mercoledì 30 novembre 2011

Alle sorgenti della Pietà - XXI parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:


- Capitolo 19 - 

"... VERBA' NELLA GLORIA PER GIUDICARE I VIVI E I MORTI" (bis)

 SAREMO GIUDICATI SULL'AMORE 

Nel capitolo precedente abbiamo meditato sull'articolo del Credo che dice: "Di nuovo Egli verrà nella gloria per giudicare i vivi ed i morti.

Abbiamo visto come, con queste parole, noi esprimiamo la nostra fede nel ritorno del Signore Gesù quale giudice di tutti gli uomini. Quel giorno è conosciuto nella Bibbia con il nome di giorno del Signore perché allora sarà lui a dominare gli eventi. La prima volta egli non è venuto nella gloria, ma nell'umiltà, nella povertà, nella sofferenza. E' venuto per compiere l'opera della salvezza, mettendosi al nostro posto e pagando con il suo sangue ogni nostro peccato. In quel giorno, invece, tornerà nella gloria cioè con tutta la maestà e la potenza che gli è propria come Figlio Unigenito di Dio e verrà per fare il giudizio, cioè per discernere, per separare ciò che è suo, da ciò che è di Satana. Gesù ha raffigurato più volte quello che farà in quel giorno servendosi di parabole. In una ha parlato di pescatori che, seduti sulla riva, separano i pesci mangerecci dagli altri. In un'altra ha parlato di mietitori che separano il buon grano dalla gramigna.

Ma c'è una parabola soprattutto nella quale il Signore raffigura quel giorno come una grande opera di separazione: la parabola del Re Pastore che mette alla sua sinistra i caproni ed alla sua destra le pecorelle (Mt 25,31-46).

Questa parabola è densa di insegnamenti e rivelazioni... Facciamo soltanto alcune considerazioni:

1) innanzitutto è facile comprendere chi è questo Re Pastore: è Gesù! Ed è facile pure comprendere che parla del suo grande giorno: l'ultimo di questa storia ed il primo di una storia nuova;

2) anche chi rappresentano i capri e le pecorelle non è difficile capirlo: i capri rappresentano tutti quelli che non sono di Cristo, le pecorelle invece sono quelli che appartengono a Lui e che in altra parte del Vangelo egli chiama le mie pecorelle... i miei agnelli, il mio gregge;

3) c'è un segno che distingue capri dalle pecore, coloro che appartengono a Gesù da coloro che non sono suoi: è l'amore. Quelli che non sono animati dall'amore, non sono di Dio perché "chi non ama non conosce Dio e non è nato da Lui" (1Gv 4,9).

L'AMORE VERO

Ora è importante capire di quale amore si parli, perché sotto l'etichetta della parola amore noi siamo abituati a contrabbandare molte altre cose, ben diverse dal vero amore. Ebbene qui è chiaro che Gesù parla dell'amore che viene da Dio, cioè della carità, ossia di quell'amore che nasce dal Cuore di Dio, si comunica al nostro cuore mediante la Grazia che ci eleva ad essere partecipi della divina natura in Cristo, e, attraverso noi, si dona ai fratelli nei quali vediamo e riconosciamo Gesù stesso. E' l'amore che parte dall'Amore e si espande nel mondo mediante i canali dei nostri cuori per poi ritornare all'Amore. Un po' come avviene per la pioggia. Nasce dall'oceano, si trasforma in nubi per irrorare la terra, poi ritorna all'oceano mediante i fiumi. Si tratta dunque del dono gratuito di sè, ad imitazione di Dio e ad imitazione di Gesù. Anzi si tratta dell'amore stesso di Dio, anche se non sempre illuminato in maniera esplicita dalla fede. Sembra quasi che Gesù, in questa parabola, parli soltanto di questa situazione, cioè della situazione di chi ama e dona a Dio senza saperlo. Infatti tutti gli interpellati si meravigliano di aver dato o rifiutato al Signore qualche cosa: "Quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato (o non ti abbiamo dato) da mangiare?".

Gesù ci vuol rivelare qui una verità assai importante: ciò che ci rende figli di Dio è la presenza del suo amore in noi, non la conoscenza di esso. Se uno è figlio di un re, lo è perché generato da lui, perché nelle sue vene scorre il sangue reale, che egli lo sappia o meno. Non è il fatto del saperlo che lo rende figlio, ma il sangue che scorre in Lui!

Così non è il fatto di sapere che Gesù è presente nel fratello, che ci manifesta figli di Dio. Anche Satana lo sa, eppure non è figlio di Dio! Quello che conta è che tu ami con l'amore stesso di Dio e che ami Dio concretamente nei tuoi fratelli: questo ti salva! Ora c'è della gente a questo mondo che sa per fede che Gesù vive nelle sue membra, cioè nei fratelli e c'è della gente che questa realtà non la conosce perché nessuno gliel'ha insegnata. Ma l'importante non è tanto il sapere questo, quanto piuttosto il fatto di amare concretamente Gesù nei fratelli. Certo, colui che conosce questa misteriosa presenza di Gesù nei fratelli è facilitato nell'amore. Una tale conoscenza è un dono! Ma è pure una grossa responsabilità perché non ha alcuna scusa se non ama i fratelli. Gesù non accetta per valida neppure la scusa di coloro che dicono: io non lo sapevo! Quanto meno accetterà scuse da coloro che lo sapevano o lo dovevano sapere, quali siamo noi cristiani! Gesù bada ai fatti, non alle parole. Davanti a lui ciò che conta non è che tu sappia o meno che Lui stesso vive nei fratelli, ma il fatto che tu lo abbia o non Lo abbia amato in essi.

Da questo punto di vista credenti e non credenti sono messi sullo stesso piano: sul piano dell'amore! Hai la fede ed hai amato? Allora appartieni a Dio. Hai la fede e non hai amato? Allora la tua fede è sterile e tu non sei di Dio. Non hai avuto il dono della fede, ma hai amato? Tu non lo sapevi, ma di fatto appartieni a Dio, perché Dio è amore. Invece non hai la fede e non hai amato?'Allora tu non sei in Dio, perché chi non ama non vive in Lui!

In fondo il giudizio di Dio è tutto qui: nel discernere quelli che vivono nel suo amore e del suo amore da quelli in cui domina invece l'egoismo.

Qualcuno si potrebbe domandare: ma perché proprio l'amore-carità è la discriminante tra i buoni ed i cattivi, tra i vivi ed i morti come dice l'articolo del Credo?

Voglio tentare di rispondere a questa domanda perché mi pare che colga il cuore della vita cristiana.

Noi sappiamo che Dio ci ha creati non perché restassimo per sempre su questa Terra, ma per il Regno dei Cieli.

Ora in che cosa consiste il Regno dei Cieli? Quale sarà la vita che si vive in esso?

Nel libro dell'Apocalisse la Bibbia ci parla della vita eterna come di una luna di miele tra il Signore Gesù e la sua Sposa, la Chiesa, raffigurata nella Celeste Gerusalemme: una luna di miele che non avrà mai fine. Siamo infatti chiamati ad una felicità senza fine e questa è possibile soltanto in un amore senza fine, non inquinato da egoismo. Ora, come la vita coniugale deve essere preparata dal fidanzamento durante il quale l'uomo e la donna imparano a conoscersi, a rispettarsi e ad amarsi rinunciando progressivamente al proprio egoismo, ciò avviene anche tra noi e Dio. Qui sulla terra noi viviamo il nostro fidanzamento con Dio ed impanàmo a conoscerlo e ad amarlo. Per questo Egli si è fatto ih tutto simile a noi nell'umanità di Gesù. Inoltre Egli ci ha offerto nella Vergine Maria il modello della Sposa Celeste ed ha anticipato in Lei la gloria e la gioia del matrimonio che ci attende in Paradiso. Queste parole non sono elucubrazioni mistiche di un esaltato, ma dottrina biblica, ispirata da Dio. Infatti S. Paolo paragona la comunità cristiana di Corinto ad una giovane fidanzata: "Vi ho presentati a Cristo come fidanzata" (cfr 2Cor 11,2), egli scrive. E Giovanni Battista, il profeta del Nuovo Testamento, parlando di Gesù lo paragona al Fidanzato che viene per conoscere e sposare la sua ragazza: "Io - dice - sono soltanto l'amico dello sposo e sono felice che egli sia venuto e che la folla lo segua. E' giusto, infatti, che la sposa segua lo sposo, mentre all'amico dello sposo basterà condividerne la gioia" (cfr Gv 3,29). Diceva così perché i suoi seguaci erano invidiosi del successo di Gesù in mezzo alla gente. Ecco allora il segreto della vita cristiana: imparare ad amare per essere capaci, un giorno, di vivere in perfetta comunione con Dio.

Per aiutarci in questo cammino Gesù ci ha rivelato l'amore di Dio per noi, la sua bontà, la sua misericordia. Inoltre ci ha reso palpabile questo amore con il suo amore, fino a dare la vita per noi. "Così - ci ha detto - dovete amarvi tra di voi: proprio così, come io ho amato voi!" (cfr Gv 15,12). E' questa la lezione fondamentale che dobbiamo imparare da Gesù e non solo teoricamente, ma concretamente. Sarà proprio su questa lezione che dovremo dare l'esame in quel giorno!

Voi capite bene che una fidanzata per quanto bella e piena di ottime qualità non vale niente se non ama il suo fidanzato. Al contrario se c'è in essa un grande amore, il fidanzato passerà sopra alle sue pecche. Quello che è fondamentale nel matrimonio è l'amore: allora ogni problema può essere risolto. Ma se manca l'amore, tutto il resto non vale niente. Così Dio ci esamina solo sull'amore perché a tutto il resto sa provvedere Lui con la sua infinita potenza e sapienza.

IL FUOCO PURIFICATORE

Che cosa sarà il Purgatorio se non l'opera dell'amore purificante? Il Purgatorio non è un luogo di tormento vendicativo, ma uno stato d'amore in cui l'amore prende pieno possesso del nostro essere purificandolo da ogni egoismo e trasformandolo finché non sarà degno di entrare alle nozze eterne. Io penso che il fuoco del Purgatorio sia il fuoco dell'amore che brucia ogni residuo di egoismo fino a quando tutto in noi sarà dominato dall'amore. Solo allora potremo godere la gioia eterna della comunione con Dio. Questo fuoco d'amore comincia la sua opera quaggiù mediante la carità che lo Spirito Santo diffonde nei nostri cuori. Ci sono in noi come due fuochi: quello che nasce dalla nostra natura corrotta e produce l'egoismo con tutti i suoi frutti di peccato e quello che nasce dallo Spirito Santo e porta i suoi frutti di salvezza e di santità. La nostra vita è una continua lotta tra l'egoismo e la carità. In questa lotta noi commettiamo di solito un gravissimo errore ed è quello di far appello al nostro cuore per vincere l'egoismo. Ora il nostro cuore è proprio la sede dell'egoismo: è il suo trono. Ecco perché, nonostante i nostri buoni propositi, per quanto sinceri e santi, noi non riusciamo a vincere l'egoismo. Purtroppo succede che anche molti direttori spirituali cadano in questo errore consigliando di ricorrere solo o prevalentemente alla nostra buona volontà, al nostro impegno. Una volontà ed un impegno molto deboli ed essi stessi inquinati di egoismo. Che direste se in una battaglia si chiedesse aiuto agli alleati del nemico? Non sarebbe una cosa sciocca e pericolosa?

Se vogliamo vincere l'egoismo che è in noi non rimane che una cosa da fare: fare spazio allo Spirito Santo che è in noi! E' Lui che diffonde nei nostri cuori l'amore che viene da Dio, l'unico capace di vincere e distruggere l'egoismo. Santo diventa non colui che ci mette più buona volontà soltanto, ma colui che prima di tutto fa più spazio allo Spirito del Signore.

Ecco allora la strategia spirituale da seguire, se vogliamo arrivare al Giudizio con il cuore colmo di carità ed essere accolti tra le pecorelle di Gesù: lasciarci dominare dallo Spirito Santo facendo continuo appello alla carità divina, soprattutto nel nostro rapporto con i fratelli.

