domenica 13 novembre 2011
Non nascondere i talenti sottoterra
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci esorta a non nascondere i talenti che Dio ci ha donato i quali vanno fatti invece fruttificare, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
C'è saggezza nel Padre, creandoci. L'uomo non è 'una cosa' o un monile da appendere per ornare la casa, ma senza vita. Ad ognuno di noi Dio ha dato doni che sono la bellezza della vita. Ed è tanta la varietà dei doni avuto che, se diamo uno sguardo all'umanità, ci smarriamo, vedendo quali meraviglie Dio ha dato in dote a ciascuno. Rimaniamo senza parola di fronte alla vita di un santo, che ha saputo dare spazio ai talenti, facendo della vita non solo una lode all'Altissimo, ma è stato capace di tante opere a favore del prossimo da stupire, chiedendoci come abbia fatto.
Basterebbe meditare un momento sulla vita straordinaria di Madre Tersa di Calcutta. Con la semplicità, tipica dei santi, ha saputo dare senso a tanti che erano considerati solo 'pezzi di marciapiede', come i poveri di Calcutta, rigenerandoli, facendo ritrovare quella dignità che era nascosta o calpestata, e riemergeva con le cure della santa.
O pensare alla grandezza di Paolo VI, di Giovanni Paolo II. Leggendo la loro vita si rimane stupiti come Dio abbia saputo educarli, non solo alla Santità, ma rendendoli responsabili della vita della Chiesa. Ed è incredibile anche solo pensare che ciò avvenga, tanto che ci domandiamo come sia possibile. Eppure leggendo la vita di questi fratelli, ci scorgiamo la mano di Dio che crea il suo disegno, con la loro cooperazione. Davvero la Santità è un 'botta e rispostà generoso tra Dio, che crea nell'uomo un modello, e l'uomo che con libertà e sacrificio d'amore si lascia plasmare dal Padre. Così come si rimane incantati dall'opera che Dio ha compiuto in S. Francesco d'Assisi, che, da giovane brillante quasi ignaro o indifferente alla Santità, improvvisamente, rispondendo alla chiamata di Dio, si lascia rivoltare come un calzino e diventa quel Santo che tutti, anche chi ha difficoltà a credere, ammira. Come è possibile che una povera creatura, come siamo noi, possa aderire al modello che il Padre ha preparato per lei? Eppure tutti i giorni, tutti, senza eccezione, sono chiamati a modellarsi sul modello di Dio, perché quella è la sola verità della vita e la sola nostra vera ragione di vita. Del resto, nei momenti di riflessione sincera - e tutti ne abbiamo - nei momenti di ricerca della verità della nostra vita, ci viene da chiederci: 'Cosa vuole Dio da me?'
Non saremo forse chiamati a modelli di santità che sono fari per tutti, ma almeno sappiamo che la vita di ciascuno di noi, altro non è che rispondere con semplicità a ciò che Lui ha preparato per noi. Racconta il VAngelo oggi:
"In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli questa parabola: "Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro secondo la sua capacità. e partì.... Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque dicendo: Signore tu mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 'Bene - rispose il padrone - servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padroné. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento disse: 'Signore, so che sei un uomo duro che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, per paura andai a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco qui il tuo'. 'Servo malvagio e infingardo sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha i dieci talenti" (Mt. 25,14-30)
Da tutto questo diventa chiaro che vivere non è solo un trascorre tempo 'a vuoto': sarebbe un modo sconveniente, un vero tradimento del progetto del Padre, per colui al quale Dio, creandolo, ha dato capacità finalizzate alla sua realizzazione, cioè la santità.
Vivere, secondo le parole di Gesù, non è neppure fare disordinatamente tante cose che non hanno senso o contenuto accettabile. Non è detto che "fare tanto' sia anche "fare bene"! Questo si chiama attivismo che è più che altro una ricerca di affermazione di se stessi.
Assale il timore che tante cose che facciamo non abbiano alcun peso e valore se "misurate o pesate" con il metro di Dio, che è il metro della verità, della giustizia e dell'amore divino.
Il 'tanto' che facciamo può essere svilito dalla intenzione sbagliata, che poniamo in esso.
Come, per esempio, impiegare le nostre capacità per realizzare sogni di gloria personale o sogni di ricchezza e benessere, o qualcosa che ci fa sentire superiore agli altri.
Vivere è la coscienza di avere avuto in consegna una 'missioné e dei talenti da sfruttare per la gloria di Dio e il bene degli uomini...
