domenica 5 febbraio 2012
Se Tu vuoi, puoi guarirmi
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica che ci mostra come tutti andavano da Gesù in cerca di guarigione, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
C'è nei comportamenti di Gesù, in quei primi approcci con la gente comune - così come ce lo presenta l'evangelista Marco - qualcosa che seguita a stupirci e avrà certamente affascinato quanti Lo avvicinavano. Facile capire come, al suo apparire sulla scena pubblica, dopo tanto silenzio a Nazareth, si sia fatto tanta strada tra la gente povera immediatamente, non solo per le sue Parole, ma per al Sua attenzione a quelli che soffrivano. Un' attenzione che non era solo pura compassione, ma andava oltre, fino al miracolo.
La gente a volte si lascia affascinare dalle parole di uno - e sappiamo come è facile imbastire un discorso, magari solo di bravura, ma senza concreti contenuti, discorsi che sono solo 'chiasso', amato da chi non riflette - ma Gesù affascinava, lasciando senza parole per lo stupore, quanti si accostavano a Lui, chiedendoGli l'impossibile per noi: essere guariti da una malattia. E la ottenevano. Nello stesso tempo, sapendo di essere oggetto di ammirazione e non volendo comunicare solo stupore, ma lasciare un segno concreto di divinità, per fare strada poi alla missione vera, affidata alla PAROLA, che annunciava il VANGELO della SALVEZZA: una salvezza che, per tutti, è ben più grande di una guarigione.
Poiché la gente si lascia tante volte incantare da eventi fuori del comune, Gesù davanti a questo atteggiamento preferisce fuggire, cercando di cancellare ogni errore si potesse compiere nella esatta interpretazione della sua missione tra noi, che aveva obbiettivi ben diversi dalle semplici attese della gente: la nostra totale guarigione dal male e quindi la salvezza.
Ma quante volte cadiamo anche noi nella tentazione di cercare in Dio solo la soluzione ai nostri problemi o difficoltà della vita quotidiana, dimenticando che Dio ha nell'amarci il solo obbiettivo di donarci la salvezza per sempre in Paradiso, pur prendendosi cura personalmente di ciascuno di noi, ma secondo i misteriosi 'pensieri' del Suo cuore, ben conoscendo qual è il nostro vero bene. Racconta il Vangelo di Marco:
"In quel tempo venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: 'Se vuoi, puoi guarirmi'. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: 'Lo voglio, guarisci!'. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 'Guarda di non dire niente a nessuno, ma VA', PRESENTATI AL SACERDOTE e offri la tua purificazione, quella che Mosé ha ordinato a testimonianza per lorò. ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte". (Mc. 1,40-45)
Può forse meravigliare come Gesù fugga dalla folla dopo avere guarito il lebbroso, ma la sua fuga nel deserto, era un chiaro messaggio, che il Messia, era venuto tra di noi dal Cielo, non tanto per guarire l'uomo dalle malattie fisiche. Sapeva molto bene che la salute fisica è un bene, ma non definitivo, proprio per la nostra fragilità creaturale. E sarebbe stata, la Sua presenza tra di noi, in questo caso, una visita da 'medico della mutua', che non può assicurare, mai, la salute per sempre.
A Gesù stava a cuore un'altra salute, quella eterna, ossia salvarci dal peccato e quindi farci degni del Paradiso per sempre. Sappiamo tutti per esperienza che questa vita è un passaggio. Un passaggio che, nella volontà di Dio che ci ha creato, non doveva esserci.
Dio ci aveva creati a Sua Immagine e quindi felici e incorruttibili. E' stata la disobbedienza dei nostri progenitori ad allontanarci dal Padre e quindi a dover subire quella che è un campo di prova per tornare degni di essere di Dio, liberandoci dalla vera malattia che è il peccato.
Purtroppo le indicazioni che oggi, più che mai, arrivano dal mondo è di disinteresse per la verità del vero fine del nostro esistere, non siamo aiutati a comprendere quale sia il nostro vero bene, cioè purificarci dal male e quindi riscattarci per il Paradiso. La salvezza eterna, per troppi, non è il primo bene da cercare, e quindi non si riesce a comprendere che occorre fare delle difficoltà, comprese le malattie, una via, un mezzo, un 'trampolino di lanciò, per purificarsi dal vero male e presentarsi a Dio con la veste della santità.
