domenica 19 febbraio 2012
La ragione del dolore davanti a Dio
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica che ci mostra come tutti andavano da Gesù in cerca di guarigione, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Il Vangelo di oggi sembra rispondere alla grande domanda che l'uomo si pone davanti alla sofferenza o al dolore, che è la stessa cosa.
Anche se a volte ci riferiamo, parlando di sofferenza, più a quella interiore - ed è tanta - quasi una compagna della vita.
Sono tante le cause della sofferenza interiore, quella che sentiamo per esempio per una persona cara che soffre o è in difficoltà, oppure per l'isolamento o l'abbandono in cui ci si sente immersi, per motivi di ingiustizia nei nostri confronti o perché non si sa come far fronte alle difficoltà quotidiane che coinvolgono non solo noi stessi, ma anche i nostri cari. Sono davvero infinite le cause...
Il dolore è un poco la stessa cosa, anche se in genere lo si riferisce alla dimensione della salute: il dolore fisico, la malattia che colpisce il nostro corpo in modo più o meno grave.
Del resto sappiamo tutti come il corpo - pur essendo anch'esso destinato a risorgere - debba prima avviarsi giorno per giorno verso la corruzione nella morte.
Gesù oggi, nel Vangelo, dà una risposta al valore più grande della vita, la fede. Racconta l'evangelista Marco:
"Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta ed Egli annunziava la Sua parola.
Si recarono da Lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo davanti, a causa della folla, scoperchiarono il tetto, nel punto dove egli si trovava, e fatta un'apertura, calarono il tettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati!'. Seduti là erano alcuni scribi, che pensavano in cuor loro: 'Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?'. Ma Gesù, avendo subito conosciuto il loro pensiero disse loro: 'Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua'. Questi si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: 'Non abbiamo mai visto nulla di simile! (Mc. 2, 1-12)
La domanda di Gesù certamente vuole evidenziare il problema: è più facile guarire fisicamente una persona o guarire un peccatore dal suo peccato?
Conosciamo persone che proprio nel dolore fisico o nella sofferenza morale hanno trovato la via per un cambiamento di mentalità: una guarigione interiore.
Basterebbe pensare a Santi come S. Ignazio di Loyola, che nella malattia trovò, per grazia di Dio, la bellezza della fede, al punto che poi fondò una grande congregazione religiosa: i Gesuiti.
O a S. Francesco di Assisi, che, ritornato dalla guerra, dopo una lunga prigionia e malattia, abbandonò il suo stato di benessere, su cui aveva impostato la vita e scelse Madonna povertà.
O ai martiri che riuscivano ad interpretare i tormenti che li attendevano come via maestra e gioiosa per poter incontrare presto Gesù.
Il dolore non è mai una maledizione; se parliamo di quello fisico, che è la malattia, il dolore è inevitabile, ma anche lì si può trovare la ragione per farne un'occasione di accostamento a Dio. Tutte le volte che si accompagna un pellegrinaggio a Lourdes, si nota una differenza sostanziale: spesso, nell'andata, domina il lamento e lo scoraggiamento. Ma al ritorno qualcosa è cambiato: si avvertono i frutti di una guarigione interiore, che sempre accade.
Mi è toccato più volte di dirigere la processione eucaristica del pomeriggio, e alla fine, passando a benedire gli ammalati - erano sempre tanti - sempre ho notato una serenità incredibile.
Maria sempre ci fa dono di riuscire a concepire la malattia come un'occasione di viaggio, aerso il Paradiso.
Più difficile il dolore interiore, per tante ragioni, soprattutto quando si assiste alla sofferenza di una persona cara e poi alla sua morte. Non si può non sentire dolore per la morte di una persona cara, che era la ragione, per il suo amore, di un senso e di una pienezza di gioia, direi una preziosa ragione di gioia.
Ma, per chi ha fede, anche in queste situazioni, che possono diventare devastanti, il dolore trova la sua consolazione nel credere che verrà un giorno che ci si troverà insieme in Cielo.
Ma la malattia più difficile da guarire è di chi vive in peccato.
C'è troppa gente che pare abbia fondato la ragione della propria soddisfazione nei piaceri della vita o nella ricchezza o in altro e non si sogna neppure che possa, solamente nella conversione, esistere una vera gioia. Questa è la grave malattia da cui è difficile guarire.
Come nel Vangelo, occorrerebbe rivedere la verità della nostra vita e la vera sorgente della pace e della gioia, nelle parole pronunciate da Gesù, oggi: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati '.
Chi di noi ha provato la gioia di questa vera 'resurrezioné, nel cambiamento della vita, morendo al peccato e vivendo di grazia, sa di che cosa sto parlando.
Sono i veri momenti di Grazia, la vera medicina che Dio usa per guarirci dal male e davvero far conoscere la bellezza della salute spirituale.
