domenica 11 settembre 2011
Nel fiume del perdono
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci chiama a perdonare sempre il nostro fratello, attraverso il commento di don Giovanni Berti:
E' davvero significativo che il vangelo del perdono cada in una data così piena di ricordi tragici come è l'11 settembre.
Tutti sanno cosa è successo 10 anni fa negli Stati Uniti, quando un attacco terroristico di portata mai vista seminò morte e terrore. Ed è stata una semina che ha fatto crescere abbondantemente la pianta dell'odio, e ha fatto crescere la già vasta piantagione della guerra. In quella data vediamo riassunti anche tanti altri atti di violenza terroristica di cui magari non ricordiamo bene il quando e il dove, ma che hanno segnato la coscienza collettiva del mondo e lo stesso modo di rapportarci tra popoli e culture.
Vorrei prendere questa coincidenza tra il decennale degli attacchi terroristici di New York e Washington e il Vangelo come una sfida ulteriore a credere che davvero le parole di Gesù rimangono l'unica vera strada da percorrere per l'umanità.
Difficile parlare di perdono e soprattutto metterlo in pratica quando il torto subito è così grande e devastante. A Pietro che chiede a Gesù se c'è una misura del perdono, il Maestro toglie la misura e pone il limite massimo della capacità di perdonare sul segno di "infinito". E' questo che vuole dire con l'espressione "settanta volte sette". Già "sette" era il numero della pienezza, ma aumentandolo a "dieci per se per sette", Gesù dice a Pietro che davvero non c'è limite alla possibilità di perdonare.
Il perdono però a questo punto sfugge al semplice sforzo dell'uomo, che difronte all'immensità di certi torti non riesce a pensare il perdono, anzi gli sembra quasi una cosa blasfema e il sommo dell'ingiustizia!
Ma Gesù non si sta appellando alla buona volontà di Pietro, anche se è tanta. Gesù mette in campo se stesso e il rapporto con Dio. Gesù dice a Pietro e alla comunità che il perdono è dono di Dio, parte da Dio e vuole inondare la terra fino ad arrivare ad ogni singolo rapporto umano.
La parabola di Gesù infatti parla proprio di questo. Il servo che non è capace di perdonare il piccolo debito che ha con il suo simile è malvagio non perché ha un debito con il padrone, un debito davvero infinitamente più grande di quello che ha con l'altro servo come lui. Infatti, parlando di un debito di diecimila talenti, Gesù volutamente esagera, ben sapendo che una cifra così era impensabile da rimediare (al calcolo attuale sono circa 20 anni di stipendio di un lavoratore medio di oggi!). La malvagità del servo sta nell'aver interrotto il flusso di perdono che è partito dal padrone e si è riversata su di lui, ma che da lui non è rimbalzata sull'altro servo. Il servo malvagio ha "bloccato" il perdono, dimenticando subito che lui stesso era stato oggetto di condono. Bloccare il flusso del perdono che viene da Dio è condannare il mondo alla logica della vendetta e della ritorsione. Il servo è malvagio perché non si ricorda quello che ha ricevuto e ha subito dimenticato la bontà del padrone e la sua uguaglianza con l'altro servo.
Perdonare secondo questa pagina del vangelo non è dunque esperienza eroica di perdono personale, ma è riconoscere che davvero la strada della vendetta e della riscossione del debito a tutti i costi non è la strada più felice. Perdonare è riconoscere che siamo stati perdonati da Dio continuamente, e che a nostra volta possiamo partecipare di questa azione divina. Ciò che ci dà la forza di perdonare è proprio il dono a nostra volta ricevuto. E se facciamo questo aiutiamo anche il nostro prossimo a diventare più buono e capace lui stesso di perdono, magari con noi stessi o con altri. Il perdono che diamo non è mai un atto singolo chiuso in se stesso, ma genera perdono e migliora davvero il mondo. Perdonare non è dunque dimenticare, ma il contrario. E' ricordare quello che abbiamo dato e anche ricevuto. Il cristiano in questo ha davvero un compito fondamentale: crede nel perdono perché lo ha sperimentato. Il cristiano sa che il perdono lo ha "liberato" dal peso di restituire qualcosa, ma sa anche che questa liberazione ricevuta non funziona se non libera a sua volta altri.
Dopo 10 anni dai fatti terribili dell'11 settembre americano, durante i quali altri fatti altrettanto terribili hanno scosso il mondo, i cristiani si impegnano a predicare non il Dio vendicativo ma il Dio che Gesù ha raccontato con la sua stessa vita: Dio è il padrone buono che crede nella capacità di perdonare dei suoi servi-figli, che siamo noi; Dio è il padrone che non riconosce come suoi servi-figli coloro che dimenticano e si vendicano.
