». Ed all'improvviso non vidi più nulla, ma una gioia immensa entrò nella mia anima. Ora comprendo che nulla può essermi d'impedimento all'amore che ho per Te, o Gesù: non la sofferenza, né le contrarietà, né il fuoco, né la spada, né la morte stessa. Mi sento più forte, al di sopra di tutto questo. Nulla è paragonabile all'amore. Vedo che le cose più insignificanti, compiute da un'anima che ama sinceramente Dio, hanno un valore inestimabile agli occhi dei Suoi santi.
5.XII.1934. Una mattina, dopo aver aperto la porta del convento per fare uscire i nostri operai addetti alla distribuzione del pane, entrai un momentino nella piccola cappellina, per fare una breve visita a Gesù e rinnovare le intenzioni del giorno. « Ecco, Gesù, oggi tutte le sofferenze, le mortificazioni, le preghiere, le offro per il Santo Padre, affinché approvi la festa della Misericordia. Ma Gesù, debbo dirTi ancora una parola. Sono molto stupita per il fatto che mi ordini di parlare di questa festa della Misericordia, quando tale festa, a quanto mi dicono, esiste già. Quindi, perché dovrei parlarne? E Gesù mi rispose: « Chi mai ne è informato tra la gente? Nessuno. E perfino coloro che debbono proclamare e dare delle istruzioni alla gente su questa Misericordia, spesso essi stessi non lo sanno. Per questo desidero che questa immagine venga solennemente benedetta la prima domenica dopo Pasqua e che riceva culto pubblico, in modo che tutti possano esserne informati. Fa' una novena secondo l'intenzione del Santo Padre, che deve essere composta di trentatré invocazioni, ripetendo cioè altrettante volte la breve preghiera alla Misericordia, che ti ho insegnato ». La sofferenza è il tesoro più grande che ci sia sulla terra. Essa purifica l'anima. Nella sofferenza conosciamo chi ci è veramente amico. Il vero amore si misura col termometro della sofferenza. Gesù, Ti ringrazio per le piccole croci quotidiane, per le contrarietà che incontro nelle mie iniziative, per il peso della vita comunitaria, per l'interpretazione distorta delle mie intenzioni, per le umiliazioni che provengono dagli altri, per il comportamento aspro verso di noi, per i sospetti ingiusti, per la salute cagionevole e per le forze che vengono meno, per il ripudio della mia volontà, per l'annientamento del proprio io, per il mancato riconoscimento in tutto, per gli impedimenti posti a tutti i miei progetti. Ti ringrazio, Gesù, per le sofferenze interiori, per l'aridità dello spirito, per le paure, i timori e i dubbi, per il buio fitto e le tenebre interiori, per le tentazioni e le diverse prove, per le angosce che è difficile descrivere, e soprattutto per quelle in cui nessuno ci capisce, per l'ora della morte, per la dura lotta che la precede e per tutta la sua amarezza. Ti ringrazio, Gesù, che hai bevuto il calice dell'amarezza, prima di porgerlo a me raddolcito. Ecco, ho accostato le mie labbra al calice della Tua santa volontà. Avvenga di me secondo il Tuo volere; avvenga di me ciò che ha stabilito la Tua sapienza fin dall'eternità. Desidero bere fino all'ultima stilla il calice della predestinazione, non voglio indagare su questa predestinazione, nell'amarezza c'è la mia gioia, nella disperazione la mia fiducia. In Te, o Signore, quello che ci dà il Tuo Cuore paterno è tutto buono; non preferisco le gioie alle amarezze, né le amarezze alle gioie, ma Ti ringrazio di tutto, o Gesù. La mia delizia consiste nello stare a contemplarTi, o Dio incomprensibile. È in un'esistenza misteriosa che si aggira il mio spirito, poiché è là che sento di essere a casa mia. Conosco bene la dimora del mio Sposo. Sento che in me non c'è nemmeno una goccia di sangue che non arda d'amore per Te. Bellezza eterna, chi Ti conosce una sola volta, non può più amare nessun'altra cosa. Sento la voragine insondabile della mia anima, e che niente può colmarla, all'infuori di Dio. Sento che sprofondo in Lui, come un granellino di sabbia in un oceano senza fondo.
20.XII.1934.
Una sera entrando nella cella, vidi Gesù esposto nell'ostensorio, come se fosse stato fuori all'aperto. Al piedi di Gesù vidi il mio confessore e dietro di lui un gran numero di ecclesiastici di altissimo rango, con indumenti che non avevo mai visto, eccetto allora in visione. E dietro a loro varie classi di ecclesiastici. Più in là vidi una folla così vasta di gente che non riuscii ad abbracciarla con lo sguardo. Vidi che dall'Ostia uscivano due raggi, come sono nell'immagine, che si unirono strettamente fra di loro, ma non si confusero e passarono nelle mani del mio confessore e poi nelle mani degli ecclesiastici e dalle loro mani passarono alla gente e tornarono nell'Ostia. E in quel momento mi vidi in cella mentre entravo.
22.XII.1934. Quando mi toccò in settimana d'andare a confessarmi, capitai che il mio confessore stava celebrando la S. Messa. Nella terza parte della S. Messa vidi il Bambino Gesù, un po' più piccolo del solito e con la differenza che aveva una piccola fascia di colore violetto, mentre di solito l'aveva bianca.
24.XII.1934. Vigilia di Natale. La mattina durante la S. Messa ho sentito la vicinanza di Dio; il mio spirito inavvertitamente si è immerso in Lui. Improvvisamente udii queste parole: « Tu sei una gradevole dimora per Me; in te il Mio Spirito riposa ». Dopo queste parole sentii lo sguardo del Signore nel profondo del mio cuore e vedendo la mia miseria, mi umiliai in spirito ed ammirai la grande Misericordia di Dio, considerando che l'altissimo Signore si accosta ad una tale miseria. Durante la santa Comunione la gioia inondò la mia anima; sentii che ero strettamente unita alla Divinità; la Sua onnipotenza assorbì tutto il mio essere. Per tutta la giornata avvertii in modo particolare la vicinanza di Dio e, sebbene gli impegni non mi permettessero per tutta la giornata di andare nemmeno per un momento in cappella, tuttavia non ci fu un solo istante in cui non fossi unita a Dio. Lo sentii in me in una maniera più sensibile di qualunque altra volta. Salutai senza posa la Madonna, immedesimandomi nel Suo spirito e La pregai, affinché m'insegnasse il vero amore di Dio. Ad un tratto udii queste parole: « Durante la S. Messa di mezzanotte ti comunicherò il segreto della Mia felicità ». La cena fu prima delle sei; nonostante la letizia ed il chiasso esterno che c'è quando ci si scambia l'oplatek, durante lo scambio vicendevole degli auguri non venni privata nemmeno per un istante della presenza di Dio. Dopo cena ci affrettammo col lavoro ed alle nove potei andare all'adorazione in cappella. Avevo ottenuto il permesso di non andare a riposare, ma di attendere la Messa di mezzanotte. Ne gioii enormemente; dalle nove alle dodici avevo tempo libero. Dalle nove alle dieci feci l'adorazione per i miei genitori e per tutta la mia famiglia. Dalle dieci alle undici feci l'adorazione per il mio direttore spirituale, ringraziando anzitutto Dio, che si era degnato di darmi qui in terra questo grande aiuto visibile, come mi aveva promesso e, in secondo luogo, per impetrargli luce, affinché potesse conoscere la mia anima e guidarmi come piaceva a Dio. Dalle undici alle dodici ho pregato per la santa Chiesa e per il clero, per i peccatori, per le missioni, per le nostre case. Le indulgenze le ho offerte per le anime del purgatorio.
Ore dodici. 25.XII.1934.
Messa di mezzanotte. Appena usci la santa Messa, il raccoglimento interiore s'impadronì di me, la gioia inondò la mia anima. Durante l'offertorio vidi Gesù sull'altare; era di una bellezza incomparabile. Il Bambinello per tutto il tempo guardò verso tutti, tendendo le manine. Quando ci fu l'elevazione il Bambinello non guardò verso la cappella, ma verso il cielo; dopo l'elevazione si rivolse di nuovo verso di noi, ma per poco tempo, poiché come al solito venne spezzato e mangiato dal sacerdote. La fascia l'aveva bianca. Il giorno dopo vidi la stessa cosa e lo stesso vidi il terzo giorno. E difficile esprimere la gioia che avevo nell'anima. Questa visione si ripeté durante tre sante Messe, esattamente come nelle prime.
22.XI.1934.
+ Una volta il padre spirituale mi ordinò di riflettere attentamente su di me e di indagare per vedere se avevo qualche attaccamento a qualche oggetto o creatura od a me stessa o se vi era in me una propensione a chiacchierare inutilmente. « Poiché tutto ciò, mi disse, impedisce al Signore Gesù di amministrare a suo gradimento la tua anima. Dio è geloso del nostro cuore e vuole che amiamo Lui solo ». Quando cominciai a riflettere profondamente su me stessa, non notai di essere attaccata a qualche cosa. Tuttavia, come in tutte le mie cose, così anche in questa avevo paura di me stessa e non credevo a me stessa. Stanca per questa indagine minuziosa, andai davanti al SS.mo Sacramento e pregai Gesù con tutta la forza della mia anima: «Gesù, mio Sposo, Tesoro del mio cuore, Tu sai che conosco soltanto Te e non conosco altro amore tranne Te, ma Gesù, se dovessi affezionarmi a qualunque cosa all'infuori di Te, Ti prego e Ti scongiuro, Gesù, per la potenza della Tua Misericordia, fammi morire immediatamente, poiché preferisco mille volte morire, piuttosto che ingannarTi una sola volta nella più piccola cosa ». In quel momento Gesù si presentò all'improvviso davanti a me, non so da dove, splendente di una bellezza indicibile, in una veste bianca, con le braccia alzate e mi disse queste parole: « Figlia Mia, il tuo cuore è il Mio riposo ed il Mio compiacimento. In esso trovo tutto quello che un gran numero di anime Mi rifiuta. Dillo al Mio sostituto». Ed all'improvviso non vidi più nulla, ma una gioia immensa entrò nella mia anima. Ora comprendo che nulla può essermi d'impedimento all'amore che ho per Te, o Gesù: non la sofferenza, né le contrarietà, né il fuoco, né la spada, né la morte stessa. Mi sento più forte, al di sopra di tutto questo. Nulla è paragonabile all'amore. Vedo che le cose più insignificanti, compiute da un'anima che ama sinceramente Dio, hanno un valore inestimabile agli occhi dei Suoi santi.
5.XII.1934. Una mattina, dopo aver aperto la porta del convento per fare uscire i nostri operai addetti alla distribuzione del pane, entrai un momentino nella piccola cappellina, per fare una breve visita a Gesù e rinnovare le intenzioni del giorno. « Ecco, Gesù, oggi tutte le sofferenze, le mortificazioni, le preghiere, le offro per il Santo Padre, affinché approvi la festa della Misericordia. Ma Gesù, debbo dirTi ancora una parola. Sono molto stupita per il fatto che mi ordini di parlare di questa festa della Misericordia, quando tale festa, a quanto mi dicono, esiste già. Quindi, perché dovrei parlarne? E Gesù mi rispose: « Chi mai ne è informato tra la gente? Nessuno. E perfino coloro che debbono proclamare e dare delle istruzioni alla gente su questa Misericordia, spesso essi stessi non lo sanno. Per questo desidero che questa immagine venga solennemente benedetta la prima domenica dopo Pasqua e che riceva culto pubblico, in modo che tutti possano esserne informati. Fa' una novena secondo l'intenzione del Santo Padre, che deve essere composta di trentatré invocazioni, ripetendo cioè altrettante volte la breve preghiera alla Misericordia, che ti ho insegnato ». La sofferenza è il tesoro più grande che ci sia sulla terra. Essa purifica l'anima. Nella sofferenza conosciamo chi ci è veramente amico. Il vero amore si misura col termometro della sofferenza. Gesù, Ti ringrazio per le piccole croci quotidiane, per le contrarietà che incontro nelle mie iniziative, per il peso della vita comunitaria, per l'interpretazione distorta delle mie intenzioni, per le umiliazioni che provengono dagli altri, per il comportamento aspro verso di noi, per i sospetti ingiusti, per la salute cagionevole e per le forze che vengono meno, per il ripudio della mia volontà, per l'annientamento del proprio io, per il mancato riconoscimento in tutto, per gli impedimenti posti a tutti i miei progetti. Ti ringrazio, Gesù, per le sofferenze interiori, per l'aridità dello spirito, per le paure, i timori e i dubbi, per il buio fitto e le tenebre interiori, per le tentazioni e le diverse prove, per le angosce che è difficile descrivere, e soprattutto per quelle in cui nessuno ci capisce, per l'ora della morte, per la dura lotta che la precede e per tutta la sua amarezza. Ti ringrazio, Gesù, che hai bevuto il calice dell'amarezza, prima di porgerlo a me raddolcito. Ecco, ho accostato le mie labbra al calice della Tua santa volontà. Avvenga di me secondo il Tuo volere; avvenga di me ciò che ha stabilito la Tua sapienza fin dall'eternità. Desidero bere fino all'ultima stilla il calice della predestinazione, non voglio indagare su questa predestinazione, nell'amarezza c'è la mia gioia, nella disperazione la mia fiducia. In Te, o Signore, quello che ci dà il Tuo Cuore paterno è tutto buono; non preferisco le gioie alle amarezze, né le amarezze alle gioie, ma Ti ringrazio di tutto, o Gesù. La mia delizia consiste nello stare a contemplarTi, o Dio incomprensibile. È in un'esistenza misteriosa che si aggira il mio spirito, poiché è là che sento di essere a casa mia. Conosco bene la dimora del mio Sposo. Sento che in me non c'è nemmeno una goccia di sangue che non arda d'amore per Te. Bellezza eterna, chi Ti conosce una sola volta, non può più amare nessun'altra cosa. Sento la voragine insondabile della mia anima, e che niente può colmarla, all'infuori di Dio. Sento che sprofondo in Lui, come un granellino di sabbia in un oceano senza fondo.
20.XII.1934.
Una sera entrando nella cella, vidi Gesù esposto nell'ostensorio, come se fosse stato fuori all'aperto. Al piedi di Gesù vidi il mio confessore e dietro di lui un gran numero di ecclesiastici di altissimo rango, con indumenti che non avevo mai visto, eccetto allora in visione. E dietro a loro varie classi di ecclesiastici. Più in là vidi una folla così vasta di gente che non riuscii ad abbracciarla con lo sguardo. Vidi che dall'Ostia uscivano due raggi, come sono nell'immagine, che si unirono strettamente fra di loro, ma non si confusero e passarono nelle mani del mio confessore e poi nelle mani degli ecclesiastici e dalle loro mani passarono alla gente e tornarono nell'Ostia. E in quel momento mi vidi in cella mentre entravo.
22.XII.1934. Quando mi toccò in settimana d'andare a confessarmi, capitai che il mio confessore stava celebrando la S. Messa. Nella terza parte della S. Messa vidi il Bambino Gesù, un po' più piccolo del solito e con la differenza che aveva una piccola fascia di colore violetto, mentre di solito l'aveva bianca.
24.XII.1934. Vigilia di Natale. La mattina durante la S. Messa ho sentito la vicinanza di Dio; il mio spirito inavvertitamente si è immerso in Lui. Improvvisamente udii queste parole: « Tu sei una gradevole dimora per Me; in te il Mio Spirito riposa ». Dopo queste parole sentii lo sguardo del Signore nel profondo del mio cuore e vedendo la mia miseria, mi umiliai in spirito ed ammirai la grande Misericordia di Dio, considerando che l'altissimo Signore si accosta ad una tale miseria. Durante la santa Comunione la gioia inondò la mia anima; sentii che ero strettamente unita alla Divinità; la Sua onnipotenza assorbì tutto il mio essere. Per tutta la giornata avvertii in modo particolare la vicinanza di Dio e, sebbene gli impegni non mi permettessero per tutta la giornata di andare nemmeno per un momento in cappella, tuttavia non ci fu un solo istante in cui non fossi unita a Dio. Lo sentii in me in una maniera più sensibile di qualunque altra volta. Salutai senza posa la Madonna, immedesimandomi nel Suo spirito e La pregai, affinché m'insegnasse il vero amore di Dio. Ad un tratto udii queste parole: « Durante la S. Messa di mezzanotte ti comunicherò il segreto della Mia felicità ». La cena fu prima delle sei; nonostante la letizia ed il chiasso esterno che c'è quando ci si scambia l'oplatek, durante lo scambio vicendevole degli auguri non venni privata nemmeno per un istante della presenza di Dio. Dopo cena ci affrettammo col lavoro ed alle nove potei andare all'adorazione in cappella. Avevo ottenuto il permesso di non andare a riposare, ma di attendere la Messa di mezzanotte. Ne gioii enormemente; dalle nove alle dodici avevo tempo libero. Dalle nove alle dieci feci l'adorazione per i miei genitori e per tutta la mia famiglia. Dalle dieci alle undici feci l'adorazione per il mio direttore spirituale, ringraziando anzitutto Dio, che si era degnato di darmi qui in terra questo grande aiuto visibile, come mi aveva promesso e, in secondo luogo, per impetrargli luce, affinché potesse conoscere la mia anima e guidarmi come piaceva a Dio. Dalle undici alle dodici ho pregato per la santa Chiesa e per il clero, per i peccatori, per le missioni, per le nostre case. Le indulgenze le ho offerte per le anime del purgatorio.
Ore dodici. 25.XII.1934.
Messa di mezzanotte. Appena usci la santa Messa, il raccoglimento interiore s'impadronì di me, la gioia inondò la mia anima. Durante l'offertorio vidi Gesù sull'altare; era di una bellezza incomparabile. Il Bambinello per tutto il tempo guardò verso tutti, tendendo le manine. Quando ci fu l'elevazione il Bambinello non guardò verso la cappella, ma verso il cielo; dopo l'elevazione si rivolse di nuovo verso di noi, ma per poco tempo, poiché come al solito venne spezzato e mangiato dal sacerdote. La fascia l'aveva bianca. Il giorno dopo vidi la stessa cosa e lo stesso vidi il terzo giorno. E difficile esprimere la gioia che avevo nell'anima. Questa visione si ripeté durante tre sante Messe, esattamente come nelle prime.
domenica 30 ottobre 2011
Tra il dire e il fare
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci indica la via dell'umiltà, attraverso il commento di mons. Roberto Brunelli:
Si può parlare di incoerenza in senso positivo e in senso negativo. L'uomo non è un monolite, sempre uguale a se stesso. La maturazione del pensiero, spesso sollecitata dall'esperienza, può portare a cambiare anche radicalmente idee e atteggiamenti; e se questo avviene con sincera onestà, non solo è ammissibile: è rispettabile, anzi è doveroso essere fedeli alla propria coscienza. Altro è invece il caso di chi dice una cosa, magari sbandiera proclami, e poi agisce in senso difforme quando non addirittura contrario. E' questa l'incoerenza che lamentiamo spesso nelle persone "in vista", a cominciare dai politici, così come nei nostri conoscenti. Onestà vorrebbe che nell'elenco includessimo anche noi stessi: quante volte la nostra lingua è stata in conflitto col nostro pensiero? Quante volte abbiamo promesso, senza alcuna intenzione di mantenere? Quante volte abbiamo condannato negli altri quello che, magari nascostamente, facciamo, o vorremmo poter fare, anche noi?
In ogni caso, l'incoerenza in senso negativo non è un difetto solo di oggi, come attestano anche le letture della Messa di questa domenica. Il libro che raccoglie i vaticini di un profeta vissuto oltre quattrocento anni prima di Cristo (Malachia 1,14-2,10) contiene aspri rimproveri per i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, i quali, dichiarando con il loro sacerdozio di essere fedeli a Dio, nei fatti si sono "allontanati dalla retta via", non hanno osservato le sue disposizioni, hanno agito con perfidia. E accuse simili Gesù ha rivolto spesso a quei suoi contemporanei, che si presentavano come esperti nell'interpretazione (gli scribi) o come osservanti esemplari (i farisei) della volontà di Dio. Nel brano evangelico di oggi (Matteo 23,1-12), ad esempio, si rivolge alla folla e ai suoi discepoli con queste parole: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno".
Non tutti i farisei, ovviamente, erano così; molti erano sinceri e rigorosi osservanti della Legge divina; ma dovevano essercene altri che in realtà smentivano nei fatti quanto proclamavano a parole. Di qui il significato oggi corrente della parola ?fariseo' come sinonimo di ipocrita, simulatore di buoni sentimenti e comportamenti, esibiti solo per convenienza. (ad esempio per meglio imbrogliare il prossimo) o per vanità (al fine di essere stimati e lodati). Circa la vanità, nel suo discorso Gesù dice tra l'altro: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange" (particolari dell'abito del pio israelita), "amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì", cioè maestro.