Fa davvero impressione, a chi è stato in pellegrinaggio a Lourdes o Fatima o Medjugorie come gente, andata in questi luoghi di preghiera, per guarire fisicamente, affidandosi alla bontà di Maria, nostra amata Mamma in Cielo, alla fine si sia trovata davvero 'guarita dentrò, provando una grande serenità interiore, dopo aver come intravisto proprio la malattia e la sofferenza possano essere una strada privilegiata verso il Cielo.
Ricordo le diverse visite a Lourdes, avendo avuto come vescovo il privilegio di presiedere la meravigliosa processione eucaristica e al termine di benedire solennemente i malati, schierati a cerchio. Ero stupito dalla loro serenità, come se avessero compreso che la vera salute è l'amore di Dio che si trasmetteva, attraverso l'Eucarestia. Mai visto un gesto di stizza per non essere stati guariti... ma, al contrario, rinnovata fiducia e serenità.
Noi, impregnati di materialismo, a volte non riusciamo a vedere il bello che Dio dà a noi attraverso le prove della vita o le tante povertà di ogni genere. Eppure quante volte, visitando gli ammalati, si rimane meravigliati dal sorriso sul volto di chi sa con fede vedere nel male una occasione di amore che va oltre la salute. E' vero che Dio ci ha creati per la felicità, ma è anche vero, come Gesù sulla croce, che tale felicità è una conquista che passa nella sofferenza. Chi ha poca fede difficilmente sa scorgere nel male un'occasione per guarire. Capita a volte di trovare poveri, o gente sfortunata, che sanno accettare tutto: è quello che più meraviglia e dove mette in discussione la nostra sola fiducia nello stare fisicamente e materialmente bene, per offrire il grande bene della nostra carità.
Scriveva Paolo VI, pensando ai tanti poveri di ogni genere, che sono la stragrande maggioranza degli uomini sulla terra:
"Viene subito in mente una folla di pensieri, che ci fa sperimentare come sotto la lineare semplicità del Vangelo si racchiudano profondità immense e realtà straordinariamente complesse.
E' molteplice il numero dei fortunati che compongono l'umanità vittoriosa: molteplice nelle forme, nei tipi della santità per cui si accede al regno dei cieli. I santi sono molti, le forme di santità sono molte, come le beatitudini che canonizzano diversi modi dell'esperienza umana trasfigurata dallo Spirito di Cristo."
Parlando di beatitudini scrive ancora Paolo VI: "Le beatitudini rivelano una grande forza morale. Cristo, annunciando le beatitudini, sposta i cardini dell'operare umano. Sposta quello terminale, quello a cui tende necessariamente il nostro operare, cioè la felicità, dal presente al futuro, da questa vita presente a quella del futuro, da questa vita presente ad un'altra vita successiva, dal tempo alla eternità, dal regno della terra a quello del Cielo. Insegnava il grande Bossuet: 'Tutto lo scopo dell'uomo consiste nell'essere felice'. Gesù Cristo non è venuto che per darcene il mezzo. Mettere la felicità dove si deve, è la sorgente di ogni bene, e la sorgente di ogni male è metterla dove non si deve. Diciamo dunque, io voglio essere felice. Vediamo i mezzi per raggiungerla. Stabilire in Dio il fine dell'uomo e indicare il modo per raggiungerlo è l'innovazione più grande: è la fondazione di un nuovo modo di vivere (Paolo VI, l Novembre 1960)
E vorrei a questo punto farmi vicino a quanti soffrono fisicamente o materialmente o per tante altre ragioni. Lo so molto bene che è difficile dire parole quando il fratello soffre. Ma è una grande carità sapere mettersi nei loro panni e condividere la sofferenza. Può sembrare poco, ma è tanto: senza questa solidarietà la vita diventa un vero inferno, che si può evitare. E non pensiamo mai che le difficoltà o la sofferenza siano un castigo. Fanno parte della nostra vita terrena e mirano, se accolte con fede, a costruire la felicità eterna con Dio. Facciamo nostra la preghiera di santa Faustina:
"O mio Gesù, dammi la forza di sopportare le sofferenze, in modo che non mi rifiuti di bere il calice dell'amarezza. Aiutami tu stesso, affinché il mio sacrificio sia gradito:
non lo contamini l'amor proprio, anche se si prolunga negli anni.
La purezza di intenzioni te lo renda ben accetto, sempre nuovo e vitale. La lotta perenne, uno sforzo incessante, questa è la mia vita, per adempiere la santa volontà:
ma tutto ciò che è in me, sia la miseria che la forza, tutto ti lodi, o mio Signore".
E voglio assicurare che i malati che mi leggono o quanti soffrono, sono al centro del ricordo nella
mia S. Messa quotidiana, perché il Padre doni forza e serenità.