Abbiamo bisogno di questa grazia: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".
Come può infatti vivere una persona, se ha conservato ancora un briciolo di verità della vera vita in Dio, senza la Grazia della conversione? E' forse vera gioia quella di vivere con il peso del peccato? Credo proprio di no.
Come vorremmo anche noi provare la gioia del paralitico e sentirci dire da Gesù: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati. Alzati e cammina".... Vivi in pienezza la tua vita!...
Credetemi è una grande gioia sentirsi in pace con Dio!
Così come dovrebbe essere una grande disgrazia vivere esclusi dall'amore del Padre, non perché Lui non ci voglia sempre bene, ma perché noi abbiamo deciso di voltarGli le spalle.
Dovremmo fare nostre le parole del profeta Isaia:
"Così dice il Signore: 'Non ricordate più le cose passate; non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa ..
Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.
Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele...
Ma io cancello i tuoi misfatti per riguardo a me, non ricordo più i tuoi peccati". (Is. 19,21-25) Non resta allora che accogliere il dolore, di qualunque sorta, per vederne seppur tra le lacrime, le ragioni più profonde: un compagno della vita, di tutti, senza eccezioni, ma soprattutto un'opportunità per farne la scalata verso la santità.
E' stata la strada dei santi ed è quello che tante volte si nota, come grande Grazia, visitando gli ammalati. Quante lezioni ci danno.
Che il Signore ci renda capaci di saper vedere nel dolore, ripeto, di qualunque natura sia - non certamente di quello frivolo, - la mano del Padre che ci sostiene, ci consola.
Il dolore non è una Sua 'creaturà e per questo ha mandato Gesù a salvarci dalla disperazione e dalla morte. Il dolore non possiamo evitarlo, ma con la Presenza amorevole e forte di Gesù possiamo accoglierlo come purificazione del cuore dal male o come espiazione, per renderei degni della vera gioia.
MERCOLEDI' delle CENERI: inizia il tempo santo della Quaresima.
C'è veramente bisogno che ci sia un tempo lungo, in cui ogni fedele metta da parte tanti aspetti solo umani, e si concentri su quel bene di estrema importanza che è la propria salvezza. La Quaresima vuole essere questo tempo di preparazione per 'risorgere' ogni giorno, vivendo intensamente il tempo che ci è donato, ma guardando al grande giorno della Resurrezione.
Resurrezione. Abbiamo tutti qualcosa da togliere, che è inutile se non dannosa nella nostra vita "Non vogliamo credere - scrive Paolo VI - che voi figli della nostra Chiesa, che ci ascoltate, non conosciate quale tipo di uomo risulti dalla disciplina dell'ascetica cristiana: risulta l'uomo forte, l'uomo libero, l'uomo seguace di Gesù Cristo. Si dirà forse da alcuni, sedotti da certe correnti amorali, che questo non può essere programma del figlio del nostro secolo, a cui si propone con tante blandizie di liberare finalmente se stesso abbandonandosi alla vita larga, che si chiama 'amoralità permissiva' e comporta una conversione a rovescio. Codesta bassezza è viltà e non chiamiamola 'libertà'. Non resta che ascoltare le parole di S. Paolo: "Gettiamo via le opere delle tenebre, rivestiamo le armi della luce". Non, dispiaccia imporre a noi stessi qualche maggiore vigilanza, qualche astinenza di cose vane e tentatrici. Questa è la palestra della Quaresima.
Non resta a noi tutti che entrare, ciascuno di noi, nella austerità della Quaresima: toglierci di dosso qualche aspetto o dissipazione che allontana dal vivere il tempo della Quaresima con serietà e sobrietà. Ciascuno, per quello che può, sappia toglie qualche cosa del superfluo, come prova della propria volontà di purificarsi dalle futilità, ma soprattutto - ed è quello che conta - impostiamo quotidianamente il nostro stile di vita, come segno di partecipazione alla Quaresima, soprattutto, aggiungerei, dedicando alla preghiera ed alla carità maggior tempo.
Insomma in qualche modo imitiamo Gesù che, prima di iniziare la sua vita pubblica, cercò la Parola del Padre e la forza dello Spirito nel deserto che, ancora oggi, visitando la Terra santa, si chiama il monte della Quarantena. L'importante è che ogni giorno porti il segno che viviamo la Quaresima. Se non ci sforziamo di cambiare vita e abitudini in questo tempo, quando lo faremo?
Che il Signore conceda a me e a tutti una Grazia: quella di una vera conversione, che è seguire Gesù nella morte 'a noi stessi', per aprirci alla pasqua di resurrezione.
"Donaci, o Dio onnipotente, di rinnovare, con propositi di vita più austera,
il nostro impegno cristiano, nella lotta contro lo spirito del male, e il coraggio di rinunce salutari".
