domenica 18 settembre 2011

Forse tu sei invidioso, perché io sono buono?

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo che ci chiama a lavorare nella Sua Vigna, attraverso il commento di mons. Gianfranco Poma:


Le pagine del Vangelo di Matteo che stiamo leggendo in queste settimane fanno parte di una sezione nella quale Gesù, dopo aver dichiarato di voler edificare la sua Chiesa su Pietro, va mostrando che cosa significhi la "Chiesa", che cosa sia chiesto a Pietro perché possa essere la pietra nelle mani del suo Signore e come siano chiamati a vivere i discepoli perché possano essere la "comunità riunita" dalla sua Parola e dal suo Amore. Si tratta del dispiegarsi di un quadro le cui molte scene descrivono la normalità della vita umana illuminata dalla Parola di Gesù che rivela che, con la sua presenza, il regno dei cieli ha fatto irruzione nella storia: Dio è con noi, si è fatto compagno della nostra quotidianità, si è fatto uno di noi per poter amarci veramente, mostrarci che cosa significhi amare e fare dell'umanità dispersa una comunità (la "chiesa"). A Pietro chiede di "pensare secondo Dio e non secondo gli uomini": gli uomini pensano al Dio potente, che vince e che dona agli uomini potere e grandezza; per Gesù, pensare secondo Dio vuol dire discendere, farsi piccolo, farsi uomo, per condividere, per amare.
Il Vangelo, nella sua unità, ha una precisa intenzione pedagogica: vuole educarci a lasciarci guidare da Gesù per imparare, come Pietro, a pensare secondo Dio, perché possa edificare la sua Chiesa che mostri al mondo la presenza del regno dei cieli. E' meraviglioso il Vangelo, che non è un trattato di "ecclesiologia", ma la narrazione delle "meraviglie di Dio" che l'evangelista, credendo, vede scorrere sotto i suoi occhi: così anche noi vedendo Dio operante nella nostra vita, impariamo a narrare la vita felice che ci è offerta. La Liturgia omette la lettura del cap.19 di Matteo che presenta questioni importanti per la vita cristiana: dovremmo farne oggetto di studio personale facendo attenzione al rischio nel quale spesso cadiamo, di ridurre l'esperienza cristiana ad un'etica, dimenticando che si tratta invece, sempre, di rispondere a ciò che Dio fa per noi.
Il brano che leggiamo nella domenica XXV del tempo ordinario, Matt.20,1-16, ci apre ad uno sguardo nuovo sul mondo, sulla storia, sulle relazioni: lo sguardo della fede, di chi vede con gli occhi di Cristo. Certo potremmo fare una lettura deviante di questa pagina che comincia dicendo: "Il regno dei cieli è simile ad un uomo, responsabile della casa." Potremmo dire che, parlando del regno dei cieli, parla di una realtà inesistente, di una utopia: quale responsabile di una casa, di una impresa, agirebbe come questo uomo del Vangelo? Oppure potremmo pensare che parli del "paradiso" futuro a cui avranno accesso coloro che sulla terra sono stati così virtuosi da fare scelte umanamente fallimentari: è pure un rischio la lettura solo "spirituale" del Vangelo che ci conduce alla sdoppiamento della vita tra individuale e pubblico, fede e comportamento.Alla fine, potremmo farne una lettura solo consolatoria: è bello ascoltare il Vangelo, per poi ripiombare, tristi, nella realtà quotidiana!
La Liturgia ci ripropone questa pagina, provocante, perché accettiamo di lasciarci condurre da Gesù alla radice della nostra coscienza dove nascono tutte le domande. "Il regno dei cieli è simile ad un uomo.": quando Gesù parla del "regno dei cieli" intende una realtà concreta, presente, già sperimentabile, intende parlare di Dio che è dentro la storia per darle il suo significato. ".E' simile ad un uomo, responsabile della casa, che uscì all'alba.": Dio è presente, nella storia con la forza simile a quella di un uomo, responsabile della casa, che esce all'alba.Comincia allora il Vangelo ad aprirci all'esperienza di Dio, un Dio presente nella storia con la preoccupazione e la passione di un uomo responsabile. Un Dio appassionato, che non rimane chiuso nella casa, ma "esce" alla ricerca di operai per la sua vigna: l'immagina di Dio che esce è pure espressiva, per dirci che si apre, si abbassa per amore per la sua vigna. Esce all'alba, per assumere con un contratto operai, tratta con loro, si accorda e li invia nella vigna. Esce poi di nuovo, alle nove, a mezzogiorno, alle tre, alle cinque: è davvero preoccupato.In realtà, gradualmente, l'atteggiamento dell'uomo responsabile cambia: se all'inizio la preoccupazione è solo economica, amministrativa, e il rapporto con gli operai è di fredda giustizia, gradualmente cambia. Già alle nove, il signore è attento alle persone: "Vide altri che stavano in piazza, disoccupati", e il rapporto con loro è unilaterale (forse non ne avrebbe strettamente bisogno): "Andate anche voi nella vigna e quello che è giusto lo darò a voi". Vede uomini bisognosi, poveri, potrebbe strumentalizzare la loro condizione e invece se ne assume il carico: la "giustizia" diventa gratuità che i lavoratori accettano, a loro volta con il rischio di rimanere poi delusi. La relazione non è più fondata su un contratto, ma sulla fiducia reciproca e sulla gratuità con cui il signore ha guardato alla povertà degli uomini. Questo si ripete a mezzogiorno e alla tre. Alle cinque, quando ormai la giornata è quasi finita, l'ultima uscita del signore diventa un dialogo con quegli uomini che "stavano lì", con la loro delusione, con il senso del vuoto. "Perché state qui tutto il giorno senza fare niente?" "Perché nessuno ci ha assunto": nessuno ha guardato a loro, forse sono troppo deboli, forse sono inaffidabili.sentono la loro inutilità, il loro fallimento, ma hanno incontrato qualcuno che si è fermato, li ha visti, ha parlato con loro. "andate anche voi nella vigna".

Quale esperienza di Dio il Vangelo ci propone! Un Dio che entra nella storia, che scende, che impara a stare con gli uomini, che parla con loro, che supera gli schemi, che conosce la povertà, la delusione e che impara ad essere un Dio che solamente dona, che rimane fedele alla sua volontà di amore, di non abbandonare chi è solo, di chiamare chi nessuno chiama, di servirsi di chi nessuno si serve, di cambiare il mondo con chi sembra non contare niente, di salvare il mondo con chi il mondo mette in croce. Ma come: "noi abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo, e tu tratti chi ha lavorato solo un'ora, come noi.!" L'esperienza di Dio che il Vangelo ci propone è l'esperienza di un Dio che dice: "Io sono buono", e che in Gesù ci ha mostrato che cosa significhi questa "follia di Dio" che continua a chiamare "amico" chi fa della bontà il motivo per diventare invidioso.

"Il regno dei cieli è simile a un uomo.": non si tratta di una utopia, ma della più concreta esperienza di Dio. E'così simile a ciò che accade ai nostri giorni, quello di cui parla la pagina del Vangelo. Gesù continua ad edificare la sua Chiesa su chi non ha rivendicazioni da fare, su chi non ha paura della propria fragilità, su chi si lascia guardare, cercare, interpellare da lui, su chi si lascia trovare da lui all'ultima ora perché davanti al mondo non conta niente, su chi ha gli occhi del bambino che sa vedere che Lui è buono e ha il coraggio di fare di questo la Legge nuova, la logica nuova su cui nasce un mondo più umano.

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