Che nulla vada perso agli occhi del Padre!
C'è nei comportamenti di Gesù, in quei primi approcci con la gente comune - così come ce lo presenta l'evangelista Marco - qualcosa che seguita a stupirci e avrà certamente affascinato quanti Lo avvicinavano. Facile capire come, al suo apparire sulla scena pubblica, dopo tanto silenzio a Nazareth, si sia fatto tanta strada tra la gente povera immediatamente, non solo per le sue Parole, ma per al Sua attenzione a quelli che soffrivano. Un' attenzione che non era solo pura compassione, ma andava oltre, fino al miracolo.
La gente a volte si lascia affascinare dalle parole di uno - e sappiamo come è facile imbastire un discorso, magari solo di bravura, ma senza concreti contenuti, discorsi che sono solo 'chiasso', amato da chi non riflette - ma Gesù affascinava, lasciando senza parole per lo stupore, quanti si accostavano a Lui, chiedendoGli l'impossibile per noi: essere guariti da una malattia. E la ottenevano. Nello stesso tempo, sapendo di essere oggetto di ammirazione e non volendo comunicare solo stupore, ma lasciare un segno concreto di divinità, per fare strada poi alla missione vera, affidata alla PAROLA, che annunciava il VANGELO della SALVEZZA: una salvezza che, per tutti, è ben più grande di una guarigione.
Poiché la gente si lascia tante volte incantare da eventi fuori del comune, Gesù davanti a questo atteggiamento preferisce fuggire, cercando di cancellare ogni errore si potesse compiere nella esatta interpretazione della sua missione tra noi, che aveva obbiettivi ben diversi dalle semplici attese della gente: la nostra totale guarigione dal male e quindi la salvezza.
Ma quante volte cadiamo anche noi nella tentazione di cercare in Dio solo la soluzione ai nostri problemi o difficoltà della vita quotidiana, dimenticando che Dio ha nell'amarci il solo obbiettivo di donarci la salvezza per sempre in Paradiso, pur prendendosi cura personalmente di ciascuno di noi, ma secondo i misteriosi 'pensieri' del Suo cuore, ben conoscendo qual è il nostro vero bene. Racconta il Vangelo di Marco:
"In quel tempo venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: 'Se vuoi, puoi guarirmi'. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: 'Lo voglio, guarisci!'. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 'Guarda di non dire niente a nessuno, ma VA', PRESENTATI AL SACERDOTE e offri la tua purificazione, quella che Mosé ha ordinato a testimonianza per lorò. ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte". (Mc. 1,40-45)
Può forse meravigliare come Gesù fugga dalla folla dopo avere guarito il lebbroso, ma la sua fuga nel deserto, era un chiaro messaggio, che il Messia, era venuto tra di noi dal Cielo, non tanto per guarire l'uomo dalle malattie fisiche. Sapeva molto bene che la salute fisica è un bene, ma non definitivo, proprio per la nostra fragilità creaturale. E sarebbe stata, la Sua presenza tra di noi, in questo caso, una visita da 'medico della mutua', che non può assicurare, mai, la salute per sempre.
A Gesù stava a cuore un'altra salute, quella eterna, ossia salvarci dal peccato e quindi farci degni del Paradiso per sempre. Sappiamo tutti per esperienza che questa vita è un passaggio. Un passaggio che, nella volontà di Dio che ci ha creato, non doveva esserci.
Dio ci aveva creati a Sua Immagine e quindi felici e incorruttibili. E' stata la disobbedienza dei nostri progenitori ad allontanarci dal Padre e quindi a dover subire quella che è un campo di prova per tornare degni di essere di Dio, liberandoci dalla vera malattia che è il peccato.
Purtroppo le indicazioni che oggi, più che mai, arrivano dal mondo è di disinteresse per la verità del vero fine del nostro esistere, non siamo aiutati a comprendere quale sia il nostro vero bene, cioè purificarci dal male e quindi riscattarci per il Paradiso. La salvezza eterna, per troppi, non è il primo bene da cercare, e quindi non si riesce a comprendere che occorre fare delle difficoltà, comprese le malattie, una via, un mezzo, un 'trampolino di lanciò, per purificarsi dal vero male e presentarsi a Dio con la veste della santità.
Fa davvero impressione, a chi è stato in pellegrinaggio a Lourdes o Fatima o Medjugorie come gente, andata in questi luoghi di preghiera, per guarire fisicamente, affidandosi alla bontà di Maria, nostra amata Mamma in Cielo, alla fine si sia trovata davvero 'guarita dentrò, provando una grande serenità interiore, dopo aver come intravisto proprio la malattia e la sofferenza possano essere una strada privilegiata verso il Cielo.