Gesù in sintesi accusa i farisei di apparire come non sono, al fine di distinguersi dalla massa, elevarsi al di sopra del volgo: e per questo ribadisce poi la via cristiana all'umiltà. "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato". In vista del giudizio futuro, quando la verità sarà svelata e la giustizia sarà ristabilita, l'atteggiamento qui sotteso è quello proclamato la scorsa domenica: amare Dio con sincerità di cuore, dimostrata dal sincero amore del prossimo. Il servo di cui parla Gesù non è lo schiavo sottomesso a forza, né chi si pone alle dipendenze di altri per necessità: in senso evangelico, servo è chi liberamente, per intima convinzione, si avvale di quanto sa e di quanto ha per cercare il bene dei suoi simili. La vera grandezza, quella che sarà manifesta nel giorno del giudizio, quella di cui hanno dato dimostrazione i santi e prima di tutti lui, il Signore e Redentore, non deriva dall'accumulo di medaglie e titoli, non da elogi e monumenti. La vera grandezza sta nel donarsi.
Si può parlare di incoerenza in senso positivo e in senso negativo. L'uomo non è un monolite, sempre uguale a se stesso. La maturazione del pensiero, spesso sollecitata dall'esperienza, può portare a cambiare anche radicalmente idee e atteggiamenti; e se questo avviene con sincera onestà, non solo è ammissibile: è rispettabile, anzi è doveroso essere fedeli alla propria coscienza. Altro è invece il caso di chi dice una cosa, magari sbandiera proclami, e poi agisce in senso difforme quando non addirittura contrario. E' questa l'incoerenza che lamentiamo spesso nelle persone "in vista", a cominciare dai politici, così come nei nostri conoscenti. Onestà vorrebbe che nell'elenco includessimo anche noi stessi: quante volte la nostra lingua è stata in conflitto col nostro pensiero? Quante volte abbiamo promesso, senza alcuna intenzione di mantenere? Quante volte abbiamo condannato negli altri quello che, magari nascostamente, facciamo, o vorremmo poter fare, anche noi?
In ogni caso, l'incoerenza in senso negativo non è un difetto solo di oggi, come attestano anche le letture della Messa di questa domenica. Il libro che raccoglie i vaticini di un profeta vissuto oltre quattrocento anni prima di Cristo (Malachia 1,14-2,10) contiene aspri rimproveri per i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, i quali, dichiarando con il loro sacerdozio di essere fedeli a Dio, nei fatti si sono "allontanati dalla retta via", non hanno osservato le sue disposizioni, hanno agito con perfidia. E accuse simili Gesù ha rivolto spesso a quei suoi contemporanei, che si presentavano come esperti nell'interpretazione (gli scribi) o come osservanti esemplari (i farisei) della volontà di Dio. Nel brano evangelico di oggi (Matteo 23,1-12), ad esempio, si rivolge alla folla e ai suoi discepoli con queste parole: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno".
Non tutti i farisei, ovviamente, erano così; molti erano sinceri e rigorosi osservanti della Legge divina; ma dovevano essercene altri che in realtà smentivano nei fatti quanto proclamavano a parole. Di qui il significato oggi corrente della parola ?fariseo' come sinonimo di ipocrita, simulatore di buoni sentimenti e comportamenti, esibiti solo per convenienza. (ad esempio per meglio imbrogliare il prossimo) o per vanità (al fine di essere stimati e lodati). Circa la vanità, nel suo discorso Gesù dice tra l'altro: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange" (particolari dell'abito del pio israelita), "amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì", cioè maestro.
Gesù in sintesi accusa i farisei di apparire come non sono, al fine di distinguersi dalla massa, elevarsi al di sopra del volgo: e per questo ribadisce poi la via cristiana all'umiltà. "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato". In vista del giudizio futuro, quando la verità sarà svelata e la giustizia sarà ristabilita, l'atteggiamento qui sotteso è quello proclamato la scorsa domenica: amare Dio con sincerità di cuore, dimostrata dal sincero amore del prossimo. Il servo di cui parla Gesù non è lo schiavo sottomesso a forza, né chi si pone alle dipendenze di altri per necessità: in senso evangelico, servo è chi liberamente, per intima convinzione, si avvale di quanto sa e di quanto ha per cercare il bene dei suoi simili. La vera grandezza, quella che sarà manifesta nel giorno del giudizio, quella di cui hanno dato dimostrazione i santi e prima di tutti lui, il Signore e Redentore, non deriva dall'accumulo di medaglie e titoli, non da elogi e monumenti. La vera grandezza sta nel donarsi.
venerdì 28 ottobre 2011
Questa è la nostra fede - III parte
Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede":
3. L’annuncio fondamentale
Un’altra caratteristica fondamentale dell’annuncio cristiano è l’essenzialità del suo contenuto.
Dopo aver lottato contro Satana nel deserto e averlo vinto con la forza dello Spirito Santo, Gesù di Nazaret ha cominciato a proclamare: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che egli ha da comunicare: è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene. Gesù esprime il suo messaggio con un linguaggio diretto, vivace: il tono immediato, autorevole e solenne, è quello del banditore che in pubblico e ad alta voce reca una novità lieta e attesa. E in quelle parole c’è una vibrazione di urgenza: l’annuncio risuona con un forte appello alla responsabilità degli ascoltatori. Anche la struttura del messaggio è lineare, incisiva, lapidaria. Prima di tutto una buona notizia, anzi la notizia più sorprendente che mai sia stata annunciata sulla terra: il tempo è giunto al massimo della maturazione e Dio ha deciso di intervenire nella storia come re e salvatore; e in secondo luogo una chiamata pressante: cambiare vita e credere a questa bella notizia. All’indicativo che riguarda l’iniziativa di Dio, segue l’imperativo che riguarda l’impegno dell’uomo. La salvezza è un dono, il dono più grande; la risposta, il cambiamento morale, è affidata alla libera e responsabile volontà delle persone.
Con la Pasqua si verifica un passaggio decisivo: Gesù, da annunciatore del regno di Dio, diventa il Signore annunciato dalla Chiesa. È lui infatti il regno di Dio, instaurato dallo Spirito Santo, in mezzo a noi; è lui la primizia della nuova umanità. Anche il messaggio della Chiesa si presenta con quelle caratteristiche di densità del contenuto e di brevità e concisione nella formulazione, già riscontrate nella predicazione di Gesù. Nel Nuovo Testamento si trovano vari brani in cui si esprime il nucleo essenziale della fede cristiana. Così, ad esempio, gli apostoli proclamano con chiarezza e solennità di fronte al Sinedrio: «Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore» (At 5,30). L’evento della Pasqua rimane il nucleo germinale di tutto il processo di trasmissione del Vangelo, come ci testimonia san Paolo. Scrivendo verso la primavera dell’anno 56 alla Chiesa di Corinto, l’apostolo ricorda ai suoi lettori di avere egli stesso “trasmesso”, al tempo della fondazione della comunità verso l’anno 51, il messaggio da lui “ricevuto”, a sua volta, al tempo della conversione, verso l’anno 36. Attraverso questa tradizione ininterrotta si risale all’evento basilare di tutta la storia della salvezza: la morte e risurrezione di Cristo (cfr 1Cor 15,1-5).
Il messaggio cristiano si riassume non in una parola astratta, ma nella notizia puntuale e concreta di un evento storico, un avvenimento mai accaduto prima, riguardante Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, vissuto su questa nostra terra in un tempo determinato, in un luogo particolare. Perciò, per sintetizzare tutto l’insegnamento impartito da Filippo al ministro della regina Candace, san Luca si può limitare a una formula brevissima: «annunciò a lui Gesù» (At 8,35).
La rivelazione cristiana contiene certamente anche una dottrina su Dio e sull’uomo, come pure un insegnamento morale su ciò che si deve o non si deve fare, ma il suo cuore pulsante resta la Pasqua del Signore Gesù. Diversamente, il Vangelo perderebbe la sua trascendenza e si ridurrebbe inevitabilmente a un Vangelo secondo un «modello umano» (Gal 1,11). Ma allora l’annuncio della Chiesa svapora in un vago messaggio etico, e l’originalità specifica del cristianesimo inesorabilmente sbiadisce. Infatti varie religioni insegnano che Dio ama l’uomo, ma solo la fede cristiana crede nel Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza. Ma se Cristo è risorto, allora ci è consentita la speranza di poter superare il male più tragico dell’uomo, che è la morte. Questa è la “buona notizia”.
4. L’unico messaggio, in una molteplicità di linguaggi
Un messaggio unico e sempre identico, espresso in un’ampia varietà di forme e di modi: è un’altra caratteristica del Vangelo, così come Gesù lo annuncia. Anche sotto questo aspetto – e non solo per il contenuto – l’annuncio del Maestro di Nazaret si presenta nel segno di una originalità inconfondibile. Il tema centrale della sua predicazione – il regno di Dio non è più da attendere in un lontano futuro; è in arrivo, anzi è già presente – viene da lui proclamato negli ambienti e nelle situazioni più diverse, ricorrendo a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e dibattiti. Il genere comunemente più conosciuto è quello delle parabole: si tratta di racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione rapida e colorita. Gesù vi fa ricorso per lo più quando deve parlare del regno di Dio a coloro che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Ascoltando una parabola, costoro sono invitati a riflettere, a liberarsi dai pregiudizi, e vengono provocati a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui.
Non solo il Vangelo di Gesù, anche il Vangelo su Gesù viene annunciato dalla Chiesa con una molteplicità di generi letterari e una grande varietà di formule. Per lo più il linguaggio è di tipo narrativo (Gesù «è stato crocifisso» ma «è risorto», «è apparso», «è stato glorificato» o «esaltato»), ma nel Nuovo Testamento troviamo anche formule assertive: «Gesù è il Signore» (Rm 10,9), «Gesù è il Cristo» (At 5,42); «Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio» (Gv 20,31), «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Inoltre la fede nell’evento della Pasqua viene espressa attraverso tre principali generi letterari: la professione di fede, l’inno, il racconto. Un esempio tipico di professione di fede è quello già citato della prima Lettera ai Corinzi: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-5). Quando questa fede viene celebrata all’interno delle comunità cristiana, allora la si esprime anche attraverso inni o cantici, come l’inno riportato da Paolo nella Lettera ai Filippesi, in cui si proclama la condizione divina di Gesù Cristo (la pre-esistenza), il dramma della sua umiliazione fino alla morte di croce (la pro-esistenza) e l’esaltazione fino alla gloria di Signore (cfr Fil 2,6-11).
Ma fin dal giorno di Pentecoste la Chiesa apostolica proclama la sua fede narrando la lieta notizia di un evento preciso e concreto: la Pasqua del Signore. Caratteristico al riguardo è il discorso che Pietro, a nome degli altri Undici, tiene a Pentecoste (At 2,14-40), rivolgendosi ai Giudei e a quanti si trovavano a Gerusalemme, e che egli conclude con un messaggio solenne e sintetico: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Questo discorso, come anche gli altri che si incontrano nel libro degli Atti degli apostoli (At 3,12-26; 4,8-12; 5,29-32; 10,34-43; 13,16-41), è strutturato attorno a tre elementi ricorrenti: una breve rievocazione in forma narrativa degli avvenimenti riguardanti Gesù, soprattutto la sua risurrezione; una interpretazione di questo evento alla luce delle Scritture; un appello coinvolgente, rivolto agli ascoltatori, perché aderiscano con la fede al messaggio proclamato e si convertano. Attorno a questi elementi fondamentali si struttureranno quei racconti più sviluppati che sono i nostri quattro vangeli.
Questo processo di evangelizzazione è animato da un dinamismo comunicativo che la Chiesa non può mai trascurare: il seme della Parola va gettato nei terreni delle varie culture e delle più svariate situazioni. Ciò esige il rispetto, sapiente e creativo, di una duplice fedeltà: al messaggio che è Cristo, «lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8); e all’uomo, alle sue esigenze concrete[11]. Il Vangelo non può essere meccanicamente ripetuto; deve essere sempre inculturato intelligentemente e genialmente riespresso.
I. ALLE SORGENTI DELL’EVANGELIZZAZIONE
3. L’annuncio fondamentale
Un’altra caratteristica fondamentale dell’annuncio cristiano è l’essenzialità del suo contenuto.
Dopo aver lottato contro Satana nel deserto e averlo vinto con la forza dello Spirito Santo, Gesù di Nazaret ha cominciato a proclamare: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa è la buona notizia che egli ha da comunicare: è la causa per cui vive, la ferma speranza che lo sostiene. Gesù esprime il suo messaggio con un linguaggio diretto, vivace: il tono immediato, autorevole e solenne, è quello del banditore che in pubblico e ad alta voce reca una novità lieta e attesa. E in quelle parole c’è una vibrazione di urgenza: l’annuncio risuona con un forte appello alla responsabilità degli ascoltatori. Anche la struttura del messaggio è lineare, incisiva, lapidaria. Prima di tutto una buona notizia, anzi la notizia più sorprendente che mai sia stata annunciata sulla terra: il tempo è giunto al massimo della maturazione e Dio ha deciso di intervenire nella storia come re e salvatore; e in secondo luogo una chiamata pressante: cambiare vita e credere a questa bella notizia. All’indicativo che riguarda l’iniziativa di Dio, segue l’imperativo che riguarda l’impegno dell’uomo. La salvezza è un dono, il dono più grande; la risposta, il cambiamento morale, è affidata alla libera e responsabile volontà delle persone.
Con la Pasqua si verifica un passaggio decisivo: Gesù, da annunciatore del regno di Dio, diventa il Signore annunciato dalla Chiesa. È lui infatti il regno di Dio, instaurato dallo Spirito Santo, in mezzo a noi; è lui la primizia della nuova umanità. Anche il messaggio della Chiesa si presenta con quelle caratteristiche di densità del contenuto e di brevità e concisione nella formulazione, già riscontrate nella predicazione di Gesù. Nel Nuovo Testamento si trovano vari brani in cui si esprime il nucleo essenziale della fede cristiana. Così, ad esempio, gli apostoli proclamano con chiarezza e solennità di fronte al Sinedrio: «Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore» (At 5,30). L’evento della Pasqua rimane il nucleo germinale di tutto il processo di trasmissione del Vangelo, come ci testimonia san Paolo. Scrivendo verso la primavera dell’anno 56 alla Chiesa di Corinto, l’apostolo ricorda ai suoi lettori di avere egli stesso “trasmesso”, al tempo della fondazione della comunità verso l’anno 51, il messaggio da lui “ricevuto”, a sua volta, al tempo della conversione, verso l’anno 36. Attraverso questa tradizione ininterrotta si risale all’evento basilare di tutta la storia della salvezza: la morte e risurrezione di Cristo (cfr 1Cor 15,1-5).
Il messaggio cristiano si riassume non in una parola astratta, ma nella notizia puntuale e concreta di un evento storico, un avvenimento mai accaduto prima, riguardante Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto uomo, vissuto su questa nostra terra in un tempo determinato, in un luogo particolare. Perciò, per sintetizzare tutto l’insegnamento impartito da Filippo al ministro della regina Candace, san Luca si può limitare a una formula brevissima: «annunciò a lui Gesù» (At 8,35).
La rivelazione cristiana contiene certamente anche una dottrina su Dio e sull’uomo, come pure un insegnamento morale su ciò che si deve o non si deve fare, ma il suo cuore pulsante resta la Pasqua del Signore Gesù. Diversamente, il Vangelo perderebbe la sua trascendenza e si ridurrebbe inevitabilmente a un Vangelo secondo un «modello umano» (Gal 1,11). Ma allora l’annuncio della Chiesa svapora in un vago messaggio etico, e l’originalità specifica del cristianesimo inesorabilmente sbiadisce. Infatti varie religioni insegnano che Dio ama l’uomo, ma solo la fede cristiana crede nel Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso per i nostri peccati e risorto per la nostra salvezza. Ma se Cristo è risorto, allora ci è consentita la speranza di poter superare il male più tragico dell’uomo, che è la morte. Questa è la “buona notizia”.
4. L’unico messaggio, in una molteplicità di linguaggi
Un messaggio unico e sempre identico, espresso in un’ampia varietà di forme e di modi: è un’altra caratteristica del Vangelo, così come Gesù lo annuncia. Anche sotto questo aspetto – e non solo per il contenuto – l’annuncio del Maestro di Nazaret si presenta nel segno di una originalità inconfondibile. Il tema centrale della sua predicazione – il regno di Dio non è più da attendere in un lontano futuro; è in arrivo, anzi è già presente – viene da lui proclamato negli ambienti e nelle situazioni più diverse, ricorrendo a sentenze e parabole, esortazioni e minacce, colloqui e dibattiti. Il genere comunemente più conosciuto è quello delle parabole: si tratta di racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione rapida e colorita. Gesù vi fa ricorso per lo più quando deve parlare del regno di Dio a coloro che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Ascoltando una parabola, costoro sono invitati a riflettere, a liberarsi dai pregiudizi, e vengono provocati a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui.
Non solo il Vangelo di Gesù, anche il Vangelo su Gesù viene annunciato dalla Chiesa con una molteplicità di generi letterari e una grande varietà di formule. Per lo più il linguaggio è di tipo narrativo (Gesù «è stato crocifisso» ma «è risorto», «è apparso», «è stato glorificato» o «esaltato»), ma nel Nuovo Testamento troviamo anche formule assertive: «Gesù è il Signore» (Rm 10,9), «Gesù è il Cristo» (At 5,42); «Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio» (Gv 20,31), «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Inoltre la fede nell’evento della Pasqua viene espressa attraverso tre principali generi letterari: la professione di fede, l’inno, il racconto. Un esempio tipico di professione di fede è quello già citato della prima Lettera ai Corinzi: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,3-5). Quando questa fede viene celebrata all’interno delle comunità cristiana, allora la si esprime anche attraverso inni o cantici, come l’inno riportato da Paolo nella Lettera ai Filippesi, in cui si proclama la condizione divina di Gesù Cristo (la pre-esistenza), il dramma della sua umiliazione fino alla morte di croce (la pro-esistenza) e l’esaltazione fino alla gloria di Signore (cfr Fil 2,6-11).
Ma fin dal giorno di Pentecoste la Chiesa apostolica proclama la sua fede narrando la lieta notizia di un evento preciso e concreto: la Pasqua del Signore. Caratteristico al riguardo è il discorso che Pietro, a nome degli altri Undici, tiene a Pentecoste (At 2,14-40), rivolgendosi ai Giudei e a quanti si trovavano a Gerusalemme, e che egli conclude con un messaggio solenne e sintetico: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36). Questo discorso, come anche gli altri che si incontrano nel libro degli Atti degli apostoli (At 3,12-26; 4,8-12; 5,29-32; 10,34-43; 13,16-41), è strutturato attorno a tre elementi ricorrenti: una breve rievocazione in forma narrativa degli avvenimenti riguardanti Gesù, soprattutto la sua risurrezione; una interpretazione di questo evento alla luce delle Scritture; un appello coinvolgente, rivolto agli ascoltatori, perché aderiscano con la fede al messaggio proclamato e si convertano. Attorno a questi elementi fondamentali si struttureranno quei racconti più sviluppati che sono i nostri quattro vangeli.
Questo processo di evangelizzazione è animato da un dinamismo comunicativo che la Chiesa non può mai trascurare: il seme della Parola va gettato nei terreni delle varie culture e delle più svariate situazioni. Ciò esige il rispetto, sapiente e creativo, di una duplice fedeltà: al messaggio che è Cristo, «lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8); e all’uomo, alle sue esigenze concrete[11]. Il Vangelo non può essere meccanicamente ripetuto; deve essere sempre inculturato intelligentemente e genialmente riespresso.
giovedì 27 ottobre 2011
NO Halloween
Come avrete avuto modo di vedere, qui a destra, è comparso il logo contro la festa di Halloween, diventata ormai una triste tradizione anche dalle nostre parti. Già in passato abbiamo mostrato il motivo per il quale consideriamo Halloween una festa anticristiana e occulta; quest'anno voglio comunque ricordare il fermo NO ad Halloween non solo con il logo suddetto (cliccando il quale potrete leggere le considerazioni pubblicate già lo scorso anno), ma anche con un video realizzato da un amico della Piccola Vigna del Signore di cui sono fiero operaio, Fratel Michele. Con questo rinnovo il mio invito ad evitare di festeggiare lunedì prossimo, invitando anche i vostri figli a comprendere perché Halloween non è una festa e né tantomeno va festeggiata mascherandosi da demoni: noi siamo servi della Luce e non delle tenebre...
mercoledì 26 ottobre 2011
Alle sorgenti della Pietà - XVII parte
Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:
Vorrei riprendere e approfondire la riflessione su quell'articolo del Credo che dice:
"Crucifixus etiam pro nobis sub Ponzio Pilato passus et sepultus est! Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto!".
Abbiamo visto come con queste parole la Chiesa affermi la sua fede nel mistero della Croce, ossia nel mistero della Redenzione. Il Messia doveva morire perché in Lui doveva essere distrutto l'uomo peccatore nato da Adamo e da Lui doveva nascere e risorgere un uomo nuovo, creato dallo Spirito Santo nella giustizia e nella verità.
Ogni credente partecipa a questa trasformazione e la fa sua quando, animato dalla fede scende nel sepolcro del fonte battesimale, depone la propria vita ed i propri peccati nella morte di Cristo e risale, fatto nuovo dalla potenza dello Spirito, per partecipare alla nuova vita della risurrezione.