Dovremmo ricordare sempre che la vita non è una scelta personale, ma, potremmo chiamarla, 'una missioné affidataci dal Padre, non soltanto per costruire qui la santità, ma per raggiungere il fine ultimo della nostra creazione, il Paradiso, che, se meditiamo bene, è la grande ragione per cui ci ha creati, mentre quello che siamo chiamati a 'fare' è la strada per arrivarci.
Ci ricorda Paolo VI, parlando dei laici:
"Voi sapete che la nostra dottrina riconosce al laico cristiano una sua partecipazione al Sacerdozio di Cristo e perciò una sua capacità, anzi una sua responsabilità all'esercizio dell'apostolato, che è venuto determinandosi in concetti diversi e forme adeguate alle possibilità e all'indole, della vita del Laico immerso nelle realtà temporali, ma altresì imponendosi come una missione propria, dell'ora presente".
E il beato Giovanni Paolo II specifica: "Annunciare Cristo significa soprattutto esserne testimoni. Si tratta della forma di evangelizzazione più semplice e al tempo stesso, più efficace a vostra disposizione. Consiste nel manifestare la presenza di Cristo nella propria vita, attraverso l'impegno quotidiano e la coerenza con il Vangelo in ogni scelta concreta. Oggi il mondo ha bisogno di testimoni credibili. E voi, cari giovani e adulti, che tanto amate l'autenticità delle persone e che quasi istintivamente condannate ogni forma di ipocrisia, siete disposti ad offrire a Cristo una testimonianza limpida e sincera. Testimoniate dunque la vostra fede, anche tramite il vostro impegno nel mondo. Il discepolo di Cristo non è mai un osservatore passivo ed indifferente di fronte agli eventi. Al contrario egli si sente responsabile della trasformazione della realtà sociale, politica, economica e culturale".
Avere la coscienza di essere chiamati dal Padre è chiedersi continuamente: 'Cosa vuoi che io faccia? Perché mi hai fatto dono della vita? Qual è il giusto indirizzo che devo dare alla mia vita?' La domanda, diciamolo francamente, è difficile per tutti.
Dio che chiede la mia collaborazione, chiamandomi a lavorare nella Sua vigna?
È una grande responsabilità... è la chiamata fondamentale, che esige una risposta sincera e netta, per non cadere nel pericolo di vivere senza una ragione seria, profonda e veritiera.
Tante volte da vescovo o da semplice uomo di fede, mi si chiede: 'Qual è la ragione della sua serenità?' Rispondo sempre, profondamente convinto: "In molta parte deriva dal fatto che sono dove Dio mi ha chiamato e cerco di coltivare la Sua vigna. E' la mia consapevolezza che non è una scelta personale, ma viene direttamente da Lui, che mi ha creato e chiamato per questo: da ragazzo la chiamata alla vita religiosa. Ordinato sacerdote tutto e sempre è avvenuto inaspettatamente, a volte anche a dispetto della obbedienza, tanto che, quando ero parroco nel Belice, dopo dieci anni di zelo pastorale, l'obbedienza ai miei Superiori mi chiese di cambiare sede, ma il terremoto mi costrinse a restare! Così come dopo altri dieci anni, quando la Parrocchia, devastata dal terremoto, aveva ritrovato la sua vita, l'obbedienza dispose che dopo qualche mese avrei dovuto tornare al Nord. Neanche erano trascorsi due giorni dall'aver ricevuto questa obbedienza, che mi giunse inaspettatamente, da parte di Paolo VI, la nomina a vescovo di Acerra, che era proprio ciò che non avrei mai pensato, e tanto meno voluto o scelto, come religioso.
Proprio vero: a gestire la mia vita è stato Dio stesso, lasciando a me solo la possibilità di dire 'sì', per poi starmi vicino nel compiere i ministeri nei luoghi - difficili, per tanti motivi - in cui mi mandava. Per anni, volendo liberare la città dalla criminalità, fui costretto a subire la tutela da parte dello Stato e così persi quel briciolo di libertà che mi era rimasto.
Davvero Dio è sorprendente nelle sue scelte... però ho sperimentato quanto sia Lui stesso a fare strada e dare quella energia che noi non possediamo.
Davvero è di grande serenità sentire che dove sei e cosa fai è disegno di Dio a cui basta dire un 'sì'. Ed è quello che auguro e prego per voi, perché sappiate 'vedere', nelle scelte della vostra vita, la realizzazione del progetto che Dio ha sognato e preparato per voi... sin dall'eternità e per l'eternità!