Alla luce della Parola di Dio lo Spirito ci fa scoprire Gesù nei fratelli. Non basta saperlo: bisogna esserne convinti concretamente. Ora questa convinzione è dono dello Spirito Santo. Tutti i cristiani hanno sentito dire che nei fratelli vive il Signore, ma solo pochi ne sono convinti. Per questo solo pochi sanno amare come ci ha amato Gesù. Ma se tu fai posto all'azione dello Spirito Santo, allora Egli formerà in te la convinzione della fede che ti farà vedere Gesù in ogni fratello, specialmente nel più povero e nel più piccolo. Di fronte a questa divina realtà la carità sgorgherà dal tuo cuore perché lo Spirito Santo è l'Amore di Dio che tende a Gesù. Come un vento impetuoso Egli ti trasporterà verso Gesù vivente nel fratello per amarlo con l'amore stesso di Dio! Molta gente, umile e semplice, vive questa carità magari senza rendersene conto del tutto. II fatto è che si lascia docilmente guidare e condurre, anzi portare, dalla potenza dello Spirito Santo. Invece c'è gente che conosce bene le Scritture e la Dottrina Cristiana, ma è superba ed è incapace di amare in questo modo. Lo Spirito non può agire in essi perché la loro autosufficienza Lo imprigiona e Lo blocca. Ritornando al tema del giudizio com'è presentato da Gesù nella parabola del Re-Pastore, ricordiamoci che saremo esaminati sull'amore perché solo chi ama può oltrepassare la frontiera del Regno dell'Amore Infinito ed Eterno.

Per questo, fin d'ora, impariamo ad amare Gesù nei fratelli. E' lì infatti che lo troviamo se ci lasciamo guidare e condurre dallo Spirito. Dice S. Paolo: "Chi ha lo Spirito di Cristo, appartiene a Cristo!" (Rm 8,9). Se lasciamo che lo Spirito Santo operi in noi e diffonda in noi la carità di Dio, allora siamo di Cristo, apparteniamo a Lui e non abbiamo nulla da temere nel giorno del Giudizio.

IL CUORE DI MARIA

Guardiamo a Maria: lo Spirito che agiva sovranamente nel suo cuore l'ha condotta da Elisabetta e là si è servito di lei per compiere il primo atto di salvezza e di santificazione operato da Gesù su questa terra. Nel cuore di Maria agiva l'Amore di Dio perché era un cuore dominato dallo Spirito Santo. In questo cuore Egli non ha mai trovato resistenza, ma al contrario un perfetto abbandono e una perfetta obbedienza ai suoi impulsi di grazia.

Per questo la Chiesa ci propone il Cuore Immacolato di Maria come il modello più sublime dell'amore di carità verso Dio e verso i fratelli, fino a riassumere in esso tutta la persona e tutta la vita della Madre di Dio. Infatti quando noi parliamo del Cuore Immacolato di Maria prendiamo l'immagine del cuore come segno del suo amore e della sua stessa persona avvolta nella carità di Dio e riverberante questa carità su tutti gli uomini tradotta, per così dire, in termini materni. In Maria, per la sua intima e unica partecipazione alla vita della Ss.ma Trinità, si riversano come tre raggi di luce infuocata simboleggianti l'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, come vide S. Matilde in una delle sue grandi visioni mistiche.

Ci aiuti, dunque, la Vergine Santa ad abbandonarci a questo divino Spirito affinché la carità di Dio si serva dei nostri cuori a favore dei fratelli, specialmente di quelli più piccoli e più bisognosi.

CONTEMPLAZIONE

Mettiti davanti al S. Cuore di Gesù, come davanti ad una fornace di fuoco, così come Lo ha visto S. Margherita Maria Alacoque. Da questa fornace attingi, in silenziosa preghiera, il fuoco dell'Amore.

Immagina pure l'apparizione della Madonna a Fatima, quando mostrò ai pastorelli, avvolgendoli nella luce di Dio, il suo Cuore Immacolato. In silenzio contempla e immergiti nel suo amore materno.

Prima Lettera ai Corinzi 13

 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

 La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato.
 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

Prima Lettera di Giovanni cap. 4,7 ss.

 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.
 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
 In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.
 In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.
 Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio.
 Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.
 Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.
 Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.
 Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.

lunedì 28 novembre 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quarantesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:

MASSIME GENERALI. Sarebbe molto brutto, se una suora cercasse sollievo nella sofferenza. Ecco quello che ha fatto la grazia e la meditazione del più grande criminale. Colui che muore, ha un grande amore. Ricordati di me quando sarai in paradiso. Il pentimento sincero trasforma immediatamente un'anima. La vita spirituale va praticata con serietà e sincerità. L'amore dev'essere reciproco. Dato che il Signore Gesù per me ha bevuto il fiele fino in fondo, io Sua sposa, per dimostrargli il mio amore, accetterò tutte le amarezze. Chi sa perdonare si prepara molte grazie da parte del Signore. Ogni volta che guarderò la croce, perdonerò sinceramente. L'unione con le anime l'abbiamo ottenuta nel santo battesimo. La morte rafforza l'amore. Devo essere sempre d'aiuto per gli altri. Se sarò una buona religiosa sarò utile non solo alla Congregazione, ma anche a tutta la Patria. Il Signore Dio concede le grazie in due modi: con le ispirazioni e con le illuminazioni. Se chiediamo una grazia, Iddio ce la dà, ma dobbiamo volerla accettare, ma per accettarla occorre abnegazione. L'amore non è fatto di parole, né di sentimenti, ma di azioni. E un atto della volontà, è un dono, cioè una donazione; l'intelletto, la volontà ed il cuore, ecco le tre facoltà che dobbiamo esercitare durante la preghiera. Risorgerò in Gesù, ma prima debbo vivere in Lui. Se non mi distacco dalla croce, allora si manifesterà in me il Vangelo. Tutte le mie insufficienze le colma in me Gesù con la Sua grazia, che agisce incessantemente. La SS.ma Trinità mi trasmette la Sua vita abbondantemente col dono dello Spirito Santo. Le Tre Persone divine dimorano in me. Se Iddio ama, lo fa con tutto Se stesso, con tutta la potenza del Suo Essere. Se Iddio mi ha amato a questo modo, come debbo corrispondere io a questo, io, la Sua sposa? Durante una predica Gesù mi disse: «Nel piccolo grappolo scelto tu sei il dolce acino; desidero che il succo che circola in te venga trasmesso alle altre anime». Durante la rinnovazione dei voti vidi Gesù dal lato dell'epistola, con una veste bianca ed una cintura d'oro ed in mano teneva una spada terribile. Durò fino al momento in cui le suore cominciarono a rinnovare i voti. All'improvviso vidi un bagliore inimmaginabile. Davanti a quel bagliore vidi un piano formato da una nuvola bianca a forma di bilancia. In quel momento Gesù si avvicinò e pose la spada su di un piatto e questo con tutto quel peso si abbassò fino a terra, per poco non la toccò completamente. Proprio allora le suore finirono di rinnovare i voti. E subito vidi degli angeli che prendevano qualche cosa da ogni suora dentro un vaso d'oro, vaso che aveva la forma come di un incensiere Dopo che ebbero terminata la raccolta da tutte le suore e posto il vaso sull'altro piatto della bilancia, questo immediatamente prevalse sul primo, sul quale era stata posta la spada. All'istante dall'incensiere si sprigionò una fiamma, che raggiunse il bagliore della luce. Inaspettatamente udii una voce proveniente da quel bagliore: «Rimettete la spada al suo posto, l'offerta è maggiore». In quel momento Gesù ci diede la benedizione e tutto quello che avevo visto scomparve. Le suore avevano già cominciato ad accostarsi alla santa Comunione. Quando anch'io mi comunicai, la mia anima fu inondata da una gioia così grande, che non riesco proprio a descrivere.