La Croce, abbiamo detto, è la porta attraverso la quale il credente, in virtù del Sangue di Cristo, entra nella nuova dimensione dei figli di Dio. Però non solo il credente in quanto tale, bensì anche ogni cosa che faccia parte della vita del credente perché, come insegna la Bibbia, tutta la creazione è in attesa di essere redenta per partecipare alla gloria dei figli di Dio (cfr Rm 8,18,25). Questa precisazione è molto importante per la nostra vita spirituale di ogni giorno, soprattutto per dare il giusto valore alle nostre sofferenze quotidiane, piccole o grandi che siano. Voglio farvi un esempio da fantascienza. In un film che ho visto tempo fa alcuni scienziati avevano scoperto la porta che immetteva in una dimensione temporale diversa. Essa era nascosta in una roccia. Chi si appoggiava a quella roccia veniva come risucchiato dalla misteriosa porta e si ritrovava in un altro tempo, un tempo simile a quello della preistoria. Ma quello che mi ha colpito in questo film fu il fatto che anche i vestiti e le armi degli uomini venivano ridimensionati. Non più giacca e pantaloni, ma semplicemente una pelle di animali; non più fucili e pistole, ma una clava ed una lancia. La porta ridimensionava tutto: uomini e cose. Era un film di fantascienza!
NON UN FILM, MA REALTA’
Il Mistero della Croce non è fantascienza: è una realtà fondata su un fatto storico. Ecco perché si nomina Ponzio Pilato quando si parla della passione e morte di Gesù: "sub Pontio Pilato passus et sepultus est! Patì sotto Ponzío Pilato, morì e fu sepolto!". Ponzio Pilato è, suo malgrado, il garante storico della morte di Gesù. Fu lui, infatti, che si accertò, come dice il Vangelo, se Gesù fosse veramente morto prima di dare il permesso di toglierlo dalla croce perché venisse sepolto. Ed è sintomatico che di tutti i personaggi nominati nel racconto della passione e morte del Signore, proprio di lui, Ponzio Pilato, si sia trovata una prova indiscutibile a Cesarea marittima. Così egli continua a testimoniare nei secoli che Gesù è veramente morto sulla croce.
Mi preme qui sottolineare, ancora una volta, come la nostra fede sia una fede storica, avendo come oggetto non tanto delle verità astratte, quanto dei fatti concreti; una storia di salvezza nella quale Dio si è rivelato gradualmente agli uomini con dei fatti. Ad essi le parole dei Profeti prima, di Cristo e degli Apostoli poi, hanno dato la giusta spiegazione. L'incarnazione è un fatto storico, come storico è il fatto della morte e risurrezione del Signore. Il nome di Ponzio Pilato inserito nel Credo dà a questi fatti, oggetto della nostra professione di fede, la loro dimensione storica.
Credere è, per noi, accogliere la verità racchiusa in questi fatti, leggerne il messaggio divino, far nostro il dono di salvezza che ci portano. Mediante la fede ed i sacramenti questi fatti divini si fanno presenti ed attuali per noi, cosicché ogni generazione, fino alla fine del mondo, può parteciparvi come se vi fosse presente attingendone la potenza di grazia e di salvezza.
E' quanto ha insegnato ancora una volta il Papa Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per il Congresso Eucaristico di Lourdes. Parlando della Messa egli ha richiamato la millenaria dottrina della Chiesa Cattolica: "La Messa - Egli ha detto - ricongiunge la nostra generazione al sacrificio unico ed irripetibile di Cristo sulla croce. Celebrando la Messa noi partecipiamo sacramentalmente (cioè mediante il segno sacramentale del pane e del vino), ma realmente alla morte e risurrezione di Gesù, diventando con Lui ed in Lui sacerdoti e vittime mediante l'offerta di noi stessi a Dío".
Ciò che si dice del Battesimo e della nostra Messa lo si deve dire anche di ogni altro sacramento della Chiesa. Mediante i sacramenti i grandi fatti divini della nostra redenzione sono resi presenti a noi che per mezzo della fedeli facciamo nostri con tutta la ricchezza di grazia e di salvezza che contengono.
Rimane però incontestabilmente vero che il fatto centrale e fontale (cioè quello che è il centro e la sorgente del cristianesimo) è la croce del Signore, ossia la sua Morte e la sua Risurrezione. Bisogna perciò che tutta la nostra vita cristiana passi attraverso la porta di questo mistero pasquale di morte e risurrezione. E' quanto ci insegna Gesù quando afferma: "Chi vuol essere mio discepolo prenda ogni giorno la sua croce e mi segua" (Mt 16-24).
Gesù non vuole il dolore per il dolore, la sofferenza per la sofferenza, la morte per la morte! Anzi, Gesù annuncia un Regno dove dolore, sofferenza e morte non ci saranno più! Tutte queste cose sono il frutto del peccato, non della grazia! Gesù non ha mai neppure predicato la penitenza e la mortificazione per se stesse, anzi, le ha respinte quando venivano praticate così! Gesù non è stato un asceta come Giovanni Battista e come i profeti dell'Antico Testamento. Qualcuno dei suoi contemporanei lo ha additato come un mangione ed un beone, perché amava la vita, la gioia, l'amicizia in tutte le sue manifestazioni, compresa quella che consiste nello star insieme a tavola. Addirittura ha fatto di questo segno di amicizia e di fraternità umana il segno per eccellenza di amicizia e di fraternità cristiana ed ha parlato del Regno di Dio come di un convito nuziale.
PRENDI LA TUA CROCE
Gesù però sapeva bene che tutta la vita dell'uomo deve passare attraverso la porta della croce se vuol essere trasformata e trasfigurata, se vuol essere resa capace della risurrezione.
Anche l'oro deve passare dal fuoco del crogiolo se vuole liberarsi dalle incrostazioni e dal magma in cui la natura lo ha racchiuso. Anche il seme deve marcire sotto terra se vuol dare origine alla nuova pianta. Anche il ferro deve essere immerso nel fuoco se lo si vuol rendere malleabile e trasformarlo in opera d'arte.
Guardiamoci attorno: nulla avviene se non attraverso una morte e una risurrezione. La pietra deve morire come roccia, lasciarsi staccare, squadrare, togliere: solo così può essere usata per la costruzione della casa. Il blocco del marmo deve morire e lasciarsi trar fuori dalla madre montagna, se vuole diventare, tra le mani dell'artista, una statua o un monumento.
Persino la nostra nascita è una morte: nasciamo staccandoci dolorosamente dal grembo materno ed è solo così che possiamo vivere la nostra vita personale ed individuale. Tutto avviene mediante la morte e la risurrezione.
Tanto più ciò è necessario, secondo il disegno di Dio, per far passare questa creazione dominata dal peccato, nel Regno della grazia e della luce! E' la Croce di Gesù, cioè il mistero della sua morte e della sua risurrezione, che trasfigura questo mondo e lo rende capace di partecipare alla vita dei figli di Dio.
Ecco perché Gesù ci esorta a prendere coraggiosamente ogni giorno la nostra croce.
C'è dell'oro in noi, nella nostra famiglia, nella nostra società, nella creazione che ci circonda, ma c'è anche il magma del peccato. E' necessario staccarci da questo magma e lasciarci purificare dal fuoco. Il martello che ci stacca è la Croce del Signore, il fuoco che ci purifica è il dono del suo Spirito.
Il vero cristiano, cioè colui che ha veramente accolto il messaggio del Vangelo, non solo non ha paura del dolore, della sofferenza e della morte, ma le abbraccia con amore, come con amore Gesù ha abbracciato la sua croce. Dire che le abbraccia con amore, non significa dire che non soffre e non patisce! Vuol dire invece che soffre e patisce nella fede cioè sapendo e volendo trasformare la sofferenza, il dolore e la morte nella Croce di Gesù. Il dolore rimane dolore quando è sofferto senza fede! Il dolore diventa croce quando è accolto nella fede! La morte rimane morte quando è subita senza fede. La morte diventa croce e risurrezione quando la si aspetta e la si accoglie con fede! Nel Vangelo di Giovanni Gesù ci rivela il vero volto della morte quando dice: 'Abbiate fede in Dio ed abbiate fede anche in me. Vado a prepararvi un posto. Nella casa del Padre mio ci son tante stanze. Io vado a preparare la vostra stanza e quando sarà pronta io stesso tornerò a prendervi perché possiate essere anche voi là dove sono io!" (cfr Gv 14,1-3). Ecco il vero volto, il volto cristiano, della morte: non lo scheletro spaventoso di certi drappi funebri del passato e neppure la falce terribile di certi quadri, ma il volto sorridente di Gesù che ti dice: La tua stanza è pronta! Vieni con me!
Allora noi passeremo attraverso la porta della Croce e ci troveremo in una dimensione nuova, quella della risurrezione.
E' così che dobbiamo guardare alla nostra morte. Non dobbiamo aver paura, anche se è umano sentirci spaventati. Ricorriamo alla luce della fede e guardiamola nella sua realtà cristiana: è la Croce del Signore, la Porta della Vita Eterna! Altrettanto facciamo per ogni dolore e sofferenza corporale o spirituale che sia! Sono croci di cui si serve il Signore per farci morire al peccato che è in noi e attorno a noi, per liberarci dal magma del male che ci imprigiona, per purificarci dalle incrostazioni dell'egoismo e dei vizi capitali. Solo così veniamo preparati e resi degni di partecipare al Regno di Dio in Cielo.
Nella Bibbia si racconta come nella costruzione del Tempio di Gerusalemme i leviti squadravano le pietre fuori dal recinto sacro. Poi le pietre venivano portate e collocate al loro posto dai sacerdoti, mentre si cantavano i salmi di lode al Signore. Così fu costruito il Tempio dell'Antico Testamento. Anche nel Nuovo Testamento si sta costruendo il Tempio per il Signore: lo si costruisce in Cielo, ma le pietre vengono preparate qui in terra mediante la mortificazione, la penitenza, la croce di ogni giorno. In questa visione l'ascesi, cioè la mortificazione spirituale e corporale, ha senso e significato. E' partecipazione alla Croce di Gesù, è trasfigurazione della nostra vita quotidiana, nell'attesa di essere trovati degni di venir collocati al nostro posto nel Regno Celeste.
Ecco perché il mistero della Croce che professiamo nel Credo è quanto mai attuale anche per noi!
COME MARIA
La Madonna ci aiuti a viverlo ogni momento con fede e con amore come l'ha vissuto Lei stessa accanto al suo Gesù. "Maria" - infatti - "stava presso la croce di Gesù" (Gv 19,25). E che cosa faceva? Si univa al Figlio in un unico sacrificio per la gloria di Dio e la salvezza dell'umanità. Quest'intima unione è stata predetta da Simeone quando disse a Maria: "Una spada Ti trapasserà l'anima" (Lc 2,35). La spada è stata la lancia che ha trafitto il Cuore di Cristo già morto, e contemporaneamente ha trapassato il Cuore palpitante della Madre che stava sotto la croce immersa in un atroce dolore materno. Era il dolore di un nuovo parto, un parto spirituale perché dava la Vita all'umanità redenta dal Sangue di Cristo. Per questo, dice il vangelo: "Gesù vedendo la Madre e lì accanto il discepolo che Egli amava disse alla Madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua Madre!" (Gv 19,27). In queste parole del Signore è racchiuso il grande mistero della maternità corredentrice per cui Maria cooperò all'opera della salvezza e divenne Madre della Chiesa e dei singoli cristiani, madre di tutti gli uomini redenti da Cristo. Qui ci vengono rivelate due grandi verità.
• Prima verità: noi siamo figli di Maria: "Ecco tuo figlio!".
• Seconda verità: Maria è nostra Madre: "Ecco tua Madre!". Notate bene come Gesù parla al singolare. Non dice: Ecco vostra Madre, ma dice: Tua Madre. Questo per insegnarci che la maternità spirituale di Maria, come del resto tutta l'opera della redenzione, è sì estesa a tutti gli uomini, ma nello stesso tempo è singolare, cioè specifica per ciascun uomo personalmente. Maria non è soltanto la Madre della Chiesa e dell'umanità, ma è in particolare la mia Mamma personale. Il suo amore materno non è generico, rivolto a tutti gli uomini, ma è specifico, rivolto a ciascun uomo. Di conseguenza la Madonna non è per me come una grande
santa, come la più grande santa, ma è mia Mamma, colei che mi ha generato alla vita soprannaturale e mi tiene racchiuso spiritualmente nel suo seno per generarmi, al momento stabilito da Dio, alla vita eterna.
Ecco allora una terza verità rivelata contenuta nelle parole dell'evangelista il quale annota: "E da quel momento il discepolo la prese con sè" (o nella sua casa o anche tra le sue cose, nella sua vita). Con queste parole Giovanni ci svela in che cosa consiste la vera devozione a Maria: consiste cioè in un rapporto nuovo che Gesù ha stabilito dall'alto della croce tra me e sua Madre: un rapporto mamma-figlio fondato non su un vago sentimento di affetto, ma sul fatto indiscutibile della generazione soprannaturale. Io sono vero figlio di Maria e Maria è mia vera Mamma nell'ordine della Grazia, per cui La devo accogliere nella mia vita e darle il posto materno che Le spetta di diritto quale mia vera Madre. Inoltre la sostituzione fatta da Gesù con la mia persona, m'impegna a sostituirlo in tutto come figlio, amandola, onorandola e servendola con il Suo stesso Cuore Divino. La vera devozione alla Madonna. dunque. consiste nell'essere Gesù per Maria. nel sostituirlo in tutto come figlio.
Anche qui vale quanto scrive l'apostolo Paolo: "Non io, ma Cristo in me!".
CONTEMPLAZIONE
Raffigurati la crocifissione di Gesù con la Madonna e Giovanni ai piedi della croce. Immagina di sentire con le tue orecchie le parole che Gesù rivolge loro.
Vangelo di Giovanni cap. 19
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella. di sua. madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre.!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Lettera ai Romani cap. 8
Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;
essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa e nutre la speranza
di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sapppíamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto;
essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
PREGHIERA
Signore, la tua croce è la via della mia salvezza e io voglio abbracciarla con amore accogliendo nella fede ogni sofferenza che la Divina Provvidenza oggi vorrà mandarmi per la mia purificazione e santificazione, ma anche per partecipare, nella mia pochezza, all'opera della tua redenzione come m'insegna S. Paolo. "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento nella mia carne a ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Vergine Addolorata, prega per me.
- Capitolo 15 -
... SOTTO PONZIO PILATO... "
IL CRISTIANO E LA CROCE
... SOTTO PONZIO PILATO... "
IL CRISTIANO E LA CROCE
Vorrei riprendere e approfondire la riflessione su quell'articolo del Credo che dice:
"Crucifixus etiam pro nobis sub Ponzio Pilato passus et sepultus est! Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto!".
Abbiamo visto come con queste parole la Chiesa affermi la sua fede nel mistero della Croce, ossia nel mistero della Redenzione. Il Messia doveva morire perché in Lui doveva essere distrutto l'uomo peccatore nato da Adamo e da Lui doveva nascere e risorgere un uomo nuovo, creato dallo Spirito Santo nella giustizia e nella verità.
Ogni credente partecipa a questa trasformazione e la fa sua quando, animato dalla fede scende nel sepolcro del fonte battesimale, depone la propria vita ed i propri peccati nella morte di Cristo e risale, fatto nuovo dalla potenza dello Spirito, per partecipare alla nuova vita della risurrezione.
La Croce, abbiamo detto, è la porta attraverso la quale il credente, in virtù del Sangue di Cristo, entra nella nuova dimensione dei figli di Dio. Però non solo il credente in quanto tale, bensì anche ogni cosa che faccia parte della vita del credente perché, come insegna la Bibbia, tutta la creazione è in attesa di essere redenta per partecipare alla gloria dei figli di Dio (cfr Rm 8,18,25). Questa precisazione è molto importante per la nostra vita spirituale di ogni giorno, soprattutto per dare il giusto valore alle nostre sofferenze quotidiane, piccole o grandi che siano. Voglio farvi un esempio da fantascienza. In un film che ho visto tempo fa alcuni scienziati avevano scoperto la porta che immetteva in una dimensione temporale diversa. Essa era nascosta in una roccia. Chi si appoggiava a quella roccia veniva come risucchiato dalla misteriosa porta e si ritrovava in un altro tempo, un tempo simile a quello della preistoria. Ma quello che mi ha colpito in questo film fu il fatto che anche i vestiti e le armi degli uomini venivano ridimensionati. Non più giacca e pantaloni, ma semplicemente una pelle di animali; non più fucili e pistole, ma una clava ed una lancia. La porta ridimensionava tutto: uomini e cose. Era un film di fantascienza!
NON UN FILM, MA REALTA’
Il Mistero della Croce non è fantascienza: è una realtà fondata su un fatto storico. Ecco perché si nomina Ponzio Pilato quando si parla della passione e morte di Gesù: "sub Pontio Pilato passus et sepultus est! Patì sotto Ponzío Pilato, morì e fu sepolto!". Ponzio Pilato è, suo malgrado, il garante storico della morte di Gesù. Fu lui, infatti, che si accertò, come dice il Vangelo, se Gesù fosse veramente morto prima di dare il permesso di toglierlo dalla croce perché venisse sepolto. Ed è sintomatico che di tutti i personaggi nominati nel racconto della passione e morte del Signore, proprio di lui, Ponzio Pilato, si sia trovata una prova indiscutibile a Cesarea marittima. Così egli continua a testimoniare nei secoli che Gesù è veramente morto sulla croce.
Mi preme qui sottolineare, ancora una volta, come la nostra fede sia una fede storica, avendo come oggetto non tanto delle verità astratte, quanto dei fatti concreti; una storia di salvezza nella quale Dio si è rivelato gradualmente agli uomini con dei fatti. Ad essi le parole dei Profeti prima, di Cristo e degli Apostoli poi, hanno dato la giusta spiegazione. L'incarnazione è un fatto storico, come storico è il fatto della morte e risurrezione del Signore. Il nome di Ponzio Pilato inserito nel Credo dà a questi fatti, oggetto della nostra professione di fede, la loro dimensione storica.
Credere è, per noi, accogliere la verità racchiusa in questi fatti, leggerne il messaggio divino, far nostro il dono di salvezza che ci portano. Mediante la fede ed i sacramenti questi fatti divini si fanno presenti ed attuali per noi, cosicché ogni generazione, fino alla fine del mondo, può parteciparvi come se vi fosse presente attingendone la potenza di grazia e di salvezza.
E' quanto ha insegnato ancora una volta il Papa Giovanni Paolo II nel suo Messaggio per il Congresso Eucaristico di Lourdes. Parlando della Messa egli ha richiamato la millenaria dottrina della Chiesa Cattolica: "La Messa - Egli ha detto - ricongiunge la nostra generazione al sacrificio unico ed irripetibile di Cristo sulla croce. Celebrando la Messa noi partecipiamo sacramentalmente (cioè mediante il segno sacramentale del pane e del vino), ma realmente alla morte e risurrezione di Gesù, diventando con Lui ed in Lui sacerdoti e vittime mediante l'offerta di noi stessi a Dío".
Ciò che si dice del Battesimo e della nostra Messa lo si deve dire anche di ogni altro sacramento della Chiesa. Mediante i sacramenti i grandi fatti divini della nostra redenzione sono resi presenti a noi che per mezzo della fedeli facciamo nostri con tutta la ricchezza di grazia e di salvezza che contengono.
Rimane però incontestabilmente vero che il fatto centrale e fontale (cioè quello che è il centro e la sorgente del cristianesimo) è la croce del Signore, ossia la sua Morte e la sua Risurrezione. Bisogna perciò che tutta la nostra vita cristiana passi attraverso la porta di questo mistero pasquale di morte e risurrezione. E' quanto ci insegna Gesù quando afferma: "Chi vuol essere mio discepolo prenda ogni giorno la sua croce e mi segua" (Mt 16-24).
Gesù non vuole il dolore per il dolore, la sofferenza per la sofferenza, la morte per la morte! Anzi, Gesù annuncia un Regno dove dolore, sofferenza e morte non ci saranno più! Tutte queste cose sono il frutto del peccato, non della grazia! Gesù non ha mai neppure predicato la penitenza e la mortificazione per se stesse, anzi, le ha respinte quando venivano praticate così! Gesù non è stato un asceta come Giovanni Battista e come i profeti dell'Antico Testamento. Qualcuno dei suoi contemporanei lo ha additato come un mangione ed un beone, perché amava la vita, la gioia, l'amicizia in tutte le sue manifestazioni, compresa quella che consiste nello star insieme a tavola. Addirittura ha fatto di questo segno di amicizia e di fraternità umana il segno per eccellenza di amicizia e di fraternità cristiana ed ha parlato del Regno di Dio come di un convito nuziale.
PRENDI LA TUA CROCE
Gesù però sapeva bene che tutta la vita dell'uomo deve passare attraverso la porta della croce se vuol essere trasformata e trasfigurata, se vuol essere resa capace della risurrezione.