Il Vangelo di oggi sembra rispondere alla grande domanda che l'uomo si pone davanti alla sofferenza o al dolore, che è la stessa cosa.
Anche se a volte ci riferiamo, parlando di sofferenza, più a quella interiore - ed è tanta - quasi una compagna della vita.
Sono tante le cause della sofferenza interiore, quella che sentiamo per esempio per una persona cara che soffre o è in difficoltà, oppure per l'isolamento o l'abbandono in cui ci si sente immersi, per motivi di ingiustizia nei nostri confronti o perché non si sa come far fronte alle difficoltà quotidiane che coinvolgono non solo noi stessi, ma anche i nostri cari. Sono davvero infinite le cause...
Il dolore è un poco la stessa cosa, anche se in genere lo si riferisce alla dimensione della salute: il dolore fisico, la malattia che colpisce il nostro corpo in modo più o meno grave.
Del resto sappiamo tutti come il corpo - pur essendo anch'esso destinato a risorgere - debba prima avviarsi giorno per giorno verso la corruzione nella morte.
Gesù oggi, nel Vangelo, dà una risposta al valore più grande della vita, la fede. Racconta l'evangelista Marco:
"Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta ed Egli annunziava la Sua parola.
Si recarono da Lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo davanti, a causa della folla, scoperchiarono il tetto, nel punto dove egli si trovava, e fatta un'apertura, calarono il tettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati!'. Seduti là erano alcuni scribi, che pensavano in cuor loro: 'Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?'. Ma Gesù, avendo subito conosciuto il loro pensiero disse loro: 'Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua'. Questi si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: 'Non abbiamo mai visto nulla di simile! (Mc. 2, 1-12)
La domanda di Gesù certamente vuole evidenziare il problema: è più facile guarire fisicamente una persona o guarire un peccatore dal suo peccato?
Conosciamo persone che proprio nel dolore fisico o nella sofferenza morale hanno trovato la via per un cambiamento di mentalità: una guarigione interiore.
Basterebbe pensare a Santi come S. Ignazio di Loyola, che nella malattia trovò, per grazia di Dio, la bellezza della fede, al punto che poi fondò una grande congregazione religiosa: i Gesuiti.
O a S. Francesco di Assisi, che, ritornato dalla guerra, dopo una lunga prigionia e malattia, abbandonò il suo stato di benessere, su cui aveva impostato la vita e scelse Madonna povertà.
O ai martiri che riuscivano ad interpretare i tormenti che li attendevano come via maestra e gioiosa per poter incontrare presto Gesù.
Il dolore non è mai una maledizione; se parliamo di quello fisico, che è la malattia, il dolore è inevitabile, ma anche lì si può trovare la ragione per farne un'occasione di accostamento a Dio. Tutte le volte che si accompagna un pellegrinaggio a Lourdes, si nota una differenza sostanziale: spesso, nell'andata, domina il lamento e lo scoraggiamento. Ma al ritorno qualcosa è cambiato: si avvertono i frutti di una guarigione interiore, che sempre accade.
Mi è toccato più volte di dirigere la processione eucaristica del pomeriggio, e alla fine, passando a benedire gli ammalati - erano sempre tanti - sempre ho notato una serenità incredibile.
Maria sempre ci fa dono di riuscire a concepire la malattia come un'occasione di viaggio, aerso il Paradiso.
Più difficile il dolore interiore, per tante ragioni, soprattutto quando si assiste alla sofferenza di una persona cara e poi alla sua morte. Non si può non sentire dolore per la morte di una persona cara, che era la ragione, per il suo amore, di un senso e di una pienezza di gioia, direi una preziosa ragione di gioia.
Ma, per chi ha fede, anche in queste situazioni, che possono diventare devastanti, il dolore trova la sua consolazione nel credere che verrà un giorno che ci si troverà insieme in Cielo.
Ma la malattia più difficile da guarire è di chi vive in peccato.
C'è troppa gente che pare abbia fondato la ragione della propria soddisfazione nei piaceri della vita o nella ricchezza o in altro e non si sogna neppure che possa, solamente nella conversione, esistere una vera gioia. Questa è la grave malattia da cui è difficile guarire.
Come nel Vangelo, occorrerebbe rivedere la verità della nostra vita e la vera sorgente della pace e della gioia, nelle parole pronunciate da Gesù, oggi: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati '.
Chi di noi ha provato la gioia di questa vera 'resurrezioné, nel cambiamento della vita, morendo al peccato e vivendo di grazia, sa di che cosa sto parlando.
Sono i veri momenti di Grazia, la vera medicina che Dio usa per guarirci dal male e davvero far conoscere la bellezza della salute spirituale.