15.II.35 Partenza per la casa paterna per alcuni giorni, in visita a mia madre morente. Quando venni a sapere che mia madre era gravemente malata, ormai prossima alla morte e mi chiedeva di andare a trovarla, perché desiderava incontrarsi con me ancora una volta prima di morire, in quel momento mi si risvegliarono tutti i sentimenti del cuore. Come figlia sinceramente affezionata alla propria madre, desideravo ardentemente esaudire il suo desiderio, ma lasciai a Dio la decisione e mi rimisi completamente alla Sua volontà. Non tenendo conto del dolore del mio cuore, mi affidai alla volontà di Dio. La mattina del giorno del mio onomastico, il 15 febbraio, la Madre Superiora mi consegnò un'altra lettera della mia famiglia e mi diede il permesso di andare a casa, per esaudire il desiderio della madre morente. Cominciai subito a prepararmi per il viaggio e la sera partii da Wilno. Offrii tutta la notte per mia madre gravemente ammalata, affinché Dio le concedesse la grazia che le sofferenze che stava attraversando non perdessero nulla del loro merito. Durante il viaggio ebbi una compagnia molto piacevole, infatti nello stesso scompartimento viaggiavano alcune signore appartenenti ad un sodalizio. Mi resi conto che una di esse soffriva molto e che nella sua anima si stava svolgendo una lotta accanita. Cominciai a pregare mentalmente per quell’anima. Alle undici quelle signore passarono in un altro scompartimento per fare conversazione e nel frattempo nello scompartimento rimanemmo solo in due. Sentii che la mia preghiera aveva provocato in quell'anima una lotta ancora più accesa. Non cercai di confortarla, ma pregai con fervore ancora maggiore. Finalmente quell'anima si rivolse a me e mi chiese di dirle se era obbligata a mantenere una certa promessa che aveva fatto a Dio. In quello stesso momento conobbi interiormente quale era quella promessa e le risposi che era assolutamente obbligata a mantenere quell'impegno, diversamente sarebbe stata infelice per tutta la vita. Questo pensiero non le darà pace. Stupita da questa risposta, mi apri tutta la sua anima. Si trattava di una maestra che, prima di affrontare gli esami, aveva promesso a Dio che, se fosse stata promossa si sarebbe dedicata al Suo servizio, cioè sarebbe entrata in un convento. Però, dopo aver dato gli esami con esito molto favorevole, «ora mi sono lasciata prendere dal vortice del mondo e non voglio entrare in convento, ma la coscienza non mi dà pace e, nonostante i divertimenti, sono sempre scontenta». Dopo una lunga conversazione, quella persona era cambiata completamente e dichiarò che si sarebbe subito interessata, per entrare in convento. Mi chiese di pregare per lei ed io sentii che Dio non le avrebbe lesinato le grazie. La mattina arrivai a Varsavia ed alle otto di sera ero già a casa. È difficile descrivere quale grande gioia fu per i miei genitori e per tutta la famiglia. La salute di mia madre migliorò un po', ma il medico non diede alcuna speranza di una completa guarigione. Subito dopo esserci salutati, ci inginocchiammo tutti, per ringraziare Dio per esserci potuti incontrare ancora una volta tutti in questa vita. Quando osservai come pregava mio padre, mi vergognai molto, dato che io che ero vissuta tanti anni in convento non sapevo pregare con tanta sincerità e tanto fervore. Perciò ringrazio continuamente Iddio di tali genitori. Oh, come tutto è cambiato in questi dieci anni! Non mi ci oriento più. L'orto è molto più grande, è irriconoscibile, come non riconosco più i fratelli e le sorelle, che erano così piccoli ed ora sono tutti cresciuti e sono rimasta stupita di non averli trovati come quando ci siamo separati. Stasio mi accompagnava ogni giorno in chiesa. Sentivo che quella cara anima era molto gradita a Dio. L'ultimo giorno, quando non c'era più nessuno in chiesa, andai con lui davanti al Santissimo Sacramento e recitammo insieme il Te Deum. Dopo un momento di silenzio offrii quella cara anima al Cuore dolcissimo di Gesù. Quanto ho potuto pregare in quella chiesetta! Mi sono tornate in mente tutte le grazie che avevo ricevuto in quel luogo e che allora non comprendevo e di cui così spesso avevo abusato e mi sono meravigliata io stessa di essere stata tanto cieca. Mentre riflettevo su queste cose e mi rammaricavo per la mia cecità, improvvisamente ho visto Gesù nello splendore di una bellezza indicibile, che mi ha detto amabilmente: «O Mia eletta, ti concederò ancora maggiori grazie, affinché tu sia testimone per tutta l'eternità della Mia Misericordia infinita». Quei giorni a casa li ho passati in mezzo a tanta compagnia, poiché ognuno voleva vedermi e scambiare qualche parola con me. Spesso ho contato fino a 25 persone. Erano incuriositi dai miei racconti sulla vita dei santi. Immaginavo che la nostra casa appartenesse veramente a Dio, dato che ogni sera vi si parlava soltanto di Dio. Quando, stanca di raccontare e desiderosa di un po' di solitudine e di silenzio, la sera mi appartavo nel giardino per poter parlare un po' a tu per tu con Dio, anche questo non mi riusciva, poiché venivano subito i fratelli e le sorelle e mi riportavano a casa, dove dovevo continuare a parlare e con tanti occhi fissati su di me. Per fortuna riuscii a trovare il modo per riprendere fiato. Pregai i fratelli che cantassero per me, dato che avevano magnifiche voci e per di più uno suonava il violino ed un altro il mandolino. Allora potei dedicarmi alla preghiera mentale senza allontanarmi dalla loro compagnia. Un'altra cosa che mi costò molto, fu quella di dover baciare i bambini. Venivano le conoscenti coi loro bambini e mi pregavano di prenderli almeno un momento in braccio e di baciarli. Lo consideravano un gran favore e per me era un'occasione per esercitarmi nella virtù, poiché più di uno era abbastanza sporco ed allora per vincermi e non mostrare avversione, se il bambino era sporco lo baciavo due volte. Una conoscente mi portò il suo bambino malato agli occhi, che aveva pieni di pus e mi disse: «Sorella, prendilo un momentino in braccio». La natura provava un senso di ripugnanza, ma senza badare a nulla, lo presi in braccio e lo baciai due volte proprio sugli occhi infiammati e pieni di pus e pregai Dio che io facesse guarire. Ebbi molte occasioni di esercitarmi nelle virtù. Ascoltai tutti quelli che mi vollero raccontare i loro guai e notai che non c'era un solo cuore gioioso, perché non c'era un cuore che amasse sinceramente Iddio e non me ne meravigliai affatto. Mi dispiacque immensamente che non potei incontrarmi con due delle mie sorelle. Sentivo nel mio intimo in che grande pericolo erano le loro anime. Mi si stringeva il cuore dal dolore al solo pensare a loro. In un momento in cui mi sentii molto vicina a Dio, chiesi fervorosamente al Signore la sua grazia per loro ed il Signore mi rispose: “Concedo loro non solo le grazie necessarie, ma anche grazie particolari“. Compresi che il Signore le avrebbe chiamate ad una più stretta unione con Sé. Godo enormemente al pensiero che nella nostra famiglia regna un così grande amore. Quando salutai i genitori e li pregai di benedirmi, sentii la potenza della grazia di Dio che scendeva nella mia anima. Mio padre, mia madre e la madrina del battesimo, mi diedero la loro benedizione piangendo e mi augurarono la massima fedeltà alla grazia di Dio e mi dissero di non dimenticare mai le tante grazie che Dio mi aveva concesso, chiamandomi alla vita religiosa. Mi chiesero di pregare per loro. Nonostante che piangessero tutti, io non versai neppure una piccola lacrima. Cercai di essere forte e li consolai tutti come potei, ricordando loro il paradiso, dove non ci saranno più separazioni. Stasio mi accompagnò all'auto. Gli dissi quanto Dio ami le anime pure e l'assicurai che Dio era contento di lui. Quando gli parlai della bontà di Dio e di quanto si preoccupi per noi, si mise a piangere come un bambino e non ne fui sorpresa per lui, perché è un'anima pura, perciò conosce facilmente Dio. Quando presi posto nell'auto, diedi sfogo al mio cuore e piansi anch'io di gioia come una bambina, per le tante grazie che Dio aveva concesso alla nostra famiglia e poi m immersi in una preghiera di ringraziamento. La sera ero già a Varsavia. Prima di tutti salutai il Padrone di Casa e poi salutai tutta la comunità. Quando, prima di andare a riposare, entrai dal Signore per la buonanotte e chiesi perdono al Signore per aver parlato tanto poco con Lui durante il mio soggiorno a casa, ad un tratto nel mio intimo sentii una voce: «Sono molto contento di questo, che tu non abbia parlato con Me, ma che tu abbia fatto conoscere la Mia bontà alle anime e le abbia sollecitate ad amarMi». La Madre Superiora mi disse che l'indomani saremmo andate entrambe a Jozefinek «E così lei, sorella, avrà la possibilità di parlare con la Madre Generale. Mi rallegrai enormemente per questo. La Madre Generale è sempre la stessa, piena di bontà, di serenità e di spirito di Dio. Parlai a lungo con lei. Andammo alla funzione pomeridiana. Vennero cantate le litanie al Cuore dolcissimo di Gesù. il Signore Gesù venne esposto nell'ostensorio. Un momento dopo vidi Gesù Bambino, che usciva dall'Ostia e venne a riposare proprio Lui fra le mie braccia. Questo durò un attimo. Una gioia immensa inondò la mia anima. Il Bambino Gesù aveva lo stesso aspetto di quando entrai nella cappellina assieme alla Madre Superiora, e già mia Maestra di noviziato, Maria Giuseppina. Il giorno dopo ero già nell'amata Wilno. Oh, com'ero felice d'essere già tornata nel nostro convento! Mi sembrava quasi d'essermi fatta religiosa una seconda volta; non finivo di gustarmi la quiete ed il silenzio, in cui l'anima s'immerge così facilmente in Dio, tutti l'aiutano in questo e nessuno la disturba.

venerdì 25 novembre 2011

Questa è la nostra fede - VII parte

Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": questa settimana entriamo in una nuova parte che ci fa tornare alle basi del primo annuncio, alla scoperta del suo oggetto essenziale:

III. GESÙ RISORTO È LA NOSTRA SPERANZA

11. Il primo annuncio: “Cristo è risorto!”

Ogni anno i cristiani tornano alla sorgente della loro fede: è quanto avviene nella veglia di Pasqua, che sant’Agostino chiamava «la madre di tutte le sante veglie»[30], perché all’assemblea dei fedeli viene nuovamente comunicata la notizia lieta e sempre sorprendente: Gesù, il crocifisso, è risorto! La liturgia della veglia comincia con un rito suggestivo. La chiesa è al buio e in profondo silenzio; dal portale entra il grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto; da quella fiamma si propagano tante piccole luci, man mano che i presenti accendono le loro candele; poi si accendono tutte le lampade; e in mezzo all’assemblea si leva il canto gioioso della risurrezione. Gesù «ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita» (2Tm 1,10): la fede cristiana è luce accesa e alimentata dalla Pasqua del Signore. «Questo è il vero giorno di Dio, radioso di santa luce, nel quale il sangue divino lavò i turpi peccati del mondo, ridando fiducia ai peccatori, illuminando la vista dei ciechi»[31]. Questo è il vangelo che la Chiesa riceve fedelmente e fedelmente trasmette. Ci rendiamo conto che si tratta di un annuncio sconvolgente, che cambia la vita? Se Cristo non è risorto, la croce non ci salva, la causa del regno di Dio è sconfitta e la Chiesa non ha più nulla da dire. Ma il nostro Dio è grande nell’amore e non finisce di stupire: ridona agli uomini come salvatore il proprio Figlio che essi hanno rifiutato e ucciso. Mediante il Crocifisso risorto, il Padre si fa definitivamente vicino ai peccatori, ai poveri, ai malati, ai falliti della storia, ai morti inghiottiti dalla terra.

La veglia pasquale è il contesto paradigmatico per la celebrazione del battesimo, sacramento fontale che ci rende partecipi della risurrezione di Cristo: veniamo sepolti con lui nella morte, per rinascere con lui a vita nuova. Insieme ai catecumeni, tutti i fedeli sono chiamati a rinnovare le promesse del santo battesimo: a rinunciare a Satana e alle sue opere e seduzioni, e a credere in Gesù Cristo, Figlio di Dio, al Padre suo onnipotente e allo Spirito Santo da lui effuso per la nostra salvezza. Questo è il nucleo vivo della fede cristiana, in cui sono presenti insieme i due misteri fondamentali del nostro credo: la morte e risurrezione del Signore Gesù, e la Trinità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo nell’unità di un solo Dio. Dopo questa solenne professione della fede, in ricordo del battesimo, i presenti vengono benedetti “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

12. Il Crocifisso è risorto per la nostra salvezza

Tutto è cominciato non da una teoria, da una concezione del mondo e della vita umana, ma da un avvenimento testimoniato da persone concrete, in maniera affidabile e convincente. Il giorno di Pasqua, di buon mattino, alcune donne si recano al sepolcro di Gesù di Nazaret, ma lo trovano vuoto, e ne restano sorprese e impaurite. Un personaggio misterioso, seduto sulla destra del sepolcro, dice loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,6-7).

«Andate, dite»: è quello che le donne fanno con lo stupore di cui sono pervase. Che il Crocifisso sia risorto è una notizia troppo grande per poter essere taciuta. Anche gli apostoli, dapprima impauriti e ripiegati su se stessi, diventano testimoni coraggiosi e aperti al mondo. La grande svolta avviene il giorno di Pentecoste, con la piena effusione dello Spirito Santo. Il primo segno della venuta dello Spirito è l’annuncio di Gesù Signore e Cristo, come fa Pietro alla folla accorsa: “Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi ben sapete –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato…» (At 2,22-24). Anche al centurione Cornelio, rappresentante del mondo pagano, Pietro, primo missionario, non avrà altro da dire: “Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno” (At 10,39-40). Nessuna notizia è più importante della risurrezione di Gesù, perché nessun avvenimento della storia è più di essa decisivo. Dunque a ebrei e pagani viene comunicato lo stesso messaggio: Gesù è morto in croce, ma Dio lo ha risuscitato, e la prova è che ci è stato donato lo Spirito Santo.

Una fede cristiana senza l’adesione al messaggio della risurrezione di Cristo non è più conforme alla fede di Pietro, di Paolo, dei primi cristiani. E non è più la fede che Gesù ha chiesto per la sua persona. Tutt’al più è una idealizzazione dell’uomo Gesù, come un eroe o un saggio, non il nostro Salvatore e Signore. Chi si illude di poter fare a meno della risurrezione di Cristo, non è più fedele al suo messaggio di salvezza.

mercoledì 23 novembre 2011

Alle sorgenti della Pietà - XX parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:


- Capitolo 18 -

"DI NUOVO VERRA' NELLA GLORIA PER GIUDICARE I VIVI E I MORTI"

 IL GIORNO DEL SIGNORE 

L'Ascensione gloriosa del Signore Gesù alla destra del Padre non pone la parola fine alla sua opera di salvezza. Egli continua la sua missione non solo in Cielo, ma anche quaggiù mediante il dono dello Spirito Santo ed il ministero della Chiesa che è il suo corpo, mentre lassù, come abbiamo visto, incessantemente intercede per noi. Così, con il passare degli anni e dei millenni, la Celeste Gerusalemme, anticipata dalla gloriosa Vergine Maria assunta e glorificata in Cielo, si va formando pietra su pietra, man mano che le anime dei giusti arrivano al porto della salvezza.

Dopo aver professato la nostra fede in questa verità, il Credo ci fa dire: "E di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi ed i morti". Con queste parole noi scavalchiamo la storia e ci collochiamo al suo termine, in quel giorno misterioso e meraviglioso che la Bibbia chiama "il giorno del Signore". Di solito lo si rappresenta come un giorno terribile, come il giorno del giudizio e della vendetta di Dio. Ciò è vero, ma per i non salvati, per i reprobi, per quanti non hanno posto la loro fiducia nel Signore Gesù. Ma per noi che abbiamo sperato in Lui e che Lo abbiamo accolto nella fede come nostro Salvatore e Signore, per noi sarà un giorno di gioia e di festa.

Mi viene alla mente il giorno in cui le truppe alleate sono entrate vittoriose nelle città e nei paesi della Germania sconfitta. Quanti si trovavano da anni nei campi di prigionia

e di sterminio, trattati peggio delle bestie da parte di aguzzini spietati, appena sentirono il tuono dei cannoni avvicinarsi, furono tutti presi da una grande speranza e gioia: la liberazione era vicina, era alle porte. Certo, ci furono recrudescenze di ferocia da parte dei nazisti, i quali, talvolta, cercarono di sterminare quanti erano ancora in vita nella folle illusione di togliere di mezzo pericolosi testimoni. Ma il giorno dell'ira e della giusta punizione non poteva più essere fermato ed anche quelli che morivano pregustavano la soddisfazione che l'infamia stava per aver termine.