Anche l'oro deve passare dal fuoco del crogiolo se vuole liberarsi dalle incrostazioni e dal magma in cui la natura lo ha racchiuso. Anche il seme deve marcire sotto terra se vuol dare origine alla nuova pianta. Anche il ferro deve essere immerso nel fuoco se lo si vuol rendere malleabile e trasformarlo in opera d'arte.
Guardiamoci attorno: nulla avviene se non attraverso una morte e una risurrezione. La pietra deve morire come roccia, lasciarsi staccare, squadrare, togliere: solo così può essere usata per la costruzione della casa. Il blocco del marmo deve morire e lasciarsi trar fuori dalla madre montagna, se vuole diventare, tra le mani dell'artista, una statua o un monumento.
Persino la nostra nascita è una morte: nasciamo staccandoci dolorosamente dal grembo materno ed è solo così che possiamo vivere la nostra vita personale ed individuale. Tutto avviene mediante la morte e la risurrezione.
Tanto più ciò è necessario, secondo il disegno di Dio, per far passare questa creazione dominata dal peccato, nel Regno della grazia e della luce! E' la Croce di Gesù, cioè il mistero della sua morte e della sua risurrezione, che trasfigura questo mondo e lo rende capace di partecipare alla vita dei figli di Dio.
Ecco perché Gesù ci esorta a prendere coraggiosamente ogni giorno la nostra croce.
C'è dell'oro in noi, nella nostra famiglia, nella nostra società, nella creazione che ci circonda, ma c'è anche il magma del peccato. E' necessario staccarci da questo magma e lasciarci purificare dal fuoco. Il martello che ci stacca è la Croce del Signore, il fuoco che ci purifica è il dono del suo Spirito.
Il vero cristiano, cioè colui che ha veramente accolto il messaggio del Vangelo, non solo non ha paura del dolore, della sofferenza e della morte, ma le abbraccia con amore, come con amore Gesù ha abbracciato la sua croce. Dire che le abbraccia con amore, non significa dire che non soffre e non patisce! Vuol dire invece che soffre e patisce nella fede cioè sapendo e volendo trasformare la sofferenza, il dolore e la morte nella Croce di Gesù. Il dolore rimane dolore quando è sofferto senza fede! Il dolore diventa croce quando è accolto nella fede! La morte rimane morte quando è subita senza fede. La morte diventa croce e risurrezione quando la si aspetta e la si accoglie con fede! Nel Vangelo di Giovanni Gesù ci rivela il vero volto della morte quando dice: 'Abbiate fede in Dio ed abbiate fede anche in me. Vado a prepararvi un posto. Nella casa del Padre mio ci son tante stanze. Io vado a preparare la vostra stanza e quando sarà pronta io stesso tornerò a prendervi perché possiate essere anche voi là dove sono io!" (cfr Gv 14,1-3). Ecco il vero volto, il volto cristiano, della morte: non lo scheletro spaventoso di certi drappi funebri del passato e neppure la falce terribile di certi quadri, ma il volto sorridente di Gesù che ti dice: La tua stanza è pronta! Vieni con me!
Allora noi passeremo attraverso la porta della Croce e ci troveremo in una dimensione nuova, quella della risurrezione.
E' così che dobbiamo guardare alla nostra morte. Non dobbiamo aver paura, anche se è umano sentirci spaventati. Ricorriamo alla luce della fede e guardiamola nella sua realtà cristiana: è la Croce del Signore, la Porta della Vita Eterna! Altrettanto facciamo per ogni dolore e sofferenza corporale o spirituale che sia! Sono croci di cui si serve il Signore per farci morire al peccato che è in noi e attorno a noi, per liberarci dal magma del male che ci imprigiona, per purificarci dalle incrostazioni dell'egoismo e dei vizi capitali. Solo così veniamo preparati e resi degni di partecipare al Regno di Dio in Cielo.
Nella Bibbia si racconta come nella costruzione del Tempio di Gerusalemme i leviti squadravano le pietre fuori dal recinto sacro. Poi le pietre venivano portate e collocate al loro posto dai sacerdoti, mentre si cantavano i salmi di lode al Signore. Così fu costruito il Tempio dell'Antico Testamento. Anche nel Nuovo Testamento si sta costruendo il Tempio per il Signore: lo si costruisce in Cielo, ma le pietre vengono preparate qui in terra mediante la mortificazione, la penitenza, la croce di ogni giorno. In questa visione l'ascesi, cioè la mortificazione spirituale e corporale, ha senso e significato. E' partecipazione alla Croce di Gesù, è trasfigurazione della nostra vita quotidiana, nell'attesa di essere trovati degni di venir collocati al nostro posto nel Regno Celeste.
Ecco perché il mistero della Croce che professiamo nel Credo è quanto mai attuale anche per noi!
COME MARIA
La Madonna ci aiuti a viverlo ogni momento con fede e con amore come l'ha vissuto Lei stessa accanto al suo Gesù. "Maria" - infatti - "stava presso la croce di Gesù" (Gv 19,25). E che cosa faceva? Si univa al Figlio in un unico sacrificio per la gloria di Dio e la salvezza dell'umanità. Quest'intima unione è stata predetta da Simeone quando disse a Maria: "Una spada Ti trapasserà l'anima" (Lc 2,35). La spada è stata la lancia che ha trafitto il Cuore di Cristo già morto, e contemporaneamente ha trapassato il Cuore palpitante della Madre che stava sotto la croce immersa in un atroce dolore materno. Era il dolore di un nuovo parto, un parto spirituale perché dava la Vita all'umanità redenta dal Sangue di Cristo. Per questo, dice il vangelo: "Gesù vedendo la Madre e lì accanto il discepolo che Egli amava disse alla Madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua Madre!" (Gv 19,27). In queste parole del Signore è racchiuso il grande mistero della maternità corredentrice per cui Maria cooperò all'opera della salvezza e divenne Madre della Chiesa e dei singoli cristiani, madre di tutti gli uomini redenti da Cristo. Qui ci vengono rivelate due grandi verità.
• Prima verità: noi siamo figli di Maria: "Ecco tuo figlio!".
• Seconda verità: Maria è nostra Madre: "Ecco tua Madre!". Notate bene come Gesù parla al singolare. Non dice: Ecco vostra Madre, ma dice: Tua Madre. Questo per insegnarci che la maternità spirituale di Maria, come del resto tutta l'opera della redenzione, è sì estesa a tutti gli uomini, ma nello stesso tempo è singolare, cioè specifica per ciascun uomo personalmente. Maria non è soltanto la Madre della Chiesa e dell'umanità, ma è in particolare la mia Mamma personale. Il suo amore materno non è generico, rivolto a tutti gli uomini, ma è specifico, rivolto a ciascun uomo. Di conseguenza la Madonna non è per me come una grande
santa, come la più grande santa, ma è mia Mamma, colei che mi ha generato alla vita soprannaturale e mi tiene racchiuso spiritualmente nel suo seno per generarmi, al momento stabilito da Dio, alla vita eterna.
Ecco allora una terza verità rivelata contenuta nelle parole dell'evangelista il quale annota: "E da quel momento il discepolo la prese con sè" (o nella sua casa o anche tra le sue cose, nella sua vita). Con queste parole Giovanni ci svela in che cosa consiste la vera devozione a Maria: consiste cioè in un rapporto nuovo che Gesù ha stabilito dall'alto della croce tra me e sua Madre: un rapporto mamma-figlio fondato non su un vago sentimento di affetto, ma sul fatto indiscutibile della generazione soprannaturale. Io sono vero figlio di Maria e Maria è mia vera Mamma nell'ordine della Grazia, per cui La devo accogliere nella mia vita e darle il posto materno che Le spetta di diritto quale mia vera Madre. Inoltre la sostituzione fatta da Gesù con la mia persona, m'impegna a sostituirlo in tutto come figlio, amandola, onorandola e servendola con il Suo stesso Cuore Divino. La vera devozione alla Madonna. dunque. consiste nell'essere Gesù per Maria. nel sostituirlo in tutto come figlio.
Anche qui vale quanto scrive l'apostolo Paolo: "Non io, ma Cristo in me!".
CONTEMPLAZIONE
Raffigurati la crocifissione di Gesù con la Madonna e Giovanni ai piedi della croce. Immagina di sentire con le tue orecchie le parole che Gesù rivolge loro.
Vangelo di Giovanni cap. 19
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella. di sua. madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre.!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Lettera ai Romani cap. 8
Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;
essa infatti è stata sottomessa alla caducità non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa e nutre la speranza
di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sapppíamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto;
essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
PREGHIERA
Signore, la tua croce è la via della mia salvezza e io voglio abbracciarla con amore accogliendo nella fede ogni sofferenza che la Divina Provvidenza oggi vorrà mandarmi per la mia purificazione e santificazione, ma anche per partecipare, nella mia pochezza, all'opera della tua redenzione come m'insegna S. Paolo. "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento nella mia carne a ciò che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo Corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Vergine Addolorata, prega per me.
martedì 25 ottobre 2011
Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XLIV
Concludiamo oggi il percorso familiare della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. E' stato davvero un bellissimo cammino perché il Beato Giovanni Paolo II ci ha davvero indicato il cammino da seguire nella vita familiare quotidiana: possiamo affermare tranquillamente che quest'esortazione apostolica rappresenta tutt'oggi una vera guida, quasi una stella polare, per le famiglie di questa generazione che si ritrovano a dover affrontare situazioni diverse in una cultura diversa, grazie alla grande lungimiranza del Papa polacco che aveva saputo leggere egregiamente i segni dei tempi, prevedendo le difficoltà che gli sposi, le famiglie in senso generale e gli educatori avrebbero trovato lungo il loro cammino. Oggi leggiamo l'ultima esortazione del Beato Wojtyla che vuole ricordare a tutti noi come il futuro dell'umanità passi proprio attraverso la famiglia (e quanto vero è quest'asserto: la famiglia resta l'ultima speranza per una società che vede sgretolarsi il proprio avvenire a causa di una perdita di valori associata ad un'eccessiva quanto mal riposta speranza nel materialismo e nel sogno economico che ci stanno dimostrando la loro fragilità...):
86. A voi sposi, a voi padri e madri di famiglia;
a voi, giovani e ragazze, che siete il futuro e la speranza della Chiesa e del mondo, e sarete il nucleo portante e dinamico della famiglia nel terzo millennio che si avvicina;
a voi, venerabili e cari fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, diletti figli religiosi e religiose, anime consacrate al Signore, che agli sposi testimoniate la realtà ultima dell'amore di Dio;
a voi, uomini tutti di retto sentire, che a qualsiasi titolo siete pensierosi delle sorti della famiglia, si rivolge con trepida sollecitudine il mio animo al termine di questa esortazione apostolica.
L'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia!
E', dunque, indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare ed a promuovere i valori e le esigenze della famiglia.
Un particolare sforzo a questo riguardo sento di dover chiedere ai figli della Chiesa. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia in questo nostro tempo di prova e di grazia.
Essi devono amare in modo particolare la famiglia. E' questa una consegna concreta ed esigente.
Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo PP. II, Lettera «Appropinaquat iam», 1 [15 Agosto 1980]: ASS 72 [1980], 791).
Spetta altresì ai cristiani il compito di annunciare con gioia e convinzione la «buona novella» sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, le sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella Città degli uomini e in quella di Dio.
La Chiesa conosce la via sulla quale la famiglia può giungere al cuore della sua verità profonda. Questa via, che la Chiesa ha imparato alla scuola di Cristo e a quella della storia, interpretata nella luce dello Spirito, essa non la impone, ma sente in sé l'insopprimibile esigenza di proporla a tutti senza timore, anzi con grande fiducia e speranza, pur sapendo che la «buona novella» conosce il linguaggio della Croce. Ma è attraverso la Croce che la famiglia può giungere alla pienezza del suo essere e alla perfezione del suo amore.
Desidero, infine, invitare tutti i cristiani a collaborare, cordialmente e coraggiosamente, con tutti gli uomini di buona volontà, che vivono la loro responsabilità al servizio della famiglia. Quanti si consacrano al suo bene in seno alla Chiesa, nel suo nome e da essa ispirati, siano essi individui o gruppi, movimenti o associazioni, trovano spesso al loro fianco persone e istituzioni diverse che operano per il medesimo ideale. Nella fedeltà ai valori del Vangelo e dell'uomo e nel rispetto di un legittimo pluralismo di iniziative, questa collaborazione potrà favorire una più rapida ed integrale promozione della famiglia.
Ed ora, concludendo questo messaggio pastorale, che intende sollecitare l'attenzione di tutti sui compiti gravosi ma affascinanti della famiglia cristiana, desidero invocare la protezione della santa Famiglia di Nazaret.
Per misterioso disegno di Dio, in essa è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa è dunque prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane. E quella Famiglia, unica al mondo, che ha trascorso un'esistenza anonima e silenziosa in un piccolo borgo della Palestina; che è stata provata dalla povertà, dalla persecuzione, dall'esilio; che ha glorificato Dio in modo incomparabilmente alto e puro, non mancherà di assistere le famiglie cristiane, anzi tutte le famiglie del mondo, nella fedeltà ai loro doveri quotidiani, nel sopportare le ansie e le tribolazioni della vita, nella generosa apertura verso le necessità degli altri, nell'adempimento gioioso del piano di Dio nei loro riguardi.
Che san Giuseppe, «uomo giusto», lavoratore instancabile, custode integerrimo dei pegni a lui affidati, le custodisca, le protegga, le illumini sempre.
Che la Vergine Maria, come è Madre della Chiesa, così anche sia la Madre della «Chiesa domestica», e, grazie al suo aiuto materno, ogni famiglia cristiana possa diventare veramente una «piccola Chiesa», nella quale si rispecchi e riviva il mistero della Chiesa di Cristo. Sia Lei, l'ancella del Signore, l'esempio di accoglienza umile e generosa della volontà di Dio; sia Lei, Madre Addolorata ai piedi della Croce, a confortare le sofferenze e ad asciugare le lacrime di quanti soffrono per le difficoltà delle loro famiglie.
E Cristo Signore, Re dell'universo, Re delle famiglie, sia presente, come a Cana, in ogni focolare cristiano a donare luce, gioia, serenità, fortezza. A Lui, nel giorno solenne dedicato alla sua Regalità, chiedo che ogni famiglia sappia generosamente portare il suo originale contributo all'avvento nel mondo del suo Regno, «Regno di verità e di vita, di santità e di pace» («Prefatio» della Messa della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo), verso il quale è in cammino la storia.
A Lui, a Maria, a Giuseppe affido ogni famiglia. Alle loro mani e al loro cuore presento questa esortazione: siano Essi a porgerla a voi, venerati fratelli e diletti figli, e ad aprire i vostri cuori alla luce che il Vangelo irradia su ogni famiglia.
A tutti e a ciascuno, assicurando la mia costante preghiera, imparto di cuore l'apostolica benedizione, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Dato a Roma, presso san Pietro, il 22 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell'universo, dell'anno 1981, quarto del Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
CONCLUSIONE
86. A voi sposi, a voi padri e madri di famiglia;
a voi, giovani e ragazze, che siete il futuro e la speranza della Chiesa e del mondo, e sarete il nucleo portante e dinamico della famiglia nel terzo millennio che si avvicina;
a voi, venerabili e cari fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, diletti figli religiosi e religiose, anime consacrate al Signore, che agli sposi testimoniate la realtà ultima dell'amore di Dio;
a voi, uomini tutti di retto sentire, che a qualsiasi titolo siete pensierosi delle sorti della famiglia, si rivolge con trepida sollecitudine il mio animo al termine di questa esortazione apostolica.
L'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia!
E', dunque, indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare ed a promuovere i valori e le esigenze della famiglia.
Un particolare sforzo a questo riguardo sento di dover chiedere ai figli della Chiesa. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia in questo nostro tempo di prova e di grazia.
Essi devono amare in modo particolare la famiglia. E' questa una consegna concreta ed esigente.
Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo PP. II, Lettera «Appropinaquat iam», 1 [15 Agosto 1980]: ASS 72 [1980], 791).
Spetta altresì ai cristiani il compito di annunciare con gioia e convinzione la «buona novella» sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, le sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella Città degli uomini e in quella di Dio.
La Chiesa conosce la via sulla quale la famiglia può giungere al cuore della sua verità profonda. Questa via, che la Chiesa ha imparato alla scuola di Cristo e a quella della storia, interpretata nella luce dello Spirito, essa non la impone, ma sente in sé l'insopprimibile esigenza di proporla a tutti senza timore, anzi con grande fiducia e speranza, pur sapendo che la «buona novella» conosce il linguaggio della Croce. Ma è attraverso la Croce che la famiglia può giungere alla pienezza del suo essere e alla perfezione del suo amore.
Desidero, infine, invitare tutti i cristiani a collaborare, cordialmente e coraggiosamente, con tutti gli uomini di buona volontà, che vivono la loro responsabilità al servizio della famiglia. Quanti si consacrano al suo bene in seno alla Chiesa, nel suo nome e da essa ispirati, siano essi individui o gruppi, movimenti o associazioni, trovano spesso al loro fianco persone e istituzioni diverse che operano per il medesimo ideale. Nella fedeltà ai valori del Vangelo e dell'uomo e nel rispetto di un legittimo pluralismo di iniziative, questa collaborazione potrà favorire una più rapida ed integrale promozione della famiglia.
Ed ora, concludendo questo messaggio pastorale, che intende sollecitare l'attenzione di tutti sui compiti gravosi ma affascinanti della famiglia cristiana, desidero invocare la protezione della santa Famiglia di Nazaret.
Per misterioso disegno di Dio, in essa è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa è dunque prototipo ed esempio di tutte le famiglie cristiane. E quella Famiglia, unica al mondo, che ha trascorso un'esistenza anonima e silenziosa in un piccolo borgo della Palestina; che è stata provata dalla povertà, dalla persecuzione, dall'esilio; che ha glorificato Dio in modo incomparabilmente alto e puro, non mancherà di assistere le famiglie cristiane, anzi tutte le famiglie del mondo, nella fedeltà ai loro doveri quotidiani, nel sopportare le ansie e le tribolazioni della vita, nella generosa apertura verso le necessità degli altri, nell'adempimento gioioso del piano di Dio nei loro riguardi.
Che san Giuseppe, «uomo giusto», lavoratore instancabile, custode integerrimo dei pegni a lui affidati, le custodisca, le protegga, le illumini sempre.
Che la Vergine Maria, come è Madre della Chiesa, così anche sia la Madre della «Chiesa domestica», e, grazie al suo aiuto materno, ogni famiglia cristiana possa diventare veramente una «piccola Chiesa», nella quale si rispecchi e riviva il mistero della Chiesa di Cristo. Sia Lei, l'ancella del Signore, l'esempio di accoglienza umile e generosa della volontà di Dio; sia Lei, Madre Addolorata ai piedi della Croce, a confortare le sofferenze e ad asciugare le lacrime di quanti soffrono per le difficoltà delle loro famiglie.
E Cristo Signore, Re dell'universo, Re delle famiglie, sia presente, come a Cana, in ogni focolare cristiano a donare luce, gioia, serenità, fortezza. A Lui, nel giorno solenne dedicato alla sua Regalità, chiedo che ogni famiglia sappia generosamente portare il suo originale contributo all'avvento nel mondo del suo Regno, «Regno di verità e di vita, di santità e di pace» («Prefatio» della Messa della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo), verso il quale è in cammino la storia.
A Lui, a Maria, a Giuseppe affido ogni famiglia. Alle loro mani e al loro cuore presento questa esortazione: siano Essi a porgerla a voi, venerati fratelli e diletti figli, e ad aprire i vostri cuori alla luce che il Vangelo irradia su ogni famiglia.
A tutti e a ciascuno, assicurando la mia costante preghiera, imparto di cuore l'apostolica benedizione, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Dato a Roma, presso san Pietro, il 22 novembre, Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell'universo, dell'anno 1981, quarto del Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
lunedì 24 ottobre 2011
Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Trentacinquesimo appuntamento
Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Il Diario ci mostra oggi, ancora una volta, quella nota dicotomia tra amore e sofferenza che contraddistingue, in modo particolare, l'anima della Santa che è destinataria di numerosi "interventi" e "apparizioni" del Cielo. Una cosa sola desidero sottolineare: oggi possiamo anche vedere come Gesù non solo difende i suoi sacerdoti, ma agisce tramite essi:
Anno 1934. Il giorno dell'Assunzione della SS.ma Vergine, non andai alla santa Messa, la dottoressa non me lo permise, ma pregai fervorosamente in cella. Dopo poco vidi la Madonna, che era di una bellezza indescrivibile e che mi disse: « Figlia Mia, voglio da te preghiera, preghiera e ancora una volta preghiera per il mondo e specialmente per la tua Patria. Fa' la comunione riparatrice per nove giorni, unisciti strettamente al sacrificio della Santa Messa. Per questi nove giorni starai davanti a Dio come vittima, ovunque, continuamente, in ogni luogo e in ogni momento giorno e notte; ogni volta che ti svegli, prega interiormente. Pregare di continuo interiormente è possibile ». Una volta Gesù mi disse: « Il Mio sguardo da quest'immagine è tale e quale al Mio sguardo dalla croce». Una volta il confessore mi chiese come doveva essere collocata la scritta, dato che non c'era posto sull'immagine. Risposi che avrei pregato ed avrei dato una risposta la settimana seguente. Mentre mi allontanavo dal confessionale, passando accanto al SS.mo Sacramento, mi fu fatto capire interiormente come doveva essere quella scritta. Gesù mi ricordò quello che mi aveva detto la prima volta e cioè che queste tre parole dovevano essere messe in evidenza. Le parole sono queste: « Jezu, ufam Tobie ». Gesù, confido in Te. Capii che Gesù desiderava che venisse messa questa frase, ma all'infuori di queste parole, non dava altri ordini precisi. « Porgo agli uomini il recipiente, col quale debbono venire ad attingere le grazie alla sorgente della Misericordia. Il recipiente è quest'immagine con la scritta: Gesù, confido in Te». O Amore purissimo, regna totalmente nel mio cuore ed aiutami a compiere nella maniera più fedele la Tua santa volontà.
