venerdì 18 novembre 2011

Questa è la nostra fede - VI parte

Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": questa settimana continuiamo a capire come poter evangelizzare nel nostro attuale contesto sociale caratterizzato da una cultura evidentemente "diversa" da quella dei tempi passati:


II. COMUNICARE IL VANGELO OGGI


9. Lo stile della comunicazione

«Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa»[21]. La testimonianza della vita cristiana è la via privilegiata dell’evangelizzazione, la sua forma prima e del tutto insostituibile. Se è vero che la fede è adesione piena e coinvolgente di tutta la persona alla verità che è Cristo, allora l’annuncio non può essere un fatto puramente verbale: non basta parlare del Vangelo; occorre in un certo senso renderlo “visibile” e “tangibile” (cfr 1Gv 1,1-3). La comunicazione della fede avviene per irradiazione, prima che per iniziative o attività specifiche. Attraverso la testimonianza dei singoli credenti, delle famiglie e delle comunità cristiane, l’amore di Dio va a raggiungere le persone nella loro situazione concreta e le dispone a credere. «Specialmente nel clima odierno, permeato di materialismo pratico, estraneità reciproca e indifferenza religiosa, molte porte si aprono solo per il fascino dell’amicizia e della solidarietà. Anche i distratti e i superficiali rimangono colpiti e si accostano al messaggio cristiano. Interpella le coscienze con particolare efficacia l’amore preferenziale per i poveri, che, mentre contraddice l’egoismo radicato nell’uomo e le discriminazioni presenti nella società, si fa espressione di una benevolenza diversa, quella di Dio, gratuita e rivolta a tutti»[22].

D’altra parte la presenza operosa non basta. Come la rivelazione di Dio è avvenuta attraverso «eventi e parole, intimamente connessi tra loro»[23]; come l’evangelizzazione di Gesù è avvenuta «in opere e in parole» (Lc 24,19), e il vangelo di Paolo si è diffuso «non soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo» (1Ts 1,5), così non si può opporre testimonianza di vita e annuncio esplicito. La testimonianza chiede di essere illuminata e giustificata da un annuncio chiaro e inequivocabile, come questo dovrà sempre rinviare a ciò che si può “vedere e udire” (cfr Mt 11,4). È la stessa testimonianza cristiana che include la professione pubblica della fede e, d’altra parte, l’evangelizzazione ha al suo centro l’annuncio esplicito che Dio ci dona la salvezza in Gesù Cristo, crocifisso e risorto; la Chiesa è generata dalla parola di Dio. «Nella realtà complessa della missione il primo annuncio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui e apre la via alla conversione»[24].

C’è un’altra falsa alternativa da tener presente: quella fra identità e dialogo. In realtà la Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo. È certo che, per essere corretto e autentico, il dialogo richiede una chiara consapevolezza della propria identità e non può mai degenerare nel relativismo o nel sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»[25].

Il Vangelo è da annunciare, non da imporre. Neppure il Figlio di Dio l’ha imposto: l’ha proposto a tutti, l’ha testimoniato con la sua vita, ma non è mai ricorso alla violenza per farlo accettare. Ha sollecitato il consenso e ha accettato il rifiuto. Il messaggio dell’amore non si annuncia se non attraverso l’amore. È proprio la proclamazione del Vangelo a spingere il cristiano al dialogo con tutti; a illuminare i credenti nel discernere i “semi del Verbo” ovunque si trovino; a coltivare gli elementi “di verità e di grazia”, sparsi nella varie tradizioni[26]. È sempre da ricordare che, secondo un aforisma della cristianità antica condiviso da san Tommaso, «ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo»[27] e, d’altra parte «la Chiesa di Dio vivente» è «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15).

10. Radicalità evangelica e vita quotidiana

Per annunciare il Vangelo della vita piena, serena e feconda che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù, la Chiesa ha bisogno soprattutto di santi. Qualcuno potrebbe pensare che forse basterebbe essere credenti convinti e gioiosi, umili e tenacemente innamorati del Signore Gesù: ma non sono appunto questi i santi? Essi non pretendono certo di essere senza macchie e senza difetti, ma sono cristiani che non fanno mai pace con le loro incoerenze, pronti ogni giorno a ricominciare daccapo: “Credo, [Signore]; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24). «Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità»[28].

Sembra opportuno pertanto provare a declinare “santità”, intrecciando radicalità evangelica e vita quotidiana. La radicalità evangelica non va intesa come eccezionalità di opere o di gesti, come somma di rinunce o straordinarietà di sacrifici. San Paolo ricorda che uno potrebbe anche distribuire tutti i propri beni ai poveri o addirittura offrire il proprio corpo alle fiamme e non avere la carità (cfr 1Cor 13,3). Il “carisma migliore” additato dall’apostolo non è un dono singolare, o un talento speciale, bensì la carità ordinaria, feriale: è l’amore non invidioso, umile, rispettoso, tollerante. La carità cristiana non si identifica con la donazione dei beni e, di per sé, neanche con l’offerta della propria vita. La santità è tutta questione di amore: richiede di non anteporre nulla all’amore gratuito e smisurato del Signore e, per questo, di essere pronti anche a lasciare tutto, ma solo per seguire lui. È una radicalità che non si misura sulla quantità materiale delle cose lasciate, ma sulla purezza della fedeltà al Vangelo e sulla genuina qualità dell’appartenenza al Signore. Le opere radicali autenticamente cristiane sono quelle che fanno trasparire il volto del Padre: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). La radice e la misura di una esistenza cristiana autentica e coerente è sempre la croce di Gesù, che non è solo gesto di salvezza; è anche segno di rivelazione: è la piena manifestazione trasparente di quanto Dio ami il mondo.

Perciò il discepolo qualificato per annunciare il vangelo dell’amore del Padre per tutti i suoi figli, è colui che prende la sua croce ogni giorno e segue il suo Signore (cfr Lc 9,23). «Ogni giorno», chiede Gesù: infatti la via della croce non può essere solo quella del martirio, ma anche la via del quotidiano, inteso come la situazione normale e ordinaria, con le sue fatiche e le ardue complessità, in cui il cristiano vive. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo. Il Vangelo non è una proposta eccezionale per persone eccezionali, e la Chiesa non potrà mai diventare una setta di eletti o un gruppo chiuso di perfetti, ma sarà una comunità di salvati, peccatori perdonati, sempre in cammino dietro all’unico Maestro e Signore.

Pertanto, perché la parola del Vangelo sia donata a tutti coloro che l’attendono, è indispensabile la presenza significativa dei cristiani laici nei vari ambienti di vita. «È compito proprio del fedele laico annunciare il Vangelo con un’esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell’ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell’operare dei cristiani laici»[29]. Nell’esperienza del credente infatti non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita “cristiana”, dall’altra quella cosiddetta “secolare”, ossia la vita di lavoro, di impegno, di tempo libero. La vita è una sola: Cristo, che vive in noi.

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