Così, è per noi! Il mondo ride della nostra fede, ci tratta da pazzi e da illusi. Spesso ci perseguita, ci emargina, ci uccide. Ma noi sentiamo già il tuono del giorno del Signore che si avvicina e guardiamo a quel giorno con grande speranza. Sappiamo che verrà, anche se non ne possiamo conoscere il tempo. Con buona pace dei Testimoni di Geova e sette affini, quel giorno è un segreto di Dio e nessuno lo conosce. Dice infatti Gesù ai suoi apostoli: "Non spetta a noi sapere quando esattamente ciò accadrà: solo il Padre può deciderlo" (cfr Atti 1,7). Quanti vanno cianciando sulla prossima fine del mondo e quanti vanno facendo conti cabalistici basandosi su questo o quel testo della Bibbia interpretato cervelloticamente, devono fermarsi davanti a parole di Gesù così chiare ed esplicite: solo Dio conosce quel giorno, nessun altro!

Sappiamo però che quel giorno ci sarà e sarà terribile per i malvagi e gioioso per i fedeli. A questi Gesù dice: "Quando queste cose cominceranno ad accadere, alzatevi e state sicuri, perché è vicino il tempo della. vostra liberazione" (cfr Le 21,28). Capite, amici? Non solo non dobbiamo aver paura di quel giorno, ma, al contrario, dobbiamo corrergli incontro, come si corre incontro al papà che finalmente torna a casa carico di doni e desideroso di abbracciarci! Credete voi che Gesù non desideri incontrarci ed abbracciarci? Che cosa aspetta

Egli in Cielo se non che anche l'ultimo nemico del genere umano, cioè la morte, sia finalmente vinto e tutti i suoi fratelli possano partecipare in pienezza alla vita beata della risurrezione? Non è Egli venuto proprio per questo? E per questo non è Egli morto e risorto? A che cosa tende la sua continua intercessione lassù, in Cielo, alla destra del Padre, se non a che nessuno dei suoi discepoli vada perduto e tutti li possa abbracciare presto nel giorno del giudizio?

LA GIUSTIZIA DI DIO

Voi mi direte: ma non dobbiamo temere il giudizio di Dio, noi che siamo peccatori? E' una domanda legittima ed importante, che merita una risposta chiara e completa. Certo, il peccatore deve temere Dio e la sua giustizia, perché Dio non lascerà impunito neppure il più piccolo peccato. Gesù afferma che "anche di una parola inutile ci verrà chiesto il conto" (cfr Mt 12,36). Se è così per le parole inutili, che cosa sarà per quelle cattive? Che cosa sarà per i pensieri ed i desideri malvagi, per le opere e le azioni indegne dei figli di Dio e persino degli uomini?

Ma non dobbiamo fermarci qui, perché se tutto ciò è vero, è pure altrettanto vero che Gesù è "vittima di propiziazione per ogni nostro peccato!" (cfr 1Gv 2,2), il che significa che Egli ha pagato e cancellato con il suo sangue i nostri peccati uno ad uno, tanto il più grosso, quanto il più piccolo.

Immaginatevi di avere tra le mani numerose fatture di debiti che avete contratto e dobbiate presentarvi alla banca per pagarle. Colui che non avesse alcuna fonte cui attingere il denaro necessario, dovrebbe sì aver paura. Ma chi sa di avere in banca un conto aperto con un ingente deposito di denaro, perché dovrebbe temere? Ebbene noi abbiamo un conto aperto presso il Padre con un deposito infinito di meriti. Lo ha aperto il Signore Gesù quando è morto per noi sulla croce, quando ha versato tutto il suo sangue in riscatto per i nostri peccati. Questo deposito è così grande che supera di gran lunga tutta la lista delle nostre colpe. Anzi, dice S. Giovanni, supera anche quella di tutto il mondo! Perché allora aver paura del giudizio di Dio? Questa paura nasce da una fede che ha un falso fondamento. Una fede che mette a confronto la nostra miseria e la nostra cattiveria con la giustizia degli uomini. Ma noi non possiamo pensare alla giustizia di Dio come alla giustizia degli uomini. Sono due cose diverse. La giustizia degli uomini consiste nel dare a ciascuno il suo: ai buoni il premio, ai malvagi il castigo. La giustizia di Dio invece giustifica l'uomo peccatore, purché abbia fede in Cristo. "Secondo la tua giustizia, salvami!" si dice nei Salmi. La tua giustizia, non la mia, non quella fondata sul merito mio, ma quella fondata sul merito infinito di Gesù e che la Chiesa mi dona in nome e col potere di Cristo Redentore.

Infatti la giustizia di Dio è salvatrice. Proprio perché è giusto, Dio mi salva per i meriti infiniti di Cristo! Certo, se Egli guardasse soltanto ai miei peccati, mi dovrebbe punire. Ma non sarebbe giusto se il suo sguardo si fermasse lì. Il suo sguardo sale invece alla Croce ed al Sangue di Gesù ed allora, proprio per giustizia, mi perdona. Gesù infatti ha pagato tutto per me!

Leggete il Vangelo e ditemi se non è proprio questa la Buona Novella! Coloro che si dannano, sono quelli che vogliono presentarsi a Dio con la loro giustizia e rifiutano la grazia di Cristo. Costoro non vanno all'Inferno perché hanno peccato, ma perché, avendo peccato, non hanno accolto Gesù come loro Salvatore.

Anche noi abbiamo peccato ed anche noi meritiamo l'inferno! Ma noi crediamo in Gesù, Lo accogliamo come nostro Salvatore, ci affidiamo al suo Spirito affinché ci liberi dal male e ci renda capaci di fare il bene mediante la nuova vita che ci ha portato! Perciò se da una parte dobbiamo temere Iddio e la sua ira e perciò evitare tutto ciò che lo offende, dall'altra dobbiamo guardare al suo giudizio ed alla sua giustizia con fiducia perché noi siamo perdonati e giustificati dalla nostra fede in Gesù.

IL SACRAMENTO CHE CI RICONCILIA

E qui, riscopriamo la bellezza dei sacramenti e, soprattutto, del sacramento della Riconciliazione. Vi ho detto, in altra occasione, che esso è celebrazione della divina misericordia. Ora aggiungo che è celebrazione anticipata del Giudizio finale. Infatti quando tu vai a confessarti ti sottoponi al giudizio di Dio per mezzo della Chiesa. Prendi i tuoi peccati, uno ad uno, e li metti lì davanti al sacerdote perché, in nome e con l'autorità ricevuta dal Signore, esprima il giudizio di Dio su di essi. Ma quale sarà il giudizio di Dio su questi peccati? Sarà un giudizio di condanna o un giudizio di assoluzione? Dipende da te, dalla tua fede! Se tu riconosci umilmente e sinceramente i tuoi peccati e credi nel perdono di Dio per i meriti infiniti di Cristo, il giudizio della Chiesa sarà un giudizio di assoluzione, un giudizio che porta fino a te il fatto della Croce ed il Sangue redentore, un giudizio che anticipa fin da ora l'assoluzione di Cristo quando dirà: "Venite, benedetti del Padre mio: prendete possesso del Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt 25,34).

Il sacerdote che ti assolve non fa che rendere attuale e tangibile questo giudizio di assoluzione. E' Gesù stesso che ti dichiara perdonato ed assolto perché ti ha lavato con il suo sangue e perciò ti ha già accolto come suo discepolo fedele nel Regno dei Cieli. Il tuo nome è scritto nel Libro della Vita senza alcun debito; tutto infatti è stato pagato dal Sangue Prezioso di Gesù!

Ogni volta che andiamo a confessarci rinnoviamo, nella celebrazione sacramentale, il mistero della Croce e del Sangue che ci redime ed anticipiamo su di noi il giudizio assolutorio di Dio. In quel giorno tale giudizio sarà ufficialmente proclamato davanti a tutto il mondo, come oggi è proclamato nel segreto del confessionale o nella liturgia penitenziale comunitaria. Pensate, quanto siamo sciocchi noi peccatori che non ci accostiamo frequentemente al sacramento della riconciliazione e magari siamo pieni di timore e paura per il futuro giudizio di Dio! Abbiamo qui il mezzo per rinnovare anche ogni giorno, se lo vogliamo, la riconciliazione con Dio e l'anticipazione del suo giudizio finale di assoluzione e trascuriamo stupidamente un mezzo così efficace di pace e di serenità!

Ce ne parla anche S. Paolo nella 1 a Lettera ai Corinzi, proprio là dove tratta dell'Eucarestia e dove raccomanda la purità di coscienza per non mangiare indegnamente il Corpo del Signore: "Se ci giudichiamo attentamente ora - egli dice - non cadremo sotto la condanna di Dio" (cfr 1Cor 11,31). In che modo ci possiamo giudicare ora? Riconoscendo i nostri peccati e confessandoli con fede perché siamo assolti dal Signore mediante il ministero della Chiesa: "Coloro ai quali rimetterete i peccati, li avranno rimessi!" (Gv 20,23).

Nella Lettera ai Romani S. Paolo scrive: "Ora, non c'è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù" (Rm 8,1). Perché? Perché Gesù ha inchiodato alla Croce la sentenza di condanna che era stata emessa contro di noi a causa dei nostri peccati e l'ha tolta di mezzo pagando ogni nostro debito con il suo Sangue. Quello che importa è che noi siamo in Cristo Gesù cioè uniti a Lui mediante la fede vera, quella fede cioè che è animata dall'amore! Se siamo in Cristo non dobbiamo più temere il giudizio perché, scrive S. Paolo, "chi potrà mai accusare quelli che Dio riconosce come suoi eletti? Nessuno, perché è Dio stesso che li dichiara non colpevoli. Chi allora potrà condannarli? Nessuno, perché il giudice, Gesù Cristo, proprio Lui, è morto per loro. Anzi, è risuscitato per loro ed ora si trova accanto a Dio, dove sostiene la loro causa!" (cfr Rm 8,31-39). Dio non può accusare quelli che Lui stesso ha reso innocenti, in quanto sono una cosa sola nel suo Figlio innocente! Gesù, il giudice del giudizio finale, non può condannare quelli che Lui stesso ha salvato con la sua croce e per i quali continua ad intercedere! Ha dunque ragione S. Paolo nel dire che "ora non c'è più alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù!" Com'è possibile, allora, aver paura del Giudizio?

S. Giovanni insegna: "Noi sappiamo e crediamo che Dio ci ama. Dio è amore e chi vive nell'amore è unito a Dio e Dio è presente in lui. Così è per Gesù e così e per noi in questo mondo. Se l'amore di Dio è perfetto in noi, ci sentiamo sicuri per il giorno del giudizio. Perché chi vive nell'amore di Dio non ha paura. Anzi, l'amore di Dio, quando è veramente perfetto in noi, caccia via la paura. Chi ha paura si aspetta un castigo, e non vive nell'amore di Dio in maniera perfetta" (cfr 1 Gv 4,16-18).

Nel leggere questo passo della Bibbia c'è il pericolo di fraintenderlo nel senso che si pensa all'amore che noi dobbiamo avere per Iddio. Se fosse così chi mai potrebbe dire: in me l'amore di Dio è perfetto? Ma San Giovanni non parla qui del nostro amore per Iddio, ma dell'amore di Dio per noi. Egli dice infatti: "Noi sappiamo e crediamo che Dio ci ama" e poi prosegue dicendo che questo amore, quando è perfetto in noi, caccia via la paura del giudizio. E quand'è che questo amore di Dio è perfetto in noi? Quando viene accolto per fede! Vi faccio un esempio: il sole brilla all'orizzonte ed illumina tutto il panorama. Quand'è che questo panorama e questa luce diventano perfetti, ossia pienamente reali, in me? Quando io apro gli occhi e guardo. Allora la luce porta dentro di me il meraviglioso paesaggio che mi sta dinanzi! Quand'è che l'amore che Dio mi porta diviene reale in me? Quando io credo a questo amore e ci credo pienamente! Ora se tu credi davvero che Dio ti ama, come puoi aver paura per il giorno del giudizio?

UN SOGNO

Permettetemi di raccontarvi un sogno che io ho fatto molti anni fa. Dategli il peso che merita un sogno, ma vedrete l'insegnamento in esso contenuto, molto vero e molto valido. Era morto da poco un ragazzo ed io ero preoccupato per la sua salvezza perché era morto tragicamente senza aver avuto la possibilità di ricevere i sacramenti della Chiesa. Pregai molto per lui. Poi il tempo me lo fece dimenticare. Altri problemi mi assillavano: tra questi quello del giudizio di Dio. Una notte vidi in sogno quel ragazzo: era tutto bello e felice. Meravigliato gli chiesi: ma tu non sei morto? Perché sei qui? Mi rispose: sono qui per te! Voglio dirti che sono con il Signore.