Verso la fine di un ritiro spirituale di tre giorni, mi accorsi che camminavo lungo una strada accidentata ed inciampavo ogni momento e vedevo che dietro di me veniva un altra figura che mi sosteneva continuamente e io non ero contenta di questo e chiesi che quella figura si scostasse da me, perché volevo camminare da sola. Tuttavia quella figura, che non riuscii a riconoscere, non mi abbandonò nemmeno per un istante. La cosa m'innervosì e mi rivoltai contro di lei e la respinsi da me. In quel momento conobbi che quella figura era la Madre Superiora e nello stesso momento vidi che non era più la Madre Superiora ma Gesù, che m'inviò uno sguardo profondo e mi fece conoscere quanto Gli sarebbe dispiaciuto se, anche nella più piccola cosa, non avessi cercato di fare la volontà della Superiora « che è la Mia volontà». Chiesi vivamente perdono al Signore e presi seriamente a cuore quell'avvertimento.
+ Una volta il confessore mi chiese di pregare secondo la sua intenzione e cominciai una novena alla Madonna. Questa novena consisteva nel recitare nove volte la « Salve Regina ». Verso la fine della novena vidi la Madonna col Bambino Gesù in braccio e vidi anche il mio confessore che era inginocchiato ai Suoi piedi e parlava con Lei. Non compresi di che cosa parlasse con la Madonna, poiché ero impegnata a parlare col Bambino Gesù, che era sceso dalle braccia della Madonna e si era avvicinato a me. Non mi stancavo di ammirare la Sua bellezza. Sentii alcune parole che gli diceva la Madonna, ma non sentii tutto. Le parole sono queste: « Io sono non solo la Regina del Cielo, ma anche la Madre della Misericordia e la Madre tua ». In quel momento stese la mano destra con cui reggeva il mantello e copri con esso quel sacerdote. In quell'istante la visione scomparve. Oh! che grazia grande è quella di avere un direttore spirituale! Si progredisce più in fretta nelle virtù, si conosce più chiaramente la volontà di Dio, la si adempie più fedelmente, si procede su una strada certa e sicura. Il direttore spirituale sa evitare gli scogli contro i quali essa potrebbe andare in frantumi. Iddio mi ha dato questa grazia piuttosto tardi, ma sono molto lieta vedendo come Iddio accondiscende ai desideri del direttore spirituale. Cito un solo fatto fra le migliaia che mi capitano. Come al solito una sera avevo pregato il Signore di darmi i punti per la meditazione del giorno dopo. Ricevetti questa risposta: « Medita sul profeta Giona e sulla sua missione ». Ringraziai il Signore, ma dentro di me cominciai a pensare: che meditazione diversa dalle altre! Ciò nonostante, con tutta l'applicazione possibile, m'impegnai a riflettere e in quel profeta scoprii me stessa, nel senso che anch'io spesso mi rifiuto davanti a Dio, dicendo che qualcun altro potrebbe compiere meglio la santa volontà di Dio, non comprendendo che Dio può tutto e tanto più si rivela la Sua potenza, quanto più è misero lo strumento che adopera. Dio mi ha fatto capire questo. Nel pomeriggio ci fu la confessione della comunità. Quando feci presente al direttore spirituale il timore che mi attanaglia l'anima a causa di questa missione, per la quale Dio mi usa come strumento non idoneo, il padre spirituale mi rispose che, volenti o nolenti, dobbiamo compiere la volontà di Dio e mi fece l'esempio del profeta Giona. Finita la confessione pensavo tra me, come mai il confessore sapesse ché Dio mi aveva ordinato di fare la meditazione su Giona; io non gliene avevo parlato. Ad un tratto udii queste parole: « Il sacerdote, quando Mi sostituisce, non è lui che opera, ma sono io per suo tramite. I suoi desideri sono i Miei desideri ». Vedo come Gesù difende i Suoi sostituti. Egli stesso entra nel loro operare.
+ Giovedì. Quando ho cominciato l'ora santa, avrei voluto immergermi nell'agonia di Gesù nell'Orto degli Ulivi. Ad un tratto sentii nel mio intimo una voce: « Medita i misteri dell'Incarnazione ». Ed all'improvviso mi apparve il Bambino Gesù di una splendente bellezza. Mi disse quanto era gradita a Dio la semplicità dell'anima. « Sebbene la Mia grandezza sia inconcepibile, ho rapporti di intimità soltanto con i piccoli. Voglio da te l'infanzia dello spirito ». Ora vedo chiaramente come Iddio opera attraverso il confessore e come è fedele nelle sue promesse. Due settimane fa il confessore mi aveva ordinato di riflettere sull'infanzia dello spirito. Sulle prime la cosa m'era riuscita un po' difficile, ma il confessore, non badando alle mie difficoltà, aveva insistito perché meditassi sull'infanzia dello spirito. « In pratica quest'infanzia si manifesta così: un bambino non si preoccupa né del passato né del futuro, ma approfitta dei momento presente. In lei, sorella, desidero che emerga questa infanzia dello spinto ed attribuisco a ciò una grande importanza ». Vedo come il Signore si presti ad accogliere i desideri del confessore, dato che in questo periodo non mi si mostra come Maestro nel pieno delle forze e della sua matura umanità, ma mi appare come un Bambino. Questo Dio infinito si abbassa fino a me nelle sembianze di un Bambinello. Ma lo sguardo della mia anima non si ferma alla superficie. Benché tu prenda le sembianze di un Bambinello, io vedo in Te l'Immortale, l'infinito Signore dei signori, che i puri spiriti adorano giorno e notte, per il quale ardono i cuori dei Serafini col fuoco dell'amore più puro. O Cristo, o Gesù, io desidero superarli nell'amore verso di Te. Vi chiedo perdono, o puri spiriti, per aver osato paragonarmi a Voi. Io sono un abisso di miseria, una voragine di miseria, ma Tu, o Dio, che sei un abisso insondabile di Misericordia, assorbimi come l'ardore del sole assorbe una goccia di rugiada. Un Tuo sguardo amorevole conferisce lo stesso livello ad ogni abisso. Sono immensamente felice per la grandezza di Dio. Nel modo più assoluto mi basta vedere la grandezza di Dio, per essere felice per tutta l'eternità. Una volta che vidi Gesù sotto l'aspetto di un Bambino, domandai: « Come mai, Gesù, ora tratti intimamente con me prendendo l'aspetto di un Bambino? Del resto io in Te, anche se sei così, vedo Dio infinito, il mio Creatore e Signore ». Gesù mi rispose che fino a quando non avessi imparato la semplicità e l'umiltà, avrebbe trattato con me come un bimbo.
+ 1934. Durante la santa Messa, nella quale Gesù venne esposto nel SS.mo Sacramento, prima della santa Comunione, vidi due raggi che uscivano dall'Ostia Santissima, così come sono dipinti in questa immagine: uno rosso e l'altro pallido. Si riflettevano su ciascuna delle Suore e sulle educande, ma non su tutte allo stesso modo. Su alcune erano appena tratteggiati. Era il giorno in cui terminavano gli esercizi spirituali delle figliole.
Anno 1934. Il giorno dell'Assunzione della SS.ma Vergine, non andai alla santa Messa, la dottoressa non me lo permise, ma pregai fervorosamente in cella. Dopo poco vidi la Madonna, che era di una bellezza indescrivibile e che mi disse: « Figlia Mia, voglio da te preghiera, preghiera e ancora una volta preghiera per il mondo e specialmente per la tua Patria. Fa' la comunione riparatrice per nove giorni, unisciti strettamente al sacrificio della Santa Messa. Per questi nove giorni starai davanti a Dio come vittima, ovunque, continuamente, in ogni luogo e in ogni momento giorno e notte; ogni volta che ti svegli, prega interiormente. Pregare di continuo interiormente è possibile ». Una volta Gesù mi disse: « Il Mio sguardo da quest'immagine è tale e quale al Mio sguardo dalla croce». Una volta il confessore mi chiese come doveva essere collocata la scritta, dato che non c'era posto sull'immagine. Risposi che avrei pregato ed avrei dato una risposta la settimana seguente. Mentre mi allontanavo dal confessionale, passando accanto al SS.mo Sacramento, mi fu fatto capire interiormente come doveva essere quella scritta. Gesù mi ricordò quello che mi aveva detto la prima volta e cioè che queste tre parole dovevano essere messe in evidenza. Le parole sono queste: « Jezu, ufam Tobie ». Gesù, confido in Te. Capii che Gesù desiderava che venisse messa questa frase, ma all'infuori di queste parole, non dava altri ordini precisi. « Porgo agli uomini il recipiente, col quale debbono venire ad attingere le grazie alla sorgente della Misericordia. Il recipiente è quest'immagine con la scritta: Gesù, confido in Te». O Amore purissimo, regna totalmente nel mio cuore ed aiutami a compiere nella maniera più fedele la Tua santa volontà.
Verso la fine di un ritiro spirituale di tre giorni, mi accorsi che camminavo lungo una strada accidentata ed inciampavo ogni momento e vedevo che dietro di me veniva un altra figura che mi sosteneva continuamente e io non ero contenta di questo e chiesi che quella figura si scostasse da me, perché volevo camminare da sola. Tuttavia quella figura, che non riuscii a riconoscere, non mi abbandonò nemmeno per un istante. La cosa m'innervosì e mi rivoltai contro di lei e la respinsi da me. In quel momento conobbi che quella figura era la Madre Superiora e nello stesso momento vidi che non era più la Madre Superiora ma Gesù, che m'inviò uno sguardo profondo e mi fece conoscere quanto Gli sarebbe dispiaciuto se, anche nella più piccola cosa, non avessi cercato di fare la volontà della Superiora « che è la Mia volontà». Chiesi vivamente perdono al Signore e presi seriamente a cuore quell'avvertimento.
+ Una volta il confessore mi chiese di pregare secondo la sua intenzione e cominciai una novena alla Madonna. Questa novena consisteva nel recitare nove volte la « Salve Regina ». Verso la fine della novena vidi la Madonna col Bambino Gesù in braccio e vidi anche il mio confessore che era inginocchiato ai Suoi piedi e parlava con Lei. Non compresi di che cosa parlasse con la Madonna, poiché ero impegnata a parlare col Bambino Gesù, che era sceso dalle braccia della Madonna e si era avvicinato a me. Non mi stancavo di ammirare la Sua bellezza. Sentii alcune parole che gli diceva la Madonna, ma non sentii tutto. Le parole sono queste: « Io sono non solo la Regina del Cielo, ma anche la Madre della Misericordia e la Madre tua ». In quel momento stese la mano destra con cui reggeva il mantello e copri con esso quel sacerdote. In quell'istante la visione scomparve. Oh! che grazia grande è quella di avere un direttore spirituale! Si progredisce più in fretta nelle virtù, si conosce più chiaramente la volontà di Dio, la si adempie più fedelmente, si procede su una strada certa e sicura. Il direttore spirituale sa evitare gli scogli contro i quali essa potrebbe andare in frantumi. Iddio mi ha dato questa grazia piuttosto tardi, ma sono molto lieta vedendo come Iddio accondiscende ai desideri del direttore spirituale. Cito un solo fatto fra le migliaia che mi capitano. Come al solito una sera avevo pregato il Signore di darmi i punti per la meditazione del giorno dopo. Ricevetti questa risposta: « Medita sul profeta Giona e sulla sua missione ». Ringraziai il Signore, ma dentro di me cominciai a pensare: che meditazione diversa dalle altre! Ciò nonostante, con tutta l'applicazione possibile, m'impegnai a riflettere e in quel profeta scoprii me stessa, nel senso che anch'io spesso mi rifiuto davanti a Dio, dicendo che qualcun altro potrebbe compiere meglio la santa volontà di Dio, non comprendendo che Dio può tutto e tanto più si rivela la Sua potenza, quanto più è misero lo strumento che adopera. Dio mi ha fatto capire questo. Nel pomeriggio ci fu la confessione della comunità. Quando feci presente al direttore spirituale il timore che mi attanaglia l'anima a causa di questa missione, per la quale Dio mi usa come strumento non idoneo, il padre spirituale mi rispose che, volenti o nolenti, dobbiamo compiere la volontà di Dio e mi fece l'esempio del profeta Giona. Finita la confessione pensavo tra me, come mai il confessore sapesse ché Dio mi aveva ordinato di fare la meditazione su Giona; io non gliene avevo parlato. Ad un tratto udii queste parole: « Il sacerdote, quando Mi sostituisce, non è lui che opera, ma sono io per suo tramite. I suoi desideri sono i Miei desideri ». Vedo come Gesù difende i Suoi sostituti. Egli stesso entra nel loro operare.
+ Giovedì. Quando ho cominciato l'ora santa, avrei voluto immergermi nell'agonia di Gesù nell'Orto degli Ulivi. Ad un tratto sentii nel mio intimo una voce: « Medita i misteri dell'Incarnazione ». Ed all'improvviso mi apparve il Bambino Gesù di una splendente bellezza. Mi disse quanto era gradita a Dio la semplicità dell'anima. « Sebbene la Mia grandezza sia inconcepibile, ho rapporti di intimità soltanto con i piccoli. Voglio da te l'infanzia dello spirito ». Ora vedo chiaramente come Iddio opera attraverso il confessore e come è fedele nelle sue promesse. Due settimane fa il confessore mi aveva ordinato di riflettere sull'infanzia dello spirito. Sulle prime la cosa m'era riuscita un po' difficile, ma il confessore, non badando alle mie difficoltà, aveva insistito perché meditassi sull'infanzia dello spirito. « In pratica quest'infanzia si manifesta così: un bambino non si preoccupa né del passato né del futuro, ma approfitta dei momento presente. In lei, sorella, desidero che emerga questa infanzia dello spinto ed attribuisco a ciò una grande importanza ». Vedo come il Signore si presti ad accogliere i desideri del confessore, dato che in questo periodo non mi si mostra come Maestro nel pieno delle forze e della sua matura umanità, ma mi appare come un Bambino. Questo Dio infinito si abbassa fino a me nelle sembianze di un Bambinello. Ma lo sguardo della mia anima non si ferma alla superficie. Benché tu prenda le sembianze di un Bambinello, io vedo in Te l'Immortale, l'infinito Signore dei signori, che i puri spiriti adorano giorno e notte, per il quale ardono i cuori dei Serafini col fuoco dell'amore più puro. O Cristo, o Gesù, io desidero superarli nell'amore verso di Te. Vi chiedo perdono, o puri spiriti, per aver osato paragonarmi a Voi. Io sono un abisso di miseria, una voragine di miseria, ma Tu, o Dio, che sei un abisso insondabile di Misericordia, assorbimi come l'ardore del sole assorbe una goccia di rugiada. Un Tuo sguardo amorevole conferisce lo stesso livello ad ogni abisso. Sono immensamente felice per la grandezza di Dio. Nel modo più assoluto mi basta vedere la grandezza di Dio, per essere felice per tutta l'eternità. Una volta che vidi Gesù sotto l'aspetto di un Bambino, domandai: « Come mai, Gesù, ora tratti intimamente con me prendendo l'aspetto di un Bambino? Del resto io in Te, anche se sei così, vedo Dio infinito, il mio Creatore e Signore ». Gesù mi rispose che fino a quando non avessi imparato la semplicità e l'umiltà, avrebbe trattato con me come un bimbo.
+ 1934. Durante la santa Messa, nella quale Gesù venne esposto nel SS.mo Sacramento, prima della santa Comunione, vidi due raggi che uscivano dall'Ostia Santissima, così come sono dipinti in questa immagine: uno rosso e l'altro pallido. Si riflettevano su ciascuna delle Suore e sulle educande, ma non su tutte allo stesso modo. Su alcune erano appena tratteggiati. Era il giorno in cui terminavano gli esercizi spirituali delle figliole.
domenica 23 ottobre 2011
Maestro, qual è il grande comandamento?
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci mostra i due comandamenti dai quali "dipendono tutta la Legge e i Profeti", attraverso il commento di mons. Gianfranco Poma:
Il Vangelo di Matteo che abbiamo letto nelle domeniche del tempo ordinario di quest'anno liturgico che si avvia alla conclusione, è l'annuncio di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, inviato dal Padre per condurre a compimento l'Alleanza stretta da Dio con l'antico popolo ebraico: Matteo mostra in ogni sua pagina che Gesù non rinnega nulla della prima Alleanza, ma in modo nuovo ed imprevedibile, la porta a compimento, e nello stesso tempo guida la comunità cristiana a trovare con sempre maggiore chiarezza la propria identità. E sta in questo l'importanza e l'interesse con cui noi oggi leggiamo il Vangelo di Matteo: la novità e la pienezza di Gesù, è inesauribile e quindi va continuamente ricompresa e di conseguenza l'identità della comunità, della Chiesa, che vive di Lui, va continuamente riscoperta.
Le pagine del Vangelo che la Liturgia ci propone in queste domeniche ci invitano a ripercorrere questo itinerario di riscoperta della affascinante novità di Gesù e dell'identità cristiana che ne consegue.
Gesù è ormai a Gerusalemme, nel cuore dell'ebraismo. Il confronto con i capi religiosi e politici si fa sempre più serrato. I farisei, i sadducei, i dottori della Legge, tutti i rappresentanti delle categorie più significative esprimono il loro sconcerto di fronte a Gesù, cercano di prenderlo in fallo, cercano dei motivi per farlo condannare, per eliminarlo: è davvero grande dunque, e sconcertante in rapporto alle loro concezioni religiose e di vita, la novità che essi percepiscono in Gesù.
Se pensiamo che quando Matteo scrive, il contesto è ormai decisamente cambiato, significa che la novità di Gesù continua ad incontrare difficoltà e a suscitare scandalo pure all'interno della comunità cristiana alla quale egli si rivolge: il rischio di riportare Gesù a livello di un normale dottore della Legge, se pure magari di una Legge rivisitata, è costante nella vita della sua comunità. La sfida a cui Gesù provoca è la novità che i suoi interlocutori hanno percepito ed hanno rifiutato: chi crede in Lui la comprende, ne coglie la bellezza e la accoglie. La novità sta nel fatto che non si tratta di una teoria, di una dottrina, ma della sua persona da incontrare, in cui credere per entrare in una esperienza che chiede di essere sempre nuova.
Il brano che la Liturgia della domenica XXX del tempo ordinario ci propone (Matt.22,34-40), ci interpella in modo particolarmente forte: siamo coscienti della novità cristiana a cui siamo chiamati? Siamo coscienti della "differenza cristiana" che qualifica l'identità della comunità, della Chiesa, nella quale troviamo la vita?
Matteo ci parla dei dottori della Legge che vogliono mettere alla prova Gesù: vogliono verificare la sua competenza giuridica e di conseguenza la sua autorevolezza nell'illuminare le persone che si rivolgono a Lui. Essi sanno che i rabbini hanno contato fino a 613 precetti presenti nella Torah, divisi in "positivi" (248) e "negativi" (365), considerati come la rivelazione della volontà di Dio per Israele. I dottori della Legge disputano poi tra loro, discutono sul modo di intendere, di mettere in relazione gerarchica i precetti.Vogliono provocare Gesù perché si dichiari, si schieri con una scuola: ancora una volta vogliono catturarlo dentro i loro schemi oppure vogliono screditarlo di fronte a tutti.
Uno dei dottori parla per tutti: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?" E' una domanda posta con precisione tecnica all'interno dei circoli e dei partiti che si confrontano per il primo posto sulla scena del tempo.
La risposta di Gesù, apparentemente non dice niente di diverso da quello che i Farisei già sanno. Essi conoscono bene i due precetti presenti nella Legge: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente", è la citazione della professione di fede ebraica, lo "Shema Israel" (Deut.6,4); "Amerai il tuo prossimo come te stesso" è la citazione del libro del Levitico 19,18.
Il dottore della Legge ha interrogato Gesù sulla Legge: egli risponde con due frasi della Legge. La sua fedeltà alla Legge è indiscussa: Gesù non ne rinnega nulla, anzi, la valorizza, sottolineando l'importanza dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo.
