I. ALLE SORGENTI DELL’EVANGELIZZAZIONE
5. Un annuncio di gioia, attraverso un servizio d’amore
Fin dalle prime parole di Gesù, riportate dal vangelo di Marco, si può cogliere il loro carattere di lieto messaggio (cfr Mc 1,15). La “buona novella”, prima di essere esplicitata in un insegnamento, viene da Gesù come racchiusa in un grido di gioia: il regno di Dio viene! e beato è chi l’accoglie!
La signoria di Dio, annunciata dal suo Figlio unigenito, si rivela come amore gratuito e misericordioso rivolto a tutti, soprattutto agli oppressi e ai peccatori. Chi l’accoglie con umiltà sincera e con vera fede, fa esperienza di una pace incrollabile e di una beatitudine appagante, pur tra le immancabili prove della vita presente, e cammina con umile coraggio verso un futuro colmo di speranza. Con la breve parabola del tesoro scoperto inaspettatamente in mezzo a un campo, Gesù insegna che chi rinuncia a tutto per aderire, senza riserve e senza compromessi, alla buona notizia del regno di Dio trova il tesoro più prezioso (cfr Mt 13,44). Ma ciò che è decisivo è il motivo che spinge il discepolo a lasciare tutto per aderire al Signore: la gioia di aver trovato il bene incalcolabile del Regno. Non si lascia per trovare il tesoro, ma perché lo si è già trovato: questo è il motivo del distacco e, prima ancora, della gioia.
Anche il “vangelo della croce” va interpretato nella luce della Pasqua. La croce non è fine a se stessa, una fredda, orrenda negazione, ma è fede nella parola di Gesù: «chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Chi avrà rinunciato a tutti i propri averi, perfino ai beni più cari, avrà «la vita eterna» nel tempo futuro e «cento volte tanto» nel tempo presente (Mc 10,30). Il distacco non soltanto rende possibile il gaudio della comunione con Dio e con i fratelli, ma nel contempo crea anche la possibilità di godere delle semplici gioie della vita. L’uomo che fa del mondo il suo idolo, conosce l’avidità insaziabile del possesso, non la gioia umile e grata del dono. «La parola della croce»: proprio questa è la buona notizia, e san Paolo non esita ad accostarla al verbo «evangelizzare» (1Cor 1,17-18), il verbo delle notizie liete e gradite. Per l’apostolo il vangelo della croce è messaggio di gioia, perché rivela fino a quale punto si sia spinto Dio nella follia del suo amore: infatti «a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto… Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,7-8). La croce è la rivelazione inaudita della misericordiosa e tenerissima solidarietà di Dio nei confronti dell’uomo: il gesto del Padre che dona il Figlio e del Figlio che dona se stesso all’umanità peccatrice, indica un amore eccedente, sovrabbondante, che va oltre il necessario; rivela una misericordia oltre ogni misura, al punto da apparire incredibile, poiché non misurata sul bisogno dell’uomo, ma sulla ricchezza infinita della benevolenza di Dio. La croce è scandalo e follia, ma per chi crede è sapienza, libertà e gioia piena.
Di conseguenza la missione non è un vanto né un titolo di merito: è un dovere imprescindibile e una insopprimibile esigenza. E prima ancora una “grazia”, un dono grande, immeritato; addirittura una vera “liturgia”, autentico servizio sacro, quello a cui l’apostolo è più attaccato: essere «ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Rm 15,16).
6. Evangelizzazione e primo annuncio
Tentare una sintesi di tutti gli elementi essenziali che concorrono a configurare una realtà ricca, complessa e dinamica qual è l’azione evangelizzatrice della Chiesa, non è facile. È tuttavia possibile indicare alcuni punti fondamentali.
In linea generale, si può ritenere che l’evangelizzazione è la proclamazione, da parte della Chiesa, del messaggio della salvezza con la parola di Dio, con la celebrazione liturgica, con la testimonianza della vita. In senso stretto, «l’evangelizzazione propriamente detta è il primo annuncio della salvezza a chi, per ragioni varie, non ne è a conoscenza o ancora non crede»[12]. Essa è preceduta e preparata dal dialogo leale con quanti hanno una fede diversa o non hanno alcuna fede, oppure desiderano riscoprire e rinnovare l’adesione al messaggio cristiano, ed è normalmente seguita dalla catechesi, che ha l’obiettivo fondamentale di far maturare la fede iniziale. Intesa in questo senso specifico, l’evangelizzazione precede la stessa liturgia, poiché «prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione»[13]. Anche il servizio ai poveri come pure l’amore vicendevole, per essere segni limpidi ed efficaci della carità cristiana, suppongono la fede e quindi l’evangelizzazione, poiché «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17): noi amiamo perché siamo stati amati e «abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1Gv 4,16).
Per quanto riguarda più direttamente il primo annuncio, esso si può descrivere sinteticamente così: ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto, in cui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla morte; ha per obiettivo la scelta fondamentale di aderire a Cristo e alla sua Chiesa; quanto alle modalità deve essere proposto con la testimonianza della vita e con la parola e attraverso tutti i canali espressivi adeguati, nel contesto della cultura dei popoli e della vita delle persone[14]. Pertanto la “priorità” del primo annuncio va intesa soprattutto in senso genetico o fondativo: alla base di tutto l’edificio della fede sta il «fondamento… che è Gesù Cristo» (1Cor 3,11); è lui la «pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso» (1Pt 2,6). Si edifica così il corpo di Cristo, «finché arriviamo tutti… all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
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