- Davvero? Ma, dimmi, come è stato il giudizio di Dio? E' vero che si tratta di un giudizio molto severo?

- Non severo, ma esigente. Molto esigente... - Qui il ragazzo tacque quasi cercando le parole giuste. Poi, sorrise e mi disse: "esigente, ma paterno!". E disparve!

Esigente, ma paterno! Non saprei come meglio parlare del giudizio di Dio!

Esigente, perché Dio non potrà mai accettare neppure il più piccolo peccato.

Paterno, perché Dio ci ama quali figli diletti e ci vede in Cristo, quindi purificati dal suo sangue e santificati dal suo Spirito.

Nessuna paura, dunque, ma impegno. Quello si! Impegno ad evitare ogni peccato, per piccolo che sia, affinché Dio veda che viviamo da veri figli suoi, come Gesù! Ma se pecchiamo, non scoraggiamoci: ricordiamoci che "Gesù è propizíazione

per i nostri peccati" per ogni peccato e che in Cielo intercede sempre per noi! Ricorriamo subito al suo giudizio di misericordia e così eviteremo alla fine della vita ed alla fine della storia il giudizio di condanna.

La Madonna ci aiuti con la sua materna intercessione.

CONTEMPLAZIONE

Immagina di essere davanti al Giudice Divino nel "grande giorno di Dio" mentre emana le sue sentenze. Poi rivolgiti a Maria e chiedi la sua materna intercessione.

 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?
 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.

lunedì 21 novembre 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Trentanovesimo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:

29.1.1935
Questo martedì mattina, durante la meditazione, ho visto interiormente il Santo Padre che celebrava la santa Messa. Dopo il « Pater noster » si è messo a parlare con Gesù della causa, di cui Gesù aveva ordinato a me di parlarGli. Benché io non abbia parlato di ciò personalmente col Santo Padre, dato che l'argomento è stato trattato da qualcun altro, in questo momento però io so, per conoscenza interiore, che il Santo Padre sta riflettendo su tale questione, che in breve tempo si evolverà secondo i desideri di Gesù. Prima degli esercizi spirituali di otto giorni, andai dal mio direttore spirituale, a chiedergli il permesso per certe mortificazioni da fare durante gli esercizi, tuttavia non ottenni il permesso per tutto quello che avevo chiesto, ma solo per alcune. Ottenni l'autorizzazione per un ora di meditazione sulla Passione del Signore Gesù e per certi atti di umiliazione. Ero rimasta però un po' insoddisfatta, per non aver ottenuto il permesso per tutto quello che avevo chiesto. Quando tornammo a casa, entrai un momento in cappella e subito udii nel mio intimo una voce: « Un'ora di meditazione sulla Mia dolorosa Passione ha un merito maggiore di un anno intero di flagellazioni a sangue. La meditazione sulle Mie Piaghe dolorose è di grande profitto per te ed a Me procura una grande gioia. Mi stupisce che tu non abbia ancora rinunciato completamente alla tua volontà, ma gioisco enormemente pensando che tale cambiamento avverrà durante gli esercizi spirituali ». Questo stesso giorno, mentre ero in chiesa ed aspettavo di confessarmi, vidi gli stessi raggi che uscivano dall'ostensorio e si propagavano per tutta la chiesa. Questo durò per tutto il tempo della funzione. Dopo la benedizione si proiettarono su entrambi i lati e poi rientrarono nell'ostensorio. Ad osservarli erano chiari e limpidi come il cristallo. Chiesi a Gesù che si degnasse di accendere il fuoco del Suo amore in tutte le anime indifferenti. Sotto questi raggi il cuore si riscalda, anche se fosse freddo come un pezzo di ghiaccio; se fosse duro come la roccia, si ridurrebbe in polvere.

+ G.M.G. Wilno, 4.11.1933 ESERCIZI SPIRITUALI DI OTTO GIORNI

O Gesù, Re di Misericordia, ecco di nuovo un momento in cui rimango faccia a faccia con Te. Per questo T'imploro per tutto l'amore di cui arde il Tuo Cuore Divino, annienta in me completamente l'amor proprio ed in cambio infiamma il mio cuore del fuoco del Tuo amore purissimo. Verso sera, finita la predica, udii queste parole: « Io sono con te. Durante questi esercizi spirituali consoliderò la tua pace e il tuo coraggio, in modo che non vengano meno le tue forze nel dare attuazione ai Miei propositi. Pertanto durante questi esercizi annullerai completamente la tua volontà, mentre si compirà in te tutta la Mia volontà. Sappi che ciò ti verrà a costare molto. Pertanto scrivi su una pagina bianca queste parole: Da oggi in me non esiste la volontà propria, e depennala. Su un'altra pagina scrivi queste parole: Da oggi faccio la volontà di Dio ovunque, sempre, in tutto. Non spaventarti di nulla, l'amore ti darà forza e te ne faciliterà l'esecuzione ». Nella meditazione fondamentale sullo scopo, cioè sulla scelta dell'amore, l'anima deve amare, ha bisogno di amare; l'anima deve riversare il suo amore, non nel fango, non nel vuoto, ma in Dio. Come gioisco quando rifletto su questo, poiché sento che nel mio cuore c’è soltanto Lui. Gesù solo ed unico; e amo le creature in quanto mi aiutano ad unirmi a Dio. Amo tutti gli uomini per questo, poiché vedo in essi l'immagine di Dio.

G.M.G. Wilno, 4.11.1935 DA OGGI NON ESISTE LA VOLONTA’ PROPRIA

Nel momento in cui m'inginocchiai per depennare la volontà come mi aveva ordinato il Signore, udii nel mio intimo questa voce: «Da oggi non temere il giudizio di Dio, poiché non sarai giudicata ». Da oggi, faccio la Volontà di Dio, ovunque, sempre, in tutto.

G.M.G. Wilno, 8.11.1935

Lavoro interiore particolare, cioè esame di coscienza. Sul rinnegamento di se stessa, della propria volontà. I. Rinnegamento dell'intelletto, cioè sua sottomissione all'intelletto di coloro che per me qui in terra sostituiscono Dio. Il. Rinnegamento della volontà, cioè fare la volontà di Dio, che a me si manifesta nella volontà di coloro che per me sostituiscono Dio e che è contenuta nelle regole del nostro ordine. III. Rinnegamento del giudizio, cioè accettare immediatamente senza pensarci su, senza analizzarlo, senza discuterlo, ogni ordine che mi viene dato da coloro che per me sostituiscono Dio. IV. Rinnegamento della lingua. Non le darò la più piccola libertà; in un solo caso gliela darò completa, cioè quando si tratta di proclamare la gloria di Dio. Ogni volta che mi accosto alla santa Comunione, prego che Gesù rafforzi e purifichi la mia lingua, in modo che io non ferisca il prossimo con essa. Per lo stesso motivo tengo nella massima considerazione la regola che mi parla del silenzio. O Gesù mio, ho fiducia che la Tua grazia mi aiuti a mettere in pratica questi propositi. Benché i punti suddetti siano compresi nel voto di obbedienza, tuttavia desidero esercitarmi in essi in modo del tutto particolare, in quanto costituiscono l'essenza della vita religiosa. Gesù Misericordioso, Ti prego ardentemente, illumina il mio intelletto, perché possa conoscere meglio Te, che sei l'Essere Infinito, e possa conoscere meglio me stessa, che sono il niente personificato. Della santa confessione. Dalla santa confessione dovremmo ricavare due benefici. Alla confessione andiamo: primo, per essere guariti; secondo, per essere educati. La nostra anima ha bisogno di essere educata continuamente, come un bambino. O mio Gesù, comprendo profondamente queste parole e so per esperienza che un'anima con le proprie forze non arriva lontano, si affatica molto, non fa nulla per la gloria di Dio; sbaglia continuamente, poiché la nostra mente è ottenebrata e non riesce a distinguere i fatti suoi. Avrò un'attenzione particolare per due cose: la prima è quella di scegliere per la confessione quello che mi umilia di più, anche se si tratta di una piccola cosa, che però mi costa e per questo ne parlerò; la seconda è quella di esercitarmi nella contrizione; non solo prima di confessarmi, ma in ogni esame di coscienza cercherò di suscitare in me il dolore perfetto e ciò soprattutto prima di mettermi a riposare. Ed una parola ancora: l'anima che desidera veramente progredire sulla via della perfezione, deve attenersi scrupolosamente ai consigli che le vengono dati dal direttore spirituale. Tanta è la santità, quanta la dipendenza. Una volta, mentre parlavo col direttore della mia anima, in un lampo più veloce di quello di un fulmine, vidi interiormente la sua anima in una grande tribolazione, in un tale tormento, che sono poche le anime che Iddio prova con tale fuoco. Tali sofferenze gli provengono da quest'opera. Verrà un momento nel quale quest'opera, che pure Dio raccomanda tanto, sembrerà in completo sfacelo ed all'improvviso seguirà l'azione di Dio con grande energia, la quale darà testimonianza alla verità. Essa, l'opera, sarà un nuovo splendore per la Chiesa, sebbene esistesse già da molto tempo in essa. Che Dio sia infinitamente misericordioso, nessuno può negarlo. Egli desidera che questo lo sappiano tutti, prima che torni come Giudice; vuole che le anime Lo conoscano prima come Re di Misericordia. Quando si verificherà questo trionfo, noi saremo già nella nuova vita, dove non ci sono sofferenze. Ma prima la tua anima sarà saziata d'amarezze al vedere la distruzione dei tuoi sforzi. Questa distruzione però sarà soltanto apparente, poiché Iddio non cambia quello che ha stabilito una volta. Ma anche se la distruzione sarà apparente, le sofferenze invece saranno reali. Quando ciò avverrà, non lo so; quanto durerà, non lo so. Ma Dio ha promesso una grande grazia specialmente a te e a tutti « quelli che proclameranno la Mia grande Misericordia. Io Stesso li difenderò nell'ora della morte, come Mia gloria ed anche se i peccati delle anime fossero neri come la notte, quando un peccatore si rivolge alla Mia Misericordia, Mi rende la gloria più grande ed è un vanto della Mia Passione. Quando un'anima esalta la Mia bontà, allora satana ne trema e fugge nel profondo dell'inferno ». Durante un'adorazione, Gesù mi promise: « Con le anime che ricorreranno alla Mia Misericordia e con le anime che esalteranno e faranno conoscere ad altre la Mia grande Misericordia, nell'ora della loro morte Mi comporterò secondo la Mia Misericordia infinita. Il Mio Cuore è addolorato - ha detto Gesù - perché anche le anime elette non comprendono quanto sia grande la Mia Misericordia. I loro rapporti con Me sono in un certo modo espressione di diffidenza. Oh! quanto questo ferisce il Mio Cuore! Ricordatevi della Mia Passione e, se non credete alle Mie parole, credete almeno alle Mie Piaghe». Non faccio alcun movimento, alcun gesto perché piace a me, perché sono vincolata dalla grazia; continuamente attendo a ciò che è più gradito a Gesù. Durante una meditazione sull'obbedienza udii queste parole: « In questa meditazione il sacerdote in via eccezionale parla per te. Sappi che Io prendo in prestito la sua bocca ». Cercai di ascoltare con la massima attenzione ed applicai tutto al mio cuore, come faccio per ogni meditazione. Quando il sacerdote pronunciò queste parole, che un anima obbediente si riempie della forza di Dio, udii quanto segue: “Si, quando sei obbediente, mi prendo la tua debolezza ed al suo posto ti do la Mia forza. Sono molto stupito che le anime non vogliano fare questo scambio con Me.” Io dissi al Signore: « Gesù, illumina Tu la mia anima, poiché diversamente capirò ben poco di queste parole ». So che non vivo per me, ma per un gran numero di anime. So che le grazie date a me, non sono soltanto per me, ma anche per le anime. O Gesù, l'abisso della Tua Misericordia si è riversato nella mia anima, che è l'abisso stesso della miseria. Ti ringrazio, Gesù, per le grazie e le piccole croci che mi dai in ogni momento della vita. All'inizio degli esercizi spirituali sul soffitto della cappella vidi Gesù crocifisso che guardava alle suore con tanto amore, ma non a tutte. C'erano tre suore, alle quali il Signore guardò con uno sguardo severo. Non so, non so per quali motivi, so soltanto che è una cosa terribile vedere uno sguardo simile che è lo sguardo del Giudice severo. Quello sguardo non riguardava me, eppure allibii per lo spavento, mentre scrivo tremo ancora tutta. Non ebbi il coraggio di dire una sola parola a Gesù, mi vennero a mancare le forze fisiche e pensavo che non avrei resistito fino alla fine della predica. Un giorno dopo vidi la stessa cosa, come la prima volta, e osai proferire queste parole: « Gesù, quanto è grande la Tua Misericordia! ». Il terzo giorno si ripeté ancora lo stesso sguardo su tutte le suore con grande amabilità, ad eccezione di quelle tre suore. Allora presi il coraggio che proveniva dall'impulso verso l'amore del prossimo e dissi al Signore: « Tu sei la Misericordia personificata, come Tu stesso mi hai detto, Ti scongiuro quindi per la potenza della Tua Misericordia, rivolgi il Tuo sguardo benigno anche su quelle tre suore, e se ciò non s'accorda con la Tua sapienza, Ti prego di fare uno scambio: il Tuo sguardo benevolo verso la mia anima, sia per loro, e il Tuo sguardo severo verso le loro anime, sia per me. All'istante Gesù mi disse queste parole: « Figlia Mia, per il tuo amore sincero e generoso concedo loro molte grazie, benché esse non le chiedano, ma per la promessa che ho fatto a te ». E subito avvolse le tre suore con uno sguardo misericordioso. Alla vista della bontà di Dio, il cuore mi cominciò a battere per la grande gioia. Quando feci l'adorazione dalle 9 alle 10 erano rimaste anche altre quattro suore. Mentre mi avvicinavo all'altare e meditavo sulla Passione del Signore Gesù, in quello stesso momento un dolore tremendo inondò la mia anima, a causa dell'ingratitudine di un gran numero di anime che vivono nel mondo, ma mi addolorava specialmente l'ingratitudine delle anime scelte in modo particolare da Dio. Non c'è modo di esprimerla, né di confrontarla. Alla vista di quella ingratitudine, che è la più nera, sentii come se il cuore mi si schiantasse, mi vennero a mancare completamente le forze fisiche e caddi con la faccia a terra, senza nascondere un pianto dirotto. Ogni volta che rievocavo la grande Misericordia di Dio e l'ingratitudine delle anime, il dolore trafiggeva il mio cuore e comprendevo quanto ciò ferisse il Cuore dolcissimo di Gesù. Con cuore ardente rinnovai il mio atto di offerta per i peccatori. Con gioia e desiderio ho accostato le mie labbra al calice dell'amarezza, che prendo ogni giorno dalla S. Messa. La piccola porzione, che Gesù mi ha assegnato per ogni momento, anche quella non la cederò a nessuno. Conforterò continuamente il dolcissimo Cuore Eucaristico; suonerò canti di riconoscenza sulle corde del mio cuore; la sofferenza è il tono più armonioso. Cercherò con cura di capire con che cosa posso rallegrare oggi il Tuo Cuore. I giorni della vita non sono uniformi; quando le nuvole nere mi copriranno il sole, cercherò come l'aquila di attraversare la loro barriera, per far conoscere agli altri che il sole non si spegne. Sento che Iddio mi permette di scostare i veli, affinché la terra non abbia dubbi sulla Sua bontà. Iddio non va soggetto ad eclissi, né a cambiamenti; rimane per l'eternità Uno e sempre lo Stesso. Niente può opporsi alla Sua volontà. Sento in me una forza sovrumana, sento il coraggio e l'energia che mi viene attraverso la grazia che dimora in me. Comprendo le anime che soffrono perché prive di speranza, poiché ho provato su di me questo tormento. Iddio però non dà prove al di sopra delle forze. Spesso ho vissuto di speranza contro ogni speranza ed ho spinto la mia speranza fino alla totale fiducia in Dio. Avvenga di me quello che ha stabilito dall'eternità.