Oltre la Legge, Gesù e i Farisei conoscono altrettanto bene come anche i Profeti leghino tra loro i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo. Per la Legge, basta pensare al decalogo: i comandamenti che riguardano il comportamento verso Dio, sono immediatamente seguiti da quelli che riguardano il rapporto con il prossimo.
Quanto ai Profeti, non fanno che richiamare il legame tra i due precetti per denunciare l'incoerenza di chi si ritiene fedele a Dio trasgredendo la giustizia verso il prossimo più debole.
Dunque, Gesù e i Farisei concordano nel ritenere che sia la Legge che i Profeti non fanno che richiamare il popolo alla fedeltà verso il Dio che lo ha liberato diventando a sua volta liberatore dei poveri.
Dunque Gesù è pienamente ebreo. Dove sta dunque la sua novità, quella per la quale i suoi interlocutore lo vogliono condannare?
Alla domanda del dottore della Legge: "Maestro, qual è il grande comandamento?", Gesù risponde, come è il suo solito, trasportando la questione su un altro piano e rifiutando di stabilire una scala di priorità di precetti. "Amerai il Signore tuo Dio.": questo è il grande e primo comandamento. E Gesù aggiunge immediatamente: "Ma il secondo è simile al primo: Amerai il tuo prossimo come te stesso". E il commento è: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".
Gesù invita i suoi interlocutori ad uscire da una concezione legalista: nei conflitti di doveri, i Farisei sono impegnati a discutere e a gerarchizzare i comandamenti. Gesù li invita ad una conversione radicale: con Dio non è questione di calcolare ciò che occorre fare per essere in regola. Ci sono modi si applicare le leggi che in realtà la tradiscono: la Legge che è stata data per la libertà e per la vita, può diventare schiavitù e morte. S. Paolo, l'antico fariseo scrupoloso che ha fatto l'esperienza della conversione, dice: "Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia" (Rom.6,14). La novità allora è Gesù stesso, il Figlio che fa l'esperienza dell'amore del Padre. "Amare Dio" per Gesù non si riduce all'osservanza della Legge, ma è l'esperienza intima della comunione con Dio. L'umanità di Gesù trova tutto il suo significato, il gusto della vita, la bellezza, la giustizia, la verità, nell'essere assunta nell'intimità divina. La conversione che Paolo ha sperimentato e che è offerta a noi, oggi, è l'incontro con Cristo e attraverso Lui è l'intimità con Dio, la pienezza dell'amore, la risposta del nostro amore all'amore che Dio ha per noi: è il superamento della Legge per un dinamismo nuovo di vita. Chi entra nella logica nuova dell'Amore, comprende la Parola di Gesù: i due comandamenti dell'amore sono simili perché l'amore con il quale il Figlio risponde all'amore del Padre è lo stesso amore che lega i fratelli: l'amore per i fratelli è il farsi concreto dell'amore per il Padre.Non si tratta quindi di fare una scala dei precetti o dei valori: si tratta di convertirci alla novità di Cristo, all'amore che è la "differenza cristiana" e l' "identità" profonda della Chiesa. L'amore libera e dà il giusto valore anche alle cose più piccole.
Il Vangelo di Matteo che abbiamo letto nelle domeniche del tempo ordinario di quest'anno liturgico che si avvia alla conclusione, è l'annuncio di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, inviato dal Padre per condurre a compimento l'Alleanza stretta da Dio con l'antico popolo ebraico: Matteo mostra in ogni sua pagina che Gesù non rinnega nulla della prima Alleanza, ma in modo nuovo ed imprevedibile, la porta a compimento, e nello stesso tempo guida la comunità cristiana a trovare con sempre maggiore chiarezza la propria identità. E sta in questo l'importanza e l'interesse con cui noi oggi leggiamo il Vangelo di Matteo: la novità e la pienezza di Gesù, è inesauribile e quindi va continuamente ricompresa e di conseguenza l'identità della comunità, della Chiesa, che vive di Lui, va continuamente riscoperta.
Le pagine del Vangelo che la Liturgia ci propone in queste domeniche ci invitano a ripercorrere questo itinerario di riscoperta della affascinante novità di Gesù e dell'identità cristiana che ne consegue.
Gesù è ormai a Gerusalemme, nel cuore dell'ebraismo. Il confronto con i capi religiosi e politici si fa sempre più serrato. I farisei, i sadducei, i dottori della Legge, tutti i rappresentanti delle categorie più significative esprimono il loro sconcerto di fronte a Gesù, cercano di prenderlo in fallo, cercano dei motivi per farlo condannare, per eliminarlo: è davvero grande dunque, e sconcertante in rapporto alle loro concezioni religiose e di vita, la novità che essi percepiscono in Gesù.
Se pensiamo che quando Matteo scrive, il contesto è ormai decisamente cambiato, significa che la novità di Gesù continua ad incontrare difficoltà e a suscitare scandalo pure all'interno della comunità cristiana alla quale egli si rivolge: il rischio di riportare Gesù a livello di un normale dottore della Legge, se pure magari di una Legge rivisitata, è costante nella vita della sua comunità. La sfida a cui Gesù provoca è la novità che i suoi interlocutori hanno percepito ed hanno rifiutato: chi crede in Lui la comprende, ne coglie la bellezza e la accoglie. La novità sta nel fatto che non si tratta di una teoria, di una dottrina, ma della sua persona da incontrare, in cui credere per entrare in una esperienza che chiede di essere sempre nuova.
Il brano che la Liturgia della domenica XXX del tempo ordinario ci propone (Matt.22,34-40), ci interpella in modo particolarmente forte: siamo coscienti della novità cristiana a cui siamo chiamati? Siamo coscienti della "differenza cristiana" che qualifica l'identità della comunità, della Chiesa, nella quale troviamo la vita?
Matteo ci parla dei dottori della Legge che vogliono mettere alla prova Gesù: vogliono verificare la sua competenza giuridica e di conseguenza la sua autorevolezza nell'illuminare le persone che si rivolgono a Lui. Essi sanno che i rabbini hanno contato fino a 613 precetti presenti nella Torah, divisi in "positivi" (248) e "negativi" (365), considerati come la rivelazione della volontà di Dio per Israele. I dottori della Legge disputano poi tra loro, discutono sul modo di intendere, di mettere in relazione gerarchica i precetti.Vogliono provocare Gesù perché si dichiari, si schieri con una scuola: ancora una volta vogliono catturarlo dentro i loro schemi oppure vogliono screditarlo di fronte a tutti.
Uno dei dottori parla per tutti: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?" E' una domanda posta con precisione tecnica all'interno dei circoli e dei partiti che si confrontano per il primo posto sulla scena del tempo.
La risposta di Gesù, apparentemente non dice niente di diverso da quello che i Farisei già sanno. Essi conoscono bene i due precetti presenti nella Legge: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente", è la citazione della professione di fede ebraica, lo "Shema Israel" (Deut.6,4); "Amerai il tuo prossimo come te stesso" è la citazione del libro del Levitico 19,18.
Il dottore della Legge ha interrogato Gesù sulla Legge: egli risponde con due frasi della Legge. La sua fedeltà alla Legge è indiscussa: Gesù non ne rinnega nulla, anzi, la valorizza, sottolineando l'importanza dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo.
Oltre la Legge, Gesù e i Farisei conoscono altrettanto bene come anche i Profeti leghino tra loro i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo. Per la Legge, basta pensare al decalogo: i comandamenti che riguardano il comportamento verso Dio, sono immediatamente seguiti da quelli che riguardano il rapporto con il prossimo.
Quanto ai Profeti, non fanno che richiamare il legame tra i due precetti per denunciare l'incoerenza di chi si ritiene fedele a Dio trasgredendo la giustizia verso il prossimo più debole.
Dunque, Gesù e i Farisei concordano nel ritenere che sia la Legge che i Profeti non fanno che richiamare il popolo alla fedeltà verso il Dio che lo ha liberato diventando a sua volta liberatore dei poveri.
Dunque Gesù è pienamente ebreo. Dove sta dunque la sua novità, quella per la quale i suoi interlocutore lo vogliono condannare?
Alla domanda del dottore della Legge: "Maestro, qual è il grande comandamento?", Gesù risponde, come è il suo solito, trasportando la questione su un altro piano e rifiutando di stabilire una scala di priorità di precetti. "Amerai il Signore tuo Dio.": questo è il grande e primo comandamento. E Gesù aggiunge immediatamente: "Ma il secondo è simile al primo: Amerai il tuo prossimo come te stesso". E il commento è: "Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".
Gesù invita i suoi interlocutori ad uscire da una concezione legalista: nei conflitti di doveri, i Farisei sono impegnati a discutere e a gerarchizzare i comandamenti. Gesù li invita ad una conversione radicale: con Dio non è questione di calcolare ciò che occorre fare per essere in regola. Ci sono modi si applicare le leggi che in realtà la tradiscono: la Legge che è stata data per la libertà e per la vita, può diventare schiavitù e morte. S. Paolo, l'antico fariseo scrupoloso che ha fatto l'esperienza della conversione, dice: "Voi non siete più sotto la Legge, ma sotto la grazia" (Rom.6,14). La novità allora è Gesù stesso, il Figlio che fa l'esperienza dell'amore del Padre. "Amare Dio" per Gesù non si riduce all'osservanza della Legge, ma è l'esperienza intima della comunione con Dio. L'umanità di Gesù trova tutto il suo significato, il gusto della vita, la bellezza, la giustizia, la verità, nell'essere assunta nell'intimità divina. La conversione che Paolo ha sperimentato e che è offerta a noi, oggi, è l'incontro con Cristo e attraverso Lui è l'intimità con Dio, la pienezza dell'amore, la risposta del nostro amore all'amore che Dio ha per noi: è il superamento della Legge per un dinamismo nuovo di vita. Chi entra nella logica nuova dell'Amore, comprende la Parola di Gesù: i due comandamenti dell'amore sono simili perché l'amore con il quale il Figlio risponde all'amore del Padre è lo stesso amore che lega i fratelli: l'amore per i fratelli è il farsi concreto dell'amore per il Padre.Non si tratta quindi di fare una scala dei precetti o dei valori: si tratta di convertirci alla novità di Cristo, all'amore che è la "differenza cristiana" e l' "identità" profonda della Chiesa. L'amore libera e dà il giusto valore anche alle cose più piccole.
venerdì 21 ottobre 2011
Questa è la nostra fede - II parte
Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": oggi riscopriamo alcuni importanti principi e alcune considerazioni che sono propedeutiche per chi si vuole dedicare all'evangelizzazione (tra queste va ricordato che il nostro modello di riferimento è ovviamente Gesù e che il Suo Vangelo, purtroppo, non è davvero "conosciuto" da tutti come erroneamente pensiamo):
1. Comunicare a tutti l’annuncio della salvezza
«Non si può più dare per scontato che tra noi e attorno a noi, in un crescente pluralismo culturale e religioso, sia conosciuto il vangelo di Gesù»: è la prima delle sette proposizioni sintetiche nella introduzione alla Nota pastorale, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia[4]. È un’affermazione decisa e coraggiosa, che rivela una situazione preoccupante e dischiude una prospettiva concreta e urgente: «c’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede»[5]. È quindi indispensabile promuovere una conversione missionaria delle nostre comunità ecclesiali per riproporre il messaggio fondamentale della nostra fede: Gesù Cristo, crocifisso e risorto, è l’unica salvezza del mondo.
Anche oggi, infatti, come duemila anni fa, gli uomini e le donne continuano a chiedersi su chi e su che cosa sia possibile riporre le proprie speranze. La fede cristiana risponde con Paolo: chi si affida a Gesù di Nazaret non resta deluso (cfr Rm 10,11).
Anche oggi c’è chi lo cerca per trovare la luce della vita: come Nicodemo, un fariseo, membro del sinedrio, che va ad incontrarlo di notte, per approfondire la sua parola e giungere ad una fede matura (cfr Gv 3,1-21). Nell’impegno e nella passione della continua scoperta, Gesù si fa trovare immancabilmente da chiunque va a lui con sincerità di cuore.
C’è poi chi, nei suoi riguardi, sembra mosso da nostalgia, da curiosità o da un desiderio acuto, forse anche da un bisogno inconfessato, e si mette in cerca di lui per affrontare domande irrinunciabili: da dove sono venuto? dove sto andando? cosa ne sarà di questo amore appena sbocciato? cosa verrà dopo questa malattia che mi sta portando alla morte? Non è ancora fede, o forse lo era un tempo; ma è comunque avvio verso un risveglio. Così avvenne per Zaccheo. Incuriosito dal parlare della gente, vuole vedere quel Maestro che passa. Gesù gli fa visita e la sua vita si trasforma (cfr Lc 19,1-10).
C’è ancora chi sembra aver archiviato il problema religioso, chi mostra al riguardo un’apparente sicurezza e si dichiara indifferente. Non è facile dire perché: ognuno ha la sua storia, e non sempre riesce a decifrarla. Di fatto anche oggi molti non conoscono Gesù e sembrano voler fare a meno di incontrarlo. Come la Samaritana che va ad attingere acqua al pozzo. Gesù le chiede da bere. La donna si mostra restia a parlare con lui: un Giudeo che si intrattiene con una Samaritana! Gesù le apre il libro della sua vita e l’aiuta a leggervi dentro. Quella donna aveva cercato la felicità: in Gesù trova il profeta di Dio, il Salvatore del mondo (cfr Gv 4,1-42). Anche per quanti sembrava un estraneo, l’imbattersi in lui può risultare decisivo.
A chi crede in Cristo e vuole rendere ragione della speranza riposta in lui; a chi chiede di essere aiutato a riscoprire la bellezza del messaggio cristiano; a chi si sente lontano dalla fede, ma vuole dare un senso alla propria vita: a tutti la Chiesa annuncia che Gesù crocifisso è risorto; è lui la nostra ferma speranza; è lui l’unico Salvatore di tutti. Questa è la nostra fede; è la fede della Chiesa.
Questa nota pastorale vuole aiutare a riscoprire il valore, l’urgenza, le condizioni di possibilità e le modalità concrete per comunicare a tutti il primo annuncio della lieta notizia della salvezza.
I. ALLE SORGENTI DELL’EVANGELIZZAZIONE
2. Il compito prioritario
«L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù, il primo e più grande evangelizzatore»[6].
È un dato indiscutibile, concordemente affermato dai racconti evangelici: dopo essere stato proclamato, da Dio Padre, Figlio suo amatissimo, mentre riceveva il battesimo da Giovanni al fiume Giordano, ed essere stato indicato dallo stesso Battista come il Messia di Israele, Gesù ha iniziato la sua attività pubblica «proclamando il Vangelo di Dio» (Mc 1,14). Ha svolto questa attività andando per i villaggi della Galilea, nelle sinagoghe e nelle piazze, sulle rive del lago o su qualche monte, nel deserto o per le strade, nelle case e nel tempio. L’originalità di questa scelta merita di essere sottolineata: Gesù non ha aperto una scuola per lo studio della Legge a Gerusalemme, come uno dei tanti rabbi del suo tempo; non si è ritirato a vita nel deserto, come facevano in quegli anni alcuni pii ebrei, in attesa della salvezza d’Israele; non ha scelto di fondare un movimento di resistenza politica contro l’invasore romano, come gli zeloti o i sicari. La sua missione è stata originale anche rispetto al Battista, che pure ne aveva preparato la venuta: Gesù si è limitato a battezzare solo per breve tempo, ma ben presto la sua attività si è svolta in modo autonomo, come predicazione itinerante, attraverso gesti e segni, miracoli e parole, sino alla fine della sua vita terrena: sino alla pienezza dell’amore e al compimento supremo, sulla croce.
Risorto da morte, ha lasciato ai suoi questo testamento: «proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Come messaggero inviato da Dio per annunciare la pace (cfr At 10,36) e come Signore che invia i suoi apostoli in missione a fare «discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19), Gesù di Nazaret sta all’inizio del processo di evangelizzazione e continua ad animarlo con la forza profetica dello Spirito Santo e l’azione incessante della sua grazia.
«Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo [...] è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto, come ricevuto dal suo Fondatore»[7]. L’esperienza evangelizzatrice di san Paolo rimane, per tutti i credenti in Cristo di ogni luogo e di tutti i tempi, esemplare e paradigmatica. Conquistato da Cristo e preso dal suo fascino, l’apostolo dei pagani è mosso dall’intima, invincibile certezza di essere stato «prescelto per annunziare il Vangelo di Dio», come scrive ai cristiani di Roma (Rm 1,1); e alla comunità di Corinto, da lui stesso fondata, dichiara con tono deciso: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo» (1Cor 1,17). La missione per Paolo non è attività marginale o periferica: è il compito fondamentale e il dovere primario, per cui non gli è più possibile vivere per se stesso. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. Votato interamente alla causa del Vangelo, l’apostolo non si lascia intimidire da nessun rischio né arrestare da alcun ostacolo. Più volte percorre Palestina e Siria, Asia minore, Macedonia e Grecia, lungo le strade militari e le rotte commerciali. Entra nelle sinagoghe della diaspora, si mescola alle folle cosmopolite delle città; si confronta con l’alta cultura e con la religiosità popolare. Non si scoraggia per le scarse conversioni tra gli ebrei né per le infedeltà e i tanti problemi delle piccole comunità da lui stesso fondate.
L’evangelizzazione è il compito prioritario per la Chiesa, che è stata mandata dal Risorto nel mondo ad evangelizzare, cioè ad annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo vuole salvare tutti gli uomini. «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare»[8]. L’evangelizzazione sta a fondamento di tutto e deve avere il primato su tutto; niente la può sostituire e nessun’altra opera le si può anteporre. Tutta la Chiesa è per sua natura missionaria; la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e le parrocchie, tutte le istituzioni e gli organismi pastorali, tutte le aggregazioni ecclesiali e opere di apostolato. In particolare l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza sono i tre grandi “luoghi” ordinari in cui risuona abitualmente – ma non deve mai riecheggiare abitudinariamente – il messaggio assolutamente prioritario della fede, come avviene in sommo grado nell’Eucaristia, in cui «annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta»[9]. Anche la promozione umana non è alternativa, né può mai essere sostitutiva dell’evangelizzazione, ma è ad essa conseguente e da essa strettamente dipendente. Il Vangelo viene prima di tutto e sta al di sopra di tutto, e pur di annunciarlo, la Chiesa è disposta anche a rinunciare ai suoi diritti legittimi, quando l’avanzarli offuscasse la sincerità della sua predicazione, come insegna autorevolmente il Concilio Vaticano II[10].
Introduzione
1. Comunicare a tutti l’annuncio della salvezza
«Non si può più dare per scontato che tra noi e attorno a noi, in un crescente pluralismo culturale e religioso, sia conosciuto il vangelo di Gesù»: è la prima delle sette proposizioni sintetiche nella introduzione alla Nota pastorale, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia[4]. È un’affermazione decisa e coraggiosa, che rivela una situazione preoccupante e dischiude una prospettiva concreta e urgente: «c’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede»[5]. È quindi indispensabile promuovere una conversione missionaria delle nostre comunità ecclesiali per riproporre il messaggio fondamentale della nostra fede: Gesù Cristo, crocifisso e risorto, è l’unica salvezza del mondo.
Anche oggi, infatti, come duemila anni fa, gli uomini e le donne continuano a chiedersi su chi e su che cosa sia possibile riporre le proprie speranze. La fede cristiana risponde con Paolo: chi si affida a Gesù di Nazaret non resta deluso (cfr Rm 10,11).
Anche oggi c’è chi lo cerca per trovare la luce della vita: come Nicodemo, un fariseo, membro del sinedrio, che va ad incontrarlo di notte, per approfondire la sua parola e giungere ad una fede matura (cfr Gv 3,1-21). Nell’impegno e nella passione della continua scoperta, Gesù si fa trovare immancabilmente da chiunque va a lui con sincerità di cuore.
C’è poi chi, nei suoi riguardi, sembra mosso da nostalgia, da curiosità o da un desiderio acuto, forse anche da un bisogno inconfessato, e si mette in cerca di lui per affrontare domande irrinunciabili: da dove sono venuto? dove sto andando? cosa ne sarà di questo amore appena sbocciato? cosa verrà dopo questa malattia che mi sta portando alla morte? Non è ancora fede, o forse lo era un tempo; ma è comunque avvio verso un risveglio. Così avvenne per Zaccheo. Incuriosito dal parlare della gente, vuole vedere quel Maestro che passa. Gesù gli fa visita e la sua vita si trasforma (cfr Lc 19,1-10).
C’è ancora chi sembra aver archiviato il problema religioso, chi mostra al riguardo un’apparente sicurezza e si dichiara indifferente. Non è facile dire perché: ognuno ha la sua storia, e non sempre riesce a decifrarla. Di fatto anche oggi molti non conoscono Gesù e sembrano voler fare a meno di incontrarlo. Come la Samaritana che va ad attingere acqua al pozzo. Gesù le chiede da bere. La donna si mostra restia a parlare con lui: un Giudeo che si intrattiene con una Samaritana! Gesù le apre il libro della sua vita e l’aiuta a leggervi dentro. Quella donna aveva cercato la felicità: in Gesù trova il profeta di Dio, il Salvatore del mondo (cfr Gv 4,1-42). Anche per quanti sembrava un estraneo, l’imbattersi in lui può risultare decisivo.