C'è saggezza nel Padre, creandoci. L'uomo non è 'una cosa' o un monile da appendere per ornare la casa, ma senza vita. Ad ognuno di noi Dio ha dato doni che sono la bellezza della vita. Ed è tanta la varietà dei doni avuto che, se diamo uno sguardo all'umanità, ci smarriamo, vedendo quali meraviglie Dio ha dato in dote a ciascuno. Rimaniamo senza parola di fronte alla vita di un santo, che ha saputo dare spazio ai talenti, facendo della vita non solo una lode all'Altissimo, ma è stato capace di tante opere a favore del prossimo da stupire, chiedendoci come abbia fatto.
Basterebbe meditare un momento sulla vita straordinaria di Madre Tersa di Calcutta. Con la semplicità, tipica dei santi, ha saputo dare senso a tanti che erano considerati solo 'pezzi di marciapiede', come i poveri di Calcutta, rigenerandoli, facendo ritrovare quella dignità che era nascosta o calpestata, e riemergeva con le cure della santa.
O pensare alla grandezza di Paolo VI, di Giovanni Paolo II. Leggendo la loro vita si rimane stupiti come Dio abbia saputo educarli, non solo alla Santità, ma rendendoli responsabili della vita della Chiesa. Ed è incredibile anche solo pensare che ciò avvenga, tanto che ci domandiamo come sia possibile. Eppure leggendo la vita di questi fratelli, ci scorgiamo la mano di Dio che crea il suo disegno, con la loro cooperazione. Davvero la Santità è un 'botta e rispostà generoso tra Dio, che crea nell'uomo un modello, e l'uomo che con libertà e sacrificio d'amore si lascia plasmare dal Padre. Così come si rimane incantati dall'opera che Dio ha compiuto in S. Francesco d'Assisi, che, da giovane brillante quasi ignaro o indifferente alla Santità, improvvisamente, rispondendo alla chiamata di Dio, si lascia rivoltare come un calzino e diventa quel Santo che tutti, anche chi ha difficoltà a credere, ammira. Come è possibile che una povera creatura, come siamo noi, possa aderire al modello che il Padre ha preparato per lei? Eppure tutti i giorni, tutti, senza eccezione, sono chiamati a modellarsi sul modello di Dio, perché quella è la sola verità della vita e la sola nostra vera ragione di vita. Del resto, nei momenti di riflessione sincera - e tutti ne abbiamo - nei momenti di ricerca della verità della nostra vita, ci viene da chiederci: 'Cosa vuole Dio da me?'
Non saremo forse chiamati a modelli di santità che sono fari per tutti, ma almeno sappiamo che la vita di ciascuno di noi, altro non è che rispondere con semplicità a ciò che Lui ha preparato per noi. Racconta il VAngelo oggi:
"In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli questa parabola: "Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro secondo la sua capacità. e partì.... Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque dicendo: Signore tu mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 'Bene - rispose il padrone - servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padroné. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento disse: 'Signore, so che sei un uomo duro che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, per paura andai a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco qui il tuo'. 'Servo malvagio e infingardo sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha i dieci talenti" (Mt. 25,14-30)
Da tutto questo diventa chiaro che vivere non è solo un trascorre tempo 'a vuoto': sarebbe un modo sconveniente, un vero tradimento del progetto del Padre, per colui al quale Dio, creandolo, ha dato capacità finalizzate alla sua realizzazione, cioè la santità.
Vivere, secondo le parole di Gesù, non è neppure fare disordinatamente tante cose che non hanno senso o contenuto accettabile. Non è detto che "fare tanto' sia anche "fare bene"! Questo si chiama attivismo che è più che altro una ricerca di affermazione di se stessi.
Assale il timore che tante cose che facciamo non abbiano alcun peso e valore se "misurate o pesate" con il metro di Dio, che è il metro della verità, della giustizia e dell'amore divino.
Il 'tanto' che facciamo può essere svilito dalla intenzione sbagliata, che poniamo in esso.
Come, per esempio, impiegare le nostre capacità per realizzare sogni di gloria personale o sogni di ricchezza e benessere, o qualcosa che ci fa sentire superiore agli altri.
Vivere è la coscienza di avere avuto in consegna una 'missioné e dei talenti da sfruttare per la gloria di Dio e il bene degli uomini...