E' davvero significativo che il vangelo del perdono cada in una data così piena di ricordi tragici come è l'11 settembre.
Tutti sanno cosa è successo 10 anni fa negli Stati Uniti, quando un attacco terroristico di portata mai vista seminò morte e terrore. Ed è stata una semina che ha fatto crescere abbondantemente la pianta dell'odio, e ha fatto crescere la già vasta piantagione della guerra. In quella data vediamo riassunti anche tanti altri atti di violenza terroristica di cui magari non ricordiamo bene il quando e il dove, ma che hanno segnato la coscienza collettiva del mondo e lo stesso modo di rapportarci tra popoli e culture.
Vorrei prendere questa coincidenza tra il decennale degli attacchi terroristici di New York e Washington e il Vangelo come una sfida ulteriore a credere che davvero le parole di Gesù rimangono l'unica vera strada da percorrere per l'umanità.
Difficile parlare di perdono e soprattutto metterlo in pratica quando il torto subito è così grande e devastante. A Pietro che chiede a Gesù se c'è una misura del perdono, il Maestro toglie la misura e pone il limite massimo della capacità di perdonare sul segno di "infinito". E' questo che vuole dire con l'espressione "settanta volte sette". Già "sette" era il numero della pienezza, ma aumentandolo a "dieci per se per sette", Gesù dice a Pietro che davvero non c'è limite alla possibilità di perdonare.
Il perdono però a questo punto sfugge al semplice sforzo dell'uomo, che difronte all'immensità di certi torti non riesce a pensare il perdono, anzi gli sembra quasi una cosa blasfema e il sommo dell'ingiustizia!
Ma Gesù non si sta appellando alla buona volontà di Pietro, anche se è tanta. Gesù mette in campo se stesso e il rapporto con Dio. Gesù dice a Pietro e alla comunità che il perdono è dono di Dio, parte da Dio e vuole inondare la terra fino ad arrivare ad ogni singolo rapporto umano.
La parabola di Gesù infatti parla proprio di questo. Il servo che non è capace di perdonare il piccolo debito che ha con il suo simile è malvagio non perché ha un debito con il padrone, un debito davvero infinitamente più grande di quello che ha con l'altro servo come lui. Infatti, parlando di un debito di diecimila talenti, Gesù volutamente esagera, ben sapendo che una cifra così era impensabile da rimediare (al calcolo attuale sono circa 20 anni di stipendio di un lavoratore medio di oggi!). La malvagità del servo sta nell'aver interrotto il flusso di perdono che è partito dal padrone e si è riversata su di lui, ma che da lui non è rimbalzata sull'altro servo. Il servo malvagio ha "bloccato" il perdono, dimenticando subito che lui stesso era stato oggetto di condono. Bloccare il flusso del perdono che viene da Dio è condannare il mondo alla logica della vendetta e della ritorsione. Il servo è malvagio perché non si ricorda quello che ha ricevuto e ha subito dimenticato la bontà del padrone e la sua uguaglianza con l'altro servo.
Perdonare secondo questa pagina del vangelo non è dunque esperienza eroica di perdono personale, ma è riconoscere che davvero la strada della vendetta e della riscossione del debito a tutti i costi non è la strada più felice. Perdonare è riconoscere che siamo stati perdonati da Dio continuamente, e che a nostra volta possiamo partecipare di questa azione divina. Ciò che ci dà la forza di perdonare è proprio il dono a nostra volta ricevuto. E se facciamo questo aiutiamo anche il nostro prossimo a diventare più buono e capace lui stesso di perdono, magari con noi stessi o con altri. Il perdono che diamo non è mai un atto singolo chiuso in se stesso, ma genera perdono e migliora davvero il mondo. Perdonare non è dunque dimenticare, ma il contrario. E' ricordare quello che abbiamo dato e anche ricevuto. Il cristiano in questo ha davvero un compito fondamentale: crede nel perdono perché lo ha sperimentato. Il cristiano sa che il perdono lo ha "liberato" dal peso di restituire qualcosa, ma sa anche che questa liberazione ricevuta non funziona se non libera a sua volta altri.
Dopo 10 anni dai fatti terribili dell'11 settembre americano, durante i quali altri fatti altrettanto terribili hanno scosso il mondo, i cristiani si impegnano a predicare non il Dio vendicativo ma il Dio che Gesù ha raccontato con la sua stessa vita: Dio è il padrone buono che crede nella capacità di perdonare dei suoi servi-figli, che siamo noi; Dio è il padrone che non riconosce come suoi servi-figli coloro che dimenticano e si vendicano.
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