A chi crede in Cristo e vuole rendere ragione della speranza riposta in lui; a chi chiede di essere aiutato a riscoprire la bellezza del messaggio cristiano; a chi si sente lontano dalla fede, ma vuole dare un senso alla propria vita: a tutti la Chiesa annuncia che Gesù crocifisso è risorto; è lui la nostra ferma speranza; è lui l’unico Salvatore di tutti. Questa è la nostra fede; è la fede della Chiesa.
Questa nota pastorale vuole aiutare a riscoprire il valore, l’urgenza, le condizioni di possibilità e le modalità concrete per comunicare a tutti il primo annuncio della lieta notizia della salvezza.
I. ALLE SORGENTI DELL’EVANGELIZZAZIONE
2. Il compito prioritario
«L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù, il primo e più grande evangelizzatore»[6].
È un dato indiscutibile, concordemente affermato dai racconti evangelici: dopo essere stato proclamato, da Dio Padre, Figlio suo amatissimo, mentre riceveva il battesimo da Giovanni al fiume Giordano, ed essere stato indicato dallo stesso Battista come il Messia di Israele, Gesù ha iniziato la sua attività pubblica «proclamando il Vangelo di Dio» (Mc 1,14). Ha svolto questa attività andando per i villaggi della Galilea, nelle sinagoghe e nelle piazze, sulle rive del lago o su qualche monte, nel deserto o per le strade, nelle case e nel tempio. L’originalità di questa scelta merita di essere sottolineata: Gesù non ha aperto una scuola per lo studio della Legge a Gerusalemme, come uno dei tanti rabbi del suo tempo; non si è ritirato a vita nel deserto, come facevano in quegli anni alcuni pii ebrei, in attesa della salvezza d’Israele; non ha scelto di fondare un movimento di resistenza politica contro l’invasore romano, come gli zeloti o i sicari. La sua missione è stata originale anche rispetto al Battista, che pure ne aveva preparato la venuta: Gesù si è limitato a battezzare solo per breve tempo, ma ben presto la sua attività si è svolta in modo autonomo, come predicazione itinerante, attraverso gesti e segni, miracoli e parole, sino alla fine della sua vita terrena: sino alla pienezza dell’amore e al compimento supremo, sulla croce.
Risorto da morte, ha lasciato ai suoi questo testamento: «proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Come messaggero inviato da Dio per annunciare la pace (cfr At 10,36) e come Signore che invia i suoi apostoli in missione a fare «discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19), Gesù di Nazaret sta all’inizio del processo di evangelizzazione e continua ad animarlo con la forza profetica dello Spirito Santo e l’azione incessante della sua grazia.
«Rivelare Gesù Cristo e il suo Vangelo [...] è, fin dal mattino della Pentecoste, il programma fondamentale che la Chiesa ha assunto, come ricevuto dal suo Fondatore»[7]. L’esperienza evangelizzatrice di san Paolo rimane, per tutti i credenti in Cristo di ogni luogo e di tutti i tempi, esemplare e paradigmatica. Conquistato da Cristo e preso dal suo fascino, l’apostolo dei pagani è mosso dall’intima, invincibile certezza di essere stato «prescelto per annunziare il Vangelo di Dio», come scrive ai cristiani di Roma (Rm 1,1); e alla comunità di Corinto, da lui stesso fondata, dichiara con tono deciso: «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo» (1Cor 1,17). La missione per Paolo non è attività marginale o periferica: è il compito fondamentale e il dovere primario, per cui non gli è più possibile vivere per se stesso. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. Votato interamente alla causa del Vangelo, l’apostolo non si lascia intimidire da nessun rischio né arrestare da alcun ostacolo. Più volte percorre Palestina e Siria, Asia minore, Macedonia e Grecia, lungo le strade militari e le rotte commerciali. Entra nelle sinagoghe della diaspora, si mescola alle folle cosmopolite delle città; si confronta con l’alta cultura e con la religiosità popolare. Non si scoraggia per le scarse conversioni tra gli ebrei né per le infedeltà e i tanti problemi delle piccole comunità da lui stesso fondate.
L’evangelizzazione è il compito prioritario per la Chiesa, che è stata mandata dal Risorto nel mondo ad evangelizzare, cioè ad annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che per mezzo di Gesù Cristo vuole salvare tutti gli uomini. «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare»[8]. L’evangelizzazione sta a fondamento di tutto e deve avere il primato su tutto; niente la può sostituire e nessun’altra opera le si può anteporre. Tutta la Chiesa è per sua natura missionaria; la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e le parrocchie, tutte le istituzioni e gli organismi pastorali, tutte le aggregazioni ecclesiali e opere di apostolato. In particolare l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza sono i tre grandi “luoghi” ordinari in cui risuona abitualmente – ma non deve mai riecheggiare abitudinariamente – il messaggio assolutamente prioritario della fede, come avviene in sommo grado nell’Eucaristia, in cui «annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta»[9]. Anche la promozione umana non è alternativa, né può mai essere sostitutiva dell’evangelizzazione, ma è ad essa conseguente e da essa strettamente dipendente. Il Vangelo viene prima di tutto e sta al di sopra di tutto, e pur di annunciarlo, la Chiesa è disposta anche a rinunciare ai suoi diritti legittimi, quando l’avanzarli offuscasse la sincerità della sua predicazione, come insegna autorevolmente il Concilio Vaticano II[10].
mercoledì 19 ottobre 2011
Alle sorgenti della Pietà - XVI parte
Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana. La meditazione si sposta oggi sul sacrificio di Gesù che ha accettato la morte di croce per noi:
- Capitolo 14 -
"FU ANCHE CROCIFISSO PER NOI"
LA CROCE
"FU ANCHE CROCIFISSO PER NOI"
LA CROCE
P rocedendo nella recita del Credo, dopo aver affermato che il Figlio di Dio si è fatto uomo, aggiungiamo: "Crucifvcus etiam pro nobis". Nella traduzione italiana (che è quella che usiamo nella Messa) diciamo: "Fu crocifisso per noi".
Per motivi linguistici è stato trascurato quell' "etiam" (= anche) che invece ha un valore non trascurabile. Si dovrebbe dire infatti: e fu anche crocifisso per noi! La frase si rifà a S. Paolo là dove afferma: "Egli era come Dio, ma non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo tra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. Abbassò se stesso e fu obbediente a Dio sino alla morte ed alla morte in croce" (Filipp 2,6-8).
Dopo esserci trovati di fronte al mistero dell'incarnazione, ora ci troviamo di fronte ad un mistero più grande e più incomprensibile: quello della passione. morte e risurrezione di Gesù.
La domanda che viene spontanea è questa: ma perché? Perché il Figlio di Dio ha dovuto patire, morire per poi risorgere?
Questa domanda se la son posta anche i due discepoli che, la sera di Pasqua, camminavano tristi verso Emmaus. La risposta venne loro da Gesù che li rimproverò così: "Voi capite poco davvero! Come siete lenti a credere quello che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria.?" (Lc 24,25-26).
Notate bene:
1 - Gesù rimprovera ai discepoli la lentezza nel capire e nel credere perché la Bibbia parla chiaramente di questo mistero;
2 - Gesù afferma che il Messia doveva soffrire tutte queste cose "per entrare così nella. sua gloria". In tal modo Gesù ci indica la strada per arrivare alla soluzione di questo mistero: è la strada della fede nella Parola di Dio, nella Bibbia.
Perché il Messia doveva morire? Semplicemente perché doveva risorgere!
Il punto fondamentale non è la morte, ma la risurrezione.
La morte è in funzione della risurrezione, per cui, nella nostra fede e nel nostro culto, non dobbiamo mai separare la morte di Gesù dalla sua risurrezione.
Ma perché Gesù doveva risorgere? Perché in Lui doveva cominciare una vita nuova per l'umanità, un uomo nuovo, creato secondo Dio nella bontà e nella santità. Per questo bisognava che l'uomo vecchio, quello chiamato Adamo, venisse distrutto dalla morte insieme al suo peccato ed alla sua corruzione. Solo così era possibile dare origine ad un uomo nuovo! E Dio voleva un uomo nuovo, un'umanità nuova.
Quando una lampada si è bruciata non è più possibile usarla: non la si può neppure riparare. Bisogna sostituirla con una lampada nuova.
La lampada di Adamo (cioè la nostra umanità peccatrice) è stata bruciata dalla superbia fin dal principio. Nella nostra terra c'era il buio perché la lampada era spenta. Dio ha lasciato che gli uomini tentassero la via della riparazione perché si rendessero conto che era una via impossibile. Per questo diede a Mosè la sua Legge. La Legge infatti indica agli uomini la strada per piacere a Dio, per diventare giusti e santi. Ma la Legge non basta conoscerla: bisogna metterla in pratica!
LEGGE E GRAZIA
Ebbene gli uomini, messi di fronte alle esigenze dei divini comandamenti, hanno capito che cosa avrebbero dovuto fare per piacere a Dio, ma non per questo ci sono riusciti. Anche i più santi tra di loro, si sono scoperti ingiusti e peccatori. La luce della legge è una luce che ti fa sentire di più il peso del buio. Quando si brucia la lampada si ricorre al fiammifero: esso ti illumina sì, ma si mostra insufficiente a risolvere il tuo problema: ti fa sentire sempre più la necessità di una lampada nuova.
Una sera mi trovavo nella mia stanza con alcuni amici per fare un certo lavoro di ricerca. Avevamo messo sul tavolo tanti libri e stavamo leggendo or qua or là, quando venne a mancare la luce. A tentoni cercai la scatola di fiammiferi e ne accesi uno. Immediatamente ci fu un po' di luce. Guardammo la lampada: era bruciata. Bisognava cambiarla! Subito il fiammifero si spense e ne dovetti accendere un altro. Proseguire nello studio era impossibile con la luce del fiammifero. Occorreva una lampada nuova. Allora mi misi a cercarla, sempre alla luce dei fiammiferi, mentre i miei amici dovevano restare fermi ed inerti: al buio non si può lavorare ed è pericoloso muoversi. Finalmente trovai una lampada nuova. Era molto più luminosa di quella che si era bruciata: ora ci si vedeva veramente bene!
Con il peccato originale si è fatto buio su tutta la terra: la luce della divina grazia si era spenta. 'Tenebrae factae sunt... " (Sono venute le tenebre).
L'umanità ha tentato invano di riprendere il suo cammino accendendo i fiammiferi delle varie religioni e filosofie.
Allora Dio affidò a Mosè ed al Popolo Ebreo due fiaccole: la Legge e la Rivelazione dell'Antico Testamento. Anch'esse però si dimostrarono incapaci di riportare la pace e la comunione tra l'uomo e Dio. Anzi, illuminando le esigenze della santità divina esse mostrarono sempre più l'incapacità dell'uomo a salvarsi. "Nessuno mai si è salvato ad opera della Legge" scrive la Bibbia (Rm 3,20).
E pensare che c'è anche oggi chi cerca di salvarsi con i propri sforzi, quasi che dipenda da lui, dalle sue opere, dalle sue penitenze la salvezza!
In realtà la salvezza è dono di Dio. Solo Lui può salvarci! Ed ecco allora il Piano, il Progetto, il Mistero di Dio: un piano molto semplice, ma anche molto profondo. Egli non solo ha cercato di migliorare l'umanità peccatrice: ma l'ha sostituita con una nuova!
E' inutile sforzarsi di battere sulla lampada spenta quando è bruciata: conviene svitarla e metterne una nuova al suo posto. Dio ha fatto proprio così: ha svitato la vecchia lampada spenta per il peccato, ed ha avvitato una lampada nuova capace di dare una luce infinitamente più bella e più grande. Quindi Dio ha compiuto due operazioni:
- una negativa: ha svitato la lampada vecchia e morta;
- una positiva: ha avvitato la lampada nuova, splendente. Queste due operazioni Dio le ha compiute in Gesù:
- in Lui, mediante la croce, ha fatto morire la vecchia umanità con tutti i suoi peccati;
- in Lui, mediante la risurrezione, ha fatto brillare una nuova umanità, costruita secondo i suoi progetti.
Non è possibile avvitare la lampada nuova, se prima non si toglie quella vecchia. Non è possibile dare una vita nuova, se prima non si fa morire quella vecchia.
Ecco perché Gesù dice che "il Messia doveva morire per entrare nella sua. gloria.". La gloria del Messia è la vita nuova, la vita della risurrezione che Egli ha ottenuto dal Padre come premio della sua passione e morte. Così Egli è diventato sorgente della nuova vita per tutti gli uomini che credono in Lui!
Morendo sulla croce Gesù ha fatto morire con sè ed in sè tutti noi: ci ha come racchiusi nel suo cuore trapassato dalla lancia nel suo corpo trafitto dai chiodi. Tutti noi siamo stati crocifissi con Lui e siamo morti con Lui. Questa è stata la parte negativa del Mistero della Croce. Questa morte però era finalizzata alla vita nuova della risurrezione.
Gesù è morto per risorgere, ci ha uniti alla sua morte per unirci alla sua nuova vita. Così quando la lancia del soldato trapassò il cuore di Gesù, subito ne uscì sangue ed acqua, simbolo della nuova vita. Il cuore di Gesù è diventato la sorgente della vita eterna per tutti noi.
Una vita che si è mostrata in tutto il suo splendore nella sua risurrezione. Ecco come saremo: come Gesù Risorto! Dunque Gesù è morto in croce non solo per dimostrare la bruttezza e la gravità del peccato, non solo per dimostrare l'amore suo e del Padre per noi, ma anche e prima di tutto per compiere in sè stesso (come in una cellula germinale) il trapasso dalla vecchia alla nuova umanità, dalla corruzione all'incorruttibilità, dalla morte alla vita senza fine!
Capite ora l'importanza di quell' "etiam pro nobis "? Non solo si è fatto uomo come noi, ma anche è stato crocifisso per noi! Vedete allora come la Croce di Gesù è davvero il punto centrale della storia umana: la porta che fa passare ogni uomo da una vita mortale e peccatrice, ad una vita immortale e santa. La Croce è come la porta che immette in una nuova dimensione, nella dimensione degli uomini nuovi, rinati, giusti! Gesù ha aperto questa porta là, sul Calvario, nel suo Cuore trafitto e nel suo sepolcro. Non è possibile diventare giusti, diventare uomini nuovi, possedere la vita eterna, se non passando attraverso quella porta.
Ogni uomo, se vuole salvarsi, deve prendere il fardello dei propri peccati e camminare verso questa porta. Come egli la oltrepassa, ecco che i peccati scompaiono ed una vita nuova lo invade.
IL SEGNO DEL BATTESIMO
Gesù stesso ha scelto un rito che esprime questo passaggio: è il rito del Battesimo. Il peccatore, pieno di fede, passa attraverso l'acqua del fonte battesimale, vi depone la vita vecchia con tutti i suoi peccati e poi risale rinnovato e trasformato dallo Spirito Santo. La vita nuova di Gesù lo invade completamente. Un giorno anche il suo corpo sarà trasformato dalla vita del Cristo Risorto!
Tempo fa sono stato a Nazareth ed ivi ho ammirato il fonte battesimale dell'antichissima basilica giudeo-cristiana. Vi è una scala che scende in una vasca e poi un'altra scala, composta di 7 gradini, che risale. I sette gradini raffigurano i 7 doni dello Spirito Santo che riempiono l'anima del battezzato. Costui, appena risalito come da un sepolcro, viene a trovarsi su un mosaico dove, in maniera veramente sublime, è simbolicamente descritta la nuova vita che ora lo riempie: vi è il simbolo del Paradiso, il simbolo di Cristo Salvatore, il simbolo della Ss.ma Trinità alla cui vita ora partecipa in Gesù!
I primi cristiani erano molto istruiti in questa visione del disegno di Dio tanto che S. Paolo vi accenna continuamente nelle sue lettere e fa intendere che i suoi lettori lo capivano bene e sapevano bene di che cosa parlava.
Ecco perché, tra l'altro, egli afferma convinto che di null'altro si gloria se non della croce del Signore! Ogni altra cosa, dice S. Paolo, è inutile: non serve alla salvezza! Solo la Croce di Gesù, cioè il mistero della sua morte e della sua risurrezione, è per noi fonte di vita e di salvezza!
E' così anche per noi? Oppure meritiamo anche noi il rimprovero del Signore: "Come siete lenti a capire ed a credere?". Dio ci mostra il grande mistero della Croce perfettamente realizzato in una creatura: la Vergine Maria. In vista di questa Croce Essa è stata preservata da ogni peccato, anche da quello originale, è stata riempita di grazia fin dal primo istante della sua immacolata concezione ed ora si trova in Cielo viva, non solo con il suo spirito, ma anche con il suo corpo glorioso vivificato dalla nuova vita donatale da Gesù Risorto. Guardando a Lei noi ammiriamo quello che un giorno saremo anche noi se con fede accogliamo in noi Gesù quale nostro Salvatore e Signore, sorgente unica ed inesauribile di vita eterna.
CONTEMPLAZIONE
Con il tuo spirito oltrepassa i confini del tempo e portati con Maria sul Calvario ai piedi della croce e domandati: perché? Perché Gesù deve patire e morire? Poi portati sulla strada di Emmaus e cammina con i due discepoli ascoltando le spiegazioni di Gesù...
Luca 24
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Rom 3,20
Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.
Gal 2,19-20
In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Gal 6,14
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Per motivi linguistici è stato trascurato quell' "etiam" (= anche) che invece ha un valore non trascurabile. Si dovrebbe dire infatti: e fu anche crocifisso per noi! La frase si rifà a S. Paolo là dove afferma: "Egli era come Dio, ma non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunciò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo tra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. Abbassò se stesso e fu obbediente a Dio sino alla morte ed alla morte in croce" (Filipp 2,6-8).
Dopo esserci trovati di fronte al mistero dell'incarnazione, ora ci troviamo di fronte ad un mistero più grande e più incomprensibile: quello della passione. morte e risurrezione di Gesù.
La domanda che viene spontanea è questa: ma perché? Perché il Figlio di Dio ha dovuto patire, morire per poi risorgere?
Questa domanda se la son posta anche i due discepoli che, la sera di Pasqua, camminavano tristi verso Emmaus. La risposta venne loro da Gesù che li rimproverò così: "Voi capite poco davvero! Come siete lenti a credere quello che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria.?" (Lc 24,25-26).
Notate bene:
1 - Gesù rimprovera ai discepoli la lentezza nel capire e nel credere perché la Bibbia parla chiaramente di questo mistero;
2 - Gesù afferma che il Messia doveva soffrire tutte queste cose "per entrare così nella. sua gloria". In tal modo Gesù ci indica la strada per arrivare alla soluzione di questo mistero: è la strada della fede nella Parola di Dio, nella Bibbia.
Perché il Messia doveva morire? Semplicemente perché doveva risorgere!
Il punto fondamentale non è la morte, ma la risurrezione.
La morte è in funzione della risurrezione, per cui, nella nostra fede e nel nostro culto, non dobbiamo mai separare la morte di Gesù dalla sua risurrezione.
Ma perché Gesù doveva risorgere? Perché in Lui doveva cominciare una vita nuova per l'umanità, un uomo nuovo, creato secondo Dio nella bontà e nella santità. Per questo bisognava che l'uomo vecchio, quello chiamato Adamo, venisse distrutto dalla morte insieme al suo peccato ed alla sua corruzione. Solo così era possibile dare origine ad un uomo nuovo! E Dio voleva un uomo nuovo, un'umanità nuova.
Quando una lampada si è bruciata non è più possibile usarla: non la si può neppure riparare. Bisogna sostituirla con una lampada nuova.
La lampada di Adamo (cioè la nostra umanità peccatrice) è stata bruciata dalla superbia fin dal principio. Nella nostra terra c'era il buio perché la lampada era spenta. Dio ha lasciato che gli uomini tentassero la via della riparazione perché si rendessero conto che era una via impossibile. Per questo diede a Mosè la sua Legge. La Legge infatti indica agli uomini la strada per piacere a Dio, per diventare giusti e santi. Ma la Legge non basta conoscerla: bisogna metterla in pratica!
LEGGE E GRAZIA
Ebbene gli uomini, messi di fronte alle esigenze dei divini comandamenti, hanno capito che cosa avrebbero dovuto fare per piacere a Dio, ma non per questo ci sono riusciti. Anche i più santi tra di loro, si sono scoperti ingiusti e peccatori. La luce della legge è una luce che ti fa sentire di più il peso del buio. Quando si brucia la lampada si ricorre al fiammifero: esso ti illumina sì, ma si mostra insufficiente a risolvere il tuo problema: ti fa sentire sempre più la necessità di una lampada nuova.