domenica 20 novembre 2011

Solennità di Gesù Cristo, Re dell'Universo

Nel giorno in cui celebriamo la Regalità di Cristo Gesù, torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la Parola di Cristo, che ci mostra i "criteri" su cui si baserà il Giudizio Ultimo del nostro Re, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Tutti noi, se siamo sinceri, siamo sempre affannosamente in ricerca di qualcosa o QUALCUNO CHE SIA CAPACE DI FARCI FELICI, che è il solo senso del nostro vivere.
Ma rischiamo di chiamare felicità qualcosa o qualcuno che tale non è o, se lo è, - come quando ci si ama - comprendiamo che non può donarci quella felicità integrale che ci attendiamo.
Per capire questa sete interiore, basta guardare tante volte la gente che pare si abbarbichi a tutto e tutti, nella speranza di trovare la sorgente della felicità.
Che la felicità sia il sale della vita di ogni uomo è scontato. L'uomo, tutti noi, che lo ammettiamo o no, siamo usciti dal cuore del Padre. Ed è logico che, essendo Sue creature, conserviamo nel profondo dell'anima la nostalgia di ciò che Lui è: la gioia, che è frutto di amore.
Cercarla altrove è pura follia. Ma purtroppo noi la cerchiamo ovunque, dando nome di gioia a qualsiasi cosa ci capiti tra le mani.
Non possiamo cancellare dalla vita ciò che Dio ci ha donato e desidera e opera perché, non solo la troviamo, ma ne partecipiamo, ossia la gioia dell'amore.
Con il peccato originale i nostri progenitori, tentati, preferirono se stessi a Dio amore e vennero esclusi dal Paradiso. Come è vero quel grido di Dio nell'Eden: "Uomo dove sei?".
Un grido, una ricerca appassionata, che si ripete anche oggi nel mondo e non sempre trova risposta.
Si preferisce nascondersi agli occhi del Padre, ma non è sufficiente una foglia di fico... e rimane l'amarezza dell'esilio dal Cielo... a cui ha risposto e risponde il Padre con il più grande gesto di amore possibile: donandoci il Figlio.
Incredibile amore del Padre verso di noi, e molte volte, quando lo medito, non ho parola per esprimere la mia confusione, come a dire: 'Ma è mai possibile che Dio, che non ha certo bisogno di noi, si sia abbassato tanto fino a donarci il Figlio Gesù, perché spazzasse via ogni ombra di esilio e riaprisse le porte del cielo?'
Fa sempre impressione e tanta commozione, ogni volta ci mettiamo di fronte al Crocifisso, sapere che quella croce ha una sola parola da comunicarci "TI VOGLIO BENE A QUALUNQUE COSTO".
Ed è un dono a portata di mano di tutti: non solo, ma è la ragione stessa della nostra creazione.
Oggi la Chiesa chiude l'anno liturgico, racconto della nostra redenzione - iniziato con l'Avvento del 2010 - con la SOLENNITA' DI GESU' RE DELL'UNIVERSO.
Ma troppi ancora sanno poco o niente di Gesù, che invece dovrebbe essere il centro dei nostri pensieri. Ma perché così tanta ignoranza o indifferenza?
Il nostro grande Paolo VI così risponde all'interrogativo: "Chi dicono che sia il Figlio dell'uomo?' (Mt.16,13) Questo interrogativo fatto da Gesù stesso, si presenta ancora agli uomini, a noi personalmente. 'Io, che penso di Gesù Cristo?'.
Lo conosciamo forse perché Egli vive con noi, in una civiltà plasmata dai suoi principi, da una religione? Lo conosciamo forse perché la nostra educazione religiosa ci parlò di Lui? Eppure la domanda resta anche sulle nostre labbra, sovente senza risposta. La prima risposta è troppo grave: implica il nostro destino spirituale, E' troppo profonda e ineffabile. Conoscere Gesù e definirLo vorrebbe dire viverLo e sarebbe risposta fatta di gioia interiore. Ma la sua figura il più delle volte rimane vaga e sbiadita, cioè la nostra conoscenza di Gesù il più delle volte è rudimentale, frammentaria, incerta e forse anche fredda. Così i nostri stati di animo di fronte a Lui rimangono ordinariamente, un conoscerLo senza amarLo, un supporLo senza conoscerLo, un trascurarLo, dimenticarLo" .
Ed è davvero inconcepibile che CHI dovrebbe essere il centro della vita, la fonte della gioia, la bellezza di una compagnia che fa sicuri i nostri passi, possa conoscere il pericolo di essere 'l'ultimo dei nostri pensieri'; un bene di cui non sappiamo cosa fame... anche se Gesù ha detto di Sé: 'Io sono la VIA, la VERITA', la VITA',
Sarà forse per la natura stessa dell'amore che, quando si fa vicino, fino ad essere segreto della serenità della vita, guida della vita, può essere, come la presenza di Gesù, talmente discreto, da passare inosservata... soprattutto per chi è troppo affaccendato, indaffarato, chiassoso?
Non dimentichiamo che è proprio dell'amore non fare chiasso, ma essere foresta che cresce; non imporsi, ma liberare; non possedere, ma donare... nel silenzio e nella pace.
Il Vangelo della solennità di Cristo Re, ce Lo presenta nella pienezza della sua regalità, che ci giudica sulla carità. Ci mostra come Gesù sempre si mette nei nostri panni in attesa di una risposta che non è solo rivolta a noi. ma è rivolta a Lui.
"In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 'Quando il Figlio dell'uomo, verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: 'Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi'
Allora i giusti gli risponderanno: 'Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato e siamo venuti a visitarti?'. Rispondendo il re dirà loro: "In verità vi dico ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me '.
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 'ero forestiero e non mi avete ospitato; nudo e non mi avete vestito, malato o in carcere e non mi avete visitato'. Anch 'essi risponderanno: 'Signore, quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare, o assetato o forestiero o nudo, o malato o in carcere e non ti abbiamo visitato?'. Ma egli risponderà: 'In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me'.
E se ne andranno, questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna" (Mt. 25, 31-46).
Il giudizio di Dio può sembrare duro, ma è fondato sulla carità. Un giudizio che noi ci costruiamo con la nostra condotta verso gli altri, giorno per giorno, con il nostro agire con amore o senza.
E, onestamente, se c'è un a cosa che oggi si nota è proprio la mancanza di amore verso chi ha bisogno. E' stupendo sapere che ogni gesto di carità che noi facciamo - e ogni giorno se ne presenta l'occasione - non si ferma al povero, all'ammalato, all'emarginato, non si ferma alla persona che si incontra, ma Dio lo considera fatto a Lui stesso. Ne fossimo davvero coscienti sarebbe certamente diversa la nostra condotta verso chi tende a noi la mano. Ma rattrista vedere come manca questa consapevolezza e, quindi, rispetto, accoglienza, bontà, verso chi incontriamo nel bisogno.
Con Paolo VI oggi con voi rifletto:
"Dall'inquietudine degli spiriti laici e ribelli, dall'aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe forte la confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. E' una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di sofferenti che sentono la simpatia per l'uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura: di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro; di convertiti che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averlo trovato".
E sempre con Paolo VI, preghiamo oggi Gesù Re e Signore dell'universo, nella cui mani e Cuore vogliamo essere tutti:
"O Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario; per venire in comunione con Dio Padre; per diventare con Te suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te, amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli" (Quaresima 1955).

venerdì 18 novembre 2011

Questa è la nostra fede - VI parte

Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": questa settimana continuiamo a capire come poter evangelizzare nel nostro attuale contesto sociale caratterizzato da una cultura evidentemente "diversa" da quella dei tempi passati:


II. COMUNICARE IL VANGELO OGGI


9. Lo stile della comunicazione

«Si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l’unità dell’amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa»[21]. La testimonianza della vita cristiana è la via privilegiata dell’evangelizzazione, la sua forma prima e del tutto insostituibile. Se è vero che la fede è adesione piena e coinvolgente di tutta la persona alla verità che è Cristo, allora l’annuncio non può essere un fatto puramente verbale: non basta parlare del Vangelo; occorre in un certo senso renderlo “visibile” e “tangibile” (cfr 1Gv 1,1-3). La comunicazione della fede avviene per irradiazione, prima che per iniziative o attività specifiche. Attraverso la testimonianza dei singoli credenti, delle famiglie e delle comunità cristiane, l’amore di Dio va a raggiungere le persone nella loro situazione concreta e le dispone a credere. «Specialmente nel clima odierno, permeato di materialismo pratico, estraneità reciproca e indifferenza religiosa, molte porte si aprono solo per il fascino dell’amicizia e della solidarietà. Anche i distratti e i superficiali rimangono colpiti e si accostano al messaggio cristiano. Interpella le coscienze con particolare efficacia l’amore preferenziale per i poveri, che, mentre contraddice l’egoismo radicato nell’uomo e le discriminazioni presenti nella società, si fa espressione di una benevolenza diversa, quella di Dio, gratuita e rivolta a tutti»[22].