Dovremmo ricordare sempre che la vita non è una scelta personale, ma, potremmo chiamarla, 'una missioné affidataci dal Padre, non soltanto per costruire qui la santità, ma per raggiungere il fine ultimo della nostra creazione, il Paradiso, che, se meditiamo bene, è la grande ragione per cui ci ha creati, mentre quello che siamo chiamati a 'fare' è la strada per arrivarci.
Ci ricorda Paolo VI, parlando dei laici:
"Voi sapete che la nostra dottrina riconosce al laico cristiano una sua partecipazione al Sacerdozio di Cristo e perciò una sua capacità, anzi una sua responsabilità all'esercizio dell'apostolato, che è venuto determinandosi in concetti diversi e forme adeguate alle possibilità e all'indole, della vita del Laico immerso nelle realtà temporali, ma altresì imponendosi come una missione propria, dell'ora presente".
E il beato Giovanni Paolo II specifica: "Annunciare Cristo significa soprattutto esserne testimoni. Si tratta della forma di evangelizzazione più semplice e al tempo stesso, più efficace a vostra disposizione. Consiste nel manifestare la presenza di Cristo nella propria vita, attraverso l'impegno quotidiano e la coerenza con il Vangelo in ogni scelta concreta. Oggi il mondo ha bisogno di testimoni credibili. E voi, cari giovani e adulti, che tanto amate l'autenticità delle persone e che quasi istintivamente condannate ogni forma di ipocrisia, siete disposti ad offrire a Cristo una testimonianza limpida e sincera. Testimoniate dunque la vostra fede, anche tramite il vostro impegno nel mondo. Il discepolo di Cristo non è mai un osservatore passivo ed indifferente di fronte agli eventi. Al contrario egli si sente responsabile della trasformazione della realtà sociale, politica, economica e culturale".
Avere la coscienza di essere chiamati dal Padre è chiedersi continuamente: 'Cosa vuoi che io faccia? Perché mi hai fatto dono della vita? Qual è il giusto indirizzo che devo dare alla mia vita?' La domanda, diciamolo francamente, è difficile per tutti.
Dio che chiede la mia collaborazione, chiamandomi a lavorare nella Sua vigna?
È una grande responsabilità... è la chiamata fondamentale, che esige una risposta sincera e netta, per non cadere nel pericolo di vivere senza una ragione seria, profonda e veritiera.
Tante volte da vescovo o da semplice uomo di fede, mi si chiede: 'Qual è la ragione della sua serenità?' Rispondo sempre, profondamente convinto: "In molta parte deriva dal fatto che sono dove Dio mi ha chiamato e cerco di coltivare la Sua vigna. E' la mia consapevolezza che non è una scelta personale, ma viene direttamente da Lui, che mi ha creato e chiamato per questo: da ragazzo la chiamata alla vita religiosa. Ordinato sacerdote tutto e sempre è avvenuto inaspettatamente, a volte anche a dispetto della obbedienza, tanto che, quando ero parroco nel Belice, dopo dieci anni di zelo pastorale, l'obbedienza ai miei Superiori mi chiese di cambiare sede, ma il terremoto mi costrinse a restare! Così come dopo altri dieci anni, quando la Parrocchia, devastata dal terremoto, aveva ritrovato la sua vita, l'obbedienza dispose che dopo qualche mese avrei dovuto tornare al Nord. Neanche erano trascorsi due giorni dall'aver ricevuto questa obbedienza, che mi giunse inaspettatamente, da parte di Paolo VI, la nomina a vescovo di Acerra, che era proprio ciò che non avrei mai pensato, e tanto meno voluto o scelto, come religioso.
Proprio vero: a gestire la mia vita è stato Dio stesso, lasciando a me solo la possibilità di dire 'sì', per poi starmi vicino nel compiere i ministeri nei luoghi - difficili, per tanti motivi - in cui mi mandava. Per anni, volendo liberare la città dalla criminalità, fui costretto a subire la tutela da parte dello Stato e così persi quel briciolo di libertà che mi era rimasto.
Davvero Dio è sorprendente nelle sue scelte... però ho sperimentato quanto sia Lui stesso a fare strada e dare quella energia che noi non possediamo.
Davvero è di grande serenità sentire che dove sei e cosa fai è disegno di Dio a cui basta dire un 'sì'. Ed è quello che auguro e prego per voi, perché sappiate 'vedere', nelle scelte della vostra vita, la realizzazione del progetto che Dio ha sognato e preparato per voi... sin dall'eternità e per l'eternità!
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