Una sera mi trovavo nella mia stanza con alcuni amici per fare un certo lavoro di ricerca. Avevamo messo sul tavolo tanti libri e stavamo leggendo or qua or là, quando venne a mancare la luce. A tentoni cercai la scatola di fiammiferi e ne accesi uno. Immediatamente ci fu un po' di luce. Guardammo la lampada: era bruciata. Bisognava cambiarla! Subito il fiammifero si spense e ne dovetti accendere un altro. Proseguire nello studio era impossibile con la luce del fiammifero. Occorreva una lampada nuova. Allora mi misi a cercarla, sempre alla luce dei fiammiferi, mentre i miei amici dovevano restare fermi ed inerti: al buio non si può lavorare ed è pericoloso muoversi. Finalmente trovai una lampada nuova. Era molto più luminosa di quella che si era bruciata: ora ci si vedeva veramente bene!
Con il peccato originale si è fatto buio su tutta la terra: la luce della divina grazia si era spenta. 'Tenebrae factae sunt... " (Sono venute le tenebre).
L'umanità ha tentato invano di riprendere il suo cammino accendendo i fiammiferi delle varie religioni e filosofie.
Allora Dio affidò a Mosè ed al Popolo Ebreo due fiaccole: la Legge e la Rivelazione dell'Antico Testamento. Anch'esse però si dimostrarono incapaci di riportare la pace e la comunione tra l'uomo e Dio. Anzi, illuminando le esigenze della santità divina esse mostrarono sempre più l'incapacità dell'uomo a salvarsi. "Nessuno mai si è salvato ad opera della Legge" scrive la Bibbia (Rm 3,20).
E pensare che c'è anche oggi chi cerca di salvarsi con i propri sforzi, quasi che dipenda da lui, dalle sue opere, dalle sue penitenze la salvezza!
In realtà la salvezza è dono di Dio. Solo Lui può salvarci! Ed ecco allora il Piano, il Progetto, il Mistero di Dio: un piano molto semplice, ma anche molto profondo. Egli non solo ha cercato di migliorare l'umanità peccatrice: ma l'ha sostituita con una nuova!
E' inutile sforzarsi di battere sulla lampada spenta quando è bruciata: conviene svitarla e metterne una nuova al suo posto. Dio ha fatto proprio così: ha svitato la vecchia lampada spenta per il peccato, ed ha avvitato una lampada nuova capace di dare una luce infinitamente più bella e più grande. Quindi Dio ha compiuto due operazioni:
- una negativa: ha svitato la lampada vecchia e morta;
- una positiva: ha avvitato la lampada nuova, splendente. Queste due operazioni Dio le ha compiute in Gesù:
- in Lui, mediante la croce, ha fatto morire la vecchia umanità con tutti i suoi peccati;
- in Lui, mediante la risurrezione, ha fatto brillare una nuova umanità, costruita secondo i suoi progetti.
Non è possibile avvitare la lampada nuova, se prima non si toglie quella vecchia. Non è possibile dare una vita nuova, se prima non si fa morire quella vecchia.
Ecco perché Gesù dice che "il Messia doveva morire per entrare nella sua. gloria.". La gloria del Messia è la vita nuova, la vita della risurrezione che Egli ha ottenuto dal Padre come premio della sua passione e morte. Così Egli è diventato sorgente della nuova vita per tutti gli uomini che credono in Lui!
Morendo sulla croce Gesù ha fatto morire con sè ed in sè tutti noi: ci ha come racchiusi nel suo cuore trapassato dalla lancia nel suo corpo trafitto dai chiodi. Tutti noi siamo stati crocifissi con Lui e siamo morti con Lui. Questa è stata la parte negativa del Mistero della Croce. Questa morte però era finalizzata alla vita nuova della risurrezione.
Gesù è morto per risorgere, ci ha uniti alla sua morte per unirci alla sua nuova vita. Così quando la lancia del soldato trapassò il cuore di Gesù, subito ne uscì sangue ed acqua, simbolo della nuova vita. Il cuore di Gesù è diventato la sorgente della vita eterna per tutti noi.
Una vita che si è mostrata in tutto il suo splendore nella sua risurrezione. Ecco come saremo: come Gesù Risorto! Dunque Gesù è morto in croce non solo per dimostrare la bruttezza e la gravità del peccato, non solo per dimostrare l'amore suo e del Padre per noi, ma anche e prima di tutto per compiere in sè stesso (come in una cellula germinale) il trapasso dalla vecchia alla nuova umanità, dalla corruzione all'incorruttibilità, dalla morte alla vita senza fine!
Capite ora l'importanza di quell' "etiam pro nobis "? Non solo si è fatto uomo come noi, ma anche è stato crocifisso per noi! Vedete allora come la Croce di Gesù è davvero il punto centrale della storia umana: la porta che fa passare ogni uomo da una vita mortale e peccatrice, ad una vita immortale e santa. La Croce è come la porta che immette in una nuova dimensione, nella dimensione degli uomini nuovi, rinati, giusti! Gesù ha aperto questa porta là, sul Calvario, nel suo Cuore trafitto e nel suo sepolcro. Non è possibile diventare giusti, diventare uomini nuovi, possedere la vita eterna, se non passando attraverso quella porta.
Ogni uomo, se vuole salvarsi, deve prendere il fardello dei propri peccati e camminare verso questa porta. Come egli la oltrepassa, ecco che i peccati scompaiono ed una vita nuova lo invade.
IL SEGNO DEL BATTESIMO
Gesù stesso ha scelto un rito che esprime questo passaggio: è il rito del Battesimo. Il peccatore, pieno di fede, passa attraverso l'acqua del fonte battesimale, vi depone la vita vecchia con tutti i suoi peccati e poi risale rinnovato e trasformato dallo Spirito Santo. La vita nuova di Gesù lo invade completamente. Un giorno anche il suo corpo sarà trasformato dalla vita del Cristo Risorto!
Tempo fa sono stato a Nazareth ed ivi ho ammirato il fonte battesimale dell'antichissima basilica giudeo-cristiana. Vi è una scala che scende in una vasca e poi un'altra scala, composta di 7 gradini, che risale. I sette gradini raffigurano i 7 doni dello Spirito Santo che riempiono l'anima del battezzato. Costui, appena risalito come da un sepolcro, viene a trovarsi su un mosaico dove, in maniera veramente sublime, è simbolicamente descritta la nuova vita che ora lo riempie: vi è il simbolo del Paradiso, il simbolo di Cristo Salvatore, il simbolo della Ss.ma Trinità alla cui vita ora partecipa in Gesù!
I primi cristiani erano molto istruiti in questa visione del disegno di Dio tanto che S. Paolo vi accenna continuamente nelle sue lettere e fa intendere che i suoi lettori lo capivano bene e sapevano bene di che cosa parlava.
Ecco perché, tra l'altro, egli afferma convinto che di null'altro si gloria se non della croce del Signore! Ogni altra cosa, dice S. Paolo, è inutile: non serve alla salvezza! Solo la Croce di Gesù, cioè il mistero della sua morte e della sua risurrezione, è per noi fonte di vita e di salvezza!
E' così anche per noi? Oppure meritiamo anche noi il rimprovero del Signore: "Come siete lenti a capire ed a credere?". Dio ci mostra il grande mistero della Croce perfettamente realizzato in una creatura: la Vergine Maria. In vista di questa Croce Essa è stata preservata da ogni peccato, anche da quello originale, è stata riempita di grazia fin dal primo istante della sua immacolata concezione ed ora si trova in Cielo viva, non solo con il suo spirito, ma anche con il suo corpo glorioso vivificato dalla nuova vita donatale da Gesù Risorto. Guardando a Lei noi ammiriamo quello che un giorno saremo anche noi se con fede accogliamo in noi Gesù quale nostro Salvatore e Signore, sorgente unica ed inesauribile di vita eterna.
CONTEMPLAZIONE
Con il tuo spirito oltrepassa i confini del tempo e portati con Maria sul Calvario ai piedi della croce e domandati: perché? Perché Gesù deve patire e morire? Poi portati sulla strada di Emmaus e cammina con i due discepoli ascoltando le spiegazioni di Gesù...
Luca 24
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Rom 3,20
Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.
Gal 2,19-20
In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Gal 6,14
Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
martedì 18 ottobre 2011
Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XLIII
Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio del "Beato" Giovanni Paolo II. Dopo aver visto i modi in cui si dovrebbe snodare la pastorale familiare in determinati casi ritenuti difficili, vediamo oggi come la pastorale affronta le diverse situazioni irregolari che vanno sempre più diffondendosi, soprattutto nella nostra realtà attuale:
Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari
79. Nella sua sollecitudine di tutelare la famiglia in ogni sua dimensione, non soltanto in quella religiosa, il Sinodo dei Vescovi non ha tralasciato di prendere in attenta considerazione alcune situazioni religiosamente e spesso anche civilmente irregolari, che - negli odierni rapidi mutamenti delle culture - vanno purtroppo diffondendosi anche fra i cattolici, con non lieve danno dello stesso istituto familiare e della società, di cui esso costituisce la cellula fondamentale.
a) Il matrimonio per esperimento
80. Una prima situazione irregolare è data da quello che chiamano «matrimonio per esperimento», che molti oggi vorrebbero giustificare, attribuendo ad esso un certo valore. Già la stessa ragione umana insinua la sua inaccettabilità, mostrando quanto sia poco convincente che si faccia un «esperimento» nei riguardi di persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell'amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza.
Dal canto suo, la Chiesa non può ammettere un tale tipo di unione per ulteriori, originali motivi, derivanti dalla fede. Da una parte, infatti, il dono del corpo nel rapporto sessuale è il simbolo reale della donazione di tutta la persona: una tale donazione peraltro, nell'attuale economia non può attuarsi con verità piena senza il concorso dell'amore di carità, dato da Cristo. Dall'altra parte, poi, il matrimonio fra due battezzati è il simbolo reale dell'unione di Cristo con la Chiesa, una unione non temporanea o «ad esperimento», ma eternamente fedele; tra due battezzati, pertanto, non può esistere che un matrimonio indissolubile.
Tale situazione ordinariamente non può essere superata, se la persona umana, fin dall'infanzia, con l'aiuto della grazia di Cristo e senza timori, non è stata educata a dominare la nascente concupiscenza e ad instaurare con gli altri rapporti di amore genuino. Ciò non si ottiene senza una vera educazione all'amore autentico e al retto uso della sessualità, tale che introduca la persona umana secondo ogni sua dimensione, e perciò anche in quella che riguarda il proprio corpo, nella pienezza del mistero di Cristo.
Sarà molto utile indagare sulle cause di questo fenomeno, anche nel suo aspetto psicologico e sociologico, per giungere a trovare un'adeguata terapia.
b) Unioni libere di fatto
81. Si tratta di unioni senza alcun vincolo istituzionale pubblicamente riconosciuto, né civile né religioso. Questo fenomeno - esso pure sempre più frequente - non può non attirare l'attenzione dei pastori d'anime, anche perché alla sua base possono esserci elementi molto diversi fra loro, agendo sui quali sarà forse possibile limitarne le conseguenze.
Alcuni, infatti, vi si considerano quasi costretti da situazioni difficili - economiche, culturali e religiose - in quanto, contraendo regolare matrimonio, verrebbero esposti ad un danno, alla perdita di vantaggi economici, a discriminazioni, ecc. In altri, invece, si riscontra un atteggiamento di disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell'istituto familiare, dell'ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere. Altri, infine, vi sono spinti dall'estrema ignoranza e povertà, talvolta da condizionamenti dovuti a situazioni di vera ingiustizia, o anche da una certa immaturità psicologica, che li rende incerti e timorosi di contrarre un vincolo stabile e definitivo. In alcuni Paesi le consuetudini tradizionali prevedono il matrimonio vero e proprio solo dopo un periodo di coabitazione e dopo la nascita del primo figlio.
Ognuno di questi elementi pone alla Chiesa ardui problemi pastorali, per le gravi conseguenze che ne derivano, sia religiose e morali (perdita del senso religioso del matrimonio, visto alla luce dell'Alleanza di Dio con il suo popolo: privazione della grazia del sacramento; grave scandalo), sia anche sociali (distruzione del concetto di famiglia; indebolimento del senso di fedeltà anche verso la società; possibili traumi psicologici nei figli; affermazione dell'egoismo).
Sarà cura dei pastori e della comunità ecclesiale conoscere tali situazioni e le loro cause concrete, caso per caso; avvicinare i conviventi con discrezione e rispetto; adoperarsi con una azione di paziente illuminazione, di caritatevole correzione, di testimonianza familiare cristiana, che possa spianare loro la strada verso la regolarizzazione della situazione.
Soprattutto, però, sia fatta opera di prevenzione, coltivando il senso della fedeltà in tutta l'educazione morale e religiosa dei giovani, istruendoli circa le condizioni e le strutture che favoriscono tale fedeltà, senza la quale non si dà vera libertà, aiutandoli a maturare spiritualmente, facendo loro comprendere la ricca realtà umana e soprannaturale del matrimonio-sacramento.
Il Popolo di Dio si adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia. E poiché in molte regioni, per l'estrema povertà derivante da strutture socioeconomiche ingiuste o inadeguate, i giovani non sono in condizione di sposarsi come si conviene, la società e le pubbliche autorità favoriscono il matrimonio legittimo mediante una serie di interventi sociali e politici, garantendo il salario familiare, emanando disposizioni per un'abitazione adatta alla vita familiare, creando adeguate possibilità di lavoro e di vita.
c) Cattolici uniti col solo matrimonio civile
82. E' sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio. Ricercando il pubblico riconoscimento del vincolo da parte dello Stato, tali coppie mostrano di essere disposte ad assumersene, con i vantaggi, anche gli obblighi. Ciò nonostante, neppure questa situazione è accettabile da parte della Chiesa.
L'azione pastorale tenderà a far comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di vita e la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per indurre tali persone a regolare la propria situazione alla luce dei principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno purtroppo ammetterle ai sacramenti.
d) Separati e divorziati non risposati
83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.
La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
e) I divorziati risposati
84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
I senza-famiglia
85. Ancora una parola desidero aggiungere per una categoria di persone che, per la concreta condizione in cui si trovano a vivere - e spesso non per loro deliberata volontà - io considero particolarmente vicine al Cuore di Cristo e degne dell'affetto della sollecitudine fattiva della Chiesa e dei pastori.
Esistono al mondo moltissime persone le quali, disgraziatamente, non possono riferirsi in alcun modo a ciò che si potrebbe definire in senso proprio una famiglia. Grandi settori dell'umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l'irregolarità ed instabilità dei rapporti, l'estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia».
In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell'urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione. E' un compito che incombe, solidarmente, all'intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.
A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).
PARTE QUARTA
LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI
LA PASTORALE FAMILIARE: TEMPI, STRUTTURE, OPERATORI E SITUAZIONI
IV. La pastorale familiare nei casi difficili
Azione pastorale di fronte ad alcune situazioni irregolari
79. Nella sua sollecitudine di tutelare la famiglia in ogni sua dimensione, non soltanto in quella religiosa, il Sinodo dei Vescovi non ha tralasciato di prendere in attenta considerazione alcune situazioni religiosamente e spesso anche civilmente irregolari, che - negli odierni rapidi mutamenti delle culture - vanno purtroppo diffondendosi anche fra i cattolici, con non lieve danno dello stesso istituto familiare e della società, di cui esso costituisce la cellula fondamentale.
a) Il matrimonio per esperimento
80. Una prima situazione irregolare è data da quello che chiamano «matrimonio per esperimento», che molti oggi vorrebbero giustificare, attribuendo ad esso un certo valore. Già la stessa ragione umana insinua la sua inaccettabilità, mostrando quanto sia poco convincente che si faccia un «esperimento» nei riguardi di persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell'amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza.
Dal canto suo, la Chiesa non può ammettere un tale tipo di unione per ulteriori, originali motivi, derivanti dalla fede. Da una parte, infatti, il dono del corpo nel rapporto sessuale è il simbolo reale della donazione di tutta la persona: una tale donazione peraltro, nell'attuale economia non può attuarsi con verità piena senza il concorso dell'amore di carità, dato da Cristo. Dall'altra parte, poi, il matrimonio fra due battezzati è il simbolo reale dell'unione di Cristo con la Chiesa, una unione non temporanea o «ad esperimento», ma eternamente fedele; tra due battezzati, pertanto, non può esistere che un matrimonio indissolubile.
Tale situazione ordinariamente non può essere superata, se la persona umana, fin dall'infanzia, con l'aiuto della grazia di Cristo e senza timori, non è stata educata a dominare la nascente concupiscenza e ad instaurare con gli altri rapporti di amore genuino. Ciò non si ottiene senza una vera educazione all'amore autentico e al retto uso della sessualità, tale che introduca la persona umana secondo ogni sua dimensione, e perciò anche in quella che riguarda il proprio corpo, nella pienezza del mistero di Cristo.
Sarà molto utile indagare sulle cause di questo fenomeno, anche nel suo aspetto psicologico e sociologico, per giungere a trovare un'adeguata terapia.
b) Unioni libere di fatto
81. Si tratta di unioni senza alcun vincolo istituzionale pubblicamente riconosciuto, né civile né religioso. Questo fenomeno - esso pure sempre più frequente - non può non attirare l'attenzione dei pastori d'anime, anche perché alla sua base possono esserci elementi molto diversi fra loro, agendo sui quali sarà forse possibile limitarne le conseguenze.
Alcuni, infatti, vi si considerano quasi costretti da situazioni difficili - economiche, culturali e religiose - in quanto, contraendo regolare matrimonio, verrebbero esposti ad un danno, alla perdita di vantaggi economici, a discriminazioni, ecc. In altri, invece, si riscontra un atteggiamento di disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell'istituto familiare, dell'ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere. Altri, infine, vi sono spinti dall'estrema ignoranza e povertà, talvolta da condizionamenti dovuti a situazioni di vera ingiustizia, o anche da una certa immaturità psicologica, che li rende incerti e timorosi di contrarre un vincolo stabile e definitivo. In alcuni Paesi le consuetudini tradizionali prevedono il matrimonio vero e proprio solo dopo un periodo di coabitazione e dopo la nascita del primo figlio.
Ognuno di questi elementi pone alla Chiesa ardui problemi pastorali, per le gravi conseguenze che ne derivano, sia religiose e morali (perdita del senso religioso del matrimonio, visto alla luce dell'Alleanza di Dio con il suo popolo: privazione della grazia del sacramento; grave scandalo), sia anche sociali (distruzione del concetto di famiglia; indebolimento del senso di fedeltà anche verso la società; possibili traumi psicologici nei figli; affermazione dell'egoismo).
Sarà cura dei pastori e della comunità ecclesiale conoscere tali situazioni e le loro cause concrete, caso per caso; avvicinare i conviventi con discrezione e rispetto; adoperarsi con una azione di paziente illuminazione, di caritatevole correzione, di testimonianza familiare cristiana, che possa spianare loro la strada verso la regolarizzazione della situazione.
Soprattutto, però, sia fatta opera di prevenzione, coltivando il senso della fedeltà in tutta l'educazione morale e religiosa dei giovani, istruendoli circa le condizioni e le strutture che favoriscono tale fedeltà, senza la quale non si dà vera libertà, aiutandoli a maturare spiritualmente, facendo loro comprendere la ricca realtà umana e soprannaturale del matrimonio-sacramento.
Il Popolo di Dio si adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia. E poiché in molte regioni, per l'estrema povertà derivante da strutture socioeconomiche ingiuste o inadeguate, i giovani non sono in condizione di sposarsi come si conviene, la società e le pubbliche autorità favoriscono il matrimonio legittimo mediante una serie di interventi sociali e politici, garantendo il salario familiare, emanando disposizioni per un'abitazione adatta alla vita familiare, creando adeguate possibilità di lavoro e di vita.
c) Cattolici uniti col solo matrimonio civile
82. E' sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio. Ricercando il pubblico riconoscimento del vincolo da parte dello Stato, tali coppie mostrano di essere disposte ad assumersene, con i vantaggi, anche gli obblighi. Ciò nonostante, neppure questa situazione è accettabile da parte della Chiesa.
L'azione pastorale tenderà a far comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di vita e la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per indurre tali persone a regolare la propria situazione alla luce dei principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno purtroppo ammetterle ai sacramenti.
d) Separati e divorziati non risposati
83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.
La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
e) I divorziati risposati
84. L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l'hanno espressamente studiato. La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.
La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).
Similmente il rispetto dovuto sia al sacramento del matrimonio sia agli stessi coniugi e ai loro familiari, sia ancora alla comunità dei fedeli proibisce ad ogni pastore, per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l'indissolubilità del matrimonio validamente contratto.
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo.
Con ferma fiducia essa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità.
I senza-famiglia
85. Ancora una parola desidero aggiungere per una categoria di persone che, per la concreta condizione in cui si trovano a vivere - e spesso non per loro deliberata volontà - io considero particolarmente vicine al Cuore di Cristo e degne dell'affetto della sollecitudine fattiva della Chiesa e dei pastori.
Esistono al mondo moltissime persone le quali, disgraziatamente, non possono riferirsi in alcun modo a ciò che si potrebbe definire in senso proprio una famiglia. Grandi settori dell'umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l'irregolarità ed instabilità dei rapporti, l'estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia».
In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell'urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione. E' un compito che incombe, solidarmente, all'intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.
A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).
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