Ricordo le diverse visite a Lourdes, avendo avuto come vescovo il privilegio di presiedere la meravigliosa processione eucaristica e al termine di benedire solennemente i malati, schierati a cerchio. Ero stupito dalla loro serenità, come se avessero compreso che la vera salute è l'amore di Dio che si trasmetteva, attraverso l'Eucarestia. Mai visto un gesto di stizza per non essere stati guariti... ma, al contrario, rinnovata fiducia e serenità.
Noi, impregnati di materialismo, a volte non riusciamo a vedere il bello che Dio dà a noi attraverso le prove della vita o le tante povertà di ogni genere. Eppure quante volte, visitando gli ammalati, si rimane meravigliati dal sorriso sul volto di chi sa con fede vedere nel male una occasione di amore che va oltre la salute. E' vero che Dio ci ha creati per la felicità, ma è anche vero, come Gesù sulla croce, che tale felicità è una conquista che passa nella sofferenza. Chi ha poca fede difficilmente sa scorgere nel male un'occasione per guarire. Capita a volte di trovare poveri, o gente sfortunata, che sanno accettare tutto: è quello che più meraviglia e dove mette in discussione la nostra sola fiducia nello stare fisicamente e materialmente bene, per offrire il grande bene della nostra carità.
Scriveva Paolo VI, pensando ai tanti poveri di ogni genere, che sono la stragrande maggioranza degli uomini sulla terra:
"Viene subito in mente una folla di pensieri, che ci fa sperimentare come sotto la lineare semplicità del Vangelo si racchiudano profondità immense e realtà straordinariamente complesse.
E' molteplice il numero dei fortunati che compongono l'umanità vittoriosa: molteplice nelle forme, nei tipi della santità per cui si accede al regno dei cieli. I santi sono molti, le forme di santità sono molte, come le beatitudini che canonizzano diversi modi dell'esperienza umana trasfigurata dallo Spirito di Cristo."
Parlando di beatitudini scrive ancora Paolo VI: "Le beatitudini rivelano una grande forza morale. Cristo, annunciando le beatitudini, sposta i cardini dell'operare umano. Sposta quello terminale, quello a cui tende necessariamente il nostro operare, cioè la felicità, dal presente al futuro, da questa vita presente a quella del futuro, da questa vita presente ad un'altra vita successiva, dal tempo alla eternità, dal regno della terra a quello del Cielo. Insegnava il grande Bossuet: 'Tutto lo scopo dell'uomo consiste nell'essere felice'. Gesù Cristo non è venuto che per darcene il mezzo. Mettere la felicità dove si deve, è la sorgente di ogni bene, e la sorgente di ogni male è metterla dove non si deve. Diciamo dunque, io voglio essere felice. Vediamo i mezzi per raggiungerla. Stabilire in Dio il fine dell'uomo e indicare il modo per raggiungerlo è l'innovazione più grande: è la fondazione di un nuovo modo di vivere (Paolo VI, l Novembre 1960)
E vorrei a questo punto farmi vicino a quanti soffrono fisicamente o materialmente o per tante altre ragioni. Lo so molto bene che è difficile dire parole quando il fratello soffre. Ma è una grande carità sapere mettersi nei loro panni e condividere la sofferenza. Può sembrare poco, ma è tanto: senza questa solidarietà la vita diventa un vero inferno, che si può evitare. E non pensiamo mai che le difficoltà o la sofferenza siano un castigo. Fanno parte della nostra vita terrena e mirano, se accolte con fede, a costruire la felicità eterna con Dio. Facciamo nostra la preghiera di santa Faustina:
"O mio Gesù, dammi la forza di sopportare le sofferenze, in modo che non mi rifiuti di bere il calice dell'amarezza. Aiutami tu stesso, affinché il mio sacrificio sia gradito:
non lo contamini l'amor proprio, anche se si prolunga negli anni.
La purezza di intenzioni te lo renda ben accetto, sempre nuovo e vitale. La lotta perenne, uno sforzo incessante, questa è la mia vita, per adempiere la santa volontà:
ma tutto ciò che è in me, sia la miseria che la forza, tutto ti lodi, o mio Signore".
E voglio assicurare che i malati che mi leggono o quanti soffrono, sono al centro del ricordo nella
mia S. Messa quotidiana, perché il Padre doni forza e serenità.
Che nulla vada perso agli occhi del Padre!
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