D’altra parte la presenza operosa non basta. Come la rivelazione di Dio è avvenuta attraverso «eventi e parole, intimamente connessi tra loro»[23]; come l’evangelizzazione di Gesù è avvenuta «in opere e in parole» (Lc 24,19), e il vangelo di Paolo si è diffuso «non soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo» (1Ts 1,5), così non si può opporre testimonianza di vita e annuncio esplicito. La testimonianza chiede di essere illuminata e giustificata da un annuncio chiaro e inequivocabile, come questo dovrà sempre rinviare a ciò che si può “vedere e udire” (cfr Mt 11,4). È la stessa testimonianza cristiana che include la professione pubblica della fede e, d’altra parte, l’evangelizzazione ha al suo centro l’annuncio esplicito che Dio ci dona la salvezza in Gesù Cristo, crocifisso e risorto; la Chiesa è generata dalla parola di Dio. «Nella realtà complessa della missione il primo annuncio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce nel mistero dell’amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione con lui e apre la via alla conversione»[24].

C’è un’altra falsa alternativa da tener presente: quella fra identità e dialogo. In realtà la Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo. È certo che, per essere corretto e autentico, il dialogo richiede una chiara consapevolezza della propria identità e non può mai degenerare nel relativismo o nel sincretismo. Non è vero che una religione vale l’altra: «Il dialogo deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»[25].

Il Vangelo è da annunciare, non da imporre. Neppure il Figlio di Dio l’ha imposto: l’ha proposto a tutti, l’ha testimoniato con la sua vita, ma non è mai ricorso alla violenza per farlo accettare. Ha sollecitato il consenso e ha accettato il rifiuto. Il messaggio dell’amore non si annuncia se non attraverso l’amore. È proprio la proclamazione del Vangelo a spingere il cristiano al dialogo con tutti; a illuminare i credenti nel discernere i “semi del Verbo” ovunque si trovino; a coltivare gli elementi “di verità e di grazia”, sparsi nella varie tradizioni[26]. È sempre da ricordare che, secondo un aforisma della cristianità antica condiviso da san Tommaso, «ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo»[27] e, d’altra parte «la Chiesa di Dio vivente» è «colonna e sostegno della verità» (1Tm 3,15).

10. Radicalità evangelica e vita quotidiana

Per annunciare il Vangelo della vita piena, serena e feconda che i cristiani possono vivere sulle tracce del Signore Gesù, la Chiesa ha bisogno soprattutto di santi. Qualcuno potrebbe pensare che forse basterebbe essere credenti convinti e gioiosi, umili e tenacemente innamorati del Signore Gesù: ma non sono appunto questi i santi? Essi non pretendono certo di essere senza macchie e senza difetti, ma sono cristiani che non fanno mai pace con le loro incoerenze, pronti ogni giorno a ricominciare daccapo: “Credo, [Signore]; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24). «Come il Concilio stesso ha spiegato, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità»[28].

Sembra opportuno pertanto provare a declinare “santità”, intrecciando radicalità evangelica e vita quotidiana. La radicalità evangelica non va intesa come eccezionalità di opere o di gesti, come somma di rinunce o straordinarietà di sacrifici. San Paolo ricorda che uno potrebbe anche distribuire tutti i propri beni ai poveri o addirittura offrire il proprio corpo alle fiamme e non avere la carità (cfr 1Cor 13,3). Il “carisma migliore” additato dall’apostolo non è un dono singolare, o un talento speciale, bensì la carità ordinaria, feriale: è l’amore non invidioso, umile, rispettoso, tollerante. La carità cristiana non si identifica con la donazione dei beni e, di per sé, neanche con l’offerta della propria vita. La santità è tutta questione di amore: richiede di non anteporre nulla all’amore gratuito e smisurato del Signore e, per questo, di essere pronti anche a lasciare tutto, ma solo per seguire lui. È una radicalità che non si misura sulla quantità materiale delle cose lasciate, ma sulla purezza della fedeltà al Vangelo e sulla genuina qualità dell’appartenenza al Signore. Le opere radicali autenticamente cristiane sono quelle che fanno trasparire il volto del Padre: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). La radice e la misura di una esistenza cristiana autentica e coerente è sempre la croce di Gesù, che non è solo gesto di salvezza; è anche segno di rivelazione: è la piena manifestazione trasparente di quanto Dio ami il mondo.

Perciò il discepolo qualificato per annunciare il vangelo dell’amore del Padre per tutti i suoi figli, è colui che prende la sua croce ogni giorno e segue il suo Signore (cfr Lc 9,23). «Ogni giorno», chiede Gesù: infatti la via della croce non può essere solo quella del martirio, ma anche la via del quotidiano, inteso come la situazione normale e ordinaria, con le sue fatiche e le ardue complessità, in cui il cristiano vive. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo. Il Vangelo non è una proposta eccezionale per persone eccezionali, e la Chiesa non potrà mai diventare una setta di eletti o un gruppo chiuso di perfetti, ma sarà una comunità di salvati, peccatori perdonati, sempre in cammino dietro all’unico Maestro e Signore.

Pertanto, perché la parola del Vangelo sia donata a tutti coloro che l’attendono, è indispensabile la presenza significativa dei cristiani laici nei vari ambienti di vita. «È compito proprio del fedele laico annunciare il Vangelo con un’esemplare testimonianza di vita, radicata in Cristo e vissuta nelle realtà temporali: famiglia; impegno professionale nell’ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca; esercizio delle responsabilità sociali, economiche, politiche. Tutte le realtà umane secolari, personali e sociali, ambienti e situazioni storiche, strutture e istituzioni, sono il luogo proprio del vivere e dell’operare dei cristiani laici»[29]. Nell’esperienza del credente infatti non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita “cristiana”, dall’altra quella cosiddetta “secolare”, ossia la vita di lavoro, di impegno, di tempo libero. La vita è una sola: Cristo, che vive in noi.

mercoledì 16 novembre 2011

Alle sorgenti della Pietà - XIX parte

Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:


- Capitolo 17 -

"SALI’" AL CIELO E SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE"

 GESU’ NOSTRO AVVOCATO 

D opo aver meditato sulla risurrezione del Signore, meditiamo ora sulla sua ascensione al Cielo. Nelle nostre celebrazioni liturgiche la risurrezione e l'ascensione costituiscono due feste distinte. Nella realtà esse sono un unico mistero. L'ascensione, infatti, è il coronamento della risurrezione: è la glorificazione di Gesù non solo davanti agli uomini, ma anche davanti a Dio. Vediamo di spiegare un po' questo mistero.

Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria, ha preso come sua la nostra natura umana. Da quel momento, pur restando vero Dio, cominciò ad essere anche vero uomo. Sappiamo che l'umanità era stata cacciata fuori dal Paradiso Terrestre, come racconta la Bibbia, a causa del suo peccato. Si tratta di un'immagine per indicare la separazione da Dio e dal suo gradimento. Per l'uomo non c'era più posto in Cielo. Per lui non rimaneva, dopo questa vita, che l'inferno. Ebbene Gesù ha ristabilito la situazione primitiva, quando Dio e l'uomo stavano insieme ed erano amici. Ha riportato l'umanità in Paradiso. Non solo, ma addirittura l'ha fatta sedere alla destra del Padre perché è figlia di Dio, partecipe della natura divina.

UN RITO PROFETICO

Nell'Antico Testamento questa meravigliosa realtà era stata profetizzata in un rito liturgico che si compiva una volta all'anno, nel giorno dell'espiazione. In quel giorno, dopo aver digiunato e confessato i peccati suoi e del popolo, il sommo sacerdote ebreo immolava un agnello e ne raccoglieva il sangue in un bacile d'oro. Poi, pieno del santo timor di Dio, apriva il velo che separava il luogo santissimo dov'era l'Arca dell'alleanza dal santuario dove ogni giorno si offriva l'incenso profumato al Signore. Tutto il popolo stava fuori in preghiera. Le trombe suonavano ed i sacerdoti lodavano Dio. Solo lui, il sommo sacerdote, con il cuore coperto da un pettorale su cui brillavano dodici pietre preziose simboleggianti le dodici tribù d'Israele, solo lui, dico, entrava in quel luogo buio. Infatti non c'erano né finestre, né lampade. Solo il tenue bagliore del candelabro d'oro che illuminava il santuario giorno e notte faceva arrivare fin là qualche raggio di luce. Nella penombra il sommo sacerdote avanzava verso l'Arca dell'Alleanza. La cassa, tutta rivestita d'oro, conteneva le tavole della legge. Sul coperchio c'erano due cherubini alati in ginocchio, con le ali tese a fare come un baldacchino. La Bibbia dice che quello era il luogo dove posavano i piedi di Dio. Un modo per indicare la presenza misteriosa, ma reale, del Signore. Era il luogo del perdono, chiamato propiziatorio! Il sommo sacerdote, avvicinatosi all'Arca santa, le girava intorno e l'aspergeva con il sangue dell'agnello, mentre invocava supplichevole il nome di Jahwè, nome che nessun ebreo osava mai pronunciare! Con quel gesto il sommo sacerdote intendeva espiare per i peccati suoi e del suo popolo mediante l'offerta del sangue dell'agnello. Egli sentiva di portare sulle sue spalle tutto il popolo ebreo, raffigurato dalle 12 pietre preziose: ne portava le miserie, i peccati, ma anche la fede e l'amore per il Signore.

Compiuto il rito usciva dal luogo santissimo e si recava alla porta del santuario dove benediceva la folla esultante. Questo avveniva nel Tempio di Gerusalemme una sola volta all'anno, ma avveniva ogni anno, perché nessun agnello con il suo sangue poteva espiare i peccati degli uomini. Il sommo sacerdote entrava sì nel luogo santissimo, ma poi ne usciva subito, pieno di timore, perché temeva che la giustizia di Dio colpisse lui e tutto il popolo peccatore.

C'è una Lettera del Nuovo Testamento che ci dà una spiegazione profonda di questo rito e ce lo presenta come la profezia di una realtà che noi ora viviamo. Si tratta della lettera agli Ebrei. L'autore sembra sia S. Paolo, anche se lo scrittore ispirato è certamente uno dei suoi discepoli, forse quell'Apollo di cui Paolo parla nella la ai Corinzi o anche Barnaba, che era stato un levita. Poco importa sapere chi scrisse materialmente questo libro del Nuovo Testamento. Conta invece il fatto che esso è ispirato da Dio e ci rivela il pensiero di Dio.

Il luogo santissimo in cui si trova l'Arca dell'Alleanza, dice questa Lettera, è il Paradiso, il Cielo, mentre il santuario è la terra. Il velo che separa l'uno dall'altro è la morte, castigo del peccato. Gesù è il nostro sommo ed eterno sacerdote. Egli ha preso su di se tutti noi con i nostri peccati quando ha abbracciato la croce e si è avviato verso la cortina della morte non con il sangue di un agnello, ma con il suo sangue. Ed ecco che Egli ha superato il velo della separazione ed è entrato nel luogo santissimo del Cielo, là dove Dio siede glorioso tra miriadi di cherubini e di serafini. Gesù si è presentato a Lui non solo come 2a Persona della Ss.ma Trinità, ma anche come vero uomo, carico di tutte le miserie umane e ha presentato al Padre il suo sangue in espiazione. Il Padre, vedendo il sangue del suo Figliuolo e la sua obbedienza fino alla morte, ha perdonato ogni peccato, una volta per sempre. Non ha rimandato indietro Gesù perché tornasse a patire ed a morire ogni anno, come si faceva nell'Antico Testamento con l'agnello, ma lo ha accolto una volta per sempre, lo ha riconosciuto come Figlio anche nella sua carne umana, lo ha fatto sedere anche come uomo alla sua destra affinché prendesse possesso, nella sua carne umana, del ruolo che quale Dio aveva da tutta l'eternità. La cortina che separava la Terra dal Cielo si è squarciata, come dice il Vangelo. Si è squarciata quando la lancia del soldato romano ha squarciato il cuore di Gesù crocifisso. Ora il nostro sommo sacerdote è lassù, alla destra di Dio e noi possiamo entrare nel luogo santissimo, nel Paradiso. Ho già detto che la morte, per noi credenti, è la porta che ci immette nella nuova dimensione della vita eterna! Ma anche finché siamo quaggiù ci è possibile passare attraverso la cortina della carne di Cristo per salire con Lui alla destra di Dio, a colloquio con Dio. Lo facciamo soprattutto quando ci accostiamo all'Eucarestia, allorché attraverso il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, Cristo stesso si fa nostro cibo e nostra bevanda. Ma lo facciamo anche quando andiamo a confessarci: allora noi portiamo i nostri peccati, bagnati dal sangue di Cristo, alla presenza del Padre per averne il perdono. Li portiamo insieme a Lui, vivente ed operante nel ministero della sua Chiesa.