Abbiamo bisogno di questa grazia: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".
Come può infatti vivere una persona, se ha conservato ancora un briciolo di verità della vera vita in Dio, senza la Grazia della conversione? E' forse vera gioia quella di vivere con il peso del peccato? Credo proprio di no.
Come vorremmo anche noi provare la gioia del paralitico e sentirci dire da Gesù: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati. Alzati e cammina".... Vivi in pienezza la tua vita!...
Credetemi è una grande gioia sentirsi in pace con Dio!
Così come dovrebbe essere una grande disgrazia vivere esclusi dall'amore del Padre, non perché Lui non ci voglia sempre bene, ma perché noi abbiamo deciso di voltarGli le spalle.
Dovremmo fare nostre le parole del profeta Isaia:
"Così dice il Signore: 'Non ricordate più le cose passate; non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa ..
Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.
Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele...
Ma io cancello i tuoi misfatti per riguardo a me, non ricordo più i tuoi peccati". (Is. 19,21-25) Non resta allora che accogliere il dolore, di qualunque sorta, per vederne seppur tra le lacrime, le ragioni più profonde: un compagno della vita, di tutti, senza eccezioni, ma soprattutto un'opportunità per farne la scalata verso la santità.
E' stata la strada dei santi ed è quello che tante volte si nota, come grande Grazia, visitando gli ammalati. Quante lezioni ci danno.
Che il Signore ci renda capaci di saper vedere nel dolore, ripeto, di qualunque natura sia - non certamente di quello frivolo, - la mano del Padre che ci sostiene, ci consola.
Il dolore non è una Sua 'creaturà e per questo ha mandato Gesù a salvarci dalla disperazione e dalla morte. Il dolore non possiamo evitarlo, ma con la Presenza amorevole e forte di Gesù possiamo accoglierlo come purificazione del cuore dal male o come espiazione, per renderei degni della vera gioia.
MERCOLEDI' delle CENERI: inizia il tempo santo della Quaresima.
C'è veramente bisogno che ci sia un tempo lungo, in cui ogni fedele metta da parte tanti aspetti solo umani, e si concentri su quel bene di estrema importanza che è la propria salvezza. La Quaresima vuole essere questo tempo di preparazione per 'risorgere' ogni giorno, vivendo intensamente il tempo che ci è donato, ma guardando al grande giorno della Resurrezione.
Resurrezione. Abbiamo tutti qualcosa da togliere, che è inutile se non dannosa nella nostra vita "Non vogliamo credere - scrive Paolo VI - che voi figli della nostra Chiesa, che ci ascoltate, non conosciate quale tipo di uomo risulti dalla disciplina dell'ascetica cristiana: risulta l'uomo forte, l'uomo libero, l'uomo seguace di Gesù Cristo. Si dirà forse da alcuni, sedotti da certe correnti amorali, che questo non può essere programma del figlio del nostro secolo, a cui si propone con tante blandizie di liberare finalmente se stesso abbandonandosi alla vita larga, che si chiama 'amoralità permissiva' e comporta una conversione a rovescio. Codesta bassezza è viltà e non chiamiamola 'libertà'. Non resta che ascoltare le parole di S. Paolo: "Gettiamo via le opere delle tenebre, rivestiamo le armi della luce". Non, dispiaccia imporre a noi stessi qualche maggiore vigilanza, qualche astinenza di cose vane e tentatrici. Questa è la palestra della Quaresima.
Non resta a noi tutti che entrare, ciascuno di noi, nella austerità della Quaresima: toglierci di dosso qualche aspetto o dissipazione che allontana dal vivere il tempo della Quaresima con serietà e sobrietà. Ciascuno, per quello che può, sappia toglie qualche cosa del superfluo, come prova della propria volontà di purificarsi dalle futilità, ma soprattutto - ed è quello che conta - impostiamo quotidianamente il nostro stile di vita, come segno di partecipazione alla Quaresima, soprattutto, aggiungerei, dedicando alla preghiera ed alla carità maggior tempo.
Insomma in qualche modo imitiamo Gesù che, prima di iniziare la sua vita pubblica, cercò la Parola del Padre e la forza dello Spirito nel deserto che, ancora oggi, visitando la Terra santa, si chiama il monte della Quarantena. L'importante è che ogni giorno porti il segno che viviamo la Quaresima. Se non ci sforziamo di cambiare vita e abitudini in questo tempo, quando lo faremo?
Che il Signore conceda a me e a tutti una Grazia: quella di una vera conversione, che è seguire Gesù nella morte 'a noi stessi', per aprirci alla pasqua di resurrezione.
"Donaci, o Dio onnipotente, di rinnovare, con propositi di vita più austera,
il nostro impegno cristiano, nella lotta contro lo spirito del male, e il coraggio di rinunce salutari".
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