Così pure quando preghiamo, quando celebriamo le varie liturgie, quando offriamo al Signore le nostre opere e le nostre sofferenze noi passiamo attraverso il velo squarciato del Cuore di Cristo e ci accostiamo al trono dell'Altissimo con la sicura fiducia di essere accolti come figli perché sappiamo che siamo una cosa sola con Gesù.

NEL TEMPIO CELESTE

Ecco: questo è il profondo significato della nostra fede nel mistero dell'Ascensione. Non vogliamo solo affermare che Gesù ora è in Cielo: vogliamo anche proclamare che Egli è là per noi come nostro sommo ed eterno sacerdote e come nostro avvocato.

"Egli è là ad intercedere per noi" scrive S. Paolo e non avrebbe potuto esprimere in modo migliore la situazione di Gesù in Cielo. S. Giovanni poi, nella sua la lettera, parla del Corpo glorioso di Gesù come del propiziatorio, cioè del luogo del perdono. Il propiziatorio era, come abbiamo visto, il coperchio dell'Arca Santa, sul quale il sommo sacerdote versava il sangue dell'agnello in espiazione dei peccati: per questo veniva chiamato luogo del perdono.

Gesù in Cielo è dunque Colui che prega per noi ed il luogo del perdono per ogni nostro peccato. Non solo! Ancora S. Giovanni ce lo presenta come il Consolatore, cioè l'Amico che ci difende. Lo chiama proprio così: "Abbiamo in Cielo un Paraclito, Gesù il Giusto". Paraclito vuol dire: amico che ci consola e ci difende. Da chi ci difende in Cielo? Ci difende da colui che ci accusa davanti a Dio. E' un'immagine biblica quella del giudizio celeste: da una parte c'è Satana, il nostro avversario, colui che ci accusa giorno e notte. Ci accusa di essere peccatori e perciò meritevoli di condanna. Ma c'è anche Gesù, il nostro Paraclito, cioè il nostro amico avvocato, che ci difende. In che modo?

Prima di tutto offrendo il suo sangue per pagare ogni nostro delitto. In secondo luogo presentando in se stesso una umanità nuova, giusta, perfetta. Il Padre ascolta Gesù e ci accoglie come suoi figli perdonandoci ogni peccato e donandoci la sua grazia che ci fa giusti e santi. Ecco perché S. Paolo osa dire: "Ora non c'è più alcuna condanna per quelli che sono uniti a Cristo Gesù" e poi si chiede: "Che cosa diremo di fronte a questi fatti? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Lui che non ha risparmiato il suo Figlio, ma lo ha dato per tutti noi; come non potrebbe darci ogni cosa insieme con Lui? E chi potrà accusare gli eletti di Dio? Nessuno, perché Dio stesso li dichiara giusti, innocenti. Chi allora li potrà condannare? Nessuno, perché Gesù è morto per loro. Anzi è risorto ed ora si trova accanto a Dio, dove sostiene la nostra causa" (Rm 8).

Capite allora, cari amici, il vero significato delle parole del Credo quando diciamo che Gesù "salì al Cielo e siede alla destra del Padre"?

IL DONO DELLO SPIRITO

Ma vi è un'altra cosa da considerare. Gesù aveva legato alla sua glorificazione il dono dello Spirito Santo per i suoi discepoli qui sulla terra. Non solo cioè Egli sarebbe salito al Cielo, come nostro sommo sacerdote, per aprirci la strada della fiducia e per difenderci come nostro avvocato, ma promise che avrebbe inviato sulla Terra un altro amico, lo Spirito Santo: "E' bene per voi che io vada in Cielo perché, quando me ne sarò andato, vi manderò un altro Consolatore, un altro Paraclito, lo Spirito di verità che procede dal Padre. Egli vi guiderà al possesso di tutta intera la verità" (cfr Gv 16,7 e 13). In Cielo Gesù ci difende ed intercede per noi; sulla terra lo Spirito Santo ci guida al possesso della verità tutta intera. Ecco i frutti dell'ascensione e della glorificazione di Gesù alla destra del Padre.

RIASSUMENDO

Osservate bene come è fatta la nostra fede cristiana. Ci sono dei fatti che ne costituiscono la base storica. Su questi fatti viene costruita da Dio una realtà nuova che ci coinvolge subito, fin da adesso, e che possiamo cogliere solo per fede. Questa realtà si espande verso il futuro quando, al tempo stabilito da Dio, si manifesterà in tutta la sua pienezza. Allora il Disegno di Dio apparirà completo e definitivo.

1) Primo fatto: Il Figlio di Dio si è fatto uomo nel seno di Maria. L'umanità viene rinnovata, comincia un mondo nuovo che avrà la sua completezza in Cielo. Gesù è il seme, noi siamo la pianta.

2) Secondo fatto: Gesù muore per noi sulla croce e versa il suo sangue in espiazione dei nostri peccati. Conseguenza: ogni peccato è perdonato in virtù del sangue di Cristo e noi moriamo con lui sulla croce. Il nostro vecchio uomo è morto per sempre. Non esiste Più.

3) Terzo fatto: Gesù risorge con una vita nuova ed eterna. Egli è la sorgente della nuova umanità, l'umanità che deve dar vita ad un mondo nuovo, a nuovi cieli ed a nuova terra. 4) Quarto fatto: Gesù è salito al Cielo e siede alla destra di Dio come nostro avvocato e nostro sommo sacerdote. Di conseguenza Dio ci accoglie come suoi, ci dichiara innocenti, ci vuole accanto a se nella gloria del Cielo ed intanto ci dona il suo Spirito affinché ci purifichi e ci prepari.

E' molto importante, amici, aver fede in questi fatti e nelle loro conseguenze.

Tutto il cristianesimo è qui: nel credere veramente in questi fatti e nel credere veramente e concretamente nelle loro conseguenze. Molti cristiani invece hanno poca fede e si comportano come se questi fatti non esistessero o non avessero nessun influsso su di noi.

Faccio un esempio molto semplice.

Un mio amico ha depositato in banca per me una grossa somma e me lo ha scritto: Sappi che ho depositato la tal somma sul tuo conto corrente. Usala come vuoi: Ecco: questo è un fatto!

Di fronte ad esso io posso comportarmi in due modi:

a) o io non credo al mio amico ed allora non credo neppure di possedere quella somma. Di conseguenza non la uso e rimango povero;

b) oppure io credo al mio amico ed allora so di essere ricco e di poter usare quella somma. Ma qui ci sono due casi:

- so di possedere quella somma, ma non la uso. Resto povero!

- so di possedere quella somma, e ne uso. Vivo da ricco!

Molti cristiani non credono. Altri credono sì, ma non tirano le conseguenze della loro fede: e sono i più!

- Dicono di credere nell'incarnazione del Figlio di Dio, ma non si sentono figli di Dio, e neppure membra del suo Corpo Mistico.

- Dicono di credere nella morte e nel sangue di Gesù, ma non hanno fiducia nel perdono e vivono ancora schiavi del peccato, pur sapendo di essere già morti con Gesù.

- Dicono di credere nella risurrezione del Signore, ma non si sentono partecipi della sua nuova vita.

- Dicono di credere nella glorificazione di Cristo, ma non credono alla presenza dello Spirito Santo in loro e non hanno fiducia nell'intercessione di Gesù.

Questo modo di vivere il cristianesimo è falso e dispiace a Dio. Dio vuole gente che creda sul serio e che tiri le conseguenze della propria fede ogni momento, in ogni circostanza.

Il mondo stesso ha bisogno di gente così e non di gente incerta e triste, come sono nella maggior parte i cristiani di oggi!

I fatti che Dio ha compiuto sono realtà storiche e le conseguenze che da essi derivano sono realtà vive e concrete che invadono tutta la nostra esistenza riempiendola di gioia. Se vogliamo rinnovare la Chiesa ed il Mondo non c'è niente che noi possiamo fare di nuovo: c'è solo da credere sul serio a quello che ha già fatto Dio e tirarne le conseguenze.

BEATA PER LA TUA FEDE

Così ha fatto Maria! E per questo lo Spirito Santo l'ha proclamata beata proponendola come modello di fede viva a tutti i discepoli del Signore: "Beata colei che ha creduto nel compimento della Parola. del Signore'1 (Le 1,45). Non ha creduto solo alla Parola, ma ha creduto nel suo compimento: cioè nella sua concreta realtà! La fede di Maria anticipa e riassume in sè la fede della Chiesa. Nel cammino della fede Maria ci precede. Se vogliamo piacere a Dio dobbiamo seguirne le orme che passano dalla stanzetta dell'Annunciazione alla grotta di Betlemme; dalla casetta di Nazareth a Gerusalemme e al Calvario per sfociare nell'oceano meraviglioso della visione di Dio. Guardiamo a Maria, Donna nuova, Donna di fede e chiediamo che ci ottenga una fede come la sua.

CONTEMPLAZIONE

Mettiti davanti al quadro meraviglioso che la Lettera agli Ebrei ti presenta e, con il tuo cuore, sali con Gesù al trono del Padre in umile e devota adorazione.

Lettera agli Ebrei cap. 9

 Certo, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una Tenda: la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola. e i pani dell'offerta: essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo poi c'era una Tenda, detta Santo dei Santi, con l'altare d'oro per i profumi e l'arca dell'alleanza tutta ricoperta d'oro, nella quale si trovavano un'urna d'oro contenente la. manna, la verga di Aronne che aveva fiorito e le tavole dell'alleanza. E sopra l'arca stavano i cherubini della. gloria, che facevano ombra al luogo dell'espiazione. Di tutte queste cose non è necessario ora parlare nei particolari.

 Disposte in tal modo le cose, nella prima Tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda invece solamente il sommo sacerdote, una volta all'anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era ancora aperta la via del santuario, finché sussisteva la prima Tenda. Essa infatti è una figura per il tempo attuale, offrendosi sotto di essa doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, l'offerente, trattandosi solo di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni umane, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate.
Cristo invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo. cioè non appartenente a questa creazione. non con sangue di capri e di vitelli ma con il proprio sangue entrò una volta 12er sempre nel santuario. Procurandoci così una redenzione eterna.

 Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo. che con uno Spirito eterno o ffrì se stesso senza macchia a Dio. purifìcherà la nostra coscienza dalle opere morte. per servire il Dio vivente?
 Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte per la redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata promessa. Dove infatti c'è un testamento, è necessario che sia accertata la morte del testatore, perché un testamento ha valore solo dopo la morte e rimane senza effetto finché il testatore vive.
Per questo neanche la prima alleanza fu inaugurata senza sangue.

 Infatti dopo che tutti i comandamenti furono promulgati a tutto il popolo da Mosè, secondo la legge, questi, preso il sangue dei vitelli e dei capri con acqua, lana scarlatta e issòpo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: Questo è il sangue dell'alleanza che Dio ha stabilito per voi. Alla. stessa maniera asperse con il sangue anche la Tenda e tutti gli arredi del culto.
 Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono.
 Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi.
 Cristo infatti non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo Largura di quello vero ma nel cielo stesso. per comparire ora al cospetto di Dio in nostro, favore, e non per offrire se stesso più volte come il sommo sacerdote che entra nel santuario o_ni anno con sangue altrui.
 In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. Ora invece una volta sola. alla pienezza dei tempi è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso.
Davanti a tanto mistero non c'è che da adorare in silenzio con Maria.